28 marzo 2019

Negri


Roma, 28 marzo 2019

I primi negri furono i Polacchi.
Si era allo smiagolare degli anni Ottanta, ultima decade spensierata.
Dominava, incontrastato, quale Pontefice della Romana Chiesa, Karol Wojtyla, noto come Giovanni Paolo II. Egli succedeva a Giovanni Paolo I, ultimo Pontefice Italiano, rimasto in classifica un mese circa (33 giorni di regno), sino al ritrovamento nel suo letto, con le unghie nere, schiantato da un provvidenziale infarto. Il 28 settembre 1978.
Aldo Moro, ultimo pontefice italiano, primo papa polacco.
Forse sarà meglio tradurre in date, ascendenti, questi fatti: 9 maggio 1978, 28 settembre 1978, 16 ottobre 1978. E 33, come i giorni di pontificato di Albino, uno degli  ultimi conati dell’irredentismo italiano.
Si potrebbero fare altri nomi, a caso: Ivo Zini, Lupi Grigi, pista bulgara, Leonardo Sciascia, Gladio, Cristiano Fioravanti.
Vi dicono nulla questo?
A gran parte di voi no: il passato, infatti, è una terra straniera e necessita di aruspici ben più del futuro.

25 marzo 2019

Da Mishima a Venner. Apologia di suicidi inutili che non hanno arrestato quello collettivo della specie umana [Il Poliscriba]


[Il Poliscriba]

Martedì 21 maggio 2013, circa alle ore 16 (un secolo fa per il web, mai accaduto per l’ignoranza insita o indotta nella specie italica/europoide) nel coro della cattedrale di NÔtre-Dame a Parigi, lo storico del diritto e saggista Dominique Venner (classe 1935), si suicidò sparandosi un colpo in bocca.
Poco prima dell'atto, Venner pose sull'altare un testo che doveva o avrebbe dovuto spiegarlo a chi lo conosceva e a chi di lui si ricordava soltanto come oppositore della legge in favore del matrimonio omosessuale, che fu adottata e promulgata dal Parlamento francese  il 17 maggio del 2013, quattro giorni prima dell’estremo  gesto.
La lettera:

"Perché mi do la morte?
Sono sano di spirito e di corpo e sono innamorato di mia moglie e dei miei figli.
Amo la vita e non attendo nulla nell'al di là, se non il perpetrarsi della mia razza e del mio spirito.

21 marzo 2019

Io sono leggenda


Roma, 22 marzo 2019

Io sono leggenda. L’ultimo uomo della terra ancora lotta per l’umanità. Non sa di essere l’ultimo sopravvissuto della sua razza; per questo trova in sé, continuamente, a prezzo di sacrifici psicologici e fisici tremendi, la forza di contrastare la devastazione; di uccidere. In nome di cosa? Di un senso di appartenenza ch’egli ancora ricorda con vividezza. La propria casa, la città in cui ha vissuto, le strade, i palazzi, divengono il terreno di scontro fra lui e un nuovo e repellente ordine di viventi: vampiri, esseri ciechi, che, a notte, escono dalle rovine di ciò che, una volta, aveva un senso e ora decade, preda del kipple, l’entropia di Philip K. Dick: rifiuti, pulviscolo, putrefazione. I vampiri sono numerosi, compattati da un animalesco istinto gregario; si fiutano l’un l’altro, gli aliti fetidi condensati in vapori caldi nel freddo della notte; il buio è il loro elemento; la muffa, la disfatta, il vento che sibila fra i lacerti dei palazzi municipali e delle fontane essiccate, perno di arenghi ormai deserti, vigilati da centinaia di bocche mute, la dolce melodia che accresce una voglia di sangue inestirpabile. L’istinto li domina mentre assediano la casa dell’ultimo uomo. Vogliono farla finita, una volta per tutte.

Eloì, Eloì, lama sabactàni. I padri ci stanno abbandonando. E così le madri. Proprio mentre scrivo queste righe, inutili ovviamente, arriva la notizia che un altro padre è morto. Un parente stretto. La figlia non si capacita, urla, si ribella, rovescia tavoli. Ma è così. Cosa si intuisce di irreconciliabile dietro questi lutti? Il senso di una perdita generazionale che non potrà mai venire lenita: un’epoca scivola via per sempre.

18 marzo 2019

Soluzione finale


Roma, 18 marzo 2019

A me Greta Thunberg piace.
All’inizio ero scettico, ma, lo ammetto, a furia di riguardarla, nelle immagini innumerevoli, dai fotomontaggi maliziosi alle posizioni e pose più varie, mentre fa sega a scuola o parla dalle maggiori tribune mondiali, mi è divenuta simpatica.
Il facciotto aggrottato, gli occhietti dolcemente porcini, il berrettone fantozziano da cui scendono le trecce da dodicenne; soprattutto: lo spaesamento che cogliamo nei suoi tratti quando la consapevolezza - anche lei ne ha una - risale alla sua coscienza di bimba, la sensazione, terribile, che traspare da alcuni scatti in cui lei, proprio in quel momento, si rende conto, pur oscuramente, che le quinte alle sue spalle sanno un po’ di sdrucito … In fondo è una ragazzina, dai! Non si può essere così cafoni e maleducati! Strumentalizzata! Gretina! Scema! E i volgari argumenti ad mocciosam! Lasciamola stare. L’accanimento dei contrari, e la tetra stupidità dei compagni di viaggio, me la rendono amica.

Vorrei darle un casto bacio sulla fronte, e quindi prenderle la mano e accompagnarla a casa, discutendo di fatti irrilevanti, del più e del meno; le racconterei, quindi, un paio di storielle, in cui sono maestro, e, strada facendo, insinuerei il tema del clima - fa un po’ freschino qui da voi - e del mio progressivo smottamento nel vegetarianesimo - causa famiglia - pur avendo in odio sia i vegetariani militanti che i vegani:

12 marzo 2019

L’impero delle luci


Roma, 12 marzo 2019

Essi ci guardano dalle torri. Agli ultimi piani delle torri del mondo i Prescelti si devon fare, tra una festa e l’altra, parecchi risolini. Osservare, da quelle altezze, che rendono con chiarezza cristallina l’ampiezza del panorama, il disfacimento di un’intera civiltà, dell’unica civiltà motore, il crollo dell’Occidente, in un ridicolo rovinio pulviscolare ove si aggirano pagliacci da film horror e pupazzi rigonfi di stoffe sdrucite, dev’essere uno spettacolo impagabile. La storia degli ultimi tremila anni, le delicate architetture erette per resistere alla Notte, si trovano, d’improvviso, senza più fondamenta; la catastrofe si propaga per via esponenziale, dalla suburra al centro dei commerci, dai templi ai lupanari. Mai vista una cosa del genere; mai fu preannunciata. Uomini e donne spaesati, torpidi, disorientati, impolverati dalla farina disastrosa da ciò che credevano eterno, i volti grigi rigati da sangue e lacrime, chiedono aiuto, si suicidano, impazziscono, vanno dietro al primo imbecille che afferma di avere una via d’uscita. Per chi ha vivida in mente ciò che fu la nostra civiltà, squadernantesi nell’immediatezza davanti allo sguardo dell’anima, nei suoi modi multicolori e nelle epifanie brucianti, corrusca di carneficine e celesti asperità, tutto questo non può che gettarlo nella disperazione più totale. E quale sollievo trovare in tali giorni colmi d’angoscia?

Ariani. La trattatistica di destra si è lungamente interrogata sugli ariani, sugli indoeuropei, sulla civiltà bianca. Le risultanze sono state, a volte, interessanti, altre deliranti; spesso confuse in un misticismo d’accatto. Veda, Vedanta, Iperborei, le mistiche tre Roma. Ma l’elemento comune al genio dell’Occidente fu sempre uno e lo si ritrova, inevitabile e purissimo, nel popolo più fatale: i Greci.
 


05 marzo 2019

La nuttata è passata (non si interrompino i sogni)


Roma, 5 marzo 2019

La nuttata del PD è passata? In così poco tempo? Perché no.
Nicola Zingaretti è il nuovo segretario del PD. Lo si sapeva da circa due anni almeno, eppure ci sono stati 1.800.000 esserini che si sono recati a votare alle primarie di tale partito per farlo vincere. Come se il destino avverso incombesse sulla ridanciana pelata del Nostro. 1.800.000 italiani convinti che, recando circa 3.600.000 euri al partito del tradimento strutturale della Patria, si potessero decidere le sorti di una candidatura già decisa laddove si decide veramente.
Come certe elezioni in cui il candidato dell’apparato riceveva dai compagni il 98,31%: meticolosamente scrutinato, ovvio. Il comunismo non c’è più, ma l’apparato sì. E non è certo l’apparato del PD.