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15 gennaio 2019

Lagne


Roma, 15 gennaio 2019

"Dall’aria triste e meditabonda, Fabrizio De André ha svolto negli anni passati il ruolo di cantautore impegnato, ma non troppo … borghese di nascita … rifiutava d’esibirsi in pubblico fino a quando le vendite dei suoi dischi hanno subìto un tracollo. Allora s’è esibito alla Bussola prima di confrontarsi con tutti coloro che avevano sprecato tempo ad ascoltar le sue lagne. Le migliori esecuzioni dei suoi pezzi si ascoltano sulle spiagge e sui monti, quando un chitarrista che conosce due accordi vuol consolare l’amico di una sbronza finita male".

Da Il libro bianco del pop in Italia, 1976

Se l’umanità e l’Italia hanno deciso di suicidarsi a me va bene.
Non rimane che dedicarsi alle minuzie.
Oggi leggo, a proposito dell’arresto di Battisti, una fluviale sequenza di opinioni.
A volte non richieste, altre autoreferenziali (ricordi di gioventù), quasi mai perspicue, spesso stupide.
Stupide, ovvero inutili; e non perché siano unicamente dettate da uomini stupidi, ma perché mai si elevano al di sopra della baruffa. Che l’arengo politico italiano sia scaduto a lite perpetua da comari non è cosa di oggi. Va bene così. I cinesi mandano navicelle sulla luna? E noi discutiamo di Battisti. In Cina, infatti, Battisti sarebbe stato giustiziato negli anni Settanta. E, infatti (è la seconda volta che lo uso, lo si noti), i Cinesi spediscono navicelle piccine picciò sulla luna. E che relazione ci sarebbe, potrebbe obiettare un panzafustaro digitale? [il panzafustaro è una via di mezzo fra un trippone e un saputello: che fa il fusto, con fare arrogante, liquidando le obiezioni, di solito, con citazioni oscure: “Ah ah ah studi i trattati tedeschi dell’Hayez o del De Gomera e poi ne riparliamo!”; “Ma cosa dice? Non ha visto le statistiche edite dal Centro Studi Ausonia? Li legga, e li comprenda prima di pontificare! Se ne è capace!”; cose del genere]. Una relazione molto semplice, dico io.

15 settembre 2018

Una versione non ufficiale del golpe antisovranista del 2011 [Il Poliscriba]


 Il Poliscriba 

Il mercato crede in noi, è già tornato ad investire nei Titoli di Stato italiani"
Mario Monti, annus horribilis 2011

Vi racconto una storia di ordinaria lucida follia finanziaria, una novella che potrebbe essere inserita in un Decameron postkeynesiano, una sceneggiatura dietrologica per un film che non si girerà mai, che di certo, un regista del calibro di Veltroni, non potrà fare a meno di rivoltarsi tra le mani in un azzurro giorno di fine estate, presso il Country Club la Macchia di Capalbio.
Una storia che si avvia quando l’ineletto Mario Monti, che d’ora in poi nominerò lo Psicopompo,  planò  nella sede di Bloomberg a New York, in quel lontano 2011, per placare l’avidità dei mercati (così inchiostravano i giornaletti nostrani) dichiarando, per i duri d’orecchio e di cervice: "A giudicare dall'andamento del mercato qualcuno deve aver già investito  e penso che l'opinione che i mercati, così come le autorità degli altri governi, si stanno formando sulla serietà con cui l'Italia sta affrontando i suoi problemi, non possa che far aumentare l'atteggiamento positivo verso tutto ciò che è italiano, compresi i titoli di Stato".
E sappiamo tutti come è andata a finire: il popolo ha scelto con regolari elezioni, dopo un settennato di totale blocco della democrazia, ad opera dell’unico partito che ancora si fregia del titolo di democratico (sic!), il duo Salvini-Di Maio.
 

11 giugno 2017

La sceneggiata di Roma

 
Pubblicato su Pauperclass il 18 marzo 2016
 
Berlusconi vuole perdere le elezioni di Roma?
Da uomo intelligente, e fedele ai patti, ce la sta mettendo tutta.
Il problema è uno solo: il PD deve assolutamente arrivare al ballottaggio.
Un centrodestra unito arriverebbe, invece, al ballottaggio col M5S, ridimensionando, in modo clamoroso, numeri e influenze dei democratici: questo avrebbe ripercussioni tali da far saltare patti nazionali.
E perciò non va bene. Pacta sunt servanda.
L’Italia, dopo l’implosione della Prima Repubblica, e le stragi di assestamento del 1992, è, da almeno vent’anni, divisa in zone d’influenza fra due cosche principali.
Una sorta di tacita Jalta. O di Chicago anni Venti.
La destra ha le proprie zone, i sinistri le loro.
A volte capita un imprevisto: un colonnello avido, un’inchiesta troppo scrupolosa, una elezione che va storta. Fra buoni amici, però, tutto s’aggiusta. La sinistra, a sorpresa, perde Roma; subito la destra perde Milano. La sinistra perde le politiche, ma subito la destra tracolla alle amministrative. La RAI vince in prima serata, ma il grosso dei ricavi pubblicitari va a Mediaset. Mediaset blocca i programmi più concorrenziali sotto Sanremo e la RAI si accolla gli onerosi bolliti di Canale 5. Berlusconi si pappa la Rizzoli e la sinistra zitta. La sinistra irrompe col monopolio Espresso, La Stampa, Repubblica, Secolo XIX e la destra zitta.
Una danza di miliardi, con le rispettive cordate (che include gli elementi più eminenti del salotto buono, sempre lì a fare i maestrini liberali di giorno e incassare, da buoni papponi, di notte).