Roma, 16 novembre 2023
Ho passato quasi metà della mia personale esistenza a vivere la vita di un altro; e ciò che ne restava a ripudiare il tempo in cui nacqui, giorno dopo giorno. Da giovane, per campare, si doveva fingere in tutto: sui banchi di scuola, in società, al lavoro, in vacanza, al bar. Ci si riservò la mendacità, una briosa discesa agli inferi. Il grasso di quella breve epoca edonista consisteva, a ben ri-vedere, nella moneta presa in prestito dal più sordido usuraio; e si viveva in accordo con quei semitoni una danza di sguaiato e inavvertito orrore. Quanto tempo perso, quanta stupidità in ogni atto! Alla nostra secolare etica, che disconosceva, come ogni tradizione che ci tiene in vita, il giudizio su sé stessa, se ne sovrappose un’altra, apparentemente libertaria, ariosa, dalla vastità infinita. Fu un miraggio degno di Alcina. In realtà vedevamo con altri occhi e i nostri, gli unici che potevano salvarci, furono resi ciechi: “gli ochi nostri tenebrosi”. Poi cominciai a leggere meglio, a vedere meglio. Non si trattava di risvegliarsi a niente, semplicemente giudicai secondo ciò che siamo sempre stati. E presi a vivere la vita al contrario. Sottosopra. Perché il contrario del contrario è la retta via. Dappertutto giravo in senso antiorario, come i detenuti durante l’ora d’aria. Alla stanga, a faticare il triplo, a essere compatiti (non capisci!), a rimanere esclusi, inevitabilmente, dal corretto fluire della vita che ancora, sonoramente, disperatamente, con risate isteriche e forzate, gorgogliava giù per la fogna. Dove merita di stare.
Una volta non ci si domandava: voglio vivere nel mio tempo, oppure no, lo rifiuto. Ci si adattava secondo un conformismo più o meno accettabile, schiantati da sacrifici o privazioni, oberati dal male, ma l’intimo conforto di cui si godeva erano quei punti cardinali verso cui guardare. Qui è il problema. Un asse del mondo è necessario, o per conformarsi o per tentare di svellerlo alle fondamenta. Le epoche o sono incardinate alla tradizione oppure minacciate da sconquassi sociali e umani, ma la bussola deve necessariamente segnare un nord morale. Uno dei primi a rendersi conto dello sfacelo fu William Shakespeare: quella frase, apparentemente innocua, poiché riferita a una vendetta ("Time is out of joint", il tempo è fuori dei cardini, della giusta guida), alludeva al tramonto di un Ordine (di un kosmos) e all’incipiente in-augurazione dell’apostasia inglese. Egli intuiva che quel turbine di sangue celava non certo il male, presenza connaturata all’umano, bensì il nichilismo corrosivo e sterile dei nuovi tempi a venire.
Nel Riccardo III alcune nobili dame si rinfacciano assassinii: