“Questa cosa
notavo in Asia: quando una civiltà scompariva, le sue migliori vestigia
restavano in quelle che un tempo sembravano le sue più insignificanti periferie”
Ise
Ise
“Per Chateubriand ‘tutti gli uomini hanno una
segreta attrazione per le rovine’ ... Ma forse Chateubriand aveva torto, forse
quell’attrazione e quel sentimento sono ... una peculiarità della cultura di
tradizione europea ... per riassumere: in Cina le rovine di edifici del passato
non hanno cittadinanza nella memoria culturale. Il pathos del trascorrere del
tempo è espresso dagli oggetti di natura; quelli prodotti dagli uomini, una
volta abbandonati, si diluiscono nellanatura e si confondono con essa; ma a
questo punto, i simboli che la natura stessa offre per descrivere la decadenza,
la rovina, l’irreparabile fluire del tempo sono sentiti come infinitamente più
potenti, e occupano tutto lo spazio disponibile”.
Tali
parole di Salvatore Settis, tratte dal catalogo Cina. La nascita di un impero, risalgono al 2006.
Egli
instaura un parallelo fra i due imperi, il Romano e il Cinese, valutandone vari
aspetti (la stabilità, a esempio) e soffermandosi, poi, sulla considerazione
che occidentali e orientali hanno nei riguardi del fluire del tempo e della
storia.
Dal
2006 sono passati secoli. L’Occidente è giunto al termine d’un processo di
putrefazione nato nei deserti d’un illuminismo mendace che celebra
continuamente trionfi: tanto da trionfare su sé stesso negando il proprio
passato e un futuro qualsivoglia. La Cina ha accettato tutto questo, nel 1912, cinque
anni prima della Russia. Nel comunismo, infatti, già brillano le medesime
geometriche premesse del capitalismo. E oggi, lavato via l’ingannevole e folcloristico
maquillage (protezionismo, liberismo et alia), che ha generato film, libri,
vociferazioni e guerre buone per ammansire il gregge, Occidente e Oriente si specchiano
l’uno nell’altro nuotando paralleli nel postcapitalismo definitivo,
irreversibile.
Chiudiamo
con una nota allegra, che comprenderete meglio dopo aver letto il pezzo di Ise
(che ringraziamo). Nel 1950 uscì un memorabile raccontino di Damon Knight, Servire l’uomo (To serve man). Trama: i Kanamiti sono atterrati sulla Terra. Civiltà
superiore, essi recano il progresso universale, totale. I benefattori
interstellari aboliscono, con un colpo di spugna celeste, la malattia e la fame e la guerra. Il loro mondo incantato
ammalia miliardi di esseri umani tanto che questi migrano, lentamente e
irresistibilmente, verso il pianeta d’origine kanamita. Intanto qualche
terrestre viene in possesso d’un libro capitale
dei Kanamiti la cui scrittura potrebbe essere paragonata, da qualche
zuzzurellone, al cinese. Il testo, tuttavia, resiste ai tentativi di decifrazione.
Si viene, almeno, a capo del titolo, tradotto come: Servire l’uomo. Solo quando sarà troppo tardi ci si accorgerà che
tale bibbia non è altro che un
manuale di cucina che insegna, ovviamente, a servire l’uomo.
Per capire un po' il rapporto dei cinesi col passato, la risposta che riporto più sotto, della mia amica M., cinese del Vecchio Ordine, è forse la migliore sintesi.
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Ise
Per capire un po' il rapporto dei cinesi col passato, la risposta che riporto più sotto, della mia amica M., cinese del Vecchio Ordine, è forse la migliore sintesi.
Tralascio
invece quella della cinese del Nuovo Ordine a cui avevo chiesto, dato che forse
la stessa incomprensione della domanda ha compromesso la risposta. Ella
sembrava non ricordare neanche alcune delle maggiori devastazioni della sua
città, Pechino, come le volte in cui i resti antichi trovati durante la
costruzione dell’ennesima linea della metro, venivano tranquillamente ignorati
e distrutti, perchè
non potevano intralciare la velocità del progresso. Certo in superficie
arrivavano solo le notizie di quelli “salvati”.
Le
mura della città interna di Pechino furono abbattute già negli anni ’60 per
costruire la metro che correva al di sotto di esse, seguendo la traccia del
loro circuito perimetrico. Da allora lo scempio non si è più fermato. La
distruzione è poi passata agli hutong, i vicoli caratteristici
della Pechino antica, che ospitavano le siheyuan, caratteristiche abitazioni
con cortile interno. Si tratta di edifici a un piano costruiti secondo rigorosi
principi ispirati al Taoismo, il fengshui e varie “superstizioni”
riguardo la protezione dagli spiriti maligni, l’armonizzazione dei 5 elementi et
cetera.
Questi
vicoli storici che si estendevano per chilometri e chilometri nella città,
furono rasi al suolo in pochissimo tempo come in un bombardamento a tappeto.
Negli anni 2000 ormai si abitava solo su grattacieli, i cosiddetti compounds
che ho visto ora lodare in Italia: distretti abitativi recintati, con guardie
all’ingresso e CCTV, per tenere tutti sotto sorveglianza. Ogni anno o quasi dovevo
cambiare appartamento (e grattacielo) perchè l’affitto di quello in cui ero raddoppiava.
Perchè raddoppiava? Perchè la distruzione del quartiere storico in cui si
trovava era terminata; al suo posto era stato creato un quartiere artificiale
di grattacieli, McDonalds’, grandi centri commerciali, fermate di
metropolitana, enormi arterie stradali, tutto ammassato senza alcuna ricerca di
armonia, rispetto della tradizione, vivibilità umana, effettive necessità, et
cetera.
Ricordiamo
che i primi miliardari in Cina son stati quelli del settore immobiliare: il cemento
è stato l’oro del self-made man cinese. Ad un certo punto una rivista riportò
il risultato di una ricerca scientifica in cui si definiva Pechino come un’area
“non adatta alla vita”, testuali parole.
Questo
“il modello” esteso al resto del territorio.