Visualizzazione post con etichetta Michel Onfray. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Michel Onfray. Mostra tutti i post

04 maggio 2019

Repetita iuvant (astenersi perditempo)


Castellaccio dei Monteroni, 4 maggio 2019

Cosa vantano in comune Emma Bonino e Michel Onfray?
Tutto.
Eppure sembrano militare su fronti opposti, inconciliabili.
Coincidentia oppositorum.
L’uno è divenuto, chissà perché, il cantore dei cosiddetti Gilets Jaunes, apparentemente sovranisti e nazionalisti, almeno nel loro corpus istintivo. Il Nostro, che si occupa di filosofia gaudente, parla un po’ qui e un po’ lì, di sotto e di sopra, ma, a ben guardare, se si possiedono bisturi taglienti e lenti d’ottima gradazione, egli si occupa solo d’un evento agognato: la dissoluzione dell’Occidente. Dissoluzione in cosa? In Qualcosa d’Altro.
L’altra Tizia o Pizia è, da quarant’anni almeno, una dichiarata nemica dell’Italia, cui mai ha tributato onori, ma esclusivamente disonori; europeista, cosmopolita, aperta a ogni refolo universalista, globalista, irenista in casa sua, massacratrice in casa d’altri; il suo unico scopo, ereditato dall’ormai Salmone Ottimo Massimo, Marco Pannella, è quello di dissolvere: Italia, Europa, Occidente; dissolverli in Qualcosa d’Altro.
Dissoluzione, infatti, è termine tecnico preciso (“dis-solvere”, da cui “dis-soluto”, “dis-soluzione” o “di-sciogliere”, disfare un tutto, frantumare un’unità, scompigliare ciò che è ordinato).
In realtà, la realtà sotto i vostri piedi, i vostri occhi e la vostra labile immaginazione, Michel Onfray ed Emma Bonino sono perfettamente consonanti.
La strategia funziona, ha sempre funzionato e sempre funzionerà, almeno contro le società deboli, confuse e prive di sentieri e cippi miliari a indicare la retta via.

12 marzo 2019

L’impero delle luci


Roma, 12 marzo 2019

Essi ci guardano dalle torri. Agli ultimi piani delle torri del mondo i Prescelti si devon fare, tra una festa e l’altra, parecchi risolini. Osservare, da quelle altezze, che rendono con chiarezza cristallina l’ampiezza del panorama, il disfacimento di un’intera civiltà, dell’unica civiltà motore, il crollo dell’Occidente, in un ridicolo rovinio pulviscolare ove si aggirano pagliacci da film horror e pupazzi rigonfi di stoffe sdrucite, dev’essere uno spettacolo impagabile. La storia degli ultimi tremila anni, le delicate architetture erette per resistere alla Notte, si trovano, d’improvviso, senza più fondamenta; la catastrofe si propaga per via esponenziale, dalla suburra al centro dei commerci, dai templi ai lupanari. Mai vista una cosa del genere; mai fu preannunciata. Uomini e donne spaesati, torpidi, disorientati, impolverati dalla farina disastrosa da ciò che credevano eterno, i volti grigi rigati da sangue e lacrime, chiedono aiuto, si suicidano, impazziscono, vanno dietro al primo imbecille che afferma di avere una via d’uscita. Per chi ha vivida in mente ciò che fu la nostra civiltà, squadernantesi nell’immediatezza davanti allo sguardo dell’anima, nei suoi modi multicolori e nelle epifanie brucianti, corrusca di carneficine e celesti asperità, tutto questo non può che gettarlo nella disperazione più totale. E quale sollievo trovare in tali giorni colmi d’angoscia?

Ariani. La trattatistica di destra si è lungamente interrogata sugli ariani, sugli indoeuropei, sulla civiltà bianca. Le risultanze sono state, a volte, interessanti, altre deliranti; spesso confuse in un misticismo d’accatto. Veda, Vedanta, Iperborei, le mistiche tre Roma. Ma l’elemento comune al genio dell’Occidente fu sempre uno e lo si ritrova, inevitabile e purissimo, nel popolo più fatale: i Greci.