Roma, 5 aprile 2019
Un ragazzotto sui
vent’anni o poco più mi ferma per la strada: “Mi scusi, sa dov’è il ci a ef … sta in zona … qui mi dà via martino vu,
non so …”. “Il CAF di via Papa
Martino Quinto, vuoi dire?”. Lui acconsente con un mezzo sorriso, come a
dire: “Perché no, mi sa che è proprio
quello!”. “Raggiungi la chiesa,
quindi a sinistra, cinquanta metri e sei arrivato”. “Grazie!”. “Ciao, buona
giornata”.
Di cosa si comporranno,
poi, le buone giornate dell’omettino del futuro proprio non riesco a
immaginarmelo.
Il CAF, acronimo di
Centro Assistenza Fiscale, da non confondere col vero CAF, Craxi Andreotti
Forlani, oggi in dimenticanza, come l’infimo rudere d’un palazzo creduto
magnificente - il CAF sindacale, intendo, il bancoposta fraudolento donato dal
potere in cambio dei lavoratori e dell’articolo 18 e di altri tranci
legislativi che servivano a campare, nobilitato da una “ef”, pronunzia buona
per il pidgin angloamericano dei micchi. “Si es ai”, CSI ovvero: “Crime Scene
Investigation”; e allora “ci a ef”. Sempre meglio di “si ei ef”.