Visualizzazione post con etichetta Anticristo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Anticristo. Mostra tutti i post

10 gennaio 2019

Gli ultimi giorni dell’umanità


Roma, 10 gennaio 2019

Di fronte alla cascata di pongo colorato di Jeff Koons (Play-Doh, 1994-2014) una selva di interrogativi affollarono la mia mente. Erano altri tempi, in cui vagheggiavo con forza la distruzione del nemico. Altri tempi, appunto: pochi anni, in realtà, mi separano da quell’apparizione; ognuno, oggi, pare essersi diviso meioticamente tanto che quell’evento (o meglio: la mia personale reazione a quell’evento) ora sfuma nelle nebbie di un’epoca antidiluviana, ancora vanamente strutturata dalla speranza.

La speranza, infatti, è svaporata via, ineluttabile. Mi appaiono puerili le armi dell’ironia, dell’odio e la potenza brutale del disprezzo contro tale manifestazione del nichilismo. La cascata di creta per bambini di Jeff Koons appare, invece, come uno stadio ulteriore e inevitabile della dissoluzione. Che alcuni uomini (critici, galleristi, babbei) consentano a tale plateale epifenomeno del nichilismo è assolutamente marginale; che il “popolo” non apprezzi l’arte postmoderna è, di nuovo, secondario: la apprezza, infatti, per vie traverse come quando si sdilinque per altri orrori, ben più quotidiani.

30 novembre 2018

Quel che devo al passato (mysterium iniquitatis)


Roma, 30 novembre 2018

Sto leggendo L’ordine del tempo, di Carlo Rovelli.
Rovelli è uno scienziato che nega il tempo: tale quantità, il tempo, su cui si sono affaccendate le migliori menti dell’umanità è, infatti, assente nelle equazioni fondamentali della fisica. Tale convinzione, basata su decenni di ricerche ed esposta con una prosa accessibile a chiunque, qui, tuttavia, non interessa.
Ciò che interessa risiede a latere, in una increspatura, pur importante, del suo discorso.
Ciò che m’interessa è questo: l’immane volgersi della materia e dell’universo non è che la traslitterazione, in gergo tecnico e divulgativo, della favola decadente dell’uomo.
Per quanto possa apparire ardito, sconsiderato e folle, insomma, intravedo, in tali innocenti paragrafi, stilati da chi vive in mondi controintuitivi e di vastissima astrazione (mondi per uomini intelligenti, quindi), la parabola di distruzione della civiltà occidentale classica che, lo si voglia o no, col proprio corteo di terrori e magnificenze, ha strutturato la storia della conoscenza tutta.

11 settembre 2018

Un serraglio di disperati (Biathanatos)


Roma, 11 settembre 2018

Queste frammentarie bagatelle per un massacro non vanno prese troppo sul serio.
Non le ho nemmeno rilette. 
Sono convinto di esse, però.

La Natura Universale vuole espandersi e riprodursi; una infinitesima parte di sé stessa si plasma come DNA ancestrale in una pozza primordiale; epoche di inconcepibile durata generano, per miracolo, l’uomo.
Anche l’uomo partecipa a tale moto immane di riproduzione: per assecondarlo dimentica l'origine dell'indifferenziato e crea la società.

L’essere umano cerca di sfuggire all'orrore dell'origine; per far ciò egli sublima continuamente in tribù, comunità, polis, popolo. In fondo la favola umana non è che il tentativo, uno fra i miliardi di tentativi, per cui la vita umana, accidente della Natura, cerca di affrancarsi da essa, cioè dal Nulla.

L’esistenza umana è un caso particolare della Natura; il Nulla è assoluto.
Esistenza umana e Nulla non sono, quindi, poli di eguale dignità.
L’esistenza umana, riflessa negli innumerevoli esempi di civiltà, è il miracolo: un’eccezione al Nulla.
Tutto venne detto in quelle righe di Anassimandro: “Principio degli esseri è l’infinito [άπειρον]. Da dove infatti gli esseri hanno origine ivi hanno anche la distruzione secondo Necessità poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo”.