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03 aprile 2020

Rovine cinesi [Ise]


Questa cosa notavo in Asia: quando una civiltà scompariva, le sue migliori vestigia restavano in quelle che un tempo sembravano le sue più insignificanti periferie
Ise

Per Chateubriand ‘tutti gli uomini hanno una segreta attrazione per le rovine’ ... Ma forse Chateubriand aveva torto, forse quell’attrazione e quel sentimento sono ... una peculiarità della cultura di tradizione europea ... per riassumere: in Cina le rovine di edifici del passato non hanno cittadinanza nella memoria culturale. Il pathos del trascorrere del tempo è espresso dagli oggetti di natura; quelli prodotti dagli uomini, una volta abbandonati, si diluiscono nellanatura e si confondono con essa; ma a questo punto, i simboli che la natura stessa offre per descrivere la decadenza, la rovina, l’irreparabile fluire del tempo sono sentiti come infinitamente più potenti, e occupano tutto lo spazio disponibile”.
Tali parole di Salvatore Settis, tratte dal catalogo Cina. La nascita di un impero, risalgono al 2006.
Egli instaura un parallelo fra i due imperi, il Romano e il Cinese, valutandone vari aspetti (la stabilità, a esempio) e soffermandosi, poi, sulla considerazione che occidentali e orientali hanno nei riguardi del fluire del tempo e della storia.
Dal 2006 sono passati secoli. L’Occidente è giunto al termine d’un processo di putrefazione nato nei deserti d’un illuminismo mendace che celebra continuamente trionfi: tanto da trionfare su sé stesso negando il proprio passato e un futuro qualsivoglia. La Cina ha accettato tutto questo, nel 1912, cinque anni prima della Russia. Nel comunismo, infatti, già brillano le medesime geometriche premesse del capitalismo. E oggi, lavato via l’ingannevole e folcloristico maquillage (protezionismo, liberismo et alia), che ha generato film, libri, vociferazioni e guerre buone per ammansire il gregge, Occidente e Oriente si specchiano l’uno nell’altro nuotando paralleli nel postcapitalismo definitivo, irreversibile.
Chiudiamo con una nota allegra, che comprenderete meglio dopo aver letto il pezzo di Ise (che ringraziamo). Nel 1950 uscì un memorabile raccontino di Damon Knight, Servire l’uomo (To serve man). Trama: i Kanamiti sono atterrati sulla Terra. Civiltà superiore, essi recano il progresso universale, totale. I benefattori interstellari aboliscono, con un colpo di spugna celeste, la malattia e la fame e la guerra. Il loro mondo incantato ammalia miliardi di esseri umani tanto che questi migrano, lentamente e irresistibilmente, verso il pianeta d’origine kanamita. Intanto qualche terrestre viene in possesso d’un libro capitale dei Kanamiti la cui scrittura potrebbe essere paragonata, da qualche zuzzurellone, al cinese. Il testo, tuttavia, resiste ai tentativi di decifrazione. Si viene, almeno, a capo del titolo, tradotto come: Servire l’uomo. Solo quando sarà troppo tardi ci si accorgerà che tale bibbia non è altro che un manuale di cucina che insegna, ovviamente, a servire l’uomo.

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Ise

Per capire un po' il rapporto dei cinesi col passato, la risposta che riporto più sotto, della mia amica M., cinese del Vecchio Ordine, è forse la migliore sintesi.
Tralascio invece quella della cinese del Nuovo Ordine a cui avevo chiesto, dato che forse la stessa incomprensione della domanda ha compromesso la risposta. Ella sembrava non ricordare neanche alcune delle maggiori devastazioni della sua città, Pechino, come le volte in cui i resti antichi trovati durante la costruzione dell’ennesima linea della metro, venivano tranquillamente ignorati e distrutti, perchè non potevano intralciare la velocità del progresso. Certo in superficie arrivavano solo le notizie di quelli “salvati”.
Le mura della città interna di Pechino furono abbattute già negli anni ’60 per costruire la metro che correva al di sotto di esse, seguendo la traccia del loro circuito perimetrico. Da allora lo scempio non si è più fermato. La distruzione è poi passata agli hutong, i vicoli caratteristici della Pechino antica, che ospitavano le siheyuan, caratteristiche abitazioni con cortile interno. Si tratta di edifici a un piano costruiti secondo rigorosi principi ispirati al Taoismo, il fengshui e varie “superstizioni” riguardo la protezione dagli spiriti maligni, l’armonizzazione dei 5 elementi et cetera.
Questi vicoli storici che si estendevano per chilometri e chilometri nella città, furono rasi al suolo in pochissimo tempo come in un bombardamento a tappeto. Negli anni 2000 ormai si abitava solo su grattacieli, i cosiddetti compounds che ho visto ora lodare in Italia: distretti abitativi recintati, con guardie all’ingresso e CCTV, per tenere tutti sotto sorveglianza. Ogni anno o quasi dovevo cambiare appartamento (e grattacielo) perchè l’affitto di quello in cui ero raddoppiava. Perchè raddoppiava? Perchè la distruzione del quartiere storico in cui si trovava era terminata; al suo posto era stato creato un quartiere artificiale di grattacieli, McDonalds’, grandi centri commerciali, fermate di metropolitana, enormi arterie stradali, tutto ammassato senza alcuna ricerca di armonia, rispetto della tradizione, vivibilità umana, effettive necessità, et cetera.
Ricordiamo che i primi miliardari in Cina son stati quelli del settore immobiliare: il cemento è stato l’oro del self-made man cinese. Ad un certo punto una rivista riportò il risultato di una ricerca scientifica in cui si definiva Pechino come un’area “non adatta alla vita”, testuali parole.
Questo “il modello” esteso al resto del territorio.

15 gennaio 2019

Lagne


Roma, 15 gennaio 2019

"Dall’aria triste e meditabonda, Fabrizio De André ha svolto negli anni passati il ruolo di cantautore impegnato, ma non troppo … borghese di nascita … rifiutava d’esibirsi in pubblico fino a quando le vendite dei suoi dischi hanno subìto un tracollo. Allora s’è esibito alla Bussola prima di confrontarsi con tutti coloro che avevano sprecato tempo ad ascoltar le sue lagne. Le migliori esecuzioni dei suoi pezzi si ascoltano sulle spiagge e sui monti, quando un chitarrista che conosce due accordi vuol consolare l’amico di una sbronza finita male".

Da Il libro bianco del pop in Italia, 1976

Se l’umanità e l’Italia hanno deciso di suicidarsi a me va bene.
Non rimane che dedicarsi alle minuzie.
Oggi leggo, a proposito dell’arresto di Battisti, una fluviale sequenza di opinioni.
A volte non richieste, altre autoreferenziali (ricordi di gioventù), quasi mai perspicue, spesso stupide.
Stupide, ovvero inutili; e non perché siano unicamente dettate da uomini stupidi, ma perché mai si elevano al di sopra della baruffa. Che l’arengo politico italiano sia scaduto a lite perpetua da comari non è cosa di oggi. Va bene così. I cinesi mandano navicelle sulla luna? E noi discutiamo di Battisti. In Cina, infatti, Battisti sarebbe stato giustiziato negli anni Settanta. E, infatti (è la seconda volta che lo uso, lo si noti), i Cinesi spediscono navicelle piccine picciò sulla luna. E che relazione ci sarebbe, potrebbe obiettare un panzafustaro digitale? [il panzafustaro è una via di mezzo fra un trippone e un saputello: che fa il fusto, con fare arrogante, liquidando le obiezioni, di solito, con citazioni oscure: “Ah ah ah studi i trattati tedeschi dell’Hayez o del De Gomera e poi ne riparliamo!”; “Ma cosa dice? Non ha visto le statistiche edite dal Centro Studi Ausonia? Li legga, e li comprenda prima di pontificare! Se ne è capace!”; cose del genere]. Una relazione molto semplice, dico io.

27 settembre 2018

La Cina è vicina


Roma, 27 settembre 2018 

Una conoscente, di sicura affidabilità, mi rende edotto d'un aneddoto altamente istruttivo. Circa dieci anni fa il figliuolo, allora diciottenne, e in odore di maturità classica, fu spedito in Cina con tutta la classe nell’ambito di un’operazione di “scambio culturale” (ordita non si sa da chi: sicuramente non dai nostri provveditorati o ministeri, troppo impegnati nel sorbire cappuccini; forse dai ministeri cinesi, come sospetta anche la sommenzionata conoscente).
I nostri zucconi, appena arrivati a Pechino, furono sistemati con tutte le cure presso una sorta di residence: pulito, organizzato e popolato di personale gentilissimo e in grado di affabulare, con lodevole proprietà, almeno nella rappresentanza preposta alla comunicazione, la nostra lingua materna. Gli sdraiati italici stettero un pochino sulle loro, poi cominciarono a prendere confidenza con i limoncini: sino a rivelarsi: come perfetti idioti. Erano in vacanza; di studio, certo, ma lo studio, in Italia, serve a prepararsi agli esami, non alla vita. I pecoroni, il giorno appresso, vennero portati a pascolare per la Capitale del Catai: ne ricevettero un’impressione devastante. La Cina era vicina, assai vicina: e priva di quei luoghi comuni che, chissà perché, sedimentano nell’animo dei peninsulari: il levantino con il laccio da strangolatore, il riso e il tè, la lingua indecifrabile, i salamelecchi orientali. Pechino, infatti, era una città sterminata, ampiamente infiltrata dall’Occidente e dall’inglese, moderna, insonne, paradossalmente febbrile e composta: i cinesi, poi, quegli ominicchi, secondo loro, risolvevano problemi: l’inquinamento, i cessi, il traffico ... ogni aspetto metropolitano, ancor caotico, veniva sottoposto alle cure lungimiranti di un cervello da “centralismo democratico”  in cui, pochi, decidevano: e gli altri, di conseguenza, obbedivano. Soffiava, insomma, una brezza travolgente e vitale dove le conquiste generavano problemi e questi ultimi, risolti, generavano progresso: e il progresso era interamente cinese, ovvero mai slegato dalla tradizione: i cinesi, almeno gli abitanti della Capitale, erano artefici del proprio destino (o del proprio disastro; un disastro, tuttavia, gestito intra moenia).