27 settembre 2019

San Marco Cappato (Porro, Quirites, libertatem perdimus)


Roma, 27 settembre 2019

Perdere la libertà in nome della libertà: lo trovo logico. Il Demonio o il Diavolo o Lucifero, ne abbiamo accennato molte volte. L’Arcinemico. L’equivoco, per chi, in luogo del bisturi e del martelletto dei filologi, usa la clava, è sempre dietro l’angolo. Alceste mi sta diventando beghino! Il Diavolo! 

Il potere, invece, usa le lame più raffinate e gli uomini migliori. Uomini che non vantano una morale, ma sicuramente un istinto nichilista per la distruzione: d’altissimo profilo. Individui ormai perduti, avidi di dissoluzione, ma decisi, in nome dell’Ultima Utopia. Esseri che hanno una meta, che inquadrano prede nel mirino telescopico di un algido e spietato fanatismo; vaste opere di deforestazione spirituale son da loro condensate in poche pagine sprezzanti, di lucidissima ansia nullificatrice. Quasi tutti angloamericani, poiché quelle terre sono il distillato di una separazione progressiva dalla tradizione e, perciò, dall’umano. Shakespeare fu veronese, normanno, danese e, sicuramente europeo; la lingua inglese venne forgiata in quei tempi come l’Italiano nel Duecento, per magici influssi coavvinti; un secolo dopo, però, si era già indurita in una comunicazione definita e funzionale, perfetta per i tempi rivoluzionari; il distacco temporale e spirituale da Roma, l’esilio in una terra vergine, il ricominciare, di fatto, una nuova stirpe, confortata dalle interpretazioni messianiche d’un vecchio libro di aneddoti storici compilato dagli Ebrei, l’utilitarismo, poi, al servizio della strage (estirpare il passato!) e, quindi, di una umanità novella: America. Il mondo convenne a Nuova York dove una statua francese accoglieva la fanga del mondo e la ribattezzava sotto nuovi soli. Addio Europa, addio Macbeth.

Il ciarpame italiano (giornali, sindacati, confindustrie, intellettuali all you can eat) non è che l’esecutore stolido, rigonfio di basse prebende, di tali psicopatie di massa.

24 settembre 2019

Mio figlio è una checca e io non lo sopporto [Il Poliscriba]


Il Poliscriba

Profondo nord-ovest italiano, 5 luglio 2019

Mi trattengo a parlare con M. al bar sotto casa gestito dal signor Wong; sono le 8 e 30 di una calda mattina d’estate e il termometro sullo smartphone segna già 29 gradi.
M. è un buon marito, un ottimo padre, un instancabile lavoratore, un artigiano onesto, lo conosco da quindici anni.
Si è ingrigito nel tempo, come me del resto, i nostri frammenti di dialogo front-coffee negli anni si sono imbalsamati in grugniti, espressioni linguistiche più contadine che urbane, ma non è la crudezza dei discorsi che ci manca.
Abbiamo entrambi il dono della sintesi e della verità: non ci vergogniamo delle nostre condizioni di maschi flagellati da questo postmoderno che cerca in ogni istante di annullarci, di renderci un postpensiero, vecchi arnesi arrugginiti da riporre in bui scantinati.
Oggi è il suo turno, vuole sfogarsi; i suoi cinquant’anni di rughe e lavoro di idraulico si aggrumano in un ghigno a me rivolto senza nessuna affettazione… Dopo l’ultimo sorso di nero bollente, mi fa: “Devo accettarlo, mi capisci? Lo faccio per tenere in piedi il matrimonio … ma io e mia moglie eravamo più felici quando non avevamo figli”.

18 settembre 2019

Il governo è caduto perché era nei patti


Roma, 18 settembre 2019

L’isteria della Lega poco prima del Ferragosto. Rilanci, dichiarazioni sanguinose, protervie assortite, pretese maramaldesche. Alle soglie del Ferragosto: quasi a materiare la crisi d’una assurdità metafisico-balneare. Certe rodomontate le si apprezzava da lontano; psicologicamente, remoti dal fervore della cure quotidiane, attutite: veniva voglia di dire: e fatela ‘sta crisi, ci rivediamo a settembre! Mentre si ingollava una bibita fresca, le piante dei piedi sprofondate nelle frescure dell’umida battigia. Un atto gravissimo, onusto di responsabilità epocali (aveva a liberare definitivamente il campo alle incursioni degli usurai europeisti), vissuto come uno scherzo: rammentava certa paccottiglia che i giornali, una volta, quando ancora sussistevano come giornali, inserivano nelle pagine scarnificate della cronaca, a mo’ di curiosità: pioggia di rane in Quebec, ritrovata una seconda tomba di Nefertiti in Tunisia, cane uggiola al padrone che l’aveva abbandonato dieci anni fa (o viceversa), “Farò l’avvocato! dice Miss Torvaianica”, il sigillo del Papa ha l’emblema di Atlantide; e così via.

Personalmente ho vissuto la disfatta come se fosse stata inscenata nei bagni misteriosi ricreati da Giorgio De Chirico. Con onde simboliche, cabine metafisiche, piscine eterne. Nulla sembrava vero: possibile che …? Ma sì, lo era, tutto come previsto, in verità: non immaginavo, però, che l’epilogo assumesse tali pose stralunate e sfacciatissime. A Ferragosto! O forse sì: solo a Ferragosto poteva riaprire il teatro dei pupi della democrazia liberale: così evidente da non farsi accorgere di tanta enormità.

13 settembre 2019

Bagatelle per un massacro

Fosco Maraini, La lotta contro il nulla
Roma, 13 settembre 2019

Il rigagnolo del Sessantotto, annientato del tutto il movimento socialista, rivela l’intima natura postcapitalista; evolvendo, quasi ovviamente, le proprie pulsioni occulte in un agghiacciante postumanesimo.
Di ciò non reco certo colpa a Mario Capanna o Daniel Cohn-Bendit. Sono trasmutazioni inarrestabili della Storia che interpreto, dal mio cantuccio, come inevitabili. Ritengo, infatti, inevitabile la decadenza dell’uomo occidentale. Egli, imbevuto di quell’ansia di dominazione concettuale forgiata dalla grecità, è matrice dell’uomo universale e, per ciò stesso, quale padrone delle menti e del linguaggio, occidentalizzerà, alla fine dei giorni, e al termine della notte della civiltà, ogni cultura: nella putredine di ogni collasso di senso. Apollo ci aveva avvertiti: nulla di troppo, conosci te stesso, meglio per te, uomo, non essere mai nato! E però la sapienza è pian piano scivolata via dalla considerazione del secolo: invano, oggi, gli antichi baluardi reclamano il limite: sbriciolati gli spalti, decimate le scolte, divelti i cardini delle porte: una vasta rovina, meravigliosa ad ammirarsi, per chi ancora sa, ma inefficace a contrastare persino i più timidi fantaccini del nulla.

Si rimpiangeranno i gulag, il sangue, i massacri, le pestilenze, le eresie, i roghi dei libri e degli uomini: tutto questo, infatti, è vita. 

09 settembre 2019

L'invalicabile muro del 35% dei partiti sovranisti [Il Poliscriba]

 

Il Poliscriba

Parliamo di triage, ma non di quella ospedaliera.
Immaginiamo di trovarci ad affrontare un’emergenza politica nella nostra “cara” Europa.
Stiamo parlando dell’Europa Unita di popoli mai chiamati alle urne per sceglierla; un’ unione forzata di genti, calata dall’alto; milioni di umani che non parlano  la stessa lingua e che per alcune radici storiche, sembrano affini.
Ma non è vero che si considerano tali, ad eccezione delle accolite universitarie imbevute di viaggi e soggiorni Erasmus, anche perché, dopo secoli di spietati e maschi conflitti, in mezzo a questo ultrasettantenne simulacro di pace post bellica, ancora si detestano cordialmente; e per cordialmente s’intende una serqua di imposizioni giuridiche emanate dagli Stati del centro contro le periferie, dardi avvelenati scagliati da una sofisticata, soffocante arma tecno-burocratico-finanziaria.
Vi chiederete che cosa significhi un’emergenza politica in seno alle cosiddette democrazie mature, nel cuore repubblicano quasi infartuato all’interno dei geografici confini di terra e di mare, isole e penisole comprese, che definiamo Europa … Russia esclusa.
Significa questo: quando i popoli di siffatte repubbliche,  in risposta al loro grave malessere socio-economico e identitario, fregandosene delle sirene del politicamente corretto, bramano di eleggere leader appartenenti a partiti che s’ispirano alla sovranità popolare, scattano le medesime regole di salvaguardia applicate alle distorsioni del mercato.
Come scattano? 

04 settembre 2019

Il sacrificio della patria nostra è consumato ...


Roma, 4 settembre 2019

La provincia, che innervò l’Enciclopedia del bello italiano, la Commedia dantesca, è in via di disfacimento. La colpa, ammesso che sia onorevole trovare colpe nella Caporetto più rovinosa dell’Italia, risiede nella democrazia. La democrazia liberale, con l’illusione del controllo sulla res publica, ha dissolto i fondamenti di Siena, Arezzo, Perugia, Viterbo; e di quei centri minori, sconosciuti ai più, che conservano, nel proprio seno, ricchezze naturali e artistiche oggi incredibili, almeno agli occhi di chi, come me, le aveva temporaneamente dimenticate poiché troppo avvezzo a esse. Delegare a un geometra o a un architetto à la carte le chiavi per amministrare tali sedimenti, di millenni, equivale a rinunciare alla lotta. Solo un’aristocrazia potrebbe salvare ciò che resta. Ma viviamo ormai nel miraggio dell’uno vale uno; un’utopia auspicabile, persino: se fosse vera. In realtà - la sola realtà - un gregge ottuso e immusonito vota; il voto elegge alcuni figuri che, nelle more del loro mandato (democratico), lasciano cadere favori e minuscoli privilegi; il gran corpo tecnico-amministrativo, complice dei figuri anzidetti, si acconcia, quale complice, alla devastazione. Conventi secenteschi risolti in bed and breakfast (previa scialbatura degli affreschi), centrali biogas nel cuore di boschi sacri, macchie secolari riorganizzate per parchi a tema naturalistico-fantasy: onde soddisfare le voglie d’evasione dei micchi internazionali (svizzeri, svedesi e crucchi hanno da sculettare lungo i diverticoli della Francigena), larghe pianure, prossime a fonti sacre etrusche, predisposte per l’accoglienza della merda: ché l’ominicchio del futuro meno pensa più merda produce.