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06 febbraio 2022

IO


Roma, 6 febbraio 2022

Il Male serve il Bene. Ma il Nulla distrugge entrambi. Guardatevi dal Nulla, quindi.

Dapprima il PIL, quindi lo spread, ora l’inflazione. La scienza statistica, usata contro il popolo, è una contraddizione in termini. Anzi, comincio a pensare che il gergo tecnico sotteso equivalga a quello della malavita: “buiosa” (la galera), “la birra” (partita di droga), “paranza” (clan) sono in corrispondenza d’amabili sensi con “capital asset”, “future Clearing House” e “margine operativo netto”. Alludono, insomma, a truffe e raggiri a livello planetario; trovarvi una causalità interna, e persino una debole plausibilità logica, risulta impossibile. Se un presidente occidentale, democraticamente eletto, cicala in Parlamento di “commodity futures” o “development capital” egli, in realtà, lancia messaggi e segni immediatamente riconoscibili dai compari: come il palo a chi tenta la rapa all’arrivo della madama. Che questi termini (“commodity futures” e “development capital”) abbiano un senso proprio e che tale senso si intersechi logicamente con quello di ulteriori altri sino a formare una “scienza” è fatto non perspicuo; assai poco intuitivo; difficilmente accettabile, quindi, se non campato in aria. Di cosa sia composto un libro postmoderno di economia politica non saprei dire.

Il Festival di Sanremo, da quando fu istituito l’Auditel (7 dicembre 1986), è in costante miglioramento d’ascolti. Da tale banale constatazione, e dalle relative, catastrofiche, inferenze, dovremmo tutti venire in sospetto delle scienze statistiche propinate (= usate contro) al popolo.

Patrick Zaki, colonna patriottica della Repubblica Italiana, assediato da supplichevoli microfoni d’ogni parte e colore, insiste a vociferare in inglese. Pacioso, insulso, e apparentemente inoffensivo, quasi quanto la larga padella facciale di Romano Prodi, fintamente ebefrenica.

12 marzo 2019

L’impero delle luci


Roma, 12 marzo 2019

Essi ci guardano dalle torri. Agli ultimi piani delle torri del mondo i Prescelti si devon fare, tra una festa e l’altra, parecchi risolini. Osservare, da quelle altezze, che rendono con chiarezza cristallina l’ampiezza del panorama, il disfacimento di un’intera civiltà, dell’unica civiltà motore, il crollo dell’Occidente, in un ridicolo rovinio pulviscolare ove si aggirano pagliacci da film horror e pupazzi rigonfi di stoffe sdrucite, dev’essere uno spettacolo impagabile. La storia degli ultimi tremila anni, le delicate architetture erette per resistere alla Notte, si trovano, d’improvviso, senza più fondamenta; la catastrofe si propaga per via esponenziale, dalla suburra al centro dei commerci, dai templi ai lupanari. Mai vista una cosa del genere; mai fu preannunciata. Uomini e donne spaesati, torpidi, disorientati, impolverati dalla farina disastrosa da ciò che credevano eterno, i volti grigi rigati da sangue e lacrime, chiedono aiuto, si suicidano, impazziscono, vanno dietro al primo imbecille che afferma di avere una via d’uscita. Per chi ha vivida in mente ciò che fu la nostra civiltà, squadernantesi nell’immediatezza davanti allo sguardo dell’anima, nei suoi modi multicolori e nelle epifanie brucianti, corrusca di carneficine e celesti asperità, tutto questo non può che gettarlo nella disperazione più totale. E quale sollievo trovare in tali giorni colmi d’angoscia?

Ariani. La trattatistica di destra si è lungamente interrogata sugli ariani, sugli indoeuropei, sulla civiltà bianca. Le risultanze sono state, a volte, interessanti, altre deliranti; spesso confuse in un misticismo d’accatto. Veda, Vedanta, Iperborei, le mistiche tre Roma. Ma l’elemento comune al genio dell’Occidente fu sempre uno e lo si ritrova, inevitabile e purissimo, nel popolo più fatale: i Greci.