Roma, 4 giugno 2018
Una
cosa devo confessarla: Beppe Grillo mi è simpatico. Anzi, lo ammiro.
In
lui ritrovo il mestiere, l’artigianato lungamente appreso in
periodi oscuri e umidi di gavetta, e in decenni di fuoco sul palco;
il mestiere, quello che oggi tutti cercano di scansare ricorrendo a
scorciatoie e trucchi. I ballerini, i cantanti, i pittori, tutti
ambiscono di arrivare alla vetta in poche settimane, come se una
tradizione potesse rifluire nelle distratte circonvoluzioni del
cervello con una portentosa iniezione digitale. Ma lui no: egli sa. Seguo
da tempo i suoi spettacoli, ero anche a San Giovanni, alla chiusura elettorale del
2013. Lui conosce il pubblico perché, in fondo, lo ama. Appena entra
in un’arena sa
chi è con lui e chi contro di lui, a naso, come un vecchio segugio
sulle tracce di una volpe; allo stesso tempo conosce l’arte di
blandire, facendosi suadente o ricorrendo alle astuzie dell’insulto
ben temperato.