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21 aprile 2020

Un tenebroso incanto



Roma, 21 aprile 2020 (2773 A. R.)

Dalle tane. È bastato diradare gli appuntamenti coi due spaventapasseri delle varie Protezioni Nazionali per tornare ad ammirare un panorama più limpido e rassicurante. L’angoscia, non più reiterata, assume le vaporose sembianze d’un succubo lontano. Frattanto, dalle tane, strisciano fuori alcuni pasciuti elementi della sedicente intelligencija italica, da circa tre mesi in vacanza premio; a blaterare, le chiavi del resort Italia in mano, pagato mensilmente da chi da loro è disprezzato fieramente, certe timide rimostranze sul carnevale orgiastico consumato sulle spoglie della Costituzione. Son bave di lumaca, nulla di preoccupante: più a giustificare un’assenza dolosa, o a malcelare sensi di colpa che risalgono dallo stomaco, uno dei pochi organi a non mentire spudoratamente poiché impossibile a silenziarsi colla menzogna del quieto vivere; oppure, tale la mia soluzione preferita, a lanciare l’inane mortaretto della rivolta: come a dire: “Ecco, io ci sono, procomberò sol io, ma, ohimé, le soverchianti forze della reazione ... capite bene ... snudo il petto alle lance avversarie sventolando eroicamente il fazzoletto moccicoso della resa ...”. Il loro comportamento rientra nella tattica dei rodomonti da osteria che sanno di perdere, adottata da decenni, e con successo, dalle peggiori opposizioni. In ciò furono maestri i comunisti, ora lo è Salvini; egli ragiona: poiché so che le mie parole, a cui non seguirà nessun atto positivo, sono inutili a cambiare alcunché io le lancio e le rilancio, sempre più sanguinosamente, onde simulare una resistenza morale granitica e ingenerare nella fasce più deboli di comprendonio la sensazione di trovarsi di fronte a una personalità tutta d’un pezzo. 

L’ultimo sparo. A Capodanno, nel pieno delle farneticazioni da cordite, certi cani s’appiattano sotto il divano. Lo stesso è capitato ad alcuni controinformatori, atterriti dal volume di fuoco delle sciocchezze monotelevisive nonché dalla teoria di cadaveri, dai gendarmi, dai rabbiosi abbaiamenti di sindaci e governatori - in tempo di pace dei perfetti coglioni - che, dalla pila di bare e sarcofagi guarniti di grafici truffaldini, hanno ruotato l’arrogante coda del pavone: vergognatevi! Fatevi un giro nella nostre camere intensive! 
È un fenomeno perdonabile e ampiamente riscontrato in passato: chi non si fida delle proprie capacità intellettuali in terra psicologica ostile significa che non ne possiede nemmeno una. O meglio: vanta il conformismo degli anticonformisti, il che non sposta il giudizio nemmeno d’un millimetro.

12 febbraio 2018

Guerra e pace


Roma, 12 febbraio 2018

Fassbinder. Il Capitalista e il Poliziotto, maschere brechtiane, si scambiano facezie. Il Poliziotto: “Un po' di tempo fa ho sognato ... ho sognato che i capitalisti avevano inventato il terrorismo per costringere lo Stato a difendere i loro interessi ... é buffo, no?” E tutti e due se la ridono di cuore. Una scena da La terza generazione (Die dritte Generation), di Rainer Werner Fassbinder. Il vecchio Fassbinder aveva alti e bassi, ma qui scala inconsuete cime sarcastiche, innevate dalla verità.

Terrorismo. Il terrorismo neanche esiste. Quanti sono morti di "terrorismo" in Occidente? In realtà, a ben osservare, è la violenza nel suo insieme a decrescere costantemente. Consultiamo la Cronaca di Roma in un quotidiano dell’immediato dopoguerra: suicidi terribili, morti bianche, omicidi dell'ignoranza e della fame, coltellate date per amore, vendette incrociate, avvelenamenti, bruti. Oggi? Dilavate ogni evento dalla grancassa (venti telegiornali su ogni canale, speciali, servizi esclusivi, congreghe di matres lacrimarum) e vi resterà in mano ben poco.
Se proprio vogliamo dare scandalo diciamo: la violenza esplode per la mancanza di violenza. In Occidente.
Questa non è una società basata sulla violenza fisica, ormai in via di sparizione, bensì sull'indottrinamento psicologico, sulla suasione coatta, questi sì violentissimi, coercitivi, perentori.
La nostra vita scorre anonima, eguale a quella di ognuno, intercambiabile, senza sofferenze visibili. Solo la malattia ci insidia. A questo abbiamo rimediato raccattando dal cesto delle regalie un edonismo a bassa tensione. Funziona.

30 novembre 2017

Cos'è un classico?


Pubblicato il 2 agosto 2013

Il 28 giugno 1981, su L’Espresso, uscì un articolo a firma di Italo Calvino: Italiani, vi esorto ai classici. In esso lo scrittore elencava quattordici punti a favore della lettura dei classici letterari cercando, altresì, di definirne la natura.
Riporteremo queste graduali stazioni di apprezzamento, commentandole brevemente; quindi, per vostra sfortuna, ne aggiungerò altre quattro, personali.
Le stilerò in una sorta di post scriptum, a parte: in tal modo potrete bellamente evitarle e, per vostra fortuna stavolta, tornare alle pagine insabbiate del libro favorito.

1. I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: "Sto rileggendo ..." e mai "Sto leggendo ..."

Calvino si chiede: Quanti, che dicono di rileggere, in realtà leggono per la prima volta? Quante opere fondamentali (Tucidide, Balzac, Properzio, Saint Simon) giacciono inesplorate nelle nostre biblioteche? Per fortuna non esiste una particolare età della vita in cui cominciare tali letture: “Leggere per la prima volta un grande libro in età matura è un piacere straordinario: diverso (ma non si può dire maggiore o minore) rispetto a quello d'averlo letto in gioventù. La gioventù comunica alla lettura come a ogni altra esperienza un particolare sapore e una particolare importanza; mentre in maturità si apprezzano (si dovrebbero apprezzare) molti dettagli e livelli e significati in più”.