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24 ottobre 2019

My generation


Roma, 25 ottobre 2019

Fà ddiesci mijja e nun vedé una fronna!
Imbatte ammalappena in quarche scojjo!
Dapertutto un zilenzio com’un ojjo,
che ssi strilli nun c’è cchi tt’arisponna!
 


Dove te vorti una campaggna rasa
Come sce sii passata la pianozza,
senza manco l’impronta d’una casa!
 


G. G. Belli, Er deserto 

La mia generazione, e qualche suo sparuto dintorno, vomitate, senza troppi affanni, fra i Sessanta e i Settanta, sarà l’ultima a conservare, intimamente, immediatamente, naturalmente, brandelli dell’Antico Ordine.

Una mia vecchia insegnante fu, in tal senso, una delle prime a segnalare la dissoluzione. Si sta muovendo qualcosa, mi disse. Qualcosa. La smobilitazione, il riflusso definitivo. Lei, che aveva votato per decenni al Centro (Partito Repubblicano o Liberale: La Malfa e Malagodi, se tali nomi riescono ancora a dire qualcosa a qualcuno), annusava lo sbraco. Era il 1993. Le pagliacciate romene, cecoslovacche, ungheresi, eltsianiane volgevano al termine: la disfatta rilevava su ciascuna tavolata, a destra, a sinistra, nel mezzo; e sottosopra. Non c’erano strade, solo una. L’unica strada possibile di lì a mezzo secolo, a oggi: e oltre, oltre Giove e l'infinito.

Il comunismo quale estremo katechon si insinuò nella mia coscienza intellettuale; mi convinsi che, al di là dei caporioni, un mondo di due secoli svaniva per lasciar posto a niente.

Perché di questo sono sicuro: col comunismo scomparve anche il capitalismo. E ogni ideologia concorrente al Nulla. Non è capitalismo, il nostro, bensì una dittatura. E le dittature, pur se originano da luoghi diversissimi, e da premesse inconciliabili, remote le une alle altre, finiscono per assomigliarsi tutte. L’ansia del controllo le uniforma straordinariamente.

19 gennaio 2019

Non brinderò all’altrui tristezza


Roma, 19 gennaio 2019

Se avessi usato la penna d’oca e il calamaio potrei ora affermare: “Non s’eran ancora asciugate le mie note sulle lagne di De André e su Cesare Battisti, allorquando …”; il digitale ti toglie il piacere anche di tali giri di parole, oltre alla bellezza della penna d’oca e dell’inchiostro nel calamaio, ovviamente. Ma cosa sta dicendo!? Ma sì, è inevitabile. La liturgia della scrittura, oggi completamente scomparsa, predisponeva l’uomo a una miglior prosa e una intelligenza superiore degli eventi; la liturgia rallenta, pacifica la mente, ferma la mano frettolosa e la foga, impedisce pensieri scarmigliati, fa disapparire l’inutile. C’è da porre attenzione a molte cose. La carta da scegliere, anzitutto, la posizione di braccia e mani, la calligrafia (la bella grafia), le colature, le asciugature, gli svolazzi, i rientri, la postura, gli eventuali errori, il periodare, i tomi da consultare, spesso sull’ultimo ripiano dello scaffale: quando si era molto fortunati o molto ricchi.

Johann Joachim Winckelmann, l’idealista della grecità, una vita di studioso al servizio di Apollo, uno con le toppe sul didietro, poteva contare, a Jena, se ben ricordo, di una sola ora al giorno nella biblioteca universitaria - una biblioteca che possedeva circa 10000 volumi, frutto di lasciti disorganici (di professori, ex allievi), e che non vantavano nemmeno l’onore d’uno schedario o la possibilità d’esser presi in prestito.