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27 giugno 2022

CRAC! (qualche banale considerazione sulla farsa elettorale)

Quanto studio, quanta malafede e dedizione, quale puntigliosa strategia ... e soprattutto quale disgusto verso sé stessi per arrivare a questo. Un autentico capolavoro in cui sadismo, inettitudine e ansia di vendersi convivono simbiotici.

Roma, 26 giugno 2022

L’amara verità: nessuno, in una colonia, qual è quella italiana, perde o vince le elezioni. Le elezioni, infatti, servono unicamente a decidere della temporanea spoliazione di una parte della colonia stessa.
Il Potere Vero, invece, inteso come sottopotere concesso dal colonizzatore, è sempre nelle mani del traditore di fiducia.
Tali le due premesse.
Se non le avete ben comprese le posso ritradurre in termini elementari: 1. le elezioni definiscono chi deruba temporaneamente una regione, una città, una parte dell’apparato industriale; 2. Il potere reale, concesso dal padrone globale, risiede, invece, sempre, a onta di apparenti rivolgimenti elettorali, nelle mani di fiduciari prestabiliti.
Da tali premesse il sillogismo principe: lo Stato Italiano, nella sua interezza indivisa, è concesso agli eredi di spezzoni moderati di alcuni partiti (PCI, brandelli di DC et alia) variamente denominati negli ultimi trent’anni. È tale Entità, che si serve dello scheletro e dei poteri residui dello Stato, a stabilire, di volta in volta, di comune accordo col colonizzatore, la reale direzione politica.

La stessa, da trent’anni a questa parte.
Credere che le elezioni cambino la rotta è, perciò, una sciocca illusione.
Chi è al di fuori di tale Entità ha la piena libertà di concorrere alle cosiddette (inutili) elezioni, persino di governare larghe fette del Paese, ma non di decidere; infatti Lega, 5S, Fratelli Italiani e ciarpame vario non hanno assolutamente voce in capitolo sugli indirizzi essenziali dell’espressione geografica ancora chiamata Italia: programmazione energetica, welfare, scuola, politica estera et cetera et cetera
Si può dire, in parole povere, che il nucleo di riferimento del colonizzatore, l’Entità (di cui è amministratore delegato il PD), manterrà sempre il potere datogli dal colonizzatore - in barba a qualsivoglia tipo di risultato elettorale. L’Italia, insomma, andrà dove è deciso che vada, anche quando
l’Entità otterrà percentuali di voti meschine (e sembrerà, agli occhi dei micchi, sull’orlo della crisi e della dissoluzione).

La controparte elettorale dell’Entità, dalla Lega a Forza Italia ai Fratelli dell’Italia, conosce benissimo tali dinamiche. Per questo si limita esclusivamente al piccolo cabotaggio, depredando alcune risorse locali a favore delle proprie fameliche clientele. La politica nazionale, infatti, non è affar loro, come stabilito da almeno trent’anni, a chiare lettere di fuoco; tanto che, appena il blocco di centrodestra rischia una maggioranza chiara e preponderante (tale per cui l’elettorato non comprenderebbe eventuali esitazioni al governo), sono gli stessi capi e sottopanza del medesimo blocco a escogitare finte schermaglie e scontri interni tesi all’autoboicotaggio. Il loro elettorato non lo saprà mai, ma nelle riunioni essi dicono: “Ci siamo spinti troppo in là … il padrone potrebbe adontarsi … occorre, quindi, dividersi e far riguadagnare ossigeno al banco … cioè alla centrale usuraria e polcorretta cui è stato assegnato il ruolo del manovratore occulto: l’Entità …”. Da tale punto di vista si hanno chiari certi episodi altrimenti inspiegabili come l’opposizione interna al Berlusconi debordante o le sparate del Trippone in mutande agostane: in effetti Lega e 5S si erano spinti troppo in là, sull’onda dell’elettorato … necessitavano alcune scuse per dilapidare il patrimonio di voti e consensi … ed ecco l’episodio del Minchione col Mojito … minchione già segnalato per tale alle nostre scettiche latitudini

Simbolo dell’Entità inamovibile è il presidentato della Repubblica che, negli ultimi sedici anni (16) è stato garantito da due (2) individui scialbi e spietati (due!) dell’Entità stessa: con la disponibilità piena e ossequiosa dell’arco costituzionale tutto. Quando segnalai questi due individui segretamente coavvinti nel potere profondo, qualcuno mi scambiò evidentemente per un qualunquista a cinque stelle … dato che, allora, tali soggetti segnavano una moda irresistibile …

27 gennaio 2020

Piange il citofono


Roma, 27 gennaio 2020 

Finalmente la bestia è stata placata. Forse dovrei dire: la bestiola. Non c’è di nulla di spaventevole in tale esserino: la bestiola delle elezioni. Trattasi, ormai, di un tenero cagnolino, del tutto mansuefatto, che il Potere conduce a fare i bisognini dove vuole.
Le dinamiche, le pulsioni psicologiche di massa, le vociferazioni, i comportamenti bruti son quelli dell’animalino ben addestrato:

Controlla il cucciolo. Durante la fase di apprendimento, è sempre consigliabile tenere l’animale in una zona dove non puoi perderlo di vista. Questo ti consente di accorgerti di tutti i segnali premonitori che indicano che il cane ha bisogno di ‘andare in bagno’ e quindi di prevenire incidenti. Se noti che l’animale si muove in circolo, raspa il terreno e annusa, allora sappi che deve soddisfare le sue necessità fisiologiche”.

Sondaggi, annusamenti giornalistici, servizietti segreti costituiscono il termometro del micco votante. Il fine precipuo è sempre quello: far avanzare il Programma, quello vero. Per ottenere la bisogna, è il caso di dirlo, occorre che l’elettorato sia soddisfatto: l’insoddisfazione, infatti, genera domande. Per riempirgli la panza, con vane promesse, ovvio, il metodo consiste nel far ruotare sul palco l’apparenza di chi dovrebbe, nella testa farraginosa del micco stesso, rigonfia di risentimenti e convinzioni storiche e altre amenità, porre termine a tali insoddisfazioni.
Quando i personaggi della Commedia dell’Arte fin lì utilizzati mostrano segni di logoramento (“Se noti che l’animale si muove in circolo, raspa il terreno e annusa”), li si sostituisce con altri; la nomenclatura di sinistra è sclerotizzata? Ecco Prodi. La nomenclatura di destra pare troppo berlusconizzata? Ecco i giovin destri. Il Sistema ci fa schifo? Ecco i populisti. E così via. Non è difficile, basta osservare la bestiola, costantemente.

21 gennaio 2020

Non ci fanno votare!


La Capretta, 20 gennaio 2020

E no, non ci fanno votare!
Se ci facessero votare! Ah, gliela farei vedere io! Lo spirto guerrier ch’entro mi rugge!
Col voto ripulirei l’Italia, la disinfesterei!
Guarda, proprio ora che siamo lì lì per battere i poteri forti, che succede, infatti? Non ci fanno votare, ovvio!
Noi siamo con Lui, con la matita copiativa inastata, e però il Gran Porco non dà l’ordine di voto! Vigliacchi!
La libertà, signori, la libertà! Non la vedere voi a portata di mano!
Basta stenderla e afferrarla, eccola, così vicina! Ma non ci fanno votare!
Ve lo facciamo vedere chi siamo noi! Vi sgangheriamo!

19 dicembre 2019

Le elezioni perfette

Il Presidente della Provincia di Viterbo e Sindaco di Capranica Pietro Nocchi
Roma, 19 dicembre 2019

La scorsa domenica si sono svolte le elezioni nella Provincia di Viterbo.
Con tutti i crismi (crisma è l’unzione dei Sacramenti, qui come sacramenti civili): convocazione dei comizi, liste, comitati elettorali, approvazioni, conteggi, riverbero dei conteggi sull’assegnazione dei seggi et cetera.
Nessuno ne era al corrente. O meglio: pochissimi. Queste, infatti, sono state elezioni perfette. Prefigurazioni del futuro. Elezioni senza elettori. O meglio: gli elettori c’erano, ma consistevano in individui già eletti. Da chi? Dagli elettori, ovviamente, quelli veri, cioè i tipi come voi, voi che mi state leggendo (almeno: la maggior parte d’essi). Si è, insomma, in pieno gnosticismo (la purezza di Dio, come la democrazia, si deteriora a mano a mano che cola giù verso l’Ignobile Materia): l’elettorato attivo elegge democraticamente alcuni rappresentanti (ai consigli comunali); tali rappresentanti divengono, a loro volta, sul vento del democraticissimo aire iniziale, un novello elettorato attivo che elegge, altrettanto democraticamente, par di capire, ulteriori rappresentanti (provinciali, stavolta).
Il primo elettorato attivo è composto da micchi, il secondo da compari.

03 dicembre 2019

Belle Époque


Roma, 3 dicembre 2019

Mi è capitato di assistere a una retrospettiva dei fratelli Lumière.
I signori Lumière, distillando il lavoro dei decenni precedenti, sgomentarono le platee parigine alla fine del 1895 (28 dicembre) proiettando, nel Salon Indien du Gran Café de Paris, L’uscita degli operai dalle Officine Lumière e il fatidico Arrivo del treno alla stazione de La Ciotat.
Da quella data ogni fotografo, curioso o artista anela la cinepresa.
Centinaia di operatori, più o meno improvvisati, si sguinzagliano per il mondo, ormai ridotto a sgabuzzino dell’essere umano, piazzando i nuovi occhi a registrare il quotidiano.
Mosca, Roma, Vancouver, New York saltano dalla realtà all’immagine divenendo fruizione: per il pubblico sempre meno scelto: alla fin fine per il mondo tout court.

Già nel 1896 abbiamo una vasta scelta di immagini. I Francesi conoscono in diretta le capitali d’Europa, gli Americani i sobborghi londinesi, i Canadesi il Ponte Ripetta a Roma; l’Occidente si fa stretto, l’Atlantico si prosciuga, l’Europa si rimpiccolisce a vista d’occhio. Decadono la meraviglia e l’arte, subentra la cronaca minuta.

28 ottobre 2019

Il gregge alza la testa (paralipomeni a "Avemo vinto, poppolo!")


- Avemo vinto, poppolo!

- Per un paio d'anni siamo a posto

Roma, 28 ottobre 2019

Ottobre, andiamo. È tempo di votare … Ben il 65% degli elettori umbri ha staccato il fondoschiena dalla poltrona per recarsi alle urne. I pecoroni, insomma, han lasciato gli stazzi, lordi di letame da olotelevisore, eccitati da pastori e capibastone e sottopanza, per addomesticarsi definitivamente in qualche stambugio da voto; ricavato, nella maggior parte dei casi, da scuole, scuole laddove, ormai, gli studenti più non studiano, ma si diportano, onde confermare, anno dopo anno, esame dopo esame, quel sottile analfabetismo da tecnici per cui i primi rudimenti d’informatica convivono con la vaporosa consapevolezza che Alessandro Magno, Giulio Cesare e Ramsete II sono contemporanei l’uno all’altro (e magari si strinsero la mano a Teano).

29 maggio 2019

Per un paio d’anni siamo a posto


Roma, 29 maggio 2019

Un simulacro di felicità mi ha invaso nella notte fra domenica 26 maggio e lunedì 27 maggio 2019.
In poche ore mi son tolto di mezzo calcio ed elezioni.
Il campionato ha regalato gli ultimi verdetti; così cianciavano i media, a reti unificate. Verdetti in larga parte già conosciuti poiché predisposti con cura, ma la suspense va sempre evocata per i citrulli del video. Sino a fine luglio siamo a posto: gli isterismi lasciano il posto alla speranza del calciomercato, ai ballon d’essai ben studiati per far comprare il giornalino da spiaggia o far cliccare sul nuovissimo portale online: “Il Milan sulle tracce di Messi! Messi cerca casa a Milano! La Pulce si intrattiene con il dirigente amico del procuratore nipote dell’altro procuratore! Sembra fatta!”; poi si clicca e ci si accorge che Messi era in ristorante meneghino a causa di un disservizio sul volo internazionale Dubai-Barcellona. Ma il tifoso sogna e spera. La speranza è l’essenza della sopportazione in un mondo inagibile agli umani.
E, del pari, la politica ha rilasciato il verdetto principe grazie allo spoglio delle schede, agli scrutinii, al conteggio delle croci: in tal caso una bella parte di Italiani si è satollata di speranza. Appagata nella vittoria: la destra è satolla, il PD è satollo. Destra e sinistra, coloro che hanno distrutto l’Italia con i medesimi uomini che oggi vengono osannati, hanno tacitato col nepente della vendetta di carta i bollori rivoluzionari dei Bertoldo democratici.

27 maggio 2019

Votare liberamente con l’imposizione delle quote rosa [Il Poliscriba]


Il Poliscriba

Io credo fermamente nell’astensionismo estremo come liberazione finale dalla democrazia.
Per dirla con Hobbes - ma ci erano arrivati certi mistici, ancor prima, nel definire trappe, ordini e non democrazie - espressione politica che reca in sé i germi dell’autoreferenzialità individuale, del narcisismo infantile, dell’anarchia quale prodotto di scarto della dittatura bipartitica (centrosinistra, centrodestra), Leviatano che inghiotte il consumatore, l’elettore, che gli dovrebbe rendere vivibile l’invivibilità dell’essere uno, nessuno, centomila, alla ricerca di un pur misero palcoscenico dove esibire il diritto alla mediocrità totale e totalizzante.
Youtube e i suoi tiktok rendono bene l’idea.
Me ne fotto di destra e sinistra, di quote azzurre, rosa e razziali.
Se constato che la statistica non si è ancora allineata al suffragio universale e all’immissione forzata delle donne nell’agone politico, idea non originale, da rintracciarsi nelle polis greche, non vedo perché si debba imporre scelte per stabilire una parità di genere nel segreto dell’urna.
Da quando le signore e signorine si sono riversate nei palazzi del potere, qualcuno può afffermare senza ombra di dubbio che il mondo abbia cambiato direzione rispetto al suo rotolare impazzito e imperterrito nel buco nero della disgustosa stupidità assoluta e arrogante?

26 febbraio 2019

Avemo vinto, poppolo (elezioni e illusioni)


Roma, 26 febbraio 2019

Il veleno più insinuante che non riusciamo a diluire: la democrazia liberale.
Questo concetto ce l’hanno marchiato a fuoco in anni felici e ora, come il tatuaggetto di una nota canzoncina, è impossibile toglierlo. Se ne può fare uno più grosso, certo, che inglobi il precedente, ma cancellare quella patacca … non si può, non si può, signora mia …

La democrazia è bella, giusta e, sulla carta, uno vale uno, e poi c’è la libertà, la libertà di fare cosa non lo sappiamo, ma siamo liberi. Liberi di partecipare a un concorso pubblico con eguali diritti e possibilità? No, quello no. Liberi di scegliere un lavoro? Ma se è tanto che ne hai uno, pur miserabile. Liberi di far sì che i figli abbiano le stesse possibilità degli altri? No, neanche questo. Liberi di godere i diritti di una sanità eguale per tutti? No, non questo. Liberi di scegliere il Presidente della Repubblica, i magistrati, il capo della polizie? No. Liberi di scegliere i dirigenti di Equitalia, dell’Agenzia delle Entrate, dei ministeri, delle ambasciate? Della RAI? No, caro signore, è il patriziato a selezionare tali individui … per via endogamica, incestuosa … per non avere sorprese … e poi non si può certo ricorrere al poppolo per così poco … lo si disturba, mi capisce? Allora … allora, ecco l’azzardo … io la butto là … forse, forse … liberi di votare? Bravo, proprio così!

10 dicembre 2018

I padrini di Sfera Ebbasta celebrano il trionfo alla Scala


Roma, 10 dicembre 2018

La prima alla Scala (o: della Scala) fu, decenni fa, un evento importante. Non tanto per la borghesia italiana, ma per la sinistra italiana. Lanciare uova sulle pellicce era ritenuto un atto sovversivo davvero katanga; comunisti e borghesi, invece, dissentivano, a diversi livelli da tali modi della contestazione più crassa. I primi poiché avevano ereditato corpi e ideologie severi, poco inclini all’esibizionismo; i comunisti disprezzavano quelle sfilate, certo, ma solo quali offensive manifestazioni di vanità di classe; il pelo di visone o ermellino, gli sparati impeccabili, metaforizzavano un periodo storico di ingiustizie da sovvertire colle conquiste nel lavoro e nell’educazione, la lotta in fabbrica, il ciclostile e il dialogo-scontro, duro, con le istituzioni. I secondi, invece, avevano in orrore le uova e le vernici katanga per due motivi: in quanto latori delle pellicce e degli sparati medesimi, ovviamente; e perché (questo, però, lo scoprimmo decenni più tardi) le Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare e i Direttori Meganaturali, gli industrialotti, i vescovoni e i dignitari statali, rappresentavano, pur nella parodia, uno degli ultimi lasciti vitali e produttivi dell’essenza italiana; a differenza dei Katanga, mosconi improduttivi e fuoricorso, di cui annusavano, a pelle, l’antitalianità oggi trionfante.

16 giugno 2018

Democrazia … signora del freak [Il Poliscriba]


Il Poliscriba

Qui non si fanno distinzioni razziali, qui si rispetta gentaglia come negri, ebrei, italiani o messicani! Qui vige l'eguaglianza: non conta un cazzo nessuno! 

Sergente Hartman

Reiterare questa “santa” parola, democrazia, è lo scopo precipuo dell’ovvio politico, è il riempire quest’aria di veleni, questo vuoto/pieno normativo, questi codici che non conosciamo, ma ai quali ci sottomettiamo, questa trappola di leggi che imbalsama ciò che si sarebbe già decomposto da tempo: il vivere pacificamente, il sopportarsi reciprocamente, il tollerarsi sfiorandosi per strada, rispettando le giuste distanze, le linee gialle di cortesia, l’erba del vicino che è sempre più verde, gli orari notturni, i contratti, le obbligazioni, le opinioni, la mediocrità della quale non si fa più carico nessuno, o, chi se ne fa carico, la spaccia per superiorità culturale, artistica, arricchendosi sulla disperata incapacità individuale di non saper riconoscere i pregi atavici di una vita semplice, appartata il giusto e anonima.
La democrazia è il vivacchio costituzionale, uno strascicare i piedi da una stanza all’altra del Grande Edificio Stato, che è stato, ma non sarà, perché si consumerà nel privato dei privati, participio passato di privare.
La democrazia è commedia, la rappresentazione nemmeno tanto sublime di un mondo drammaticamente buffonesco; è una collisione/collusione di parti sceniche, phoné, brusio, applausi che sottolineano risse tra potenti, quasi sempre concertate.

09 agosto 2017

Il superenalotto democratico


Pubblicato su Pauperclass il 3 giugno 2016

Le probabilità di fare 6 al Superenalotto sono di 1 su 622.614.630. E di un 5+1? 1 su 103.769.105. E di un più umile 5? 1 su 1.235.346.
Il banco, insomma, vince sempre. E perché? Perché è il banco a dettare le regole. Credete che i gonzi si scoraggino per questi incontrovertibili dati sulle probabilità? Manco per idea. Gli Italiani sono i più accaniti giocatori europei.
Miliardi di euri, ogni anno, affluiscono nelle casse del banco senza più fare ritorno. Se non in minima parte.
La speranza è una droga potente ed è arduo rinunciarvi a favore di un ragionamento logico.
Anche il conformismo è una droga potente: gli Italiani ci credono nelle regole del banco. Prima o poi toccherà anche a noi di vincere! Ovviamente sragionano.
C’è poca differenza, ormai, fra il Superenalotto e la democrazia.
Il voto democratico, quale speranza di cambiamento, riposa, come nel gioco d’azzardo, su speranza e conformismo. Vale a dire: sul nulla.
Inoltre le regole del voto democratico sono decise dal banco. Inutile sedersi al tavolo democratico con un full: loro già hanno in mano la scala reale. Il banco vince sempre.