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11 giugno 2018

Il declino dell'intelligenza


Roma, 11 giugno 2018

Vivere in un paese in putrefazione ... chissà, forse costituisce un privilegio. Qualcuno di noi si sarà chiesto, per mero esercizio intellettuale: cosa pensavano i popoli in via d'estinzione mentre ogni loro speranza scivolava dalle dita, irrimediabilmente, e ciò che rappresentava una forza più non faceva presa sulla realtà? Gli atti e i sortilegi che legavano clan, genti e uomini venivano derisi e schiacciati con facilità: il compromesso ignominioso, la ritirata, la delusione, la morte della cerchia intellettuale ... tutto questo è già stato provato nella storia. Chi poteva dargli credito qui, da noi, con un passato e un territorio così ricchi? Eppure ecco che un futuro umiliante incombe.
Per distruggere, prima, servivano secoli, fra massacri, pestilenze e decimazioni; genti riottose si rifugiavano nelle catacombe mentali, risorgevano sotto altre vesti, si infiltravano nelle fila del nemico, vivevano una doppia vita, fra ossequio falso e autentica fede. E ora? Son bastati trent'anni per ridurre il nostro giardino a un cumulo di insensate sterpaglie; abbattuti i labili confini, i più volgari ciarlatani scorrazzano per esso, in piena libertà, sradicando alberi, trascurando siepi e orti, lasciando al solleone o al gelo le colture più delicate, mentre eleganti gazebo rovinano su sé stessi, i ponticelli si sbriciolano lentamente e le voliere, una volta chiassose incette dei popoli dell'aria, restano deserte; carcasse qua e là, lezzo di disfacimento; i padroni si disinteressano, come aristocratici preda delle estreme febbri del vizio, garzoni e inservienti sono a ubriacarsi in qualche bettola, scannandosi per un punto alle carte.