28 dicembre 2018

I Gilet Gialli, questa lieve increspatura dell’Inevitabile


Roma, 28 dicembre 2018

La stampa nazionale scorreggia a indignazione unificata: maledetta violenza negli stadi! Chiede punizioni esemplari contro la bestialità dei tifosi, delle bande, dei supporter! Maledetti hooligans che insidiano la santità del calcio benevolo! Il signor Questore di Milano (“Il signori e quistori”, direbbe Catarella) batte i pugni sul tavolo: “Basta!”; è arrabbiato, non ne può più, vuole vietare tutto, chiudere tutto ciò che si può chiudere (“Maria, che scanto che mi piglia ogni volta ca parla!”): la goccia ha fatto traboccare il vasino della pazienza.

E poi i fischi a Koulibaly, questo milionario intristito dal razzismo. Concetto Lo Bello, Chinaglia, Causio e Falcão (quello del 1982) venivano insultati sanguinosamente ogni domenica, ma non c’era nessuno a porgergli fazzolettini ecumenici per tergere le salse lacrime: che nemmeno spandevano. I giocatori erano personaggi comuni, allenati con regolarità, certo, ma le insinuazioni sulla paternità dei figli o sulla fedeltà di madri, mogli e fidanzate o, in generale, sulla virilità, li facevano ridere assai. Cosa fregava dei cori a tipi come Bellugi, Calloni o Cuccureddu? O a Pruzzo, che scompariva dallo sguardo placido di Nils Liedholm per farsi una fumatina in pace, magari assieme a Nela o Bruno Conti da Nettuno, al secolo MaraZico? Calciatori di colore, di ogni razza e risma, sono divenuti idoli: qualcuno, col ciglio umido, ricorda ancora Socrates e Cerezo, persino qualche scarpone come Barbadillo o lo sfortunato Eneas, oppure Juary, Juary Jorges do Santos Filho, simpatico circumnavigatore di bandierine, uno che, dopo 13 gol per l’Avellino e altri spiccioli per Inter, Ascoli e Cremonese, andò a vincere, segnando, una rocambolesca finale di Coppa dei Campioni contro i crucchi del Bayern Monaco.


22 dicembre 2018

Riflessioni di un tenero esserino del futuro (buona Festa del Gelo a tutti)


Roma, 22 dicembre 2018

Ve lo confesso: cosa c’è di più bello di una poltrona? Tutto è facile. Una tastiera e hai il mondo a disposizione. Non c’è bisogno mica di farla difficile quando tutto è facile. Facile, ecco il verbo da diffondere. Se una cosa è difficile deve essere eliminata. I problemi non esistono, son solo il sintomo della nostra arretratezza, il progresso li eliminerà poiché il progresso serve a rendere la vita facile. Non c’è bisogno di scavare una buca, leggere un trattato, imparare una lingua, dipingere un quadro, corteggiare una donna quando c’è chi pensa a me, e mi porge i frutti dell’albero del bene e del male, liberamente ordinabili su amazon, badoo, sky. Ogni desiderio è sul visore, basta cliccarci sopra. Perché sottoporsi alle torture dell’apprendimento e dell’intelligenza quando, ormai, il  mondo viene liquefatto nella sua essenza primaria e imbottigliato per noi, ogni giorno, comodamente rateizzabile, a pacchi discreti, recapitati a domicilio, inodori, igienicamente compatibili?


A che pro l’intelligenza, dico io. A che serve l’intelligenza? A produrre bile, ve lo dico, non altro. E poi lo scontro, la disfida dialettica, le giugulari gonfie, la spada: quanta perdita di tempo, che spreco! Basterebbe accomodarsi: parva sed apta mihi. Cosa vogliamo, in fondo? Vivere? E non viviamo, forse? I giorni si susseguono, senza scosse, monotoni e sicuri. Non siamo mai stati così sicuri nella storia del mondo: reati e delitti calano, drasticamente; l’umanità ha compreso, finalmente, che proprio le distinzioni, le definizioni apodittiche, la morale, i sillogismi terribili, la logica stringente che tutto frantuma in iridescenze complesse e d’irriducibile diversità formano la costellazione dell’odio e della guerra. Ignorare chi ci ha preceduti: in questo risiede la felicità. Uccidere al grido inconsulto d'un istinto, o di un’idea raffinata dall'odio, di un’utopia, di un sogno evanescente; reclamare il proprio essere sé stessi in nome d'un cumulo di rovine o di trattati sprezzanti, di vaneggiamenti indimostrabili, cupi, duri, inespugnabili dalla gioviale ragionevolezza: questa la follia.

Occorre sradicare le convinzioni secolari, addolcire il proprio credo per meglio introiettare l’altro, liquidare il buio per la luce, per una luce costante e totale, perpetua, egalitaria; vivere nel cantuccio, in pace con tutti; a che serve strapparsi i bocconi l’un l’altro quando ci sono bocconi per tutti? Diciamo la verità: chi di noi ha più fame? La granaglia è assicurata ormai per i miliardi, al sapore ci abitueremo … e poi, si rifletta, il sapore non è qualcosa di divisivo, sciovinista? Dobbiamo sostentarci con cautela, non ingozzarci di carne e sangue a spese del mondo; la gozzoviglia, confessiamolo, è il sintomo della sopraffazione e dello spreco. Se pensiamo a quanto tempo e crudeltà sono state dedicate a un atto così vile! Allevamenti di bestie, sgozzamenti, alibi religiosi, proliferazioni di tabù, caccia, stoffe pregiate, ori e argenti per posate, bicchieri, vini, idromele, liquori; banchetti, arrosti, guerre per le spezie (le spezie!), rapine di colture, minuziosi casistiche per ingredienti e ammollamenti e squartamenti, dedizioni insensate ai periodi esatti delle seminagioni, lo scrutare diligente delle lunazioni, delle piogge e delle arsure: quanti millenni perduti! Il passato era, soprattutto, tempo perso, dietro queste incredibili fole! 

16 dicembre 2018

Einstein on the beach


Roma, 16 dicembre 2018

Ho recentemente riletto, per merito di Massimo Fini, che l’ha riproposta, la famigerata “Lettera su Dio” di Albert Einstein.
Non intendo certo parlare della multiforme grandezza di Einstein come fisico né inoltrarmi nell’attento soppesamento delle benemerenze (gli apporti della moglie e dei predecessori) bensì esaminare un limitatissimo campo della sua azione di pensiero.
Come “politico” e “uomo dell’ordine civile”, a esempio, Einstein è, concettualmente, un mio nemico.
Egli, infatti, è un pacifista; un pacifista che vuole assicurare la pace tramite un governo mondiale:
L'unica speranza di protezione sta nell'assicurare la pace mediante organi sovranazionali … Occorre creare un governo mondiale che sia in grado di risolvere i contrasti fra le nazioni con decisioni vincolanti: un governo fondato su una costituzione non ambigua che sia approvata da tutti gli Stati e che conferisca solo ad esso la disponibilità di armi d'offesa. Si è davvero amanti della pace solo se si è disposti a cedere la propria forza militare alle autorità internazionali e a rinunciare ad ogni tentativo o addirittura ai mezzi per far valere i propri interessi con la forza”.

13 dicembre 2018

Tutto s’aggiusta


Terni, 13 dicembre 2018

Ci fu un tempo, non molto lontano in verità, in cui fui ossessionato dal numero otto.
Ecco cosa scrivevo (ero un bel mattacchione spensierato, allora):
E poi, ragazzi, c'è il numero 8 ... 8 ... il numero massonico per eccellenza ... il lato della scacchiera ... ogniqualvolta entra in campo lui [Matteo Renzi] ecco il numero otto ... come un segno iniziatico ...
Nel 1994 vinse una paccata di soldi al quiz 'La Ruota della Fortuna', tramesso dalla rete ammiraglia del supermassone par excellence: Silvio Berlusconi. E quanto ti va a vincere? 37 milioni? 23? 41? Macché, proprio 48.400.000 lire ... belle massoniche ... quando si dice il merito ... al millimetro ... anzi: alla centomila ... "E proprio quell'anno comincia la sua carriera politica ..." ... una vera combinazione ... una congiunzione astrale col grembiulino ...
Adesso l'Adenauer di Rignano è costretto a mendicare l'aiuto parlamentare di un massone toscano di prima scelta come Denis Verdini ... e ti pareva ... per fortuna gli arrivano i contributi per il suo unico giorno di lavoro ... un discreto assegno ... e quanti sono questi euri? 13.993? 17.215? 22.877? 52.689? No, 48.000 ...

Cominciai persino a collezionare cifre in cui l’8 era re:

10 dicembre 2018

I padrini di Sfera Ebbasta celebrano il trionfo alla Scala


Roma, 10 dicembre 2018

La prima alla Scala (o: della Scala) fu, decenni fa, un evento importante. Non tanto per la borghesia italiana, ma per la sinistra italiana. Lanciare uova sulle pellicce era ritenuto un atto sovversivo davvero katanga; comunisti e borghesi, invece, dissentivano, a diversi livelli da tali modi della contestazione più crassa. I primi poiché avevano ereditato corpi e ideologie severi, poco inclini all’esibizionismo; i comunisti disprezzavano quelle sfilate, certo, ma solo quali offensive manifestazioni di vanità di classe; il pelo di visone o ermellino, gli sparati impeccabili, metaforizzavano un periodo storico di ingiustizie da sovvertire colle conquiste nel lavoro e nell’educazione, la lotta in fabbrica, il ciclostile e il dialogo-scontro, duro, con le istituzioni. I secondi, invece, avevano in orrore le uova e le vernici katanga per due motivi: in quanto latori delle pellicce e degli sparati medesimi, ovviamente; e perché (questo, però, lo scoprimmo decenni più tardi) le Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare e i Direttori Meganaturali, gli industrialotti, i vescovoni e i dignitari statali, rappresentavano, pur nella parodia, uno degli ultimi lasciti vitali e produttivi dell’essenza italiana; a differenza dei Katanga, mosconi improduttivi e fuoricorso, di cui annusavano, a pelle, l’antitalianità oggi trionfante.

06 dicembre 2018

Love power (The power of love)


Roma, 6 dicembre 2018

Cosa fare di questo mirabile mondo nuovo che, fra mille strepiti inutili, avanza ogni giorno?
Osteggiarlo? Non se ne ha certo la forza.
Ritardarlo? E come? E, poi, perché? Certe agonie sono patetiche.
Disprezzarlo? Questo è troppo facile.
Riderci sopra? Ciò mi si attaglia di buon grado; ed è pure gratis.

Il potere dell’amore. Dell’amore universale. Imagine. Imagine, ideata da John Lennon, su istigazione ideologica della strega Yoko Ono, giapponese per caso, la Marina Abramovich del tramonto del rock. Imagine mette d’accordo tutti, è sempre in testa alle più stupide classifiche, ai sondaggi più cretini: “La canzone più bella di tutti i tempi”, “L’inno della pace”, “L’abbraccio cantato della fratellanza planetaria”. Il Papa, il Presidente degli Stati Uniti, Angelina Jolie, Moscovici, Laura Boldrini, il Dalai Lama, Bono Vox potrebbero cantarla in coro su un palco ecumenico; e non escludo che lo faranno! Al coretto, inoltre, presto o tardi, si uniranno tutti: iraniani, russi; persino i musulmani dovranno bofonchiarla; pure i rabbini. Non escludo, del pari, ch’essa possa assurgere a sigla funebre dei tempi a venire. Potreste dire che sono un sognatore, eppure … l’avete mai letto a fondo il testo? Ve lo propongo, oggi, in vena di barzellette, perché, a volte, le verità più segrete son esposte in evidenza. 

05 dicembre 2018

Metamorfosi della speranza


Roma, 5 dicembre 2018 

"L'uomo moderno non ama, si rifugia nell'amore; non spera, si rifugia nella speranza"

Nicolás Gómez Dávila

Il celeberrimo quadro di Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato, o La fiumana, è del 1901.
Pellizza da Volpedo, la massa operaia: en marche. Solida, unita, tranquilla nell'avvenire; sicura d'una vittoria che non le sarebbe mancata: era scritto nella Storia.
Il saggio di fantapolitica che delineava il trionfo, scritto a Londra a quattro mani, datava a. D. 1848: poco più di cinquant'anni prima.

Luis Buñuel, un entomologo comunista spagnolo, autore dello straordinario Las hurdes. Tierra sin pan (1932), sfoga, dopo quarant'anni, il proprio disilluso cinismo ne Il fascino discreto della borghesia (1972). 
Nel film la fiumana si è inaridita alla portata d'un ruscelletto.
I borghesi di Luis, che mangiano al cesso e si liberano dei bisogni in salotto, fra compunzione e dialoghi vacui, tuttavia avanzano: non si sa da dove o verso cosa. Avanzano e basta. 

 
Probabilmente verso il nulla. O in un girotondo da cui è impossibile fuggire, assieme disperato e appagante.

Questa sera, rincasando, 5 dicembre 2018, passo davanti alle vetrine d'una grande palestra. 
Decine di tapis roulants, dall'interno, guardano verso la strada male illuminata. 
Alcuni aspiranti atleti corrono e sudano, rimanendo sul posto, in una liberissima autocondanna da criceti.
Sbuffi e orgasmi silenti da fatica, al di là del vetro; la fissità raggelata dello sguardo, in quella corsa che il passante coglie muta, senza scampo o meta, diffonde una sorta di contagio della rassegnazione.