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21 novembre 2018

Angelina I adore you


Roma, 21 novembre 2018

Compulso, con un friccico di stupefazione, un articolo di Massimo Fini su Angela Merkel.
Egli lo scrive dopo aver letto un altro articolo, pubblicato, a pagina 15, su “Il Corriere della Sera” del 14 novembre. In esso sono riportate alcune frasi di Dorothea Kasner tratte da un discorso rivolto al sedicente Parlamento Europeo; Ella vi afferma che:

-    occorre un vero esercito europeo “complementare alla NATO” per “dimostrare al mondo che tra nazioni d’Europa non ci potrà mai più essere guerra
-    un bilancio europeo
-    una solidarietà europea (che si annida nel DNA europeo) contro gli egoismi nazionali
-    una libertà europea (di stampa e quant’altro).

Infatti, secondo la Cancelliera, “il tempo con cui potevamo contare sugli altri è finito: oggi noi europei dobbiamo prendere il destino nelle nostre mani”.
Dorothea poi tende una mano all’Italia … onde superare gli attriti … grazie al dialogo … senza l’intralcio degli egoismi nazionali … per cui è bene che ogni paese membro rispetti le regole di stabilità finanziaria … et cetera et cetera
Fini legge tutto questo e vi intravede una speranza.
La speranza di una autarchia europea che, in un prossimo futuro, ci affranchi dal giogo americano e ci ponga stabilmente - e con equidistanza - fra i due Imperi (America e Russia/Cina).

22 aprile 2018

Lebbra sulle labbra [Il Poliscriba]


Il Poliscriba

A forza di scrivere il dai e dai della vita, si diventa dei forzati del blabla e si pretende, impunemente, di essere liberati dai lettori.
Che narcisismo mal simulato il pontificare su questo e quello.
Poi ti viene in soccorso l’intimismo, la diaristica agostiniana o ti dai al confessionale laico: puro distillato d’arte linguistica.
Ci sei tu, il monitor, le tue stracche considerazioni sulla vita, sul trememondo, sul florilegio di sessi che si accoppano preterintenzionalmente.
Ergo, ti ergi ad accusatore, difensore, giudice di stramaledette intonazioni dies irae: scorregge intellettuali da una testa borlotto immersa in una zuppa demografica indigesta.
Fuori dal proprio pandemonio, incastrato tra le orecchie e il collo, esiste un circondario infestato da bipedi a te estranei, una sorta di centro smistamento frutta e ortaggi, ma tu credi di essere la bilancia, il sacchettino bio da 0.02 cent che abbatte il massacro ecologico o il guanto trasparente non riciclabile che riporta la plastica in auge sui profili social.
Tasto numero 9 … scontrino.
Siete stati pesati e siete stati trovati insufficienti.
Altro che spade di Damocle!


01 marzo 2018

Attraverso uno specchio, nell'enigma


Roma, 1 marzo 2018 

Les décombres. Devo riconoscere ai nostri attuali governanti un talento straordinario: la capacità di desertificare l’Italia. Nella provincia alcuni paesi già non esistono più. Residuano come ammasso di seconde case, in vendita o in locazione, o come ospizî a cielo aperto. Alcune abitazioni, a volte di gran pregio, risalenti agli anni Venti, sono state sequestrate per debiti. Ogni tanto vengono spedite all'incanto, sonnacchiosamente, ma le aste vanno deserte: chi vuole accollarsi un simile peso? Interi paesetti, poi, sono presi d’assalto da truffatori: comprano tre o quattro case fatiscenti, le salvano dal crollo, quindi pietiscono un prestito in banca (complice il banchiere) per ripristinare l’antico splendore: segue la fuga. Centomila, duecentomila. Si hanno così ircocervi sbalorditivi: magioni col tetto nuovo di zecca, ma sostanzialmente in rovina.
Il più, tuttavia, è in stato di pietoso abbandono. Anno dopo anno i fregi cedono, le persiane perdono i listelli, l'umidità risale dagli inferi infradiciando i portoni, i tetti s'incurvano come se non potessero sostenere il peso di tanta negligenza, grate e inferriate vengono saccheggiate dai cercatori di metalli, à la Blade runner, le erbe e le edere assaltano quiete gli intonaci o iniziano la lenta opera di disgregazione delle pietre. Accanto a tali esausti giganti in pietra sorgono, a volte, orrendi villini dallo stile composito e abominevole, in cui alluminio e cemento la fanno da padrone. Oppure appaiono nuove case popolari, a cinque o sei piani, tirate su al risparmio, con prati rachitici e rifiniture da pochi euri: balconi come stie, recintati da graticci metallici, aiole senza fiori, mura perimetrali composti da blocchi grigiastri. Si ha, in tal modo, la contraddizione massima: edificazione con l’80% di case sfitte o abbandonate. La distruzione del paesaggio è conseguente. O logica, almeno in un mondo al contrario.

14 novembre 2017

Perché la letteratura italiana fa così schifo?


Pubblicato il 1 settembre 2015

Oh, ci si intenda subito: magari qualcuno troverà la letteratura italiana, nel suo complesso, di buona fattura. Magari vi troverà opere completamente fallimentari; o negative; ma anche picchi positivi; eccezioni lodevoli; non di rado, ben ruspando, tale lettore (oso dirlo) rinverrà addirittura capolavori. Chi sono io per giudicare un tale giudizio? Nessuno.

Dipende a quali altezze ci si è inerpicati nella vita. Da certe vette (se si ha avuta la pazienza di scalare certe vette) la letteratura italiana fa, inevitabilmente, schifo.

È un ribrezzo non solo estetico (passi!), ma anche umano: come a toccare il ventre d’un rospo demoniaco. Persino le librerie suscitano ormai orrore; passeggiare nei dintorni d’una di esse (una a caso), subire lo squallore delle sue vetrine riesce insopportabile … e poi quelle brossuracce, impilate a spina di pesce, decine di pile, e l’odore della carta appena stampata (carta d’accatto, che, appena letta, s’arrufferà malinconica) … e poi le classifiche, con altre pile accanto, classifiche che confermano la pubblicità a tamburo battente in cui un meschinello presentava il suo libercolo, la consueta brossura dozzinale in ultima analisi … lordata da concetti da dozzina … tutto questo spettacolo necrofilo dà già il voltastomaco … un disgusto fisico che solo un feroce Ramadan estetico può guarire.

12 maggio 2017

Come distruggere l'economia locale


Pubblicato il 12 marzo 2015; ripubblicato su Pauperclass il 17 marzo 2015

Olio con sapiente arte spremuto
Dal puro frutto degli annosi olivi,
Che cantan -pace! -in lor linguaggio muto
Degli umbri colli pei solenti clivi,
Chiaro assai più liquido cristallo,
Fragrante quale oriental unguento,
Puro come la fè che nel metallo
Concavo t’arde sull’altar d’argento,
Le tue rare virtù non furo ignote
alle mense d’Orazio e di Varrone
che non sdegnàr cantarti in loro note ...

Una poesiaccia di Gabriele D'Annunzio sull'olio. L'olio d'oliva, quello spremuto dalle olive, i frutti che crescono sugli olivi, insomma. Ho voluto esser didascalico per tema d'un fraintendimento. Pochi sono avvezzi alla terra ormai; pochi oggi hanno visto dal vivo un pollo o un coniglio o un castagno (anche se li pappano regolarmente); la natura, anche la nostra, la mite natura mediterranea, entra in rapporto con l'uomo postmoderno solo traverso la mediazione del supermercato; o della boutique alimentare. Anzi, molte volte l'uomo di tal fatta crede la natura - quella vera - sia tale e quale come appare dagli involucri dei prodotti commerciali. Ha una fede inestinguibile in tale bric a brac di folclore disneyano: crede che le mucche ridano; i maiali si rotolino nel fango profumato agitando la coda a cavatappi per la contentezza; che le pecore sia come Shaun, quella del cartone animato; e che i villici siano uomini con appena un velo di barba incolta, sorridenti pure loro, al massimo con un cappello floscio alla Antonio Misseri; e che le campagnole siano o villiche in carne, fresche e sorridenti, o foresette col canestro appresso, pronte a far ingurgitare gelatine ai cavalli. Spesso, quando tale arcadia si infrange sulla verità, l'uomo postmoderno ha un moto di ripulsa: ad esempio quando scopre che le villiche sono omicide seriali di animali da cortile (cruente quanto indifferenti), che il contado bestemmia sovente e vanta una igiene, come dire, poco igienica; e via così. Conoscevo un tale che era ghiotto di zabaione; tutte le mattine si faceva preparare un bell'uovo fresco (davvero fresco: ancora caldo di gallina) con caffè e latte; ah, che goduria! Poi si rese conto che l'uovo (l'interno dell'uovo, quello che lui sorbiva) proveniva da un uovo (col guscio, tutto intero) e che quell'uovo (il secondo che ho detto) aveva tale guscio, come dire, tutto chiazzato dai recenti sforzi della gallina ovipara - sforzi volti a estromettere, in ultima analisi, lo stramaledetto uovo testé menzionato (nella seconda accezione). Lo shock di quell'uovo garbatamente smerdato fu una scena primaria così forte che il nostro per poco non cadde in deliquio; e mai e poi mai volle più assaggiare uova fresche che, lo seppi de relato poco tempo dopo, secondo lui "puzzavano". Questo per dire che il cittadino della società digitale vive in una landa tutta sua e mai esperisce la reale realtà che produce, volente e nolente, il cibo e le leccornie da lui gustate. Egli ha in mente Dulcinea del Toboso, bellissima e olente: mai si sognerebbe una solida massaia, colle maniche rimboccate e il culo basso; rischierebbe la pala del mulino sulla zucca.
E così per l'olio. Se lo chiede mai l'italianuzzo chi lo fa l'olietto? Chi lo produce? Chi lo materializza tutte le mattine presso il locale (super)mercato o boutique alimentare?