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13 ottobre 2023

Operazione cubicolo

Roma, 13 ottobre 2023

Chi diavolo è Klaus Schwab? Da dove viene? Non ne ho idea. Questi personaggi vantano più l’impalpabilità delle evocazioni che una reale consistenza storica. Allo stesso modo ci stiamo ancora chiedendo: chi è stato davvero il mezzo inglese Roberto Speranza? E Giuseppe Conte? Alcune importanti trasmutazioni chimiche, in fondo, necessitano di reagenti apparentemente insignificanti. Schwab non so chi sia e non m’importa saperlo. Più importante la fisiognomica: quelle guance flosce, a esempio, rassomigliano alla colatura di pongo di Jeff Koons. Egli è uno dei latori dell’Indifferenziato; Egli anela, per noi, il cubicolo. E lo avrà. Niente auto, niente passaporto e viaggi, niente lavoro, nessuna scuola, ma solo dottrina; abolizione del codice penale, liberalizzazione droghe, eutanasia, legalizzazione delle parafilie maggiori. E il cubicolo di quindici metri. In cui agire soli. Persino il centro delle città avrà a degenerare in meta ambita e sconosciuta dai novi plebei. I commerci si ridurranno all’essenziale, poiché assorbiti quasi interamente dalle multinazionali, le aule penali svuotate dalle legalizzazioni (nulla è colpa!).
Ma non sarà così, è impossibile! Lo concedo: c’è la minuscola possibilità di un fallimento. Ciò che non si potrà scongiurare, però, sarà la distruzione. Dalla distruzione non si torna mai indietro.

L'Italiano accorto del blog sentirà il dovere di leggere il racconto di Philip K. Dick, Il gioco della guerra (War game, 1959). Ganimede, luna di Giove, ha delle mire di conquista nei riguardi della Terra. Si sospetta che i Ganimediani possano lanciare azioni ostili da un momento all’altro. Uno dei mezzi più subdoli che potrebbe usare il nemico: i giochi per bambini. Per questo motivo, una squadra dell’Ufficio di Importazione sottopone a un esame severo due di essi, prossimi al lancio sul mercato terrestre. Il primo è un imperscrutabile gioco di guerra, l’altro una variazione del Monopoly. L’attenzione dei funzionari si concentra sul complesso war game di cui, tuttavia, non si riesce a stabilire la reale finalità: lo si mette, perciò, in quarantena; il secondo, The syndrome, viene ritenuto un innocuo passatempo e ha via libera. Quando il giocattolaio Joe Hauck porta a casa un prototipo di The syndrome, esso affascina da subito i figlioletti Lora e Bobby. Gioca assieme a noi, papà! E Hauck gioca. Ed esclama: “Ho vinto!”; e invece no, lo correggono i bimbi, qui “bisogna disfarsi dei propri averi. Sei fuori del gioco papà!”. Hauck cerca l’accumulo, ma The syndrome esige l’esatto contrario del Monopoly. Esso, infatti, insegna ai bimbi come “cedere con naturalezza i loro averi [tanto che i bambini, per vincere] davano via le proprietà e il denaro con avidità, in una sorta di trepido abbandono”. Vince chi perde tutto. Non avrai nulla e sarai felice. I Ganimediani, come Schwab, la sapevano lunga: "Dietro di lui, i due ragazzi continuavano a giocare, animandosi sempre di più man mano che le azioni e il denaro cambiavano proprietario ... Guardandolo con gli occhi lucidi, Lora disse: 'È il più bel gioco educativo che tu ci abbia mai portato, papà!'".
Occorre indottrinare da subito per avere la certezza dell’assenso poiché anche la rassegnazione può insegnarsi e divenire costume.
Allo stesso modo, i ragazzetti romani di borgata dei Settanta erano devoti al traversone, ovvero all’esatto contrario del tressette. Vinceva chi rifilava i carichi agli avversari totalizzando il meno possibile. Tressette e poker assommano, il traversone dilapida. A posteriori, rinvengo in quella passione ludica un logico correlativo della nostra inferiorità sociale.

Improvvisamente sento berciare dalla camera accanto alcune voci concitate: “Hamas! … Ashkelon!! … barrage di razzi!!! …”. La televisione! E pensare che non l’accendo mai … come ha potuto farlo? Sospetto ch’essa, che da anni mi spia, anche mentre visiono innocui documentari sull’arte del Neolitico, sia ormai posseduta da un’entità capricciosa che vuole recarmi noia. Infastidito dal vociare, irrompo per tacitare l’ordigno. Lo trovo sintonizzato su RAI3, all’ora del telegiornale quotidiano. Sullo schermo immagini di guerra. Guerra, stavolta, israelo-palestinese. E cos’altro, se no? Il telecomando, ovviamente, non risponde agli impulsi. Alberto Angela sentenzierebbe che sono esaurite le pile, ma - ne ho quasi la certezza - ormai si comanda da sola. Infatti, nonostante pigi l’off della tacitazione elettrica, Ella persiste nel frignare. Che voglia dirmi qualcosa? Scendo a patti e m’assiedo. Sullo schermo l’inviata della RAI, acronimo di Radio Audizioni Italiane, si conduole con i colleghi da Roma d’una terribile esperienza: la stanno bombardando.

06 agosto 2021

Calcoli sbagliati


Unreal City, 5 agosto 2021

Leggo in un vecchio libro sciupato: “Mi piace sfogliare i vecchi libri sciupati che si trovano a volte sulle bancarelle dei librai e che hanno contenuto la verità di un tempo. Ci si guadagna una sana filosofia, del tipo di quella che Jacques Bainville riassumeva in questa formula: ‘Tutto è sempre andato malissimo’. E, parola mia, vedendo nel corso del tempo le lagnanze dei contemporanei, la loro nostalgia del passato, i sogni che architettavano per l’avvenire, bisogna riconoscere che gli uomini mai furono contenti del presente”.
La frase è di Jacques Ploncard D’Assac; il libro, sciupato, Apologia della reazione (I libri del Borghese, 1970).
Vi si ritrova un angusto iter metaletterario: D’Assac scopre su un’anonima bancarella un libro di Jacques Bainville che contiene la bruciante verità d’una riga; il sottoscritto, per le medesime vie, la nota di D’Assac; voi, i più fortunati, entrambi i rinvenimenti. Questa coincidenza non è ovviamente tale: si chiama, invece, tradizione. Tradizione della sapienza. Bainville nota, en passant, come la storia dell’umanità sia la cronaca di una decadenza continua; D’Assac approva; io, nel 2021, consento a tale evidenza luttuosa.

L’uomo decade, da sempre. La sua parabola non consiste in un avvicinamento a Dio bensì al Demonio. Liberiamoci da pregresse convinzioni. L’uomo sorge dalla Polvere e dal Fango; la Polvere e il Fango, sotto le spoglie di Satana, ci richiamano infine a loro; durante tale catabasi verso la Dissoluzione, Dio, sotto le spoglie dell’Artista, del Santo e del Sapiente, ritarda l’inevitabile caduta. Ma ora l’Abisso, là-bas, ci reclama; l’occhio scruta il vuoto e ne è avvinto in un’ansia lutulenta in cui piacere e volontà di auto-annientamento si coavvincono come le spire del Primo Serpente. Tutto torna?

L’uomo moderno calcola. Ma i suoi calcoli sono sbagliati. Il feticcio maggiore cui s’è prostrato è quello del progresso. Credersi migliori dei predecessori, o delle epoche del passato, ridotte a un cumulo di crudeltà e perfidie, equivale alla dannazione ultima che lo perderà del tutto. Come dimostra, invece, l’intuizione di Bainville, si deve parlare qui di continua regressione e degradazione. Dirà il Citrullo: “Ma non è possibile! Siamo alla reazione, al dispotismo, all’oscurantismo! Non vedete voi, cari signori, un innalzarsi delle epoche? Un avanzare costante, a prezzo di sacrifici e sangue, verso una umanità migliore, più tollerante e pacifica, consapevole dei misteri di quella Natura che si piega docile sotto la nostra benevola signoria? Guardate il passato: carestie, malattie, privazioni, mostruosità, abiezioni! Non vorrete paragonare le buie viette d’una città europea lorda di escrementi e pustolosi in fin di vita con le autostrade a quattro corsie ove sfilano le silenziose automobili del futuro? E chi cambierebbe, di grazia, quell’orrore con l’attuale presente? Fate un sondaggio e vedrete cosa ne esce!”.

A metà dell’Ottocento la popolazione mondiale assommava a un miliardo. Oggi a più di sette. Esemplare di questa Bengodi dell’evoluzione fu la figura del dottor Ignác Semmelweis che, con blandi e ovvi rimedi antisettici, sconfisse, di fatto, la mortalità infantile e la mortifera febbre puerperale. Il “Salvatore delle Madri” fu un tale Copernico che da un’epoca di vedovi si passò, mercé qualche guerra mondiale, a quello delle vedove. La nobile parabola umana di Semmelweis affascinò molti: a sinistra l’ebrea socialista Anna Kuliscioff, a destra l’antisemita burlone Céline che ne fece il protagonista della propria tesi di laurea in Medicina. E allora? Il mito del progresso, in effetti, abbacina tutti. Ma è un calcolo sbagliato. Occorre una dose criminale di cinismo, astruseria, cattiveria e forza di volontà per dichiarare questo. Eppure … cosa ne abbiamo tratto, noi, da tale appressamento alla felicità? Dai celesti doni di Semmelweis, o di Fleming e Jenner? Un’umanità pletorica, depauperata, debole. Gli Spagnoli che invasero il Sud America, butterati dal vaiolo e decimati dallo scorbuto, conquistarono un continente. Oggi la Spagna faticherebbe pure a invadere Gibilterra. Mi prende male, oggi, sono così! Gradirei un’obiezione, però, di fatto e non in punta di ideologia … la mia famiglia ha visto, in un secolo, come testimoniano alcune lapidi consunte, morti di tetano e di influenza, morti e dispersi in Russia e Affrica, ma le foto dei sopravvissuti, accartocciate e crocchianti, ci parlano di donne e uomini dal volto piano e senza preoccupazioni, addirittura sereno: sereno di fronte a Sorella Morte. Il loro ruolo sociale e metafisico fu stabilito millenni prima - una profondità di cui essi non comprendevano né la distanza remota né la forza della scaturigine: a che pro? Si viveva così, gli affanni e il dolore si stemperavano nella consuetudine da scampati scambiata dagli Illuministi per fatalismo. Matrimoni, battesimi, comunioni e unzioni punteggiavano la vita. Il ruolo, già stabilito, faceva sì che l’individuo fosse sollevato da ogni decisione eliminando psicosi, ansie e schizofrenie. Chi era più libera? La donna sotto il presunto patriarcato o la donnina di oggi, che può decidere, liberamente, di farsi inculare da un cane? Attenzione, nella risposta potrebbero celarsi sbagli di calcolo.

Attraverso la zona di Boccea. Una Punto grigia è parcheggiata contromano. I posti del guidatore e del passeggero sono occupati da due asiatici, forse filippini. Bassi, olivastri, le teste tonde, i radi capelli neri; occhiali da sole; la pelle lustra di sudore. Si rassomigliano come due gemelli. Gli unici movimenti che ne tradiscono l’esistenza in vita son quelli mandibolari; ruminano qualcosa, roteando ritmicamente l’apparato buccale, in sincrono, come due scimmie caricate da un giocattolaio diabolico. Più avanti, sulle strisce pedonali, un’altra asiatica passa di corsa, blaterando in un cellulare a perpendicolo rispetto all’asse facciale. Brutta, bassa, storta: eppure vitale; non pare avere soverchi problemi: il suo ruolo nella società è ben definito, la nevrosi non ne lambisce il cuore; ella può guardare il futuro con sguardo limpido e privo di retropensieri. Come noi, qualche decennio addietro. Lungo il marciapiede, intanto, un africano spazza lentamente e metodicamente un tratto d’asfalto; qualche monetina in un sottovaso da giardino ne remunerano l’attività surrogatoria delle istituzioni, tolleranti verso un abusivismo così ecumenico e paziente. L’edicola è chiusa, la Valentina di Crepax sulla saracinesca irriconoscibile per le scrostature; il bar a mezzo servizio, la chiesa sbarrata, l’alimentari forse defunto. Nel deserto, con l’asfalto reso molle dalla calura, s’aggirano alcuni revenants: un mendicante, un trippone barbuto che reca un metro quadro di pizza unta, due anziani storti e dagli occhi cisposi e diffidenti, un andino dal volto totemico. L’Italia migliora, evidentemente: come facciamo a non accorgercene?

21 gennaio 2020

Non ci fanno votare!


La Capretta, 20 gennaio 2020

E no, non ci fanno votare!
Se ci facessero votare! Ah, gliela farei vedere io! Lo spirto guerrier ch’entro mi rugge!
Col voto ripulirei l’Italia, la disinfesterei!
Guarda, proprio ora che siamo lì lì per battere i poteri forti, che succede, infatti? Non ci fanno votare, ovvio!
Noi siamo con Lui, con la matita copiativa inastata, e però il Gran Porco non dà l’ordine di voto! Vigliacchi!
La libertà, signori, la libertà! Non la vedere voi a portata di mano!
Basta stenderla e afferrarla, eccola, così vicina! Ma non ci fanno votare!
Ve lo facciamo vedere chi siamo noi! Vi sgangheriamo!

23 novembre 2017

Silvio has a dream ovvero il Berlusconi utopico e l'Elogio della Follia



Pubblicato il 24 luglio 2013

Il mistero Berlusconi: un maneggione del vecchio ordine più furbo degli altri.
Col tempo per lui ho persino maturato una certa simpatia. Tra Berlusconi e Gutgeld la scelta non si pone: nel disastro almeno ci si diverte.
Ho sempre preso poco sul serio le telenovelas sulla mafia e sulla corruzione che lo coinvolgevano. Egli m'appare, infatti, quale uomo intento unicamente a difendere la propria roba e che, nel farlo, vende l'anima al diavolo. Un diavolo che, però, possiede le anime di tutti.
A distanza di più di vent'anni dalla discesa in campo siamo in grado di porci la domanda decisiva: l'Italia andrà in malora anche a causa di Berlusconi o nonostante Berlusconi?
Le devastazioni epocali, incancellabili, infatti, vanno ascritte a Ciampi, Prodi, Maccanico, Monti, Draghi, Bonino; non certo a un uomo le cui mosse sono dettate dalla tenacia nella protezione degli orti  di famiglia.
Questo, ovviamente, non lo assolve storicamente, ma configura una rete concettuale di attenuanti.
Ben diverso è il cuore psicologico del Silvio nazionale.
Cosa pensa davvero Silvio?
Ha mai avuto aspirazioni? Ambizioni spirituali?
Certo. Come chiunque.
Esiste un suo diportamento esoterico? E uno, pubblico, ridanciano, essoterico?
Forse. Mi arrischio a pensare che lo spessore intellettuale di Berlusconi sia addirittura superiore a psicopatici come Schulz o Juncker.
Qui si tenta, con andamento semiserio, di individuare uno dei motori di tale Weltanschauung.
 
* * * * *

Qualche tempo fa, girettando tra gli scaffali d’un mercato dell’usato, intravidi due bei volumetti a un prezzo irrisorio: l'Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam e l'Utopia di Tommaso Moro (Thomas More). Per due euro circa accattai due tomi di circa quattrocento pagine in carta Fabriano dai nitidi caratteri Garamond (tondi e corsivi: l’Elogio) e Baskerville (idem: l’Utopia). Essi sono i primi numeri di una collana denominata la Biblioteca dell’Utopia – collana che include altri classici della letteratura dell’illusione alta: La nuova Atlantide di Francesco Bacone (Francis Bacon), Il Principe di Machiavelli (annotato da Napoleone Bonaparte), Lo spaccio de la Bestia Trionfante di Giordano Bruno e Il manifesto del Partito Comunista di Karl Marx e Friedrich Engels.
Il prefatore dei volumi, che coincide con l’editore, è Silvio Berlusconi.

15 settembre 2017

La stracciona del '68 e l'abolizione della scuola


Roma, 15 settembre 2017

Meditare quello slogan innocente: "L'immaginazione al potere". Lo si è mai fatto? Cosa significa, al fondo delle cose (il fondo vero delle cose), tale proposizione apparentemente lodevole?
Tutta la battaglia contro il nozionismo, la religione in classe, il sette in condotta?
E le parallele guerre a favore del sei politico, del diciotto politico, della promozione a oltranza, dello stravolgimento dei programmi in luogo dell'ecumenismo hippie che ha trasformato severe classi in accampamenti alla Woodstock?
C'è un nesso fra il liberismo angloamericano che seleziona le classi digerenti nelle più costose università e l'assalto definitivo dell'attuale, cenciosa, Tisifone dai capelli rossi alla scuola, l'unica vera ridotta delle nostre essiccate speranze?
Che il 1968, inteso come fenomeno, sia una distorsione del socialismo è indubbio. Alla lunga possiamo dire che ne fu la tomba. Il PCI, già nei primi anni Ottanta, era, di fatto, un partitucolo socialdemocratico, con le sue clientele fidelizzate, e la bandiera inastata della sconfitta, implicita quanto straziante: i suoi capi già sapevano, in attesa di firmare i trattati della resa più umiliante.

12 luglio 2017

Allegri ragazzi, tutto il mondo ci deride


Roma, 12 luglio 2017

Gli Italiani vogliono false speranze, le bramano, vivono per esse.
Da ogni parte.
La falsa speranza induce l'individuo a tirare avanti per un po', senza scadere nella disperazione che, latente, lo attanaglia giorno dopo giorno: una sorta di costante depressione che prepara a concretarsi come nuovo abito del cittadino futuro.
Latente, seppur non manifesta violentemente. A quiet desperation.
A destra sinistra al centro nei gruppi d'opinione nei gruppuscoli.
La falsa speranza è molto allettante.
In primo luogo allontana definitivamente l'azione salvaguardando l'individuo da ogni assunzione di responsabilità.
E permette, poi, di azzuffarsi dolcemente al ritmo di "l'avevo detto che ..." e "come scrissi in un post di due anni fa ...".
Queste false speranze riposano sul nulla sottovuoto. Come se un sistema gigantesco, perfettamente oliato, con capitali infiniti a disposizione possa autodistruggersi per far contento qualche coglione della controinformazione.
Se non contrastato dagli uomini, il potere si trasforma, non muore. Sta sottilmente mutando anche ora, sotto i nostri occhi. Verrà sacrificata qualche testa, alcuni popoli, si insceneranno nuovi conflitti (etnici, religiosi, economici) e tutto procederà a gonfie vele.
D'altra parte sono gli Italiani stessi a reclamare questi andirivieni.
La risalita alla considerazione generale di Prodi e Berlusconi è lì a confermarcelo.
Invece di penzolare da qualche quercia se ne vengono, alle soglie del 2018, sotto ai microfoni a fare i padri nobili.

13 maggio 2017

La sinistra schizoide ci porterà alla schiavitù


Pubblicato su Pauperclass il 29 aprile 2015

Forse non alla schiavitù.
La schiavitù presuppone vitto e alloggio, e una certa empatia nei riguardi di schiave e schiavi (sono pur sempre elementi di pregio ed esseri umani - immo homines - per citare Seneca), mentre l'andazzo odierno prevederà, di fatto, il lavoro senza retribuzione. Il lavoro gratuito è la vera meta del paradiso capitalista.
Lavorare gratis e col sorriso sulle labbra, come dimostrano le recenti vicende di giovani aspiranti lavoratori all'Expo di Milano: prima la promessa dei 1300 netti, poi di 1300 lordi, poi neanche 1300, sempre lordi però, quindi niente assicurazioni impaccio di sindacati rimborsi et cetera ... ognuno, fatti i conti brutali della massaia, andava a intascare, netti, un bel nulla ... seppur un nulla dignitoso, da far sghignazzare a doppia ganascia, perché il lavoro nobilita, e poi fa curriculum, e poi si è parte di un ingranaggio che fa crescere la produttività italiana, e quindi si è anche patrioti, con le pezze al culo, ma tanto patrioti ... specie quando negli stand si vende per olio nazionale una poltiglia giallastra che arriva congelata dal Marocco, seppure (bando al disfattismo!) confezionata con nastrini tricolori tutti italiani e venduta ai gonzi italici dai predetti lavoratori patriottici, tutti in tiro per l'occasione, e tutti bellini con badge e divise azzurre e bianche esornate da nastrini tricolori ...
Ancora loro, i nastrini ... che il nastrino sia uno dei tratti salienti del nuovo capitalismo? Statistiche, previsioni, soli dell'avvenire ... una truffa, per carità, incartata, però, coi nastrini ... tricolori o azzurri dell'azzurro dell'euro, o dell'Unicef dell'Onu dell'Esercito della Salvezza, chi volete voi.