12 dicembre 2016

Annegare nella libertà


Pubblicato su Pauperclass l'11 marzo 2016

Quasi tutti hanno sentito parlare del delitto del Collatino (un quartiere di Roma).
Due pervertiti hanno irretito, seviziato e assassinato un ventitreenne, Luca Varani.
Il loro gesto era premeditato. “Volevamo provare l’effetto che fa“, ha dichiarato uno di loro, in una grottesca parodia del classico di Jannacci. Premeditato, benché attuato sotto il pesante effetto delle droghe.
Alcuni opinionisti (fra questi Maurizio Blondet) hanno evocato le categorie di Bene e Male.
È logico che Blondet lo faccia: è cristiano e cattolico; giudica secondo la morale cristiana e cattolica.
Credo, tuttavia, ch’egli sia fuori strada.
Fare appello a un sistema di valori (qualsiasi esso sia) rende necessariamente incapaci alla comprensione della vicenda. Parimenti inadeguato è riferirsi agli autori dell’omicidio quali “annoiati figli di papà”: il censo, o la noia, qui, entrano poco o nulla.
Meno fuorviante è il richiamo alla pazzia; a patto che con tale termine s’intenda un tipo di pazzia del tutto inedito: una affezione nichilista dell’animo.
Ritengo, infatti, che l’assassinio di Varani sia avvenuto in una zona al di là del Bene e del Male.
Stragi, torture e delitti son sempre avvenuti. Tutti, però, originavano o da una morale o da una visione dell’esistenza o quale reazione all’infrazione delle stesse (erano, quindi, accettati o riprovati in nome di un codice superiore).
Persino l’act gratuit di Gide ne I sotterranei del Vaticano ricade in tale categoria: nel romanzo vi è sì un gesto omicida insensato (poiché senza movente), ma questo è pur sempre la negazione di un’etica dominante ancora valida e riconoscibile da tutti.
L’assassinio del festino omicida del Collatino, però, si invera nella più totale assenza d’una morale. Interna ed esterna. In esso non rinveniamo, come vuole Blondet, il Male, come antitesi al Bene, ma nel vuoto: esso ha la propria radice nel Nulla (degli animi e della società).
Qui hanno patria i nudi fatti: abbiamo agito così.
Questo è accaduto. E basta.

Ahi serva Italia, prigioniera della falsa coscienza e della paura


Pubblicato su Pauperclass il 27 agosto 2016

Non c'è nulla da fare.
Non si muove foglia.
L'Italia è ferma, irrigidita, bloccata.
In egual modo raggelata da una falsa coscienza; e dalla paura.
Sì, l'Italia non si ribellerà: morirà, molto semplicemente. Pian piano, rassegnata, e ferma, inchiodata alla visione masochista della propria disfatta da una coscienza non sua - abilmente instillata nei decenni - e dal terrore, un terrore abietto, il terrore di infrangere i comandamenti di questa coscienza posticcia.
Il cuore antico dell'Italia, i suoi usi, le tradizioni, la psicologia di un popolo, tutto ciò che, in ultima analisi, è contrassegnato come cultura giace negli strati profondi dell'animo del paese, dimenticato; ogni tanto emana bagliori, sussurri inquieti, echi quasi inaudibili. È la nostra coscienza, quella vera, ciò che noi siamo stati, quello che ci ha fatto sopravvivere come entità attraverso i millenni. È una voce che vorrebbe stimolarci all'azione, alla verità (non c'è azione senza verità), che vorrebbe salvarci, perché in quella voce ci sono le esistenze di chi ci ha preceduto, e in qualche modo amato ... ma noi siamo sordi, la rifiutiamo ... oppure la tradiamo ... perché abbiamo paura.
E chi tacita questi richiami dal profondo che potrebbero farci scampare un destino da reietti?
La falsa coscienza.

25 aprile: come siete diventati brutti e stupidi, cari compagni


Pubblicato su Pauperclass il 27 aprile 2016

Scruto l'avvenire dal fondo d'un passato nerissimo, e trovo che nulla mi è permesso, tranne la fedeltà a una causa assolutamente perduta"
Joseph Conrad, lettera a Cunningham Graham

Sono nato a sinistra. Feci in tempo, per due volte, a votare Partito Comunista Italiano. Alla fine degli anni Ottanta.
In altre parole: ero comunista.
Queste non sono affermazioni politiche: sono prese d'atto. Ero così. Essere comunista! Confesso che c'entrava poco la collettivizzazione della terra, il Soviet e l'abolizione della proprietà privata. Credevo in uno Stato totale, benigno e regolatore, questo sì, e nell'onestà di fondo dei dirigenti di partito, individui pronti a trasferire questa loro inclinazione a livello nazionale, una volta vinte le elezioni. 
Per il resto non m'interessavano granché le riunioni, le candidature, i programmi, i preamboli, le intenzioni; le sale fumose, i dibattiti, le mozioni.
Amavo la burocrazia attiva: l'assegnazione dei libri scolastici gratuiti, ad esempio. Cosa bisogna fare? ... ci domandavano. E si spiegava alla mamma il passo necessario. L'otturazione del molare all'Enpas: è possibile? Certo, si può fare, ma devi riempire il modulo tale e presentarlo in talaltro posto. E le esenzioni per la borsa di studio? Quest'anno è cambiato tutto: devi fare così e così et cetera. Una volta, al liceo, tentai di organizzare pure una biblioteca gratuita, ma andò a schifio.
Al contrario mi trovavo a disagio (a dire il vero lo trovavo insopportabile) con il lato sessantottino e movimentista del PCI: l’esistenza bohemienne, la scapigliatura di sinistra, il cantautore barbuto col lambrusco sul tavolo, gli artisti off e ‘de sinistra’ (tanto più arroganti quanto più insulsi), i brindisi, le canne, le iniziative estemporanee. Una volta, a una festicciola per l'elezione di non so chi, di fronte all'ennesima birretta stappata sotto il ritratto di Enrico Berlinguer e del fesso che imbracciava una chitarra per declinare (ancora!) De André o Guccini, mi sorpresi a pensare con forza: "Mi sa che io, alla fin fine, sono fascista" (i populisti, nei primi anni Novanta, erano ancora merce rara). La mia vita è ricca di queste rivelazioni improvvise: si scorre tranquilli per anni, poi, come se avessi lentamente sovraccaricato di tensione una linea, avviene l'inopinato corto circuito: "Mi sa che io, alla fin fine, sono fascista".

07 novembre 2016

Il testamento


Rivedo la mia vecchia terra.
Ritrovo i profili dei palazzi signorili, le strade, le case, i sentieri, gli anditi.
Una fontana di pietra conduce acqua freddissima da una sorgente millenaria; lo zampillo discreto, riecheggiato in un silenzio attonito, sembra garantire l'eternità.

Ecco i fregi, le iscrizioni, le dediche votive.
È una gioia rivederli.
Ma, quando mi faccio più attento, scopro che il volto amato reca i segni di una lebbra sconosciuta, lenta e incurabile.
I sentieri portano a campi spogliati e derelitti, le strade sono sconnesse, gli edifici patrizi puntellati con crostosi tubi metallici, lerci di merde di piccione, inaccessibili.
Le case sono fredde, le finestre buie, gli intonaci si distaccano in silenzio.
In vendita, tutto è in vendita. La patria è in vendita.

I campi sono deserti, le vigne abbandonate, i fiumi escono dal letto, i padri ci lasciano.
Quanto potremo resistere?
I padri, i vecchi padri, quanto abbiamo riso di loro.
Ci credevamo superiori.
Senza di loro non siamo niente.

La nostra arroganza, la sicurezza, la protervia ci verranno strappate come un cenci da arricchiti comprato a pegno della nostra anima.

Il sangue avvelenato da un incesto.
Sguardi bassi, ottusi.
I segni antichi hanno perso il potere.
Nulla risponde alla calma e segreta trama dell'ordine consueto.
Anche gli animali ci fuggono.
Il patto è stato infranto.

05 novembre 2016

Una poesia - Emily Dickinson, Uscii di casa presto ...


Bibliomanzia, l'arte di estrarre presagi da un libro riconosciuto come sacro, o profeticamente ispirato; ovvero come perfetto, inemendabile - un libro a cui nessuno può sottrarre o aggiungere nulla senza turbare un equilibrio miracoloso: la Bibbia e i Vangeli, ovviamente, ma anche Esiodo, Omero, Virgilio; e il Canzoniere di Petrarca, la Commedia, Macbeth, il Faust; e la raccolta poetica di Emily Dickinson, ormai un classico della poesia di tutti i tempi. Si prende in mano il libro, si apre a caso e si leggono poche righe; una poesia vale l'altra: ognuna è una via per accedere a una grande anima poetica che, come Dante Shakespeare Petrarca, riflette il mondo e i tempi, e li riassume in quei pochi etti di carta, nelle nostre mani.
Cosa dire su Uscii presto? Inizia con un moto infantile, fiabesco, e diviene una metafora sessuale ardita, quasi esplicita, ma priva di qualsiasi goffa malizia - malizia spenta sul nascere dal suo innato e raffinatissimo istinto per l'alta mediazione lirica.

Uscii di casa presto, col mio cane,
feci visita al mare;
e le sirene, dalle sue cantine
uscirono a vedermi,

E i vascelli del piano di sopra
tesero mani di canapa,
credendo fossi un topo
rimasto giù, arenato.

Ma non mi mossi finché la marea
non venne oltre i miei umili sandali,
e oltre il mio grembiale e la cintura,
e oltre il mio corpetto,

e parve che volesse divorarmi
tutta, come una goccia di rugiada
sopra la veste di un ranuncolo -
allora anch'io mi mossi.

E il mare fu incalzante alle mie spalle;
sentivo il suo tallone argenteo
sopra la mia caviglia - ed i miei sandali
allora traboccarono di perle.

Finché incontrammo il solido paese,
dov'egli non aveva conoscenti;
inchinatosi allora, col suo sguardo possente,
il mare tornò indietro.

Da Emily Dickinson, Tutte le poesie (traduzione di Marisa Bulgheroni)

Storia di Mario Salvi, il Gufo (e la nostra storia)


Pubblicato su Pauperclass il 10 aprile 2015
 
Ed ecco l'autobus.
Striscia lentissimo nel traffico, come un bacarozzo malato. In curva la parte sinistra sprofonda, con gli ammortizzatori scoppiati; è gravato della solita carne da cannone.
Le tre porte si aprono simultanee; quella posteriore è presidiata dai soliti nordafricani (sempre gli stessi, sembrano comparse di una pellicola sulla disfatta dell'amministrazione capitolina); l'anteriore si apre a metà: un pensionato con carrello si inerpica lentamente e dolorosamente sulla pedana: pianta a fatica il piede destro, poi artiglia un sostegno, fa un mezzo giro panoramico esercitando un orgoglioso sguardo di disprezzo su uomini e cose, poi sale col sinistro; una volta sulla pedana, issa il carrello della spesa con entrambe le mani. L'operazione è complessa; non si muove nessuno; e neanch'io, per carità.
La folla si concentra perciò sulla porta centrale: le solite schermaglie fra chi scende e chi sale: infine si intravede uno spazio libero, l'area destinata ai non deambulanti; poiché la natura aborre il vuoto questo viene occupato con foga.
L'autista, scarpe da ginnastica, occhiale scuro, attende con menefreghismo nichilista. Poi, in rapida successione, sbatte i polpastrelli schifati sui tasti della chiusura; c'è un intoppo: riapre. La plebaglia si stringe ancora un poco; tutti riorganizzano la postura degli arti in combinazioni più favorevoli al guadagno di un minimo di cubatura. Si fa qualche passetto avanti: nuovo pigiar di tasti: stavolta le porte a tagliola si chiudono con uno scatto felice. Si riparte.

Liberarsi dai diritti civili


Pubblicato il 1 aprile 2015

Quale eresia. Si vuole forse divenire razzisti, antisemiti, illiberali, sopraffattori della donna, reazionari, sessuofobi, omofobi e quant'altro?
Le gioie del progresso sociale, le sorti progressive dell'immaginario comune dell'Occidente, l'inevitabile - ormai inevitabile - allargarsi della democrazia: contro le regioni residue dell'oscurantismo: Medio Oriente Russia Cina Indonesia et cetera.
Chi non è d'accordo con la libertà, il libero amore, la parità di genere, il voto a tutti, la libera circolazione degli uomini e delle merci e dei diritti, tanti diritti, diritti a tutti, diritti a cascata.
A questi diritti rinuncio volentieri. Non li voglio.
A dirla tutta mi disgustano. Mi disgusta l'Occidente nel suo complesso.
Mi sobbarcherò - non volentieri, perché è una pena indicibile - tutti gli insulti che da questo rifiuto deriveranno.
E perché lo faccio? Proprio ora che il mondo pare irreversibilmente avviato verso la landa dell'oro della felicità, dell'attuazione dei tre feticci libertà uguaglianza fratellanza?
Credetemi, ho cercato risposte razionali - o anche meno razionali - ho cercato una risposta qualunque ... l'unica che mi sembra accettabile e che questa nuova Bengodi della democrazia sia semplicemente una menzogna.