17 febbraio 2021

Diario di un pazzo (De excrementis)


Unreal City, 17 febbraio 2021

La merda ci repelle.
È un dato di fatto.
Eppure un istinto primordiale quanto invincibile ci costringe a controllare fuggevolmente ciò che si è appena depositato nella coppa del cesso.
Ognuno di noi tende, volente o nolente, a farsi aruspice della propria merda.
Quale sostanza già consustanziale al nostro corpo, essa, infatti, potrebbe recare indizî sulla nostra salute.
Per la medesima causa si cercano sui media, pur nel disgusto, più o meno conscio, notizie e novità sul governo, sui ministri, sui partiti; e sulle previsioni degli atti di questo o di quel governo, di questo o quel ministro o partito.

Regole basilari per migliorare l'intelligenza del reale:

- Se li vedi in televisione sono traditori.
- Se chiedono il voto impostori.
- Se affermano giallo forse è verde, forse rosso, forse azzurro. Ma non giallo.

Vi pare difficile?
Lo diventa, tuttavia, poiché ognuno di noi risente di tare derivategli da scene primarie ideologiche; difficile liberarcene: il pericolo rosso, la minaccia nera, l'orda gialla, Stalin, Mussolini, Hitler, Lenin, San Simonino, il Rabbino coi pidocchi, il Ragno plutomassonico, I ragazzi venuti dal Brasile. Suggestioni otto-novecentesche, assai tarde, che impediscono il volo d'aquila. Tali sbiadite icone, esacerbate dalla nostalgia, sono talmente resistenti da ricattarci psicologicamente: di qui la coazione a ri-entrare nelle cabine elettorali o a illudersi sanguinosamente che saltimbanchi in affari come Meloni o Zingaretti siano latori di un messaggio, di un ideale, di una speranza.

Roberto Speranza fra pochissimo non conterà più nulla.

07 febbraio 2021

Tutti insieme appassionatamente

Brian Yuzna, Society

Unreal City, 7 febbraio 2021

In fila per pagare un caffè, una tizia, con cappello e bavaglio da bandido messicano, intima ai circonvicini, sorta di cagnoloni tra il rassegnato e lo scocciato, le debite distanze da Covid19. “Amigo, stammi a un palmo!”, sembra dirmi, allargando le braccia. Poi, alla cassa, ordina cinque gratta-e-vinci; si apparta in un angolo, su di un tavolinetto squallido, a furiosamente raspare le residue speranze a lei concesse.

Riassunto della democrazia in Italia:
- 1946. Referendum aggiustato con aiuti esterni.
- 1948-1989. Si vota, col proporzionale, chi più ci aggrada poiché ognuno sa chi saranno i vincitori e i vinti. Col tempo: consociativismo di massa. Qualche attentato punteggia questi anni formidabili; a ricordare chi comanda. La salma rattrappita di Aldo Moro nel 1978 prepara i decenni futuri.
- 1990-2011. Qualche attentato punteggia i primi anni della Seconda Repubblica (1992-1993): a ricordare chi comanda. Poiché ogni attore dell’arco costituzionale è ora coinvolto nel giuoco democratico (PCI e MSI, affamati come iene, son della mischia) occorre escogitarlo, tale giuoco democratico, di modo che alle ideologie, alle idee e all’intelligenza si sostituisca il tifo. All’uopo soccorre il maggioritario, lungamente preparato dalle concioni dei Radicali, autentico partito-tornasole della ormai ex Repubblica. Grazie a una figura di quarto piano, Mariotto Segni, la vitalità dei precedenti decenni si coagula progressivamente in due approssimative palle stercorarie che gli scarabei elettori si rimpallano con fare esagitato vociferando sciocchezze su anticomunismo e antifascismo. Materiale estensore del dispositivo che regola il nuovo superenalotto democratico è un’ulteriore statuina di mediocrissima rilevanza: Sergio Mattarella, ricompensato lautamente nei decenni a venire per tali servigi.
- 2012-2020. Il tifo più non basta a legittimare il giuoco. Si creano, perciò, attori alternativi: di forte connotazione antisistemica. La parabola della Lega e dei 5S, cui si regalerà persino un governo pur di simulare la piena democrazia, sono lì a testimoniare la coerenza dell’inganno. Peccato che l’elettore mai lo avverta, questo inganno: egli, infatti, vive la disillusione con sentimento grossolano, addebitandola sempre alla causa sbagliata.
- 2021-2030. Progressiva e indolore sostituzione della democrazia con per-suasivi like.

02 febbraio 2021

La ballata dell'abusivo


Unreal City, 2 febbraio 2021

Espropriarci delle nostre cose è facile.
Tanto facile che non le si riconosce nemmeno.
Ciò che prima, non molto tempo prima, appariva scontato - ora non lo è più.
La casa, le proprietà di famiglia, la mattonella su cui s'appoggia il piede la mattina, il lavabo, la porta, le scale, le strade, l'automobile, l'aria: tutto questo viene revocato in dubbio.
Il Potere insinua: perché dovrebbe essere vostro?
E lo stesso sentimento lo suscita a riguardo del passato e di ciò che, volenti o nolenti, ci apparteneva: monumenti, prati, basiliche, città, ruscelli e colline. Perché - ragiona il Potere - ciò dovrebbe esser vostro?
La libertà, infine, la serenità, il lavoro, l'equità di fronte alla legge, perché mai dovreste goderne? Chi l'ha sancito mai, ci diranno. Quale mondo era - questo mondo che ricordate? Esisteva davvero? Perché - ci diranno - questo mondo nemmeno esisteva, tanto che lo rammentano in pochi, così pochi che si ha il sospetto che siano pazzi. Così ci diranno.
E le moltitudini assentiranno, come fanno oggi, poiché i più sono ormai abituati a un'esistenza da trogolo digitale, da allevamento seriale; e la sola rivendicazione di un'Italia solare e piena di vita, ricca di intelligenza, aspra e gioiosa assieme, li getta nella disperazione.
E via via diverremo abusivi in casa nostra. Ci sfratteranno da ciò che abbiamo costruito, riducendoci nelle riserve, o alla macchia, ammesso che si sia abbastanza forti da riuscire a resistere - alla macchia.
Nella mirabolante società aperta, decantata dai truffatori filosofici di ogni tempo, non si sono mai visti tanti muri.
Non ci è permesso quasi più nulla. Ogni cosa è coperta da un velo, riservata agli specialisti o agli addetti ai lavori oppure semplicemente preclusa: non si sa perché.
Nella società aperta, di cui si favoleggiava nei circoli più ottusi, l'amore è impossibile, poiché liofilizzato, alienato, pervertito, sostituito da simulacri che lo negano.
Nella straordinaria società aperta, per cui sono state bandite crociate e rivoluzioni sanguinosissime, nessuna cosa è trasparente, ma tutto è mediato dalla falsità, dai labirinti di specchi, dall'inganno.
Nella società aperta, un edificio di cristallo purissimo, non riusciamo a scorgere nulla, a comunicare con nessuno, a rivendicare il pur minimo diritto. Perché la società aperta è il castello incantato di Alcina dove una maga deforme vien presa quale ricettacolo d'ogni bellezza e il diritto, purtroppo, è sempre rovescio.
In questo mondo artificiale, innaturale, amorale e anomico, in cui i battiti del polso e del cuore sono azzerati, nemmeno il nostro corpo e il nostro pensiero ci appartengono. Ed è giusto, logico: dubitare persino di questo - del corpo e del pensiero - indurrà infatti tutti noi a chiederci: siamo? Esistiamo come esseri umani? Non saremo forse di troppo? Non sarà giusto cedere il passo?

Ci si trascina in città irreali, popolate da larve, ove il più pallido sentimento naturale del senso comune viene additato come crimine. In cui si è già abusivi poiché nulla ci appartiene più.
Eppure la salvezza sembra a portata di mano.

Proprio oggi ho assistito a un funerale cristiano. In una chiesa cristiana. La comunità filippina. O indiana. L'altoparlante esterno rimandava una litania d'estenuante ipnotismo. Nella chiesa una cinquantina di convenuti. La bara in legno scuro, di foggia essenziale. Il sacerdote e tre suoi officianti voltavano le spalle ai fedeli, continuando a salmodiare verso il crocifisso posto nell'abside - un'imitazione di gusto duecentesco. Ogni tanto la trenodia veniva intarsiata dai fedeli e dai congiunti, guidati da una sicura voce femminile. Dieci minuti. Quindici. Poi la comunione. Una cerimonia modesta, in una chiesa in cui le messe mi hanno sempre annoiato a morte. Eppure, qui, al volgere della sera, nonostante gli arredi a me noti, di avvilente normalità postconciliare, è sembrato compiersi un miracolo. Chi pregava, pregava davvero Dio. Ognuno era rivolto a lui. Né chitarre, né organetti, né bonomie; niente Amin da aiutare, né gruppi di ascolto, né pacchi per bisognosi, né raccolte alimentari; è bastato eliminare quel goffo bofonchiamento tra estranei cui si sono ridotte le messe attuali (con il Cristo ridotto a guardone, lì nell'angolo, un po' dimenticato) per ritrovare, pure in quell'ambiente da supermarket, lo scheletro polito e intatto dei meccanismi della fede.
In quegli attimi si è colti da una rivelazione: si prova la vertigine di sapere, immediatamente, inconfutabilmente, che il nostro posto nel mondo non può essere scalzato da nessuno. E nessuno deve osare farlo poiché, in nome di tale intuizione metafisica, si è ostinatamente disposti al sacrificio di sé.

Pubblico questi brevi e inutili pensieri durante la semifinale di andata di Coppa Italia: Inter-Juventus.