Il Poliscriba
Ho in cuffia Satie, Gnossienne no.1 e seguenti.
Ho selezionato il loop continuo di Vlc e pesto, pesto duro sulla tastiera perché è il giorno di qualche memoria e non me ne frega assolutamente nulla.
Disprezzo?
No, menefreghismo totale e rispondo solo a me stesso della mia cattiveria, voglio farmi gli affari miei nella maniera più integralista possibile.
Soffro di insonnia e gastrite, so che Dostoevskij ne sapeva qualcosa, erano i suoi demoni attaccati alla schiena di un giocatore accanito, ma chi lo capirebbe più il Fedor?
Non scrivo per un pubblico analfabeta, tiro pugni a vuoto, piuttosto, a un sacco d’aria appeso al soffitto delle mie fantasticherie, fanatismi allucinanti.
Cotto da insonnia, sbatto una tazza di caffè sopra un opuscolo che ho strappato a un imbecille in fuga, leader dall’eroico nome Thor, guida spirituale e fisica di un Corpuscolo dei Nei che si fa chiamare, Fardelli Musulnani, plurisegnalati dai servizi segreti come aderenti a correnti estremiste, xenofobe, omofobe, cazzofobe, etc.
Prima di incappare nella sua fuga, di cui vi dirò oltre, è bene che vi anticipi che il tizio si pensava fosse alto, grosso, bianco, ariano, iperboreo, un fottuto neonazista probabilmente affetto da dermatite seborroica che lo aveva schiantato tra le svastiche dell’Eczema Destra.
Vado con ordine.
Stamattina vagavo per la schifezza urbana in cerca del mio amico Hank che, se vi ricordate, avevo perso dopo avergli passato il burro in una indelebile colazione di qualche mese fa.
Giro tra angoli imbrattati di piscio canino e altri umori postprandiali mentre leggo delle accuse dei sinistri contro i Fardelli Musulnani così elencate:
1) Avete insultato la memoria dei Giù-dei con battute odiose e negazioniste sull’Olocausto.
2) Siete fottuti islamofobi per quel graffito sul muro della Grande Moschea, nel quale avete offeso il Profeta e la sua santa fede con il termine dispregiativo, I-Slam, definito, dai vostri ignobili e razzisti seguaci, metafisica da tennisti che ci hanno rotto le palle.
3) Vi denunciamo per quell’azzardo di vernice nera sul portale della Chiesa dedicata a N.S.S.VergineMaria, l’ancor più insidiosa frattura logico-semantica della parola Cristi-ani, che dovrebbe lasciare adito a interpretazioni anti-LGBT.
… e altre amenità al veleno che non mi andava di leggere se non per il divertimento di riuscire a trovare della sana ironia in tale coacervo di serissime accuse.
Noia a badilate.
Ecco, neanche il tempo di terminare le invettive furiose stile Lutero inchioda la corruzione della Chiesa Cattolica a Wittemberg, che, dalla mia destra, scoppia un inferno al kalashnikov sottolineato da urla inneggianti la grandezza di Allah.
Mi nascondo dietro un gruppo di bidoni della monnezza, sbircio da dove riesco sull’orizzonte del marciapiedi, semmai il fantasma di Hank si degnasse di venirmi a soccorrere: niente di niente.
Corsa di passi… stac… stac e ancora colpi a raffica, urla, linguaggi oscuri e fetore di pesce scaricato dal sushibar vietnamita falsejapan che più false-flage di così…
Un’ ombra nerissima svolta rapida dalla strada dove si sente strillare “Allah akbar!”; mi separano da lui, 30 metri; è solo con il suo sputapiombo, lo seguo con le pupille dilatate, sta per strisciare sul verde dei bidoni e zac!… lo faccio volare sul cemento.
Quella specie di nera informe chiazza mimetica non si muove e mi viene una grande idea: trascinarlo in un sottoscala a qualche metro dallo sgambetto.
Il caso provvidenziale vuole che mi senta toccare la spalla da una grossa mano vecchia e maculata.
Mi volto di scatto strafatto di adrenalina: è la larga faccia barbuta del mio amico Hank, fasciata da grosse lenti nere.
Afferriamo come da intesa silenziosa, segnata da sorrisi rapaci, mani e piedi del terrorista e lo portiamo in un buco di merda dietro a un’arrugginita serranda che un tempo separava la vita di strada da una vecchia caldaia condominiale in disuso.
Lo impacchettiamo a dei grossi tubi che attraversano il muro e usciamo da quel cesso.
“Hank, grazie a dio sei qui. Ma dove ti eri cacciato?”.
“Sei in grossi guai, amico, una montagna di merda e mi sembrava giusto venirti a dare una mano”.
“Hai visto che cosa è successo?”.
“Ci sono dei morti, questo è chiaro, gente che disegnava, altri che scrivevano, donne e bambini, ostaggi, depistaggi, pestaggi e altre storie maldette che mi hanno messo una grande fame. Era un po’ che non capitava nulla di interessante in questo cimitero”.
“Che ne facciamo del tipo?”.
“Prima, offrimi il pranzo e dopo vediamo che faccia ha”.
Il pranzo c’è stato, un momento di paradiso tra croste di pane, unte costolette, salsa chili e scommesse ippiche.
Hank era felice come un bambino, come non lo era mai stato e aveva riso di gusto alla lettura di quello scempio accusatorio antifardellimusulnani che definirlo impianto gli ricordava l’idraulica sgangherata delle aule giudiziarie che, notoriamente, in fatto di giustizia uguale per tutti, fanno acqua da tutte le parti.
Si era fatto tardi, un tardi alla birra che non smetteva di attardarsi ulteriormente e Hank non voleva perdersi le corse del pomeriggio.
Ritornammo nel nido del cuculo dove avevamo legato quel man in black.
Si dimenava e gli urlammo di calmarsi mentre Hank gli assestava un calcio sulle ginocchia per rendere la cosa più credibile.
Lascai l’onore a lui di levargli il passamontagna e con enorme sorpresa ci trovammo di fronte una faccia da bistecca negra.
In un taschino della tuta spuntava un pezzo di carta, l’opuscolo che adesso mi fissa da sotto la tazza.
Altro che ariano! un ammasso di muscoli africani, il cui nome, forse vero, ma sarebbe spettato alla polizia scoprirlo, faceva Alì Kubalì Bre.
“Che dici Hank, ce ne liberiamo?”.
“No, lasciamolo qua, adesso che ci siamo guardati tutti per benino, io direi che l’ippodromo non può più aspettare. Senti, Alì, ma chi cazzo te l’ ha fatto fare di ammazzare tutta quella gente? Credi a me, ne avrei sbudellati, io e per motivi molto meno fondamentali dei tuoi, ma ho preferito sparare dalla remington, capisci?”.
Alì prende a insultarci in varie lingue, minacciandoci di morte come da trama pulp ed è allora che Hank, visibilmente incazzato, prende il kalashnikov e glaciale lo fredda.
“Hank!” Gli urlo a cosa fatta.
“Senti, Marlon, volevo solo ringraziarti per il pranzo, tanto quello prima o poi ti avrebbe fatto fuori, credimi sulla parola e poi lo sai che non ho soldi. Anzi, dammi qualcosa che devo scommettere su Allah, è dato 30 a 1 alla quinta”.
Gli ficco 100 euro stropicciati in fondo alla mano, il tempo di rimettere in tasca il portafoglio e il mio amico Hank è di nuovo nebbia.
Alzo la tazza, sorseggio e leggo: “(…) contro la femminilizzazione del maschio occidentale e le finte vagine passive, vogliamo la depenalizzazione del pene”.
Penso ad Allah al bar che si gode uno spettacolo di lap-dance di Uri che cavalcano pali di ferro e ordina tequila invece di un cubalibre.
Ho selezionato il loop continuo di Vlc e pesto, pesto duro sulla tastiera perché è il giorno di qualche memoria e non me ne frega assolutamente nulla.
Disprezzo?
No, menefreghismo totale e rispondo solo a me stesso della mia cattiveria, voglio farmi gli affari miei nella maniera più integralista possibile.
Soffro di insonnia e gastrite, so che Dostoevskij ne sapeva qualcosa, erano i suoi demoni attaccati alla schiena di un giocatore accanito, ma chi lo capirebbe più il Fedor?
Non scrivo per un pubblico analfabeta, tiro pugni a vuoto, piuttosto, a un sacco d’aria appeso al soffitto delle mie fantasticherie, fanatismi allucinanti.
Cotto da insonnia, sbatto una tazza di caffè sopra un opuscolo che ho strappato a un imbecille in fuga, leader dall’eroico nome Thor, guida spirituale e fisica di un Corpuscolo dei Nei che si fa chiamare, Fardelli Musulnani, plurisegnalati dai servizi segreti come aderenti a correnti estremiste, xenofobe, omofobe, cazzofobe, etc.
Prima di incappare nella sua fuga, di cui vi dirò oltre, è bene che vi anticipi che il tizio si pensava fosse alto, grosso, bianco, ariano, iperboreo, un fottuto neonazista probabilmente affetto da dermatite seborroica che lo aveva schiantato tra le svastiche dell’Eczema Destra.
Vado con ordine.
Stamattina vagavo per la schifezza urbana in cerca del mio amico Hank che, se vi ricordate, avevo perso dopo avergli passato il burro in una indelebile colazione di qualche mese fa.
Giro tra angoli imbrattati di piscio canino e altri umori postprandiali mentre leggo delle accuse dei sinistri contro i Fardelli Musulnani così elencate:
1) Avete insultato la memoria dei Giù-dei con battute odiose e negazioniste sull’Olocausto.
2) Siete fottuti islamofobi per quel graffito sul muro della Grande Moschea, nel quale avete offeso il Profeta e la sua santa fede con il termine dispregiativo, I-Slam, definito, dai vostri ignobili e razzisti seguaci, metafisica da tennisti che ci hanno rotto le palle.
3) Vi denunciamo per quell’azzardo di vernice nera sul portale della Chiesa dedicata a N.S.S.VergineMaria, l’ancor più insidiosa frattura logico-semantica della parola Cristi-ani, che dovrebbe lasciare adito a interpretazioni anti-LGBT.
… e altre amenità al veleno che non mi andava di leggere se non per il divertimento di riuscire a trovare della sana ironia in tale coacervo di serissime accuse.
Noia a badilate.
Ecco, neanche il tempo di terminare le invettive furiose stile Lutero inchioda la corruzione della Chiesa Cattolica a Wittemberg, che, dalla mia destra, scoppia un inferno al kalashnikov sottolineato da urla inneggianti la grandezza di Allah.
Mi nascondo dietro un gruppo di bidoni della monnezza, sbircio da dove riesco sull’orizzonte del marciapiedi, semmai il fantasma di Hank si degnasse di venirmi a soccorrere: niente di niente.
Corsa di passi… stac… stac e ancora colpi a raffica, urla, linguaggi oscuri e fetore di pesce scaricato dal sushibar vietnamita falsejapan che più false-flage di così…
Un’ ombra nerissima svolta rapida dalla strada dove si sente strillare “Allah akbar!”; mi separano da lui, 30 metri; è solo con il suo sputapiombo, lo seguo con le pupille dilatate, sta per strisciare sul verde dei bidoni e zac!… lo faccio volare sul cemento.
Quella specie di nera informe chiazza mimetica non si muove e mi viene una grande idea: trascinarlo in un sottoscala a qualche metro dallo sgambetto.
Il caso provvidenziale vuole che mi senta toccare la spalla da una grossa mano vecchia e maculata.
Mi volto di scatto strafatto di adrenalina: è la larga faccia barbuta del mio amico Hank, fasciata da grosse lenti nere.
Afferriamo come da intesa silenziosa, segnata da sorrisi rapaci, mani e piedi del terrorista e lo portiamo in un buco di merda dietro a un’arrugginita serranda che un tempo separava la vita di strada da una vecchia caldaia condominiale in disuso.
Lo impacchettiamo a dei grossi tubi che attraversano il muro e usciamo da quel cesso.
“Hank, grazie a dio sei qui. Ma dove ti eri cacciato?”.
“Sei in grossi guai, amico, una montagna di merda e mi sembrava giusto venirti a dare una mano”.
“Hai visto che cosa è successo?”.
“Ci sono dei morti, questo è chiaro, gente che disegnava, altri che scrivevano, donne e bambini, ostaggi, depistaggi, pestaggi e altre storie maldette che mi hanno messo una grande fame. Era un po’ che non capitava nulla di interessante in questo cimitero”.
“Che ne facciamo del tipo?”.
“Prima, offrimi il pranzo e dopo vediamo che faccia ha”.
Il pranzo c’è stato, un momento di paradiso tra croste di pane, unte costolette, salsa chili e scommesse ippiche.
Hank era felice come un bambino, come non lo era mai stato e aveva riso di gusto alla lettura di quello scempio accusatorio antifardellimusulnani che definirlo impianto gli ricordava l’idraulica sgangherata delle aule giudiziarie che, notoriamente, in fatto di giustizia uguale per tutti, fanno acqua da tutte le parti.
Si era fatto tardi, un tardi alla birra che non smetteva di attardarsi ulteriormente e Hank non voleva perdersi le corse del pomeriggio.
Ritornammo nel nido del cuculo dove avevamo legato quel man in black.
Si dimenava e gli urlammo di calmarsi mentre Hank gli assestava un calcio sulle ginocchia per rendere la cosa più credibile.
Lascai l’onore a lui di levargli il passamontagna e con enorme sorpresa ci trovammo di fronte una faccia da bistecca negra.
In un taschino della tuta spuntava un pezzo di carta, l’opuscolo che adesso mi fissa da sotto la tazza.
Altro che ariano! un ammasso di muscoli africani, il cui nome, forse vero, ma sarebbe spettato alla polizia scoprirlo, faceva Alì Kubalì Bre.
“Che dici Hank, ce ne liberiamo?”.
“No, lasciamolo qua, adesso che ci siamo guardati tutti per benino, io direi che l’ippodromo non può più aspettare. Senti, Alì, ma chi cazzo te l’ ha fatto fare di ammazzare tutta quella gente? Credi a me, ne avrei sbudellati, io e per motivi molto meno fondamentali dei tuoi, ma ho preferito sparare dalla remington, capisci?”.
Alì prende a insultarci in varie lingue, minacciandoci di morte come da trama pulp ed è allora che Hank, visibilmente incazzato, prende il kalashnikov e glaciale lo fredda.
“Hank!” Gli urlo a cosa fatta.
“Senti, Marlon, volevo solo ringraziarti per il pranzo, tanto quello prima o poi ti avrebbe fatto fuori, credimi sulla parola e poi lo sai che non ho soldi. Anzi, dammi qualcosa che devo scommettere su Allah, è dato 30 a 1 alla quinta”.
Gli ficco 100 euro stropicciati in fondo alla mano, il tempo di rimettere in tasca il portafoglio e il mio amico Hank è di nuovo nebbia.
Alzo la tazza, sorseggio e leggo: “(…) contro la femminilizzazione del maschio occidentale e le finte vagine passive, vogliamo la depenalizzazione del pene”.
Penso ad Allah al bar che si gode uno spettacolo di lap-dance di Uri che cavalcano pali di ferro e ordina tequila invece di un cubalibre.
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Siate gentili ...