10 ottobre 2020

Il vestaglione di Bagnai


Unreal City, 10 ottobre 2020

Alberto Bagnai si sta accorgendo, pian piano, della realtà.
Non di quella oggettiva, gnoseologicamente rilevante, netta e filosofica, bensì di quella vischiosa, meschina, mediocre, luciferina; che induce allo sbalordimento, indi alla rassegnazione disperante, le anime migliori.

Un blog è uno dei modi per esternare (o espettorare, secondo le multiformi varietà dello spirito) il proprio sé, l’inconscio (più o meno in-conscio) sentimento o di superiorità o di inadeguatezza o di fallimento nella vita quotidiana.

Bagnai, attraverso il blog, con un misto di albagia, lepidezza e arroganza, ha costruito un affascinante Golem del suo pensiero; mentre, probabilmente, tentava vago i tasti del clavicembalo: un pizzico di ennui a colare sulla plebaglia in ascolto; d’altra parte è giusto così: i migliori danno il tempo, o i tempi; gli altri remano.

Purtroppo il digitale ha questo difetto: i capi, o coloro che raggiungono la visibilità, o la popolarità apparente (oh, quanto apparente!) non provengono, per merito (un qualsiasi tipo di merito: virilità, bellezza, forza, astuzia), dalla plebaglia, da cui si distinguono, o dal fiore dell’aristocrazia (che una volta era plebaglia, ovviamente); i migliori del digitale sono figurine imposte dal digitale stesso, che interagiscono con i trucchi del digitale, sfruttandolo vogliosamente (facebook, twitter ...): per questo vengono riconosciuti esclusivamente dal web e da simili ectoplasmi del web; finché, ahiloro, la turba lurca e stracciona li accerchia e allora si rendono conto dell'impossibilità d'ogni agire.

Io stesso, come accennai in non so più quale post, faccio parte di tale consesso. Mi considero, inoltre, un traditore; così come l'Inca Garcilaso de la Vega scrisse in spagnolo (la lingua dei dominatori) la storia del proprio popolo trucidato, così Alceste si serve della lingua dei dominatori (google) per tradurre in versi prosaici il massacro di ciò che amava. E, tuttavia, a differenza dei molti, ho almeno contezza di tale inganno, e lo soffro; perseguo in esso solo per voglia di cronaca: per l’ansia di documentare, più a me stesso che ad altri, lo sfacelo; si può morire in un ansimo di fierezza.

08 ottobre 2020

Quando la casa brucia [Giorgio Agamben]

 

Grazie al lettore "Sconosciuto" che mi ha consigliato questo scritto. Ve lo propongo con piacere.

 di Giorgio Agamben

«Tutto quello che faccio non ha senso, se la casa brucia». Eppure proprio mentre la casa brucia occorre continuare come sempre, fare tutto con cura e precisione, forse ancora più studiosamente – anche se nessuno dovesse accorgersene. Può darsi che la vita sparisca dalla terra, che nessuna memoria resti di quello che è stato fatto, nel bene e nel male. Ma tu continua come prima, è tardi per cambiare, non c’è più tempo.

«Quel che accade intorno a te / non è più affar tuo». Come la geografia di un paese che devi lasciare per sempre. Eppure in che modo ancora ti riguarda? Proprio ora che non è più affar tuo, che tutto sembra finito, ogni cosa e ogni luogo appaiono nella loro veste più vera, ti toccano in qualche modo più da vicino – così come sono: splendore e miseria.

La filosofia, lingua morta. «La lingua dei poeti è sempre una lingua morta… curioso a dirsi: lingua morta che si usa a dar maggior vita al pensiero». Forse non una lingua morta, ma un dialetto. Che filosofia e poesia parlino in una lingua che è più meno della lingua, questo dà la misura del loro rango, della loro speciale vitalità. Pesare, giudicare il mondo commisurandolo a un dialetto, a una lingua morta e, tuttavia, sorgiva, dove non c’è da cambiare nemmeno una virgola. Continua a parlare questo dialetto, ora che la casa brucia.

Quale casa sta bruciando? Il paese dove vivi o l’Europa o il mondo intero? Forse le case, le città sono già bruciate, non sappiamo da quanto tempo, in un unico immenso rogo, che abbiamo finto di non vedere. Di alcune restano solo dei pezzi di muro, una parete affrescata, un lembo del tetto, dei nomi, moltissimi nomi, già morsi dal fuoco. E, tuttavia, li ricopriamo così accuratamente con intonachi bianchi e parole mendaci, che sembrano intatti. Viviamo in case, in città arse da cima a fondo come se stessero ancora in piedi, la gente finge di abitarci ed esce per strada mascherata fra le rovine quasi fossero ancora i familiari rioni di un tempo.
E ora la fiamma ha cambiato forma e natura, si è fatta digitale, invisibile e fredda, ma proprio per questo è ancora più vicina, ci sta addosso e circonda in ogni istante.

27 settembre 2020

Regressione universale

Amos Nattini, Lucifero tricipite nel Cocito

Roma, Unreal City, 27 settembre 2020

Ormai ci è talmente appiccicata addosso questa ideuzza criminale da non potercela più toglier via, come una macchia di crassume dal vestito buono. I discorsi e i sillogismi, persino i più aperti e imparziali, danno per scontato il postulato, inutile girare in tondo, in senso orario e antiorario, in alto o basso; e il postulato è questo: l'umanità che oggi, settembre 2020, respira su questa terra è la migliore possibile. Certo, ha i suoi difetti, però, a ben vedere, lo si ammetta: un qualsiasi belinone del 2020, con tutte le dovute cautele, risulta in media assai più desiderabile d'un abitante della Cappadocia del 1374, delle coste africane del 322 d.C. oppure, cito a caso, dell'Iberia precristiana nel 971 a.C.; per tacere di neolitici, palafitticoli, neandertaliani: chi vorrebbe tornare indietro? Per carità! Sì, ci riteniamo migliori, i migliori. E migliori in che senso? In questo unico miserabile senso: che l'uomo del domani sarà migliore di quello dell'oggi e questi, cioè noi, assai migliori di quelli di ieri; per tacere dell'uomo dell'altroieri, un vero barbaro; un medioevale, addirittura, come se nella Svevia o nella Padania del Mille non fossero vissuti individui sani, pieni, felici. Anche tale aggettivo, medioevale, è infatti ben presente nella zucche postmoderne col suo carico di indesiderabilità.

Sarebbe bene dimenticarlo, l'uomo dello ieri e dell'altroieri, da sostituire con l'utopia del dopodomani: il dopodomani, infatti, sarà ancor migliore, il migliore di sempre, luminoso e ampio, dolce e ultimativo.

Il progresso lavora a fianco dei migliori, con i migliori, alimentato dai migliori. Ogni giorno che passa ci avviciniamo alla civiltà, perfettibile e, fra qualche decennio, assolutamente perfetta.

Mi permetto, però, dopo qualche decennio di frequentazione con i peggiori ceffi letterari e filosofici, di amaramente dissentire da tale più o meno conscia convinzione. La visione giusta, infatti, mi pare l'opposta: l'uomo decade, da sempre.

07 settembre 2020

Noterelle sparse sull'umanità malata

Roma, 7 settembre 2020

Accanto a me, al bar, lontani secondo i gradi di separazione sanciti dal Potere, stazionano due neutrini. Esserini che una volta si sarebbero detti maschio e femmina; si somigliano, invece, nei modi smorti, tenui e indecisi tipici della nostra epoca definitiva; potrebbero giudicarsi riguardosi e gentili se non che le movenze tradiscono, invece, in luogo d’un comportamento dettato da un codice, le languidezze di chi si sta lentamente spegnendo: vocine, mossette, minuscoli trasalimenti. Non vantano carica elettrica, per tale motivo amo soprannominarli, anziché snowflakes, neutrini: privi della personalità individuale che regala profondità e massa critica; aerei, insulsi; fungibili e, perciò, sacrificabili. Da tali insignificanti sbuffi d'aria è impossibile aspettarsi alcunché: una reazione, la rabbia, l'odio, volontà, il raziocinio. Un cubicolo e una poltrona bastano già alla loro mansuefazione; sono i tesorucci, ovvero gli umani ridotti a cani per gli alieni padroni, come si legge in Umanità al guinzaglio di Thomas Disch.

Il barista passa uno straccio imbevuto d’alcool sul banco: un breve effluvio offende le nari della coppia. Lui spalanca la boccuccia, portandosi una mano al petto; lei, forse più ricca d’un sottofondo femminile (ottant'anni di pace favoriscono le gonadi), simula una sorta di anacronistico melodramma: arretra di un passo, quindi di due, la mano destra, arrovesciata, recata alla fronte; il braccio sinistro annaspa all’indietro come a cercare un tendaggio dannunziano, le quinte passionali cui aggrapparsi nel deliquio del momento. La bocca, semiaperta, come Lyda Borelli in L’amor mio non muore, pare interrogare il mondo sul perché di tanta sofferenza; in generale; e, in particolare, pare interrogare l’autore del misfatto, il barista, un poveraccio malmesso, spelacchiato e dai piedi gonfi, alle soglie della pensione e, forse, d'una sincope.

La scena si raggela per un attimo, poi qualche parola è farfugliata, a sciogliere l’imbarazzo. Le scuse, una breve risata nervosa; i neutrini le accettano, certo, e poi si guardan muti, ancora increduli, chiedendosi come fosse stato possibile un oltraggio simile: a quelle latitudini poi, latitudini di viale Liegi, in Roma!

04 agosto 2020

Amico poliziotto, amico carabiniere

Roma, 4 agosto 2020

Amico poliziotto, amico carabiniere,
ti scrivo per dirvi questo: non conti più niente.
Le manganellate, i soprusi, l’odio, l’ordine pubblico, il golpe De Lorenzo, nei secoli fedele, usi a obbedir tacendo, sub lege libertas, indagine su un cittadino al di sopra d’ogni sospetto, la quarta Forza Armata, Genova, c’eravamo tanto pestati, le guardine, il tanfo dei materassi, le sfilate, lo spirito di corpo, quei bravi ragazzi, divise e stellette, il prete e il carabiniere, pane amore e fantasia: addio.
Non conti più niente, solo qualche privilegio ti distingue da noi poveri fessi: gli scivoli, le pensioncine, le indennità, le malattie, le ferie, le spiagge della polizia, le spiagge dei carabinieri, i centri sportivi della polizia, i centri sportivi dei carabinieri.
Privilegi che noi avvertiamo come tali e che anche voi sentite ingiusti pur se, a caval donato dal potere, non si guarda certo nella bocca.
Presto non ci sarete più, sciolti assieme alla poltiglia o alla plebaglia digitale universale. E con voi spariranno i finanzieri, i secondini ... a che pro un finanziere in un mondo che non produce nulla e in cui ogni transazione è controllata automaticamente e immessa in database onniscienti? A che pro i secondini se ogni carcere tenderà a trasformarsi in blando open air?

27 luglio 2020

The influencer

The AIA (American Influencer Award)

Roma, 27 luglio 2020

Mi si chiede cosa penso degli influencer cioè di coloro che, in virtù di qualche casuale combinazione di fattori superficiali (il taglio di capelli, la sciocca facondia, l'esibizione di alcune parti del corpo, l'ostantazione di comportamenti teppistico-trasgressivi) riescono a indirizzare le menti e i desideri del Sudditi Definitivi verso determinati obiettivi commerciali.
Per Sudditi Definitivi intendo quelli che non avranno a disposizione la benché minima risorsa (intellettuale, psicologica, morale) per risollevarsi dal servaggio (definitivo, appunto).
La questione influencer è apparentemente semplice.
L'influencer è, anzitutto, creatura di un influencer, quello vero. Non si spiegherebbe, altrimenti, la popolarità straripante di cui beneficiano individui ipodotati sotto ogni aspetto (intellettuale, psicologico, morale) - una popolarità che attinge, nei disadattati, a vette di autentica adorazione.
La figura dell'influencer richiama irresistibilmente quella delineata dall'art. 643 C.P. sulla circonvenzione d'incapace:

"Chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato d'infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso, è punito et cetera et cetera"

Profitto è parola chiave; indi "bisogni", "passioni", "inesperienza" e, più importante, "stato di deficienza psicologica". La stragrande maggioranza dei giovani europei (leggi: sotto i 35-40 anni) rientra mirabilmente in tale definizione. Sono quasi tutti tecnopueri (minori e minorati poichè deprivati concettualmente e sensorialmente della realtà: deficienti psichici) vantando abilità tecniche di somma inutilità (smartphone, social; non sanno dove si trovano le candele della macchina, però) sommate a una ignoranza radicale dei fenomeni che sovraintendono i meccanismi della vita e del sentimento. Privi di passato, e di quel nerbo capace di attutire i saliscendi dell'esistenza, essi caracollano sul ciglio dell'alienazione fra una piena arroganza psicopatica da narcisi e crolli emotivi e suicidari.
Ma siamo a un livello scoperto.

20 luglio 2020

Anticipazioni del nuovo palinsesto politico (A fundamentis extructa)


Roma, 20 luglio 2020

Cosa colpisce nella foto?
Il palazzo retrostante, ovviamente.
Siamo a piazza Monte Baldo, Roma, quartiere Montesacro.
Come possa il sedicente Comune di Roma piazzare questi paraventi in una zona di buon pregio architettonico non è dato sapere.
Ma così vanno le cose nel secolo Ventunesimo.
A pochi metri da piazza Monte Baldo si trova piazza Sempione, progettata dall'architetto Gustavo Giovannoni assieme a Innocenzo Sabatini. 
Prima che andiate a vedere questo Giovannoni sul web, voglio porre tale domanda: secondo voi, nelle foto d'epoca, Egli porta il cappello, la cravatta, le ghette oppure bermuda e ciabatte? Rispondete subito, istintivamente, e non barate.
Ripetete la prova con Innocenzo Sabatini.
Ma torniamo a noi.
A piazza Sempione si accede per un archetto. Sopra l'archetto, a caratteri capitali, è incisa la locuzione "A fundamentis extructa" cioè tirata su ex novo, come tutto il quartiere-giardino di Montesacro nei dintorni.
Negli anni Venti ancora si progettava sub specie aeternitatis.
Se siete romani non vi esimerete da un'occhiatina alla chiesa dei Santi Angeli Custodi. Confrontate tale edifizio con "Le Vele" di Meyer a Tor Tre Teste o con qualche parto di Fuksas: rispondete istintivamente. Certo, far costruire chiese cristiane a due ebrei non è una scelta ben ponderata: come far dipingere un murale di Francesco Totti a un laziale. E, infatti, queste chiese non sono. Son altro: magazzini? discoteche? sepocri imbiancati? Non voglio farla lunga, però.
Tutte queste bellezze, tuttavia, residuano. Vi sono ancora, le si può apprezzare, appaiono addirittura in buone condizioni, eppure la sensazione precipua di questi anni è che ogni cosa, persino la più bella, venga velata dalla sporcizia, materiale e intellettuale.
Gli angoli più emozionanti della città sono come insudiciati da una proterva e dolosa forma d'abbandono. Monumenti, architetture, colonnati giacciono incompresi e, proprio perché tali, paiono lasciarsi andare a un lento suicidio; quindici mesi fa si suicidò la cattedrale di Notre Dame, ora quella di Nantes.
Nel 2016 scrissi Roma non va governata, va demolita: a fundamentis extructa. E così l'Italia. Se è impossibile farlo, demolirla, non importa: la diagnosi questa è. Le fondamenta, peraltro, esistono ab imis.
C'è poi la questione del cartello. La cannabis libera. Capisco. Sono gli ultimi spintoni alla porta del negazionismo, ormai mangiucchiata dai tarli. Un colpetto e si sfarinerà in un pulviscolo ridanciano. Che bisogno c'è di cercare tali scuse: 350.000 posti di lavoro! L'indotto, signori, l'indotto ...
Son tutti d'accordo, basta spingere la porta con un calcetto ... e allora, perché?
Passo a spiegarlo. C'è, infatti, da tacitare (col trucco) i residui destroidi dell'elettorato. Per questi gonzi è pronta la manfrina, come d'accordo. Eccola qui: il lavoro sporco lo espleteranno la sinistra e i 5S, quindi scoppierà la finta zuffa: Salvini e Meloni a sbraitare sull'impiantito dei coglioni: drogati! Vogliono diseducare i nostri figli! Abbasso la droga, male da estirpare! E via cretineggiando. I sinistrati allora partiranno all'attacco dei finti destri con una campagna social stupida quanto ridicola, in linea col QI di tale generone, prossimo a quello di una mosca chiusa in un barattolo di vetro. Forza Italia manterrà un atteggiamento perbenista, ma defilato, come a dire: fate un po' voi ... Ci sarà gloria anche per Casapound e affini ... numerose glorie dello sport e dello spettacolo interverranno, anche non richieste ... i giornali si riempiranno di gazzarre scientifiche e sociali in cui ognuno dirà tutto e il contrario di tutto. Posatasi la cordite dei fucili a salve (un annetto? due?), avremo finalmente la droga libera, anzi, che dico libera: legalizzata.
Il Programma, insomma, sarà andato avanti. Sinistrati e affini avranno fatto il loro dovere di servi, gli altri allargheranno le braccia, come sempre hanno fatto, trovando le scuse più sciocche e formidabili: "Abbiamo combattuto come leoni, ma le forze preponderanti, cari signori ... non ci lasciano lavorare ... il TAR la magistratura la Corte Costituzionale gli indiani Cicorioni ci avversano in massa ... gettiamo la spugna, ma attenzione! Lo spirto guerrier entro ci rugge! Ecco pronti i banchetti per il referendum! ¡No pasarán! Pardon, non passeranno ...".
E dopo tali dichiarazioni di fuoco, potranno accendersi il bong dell'inazione per una buona pipatina ristoratrice.
Non è ancora iniziato il dibattito e già sono stanco.
La controinformazione ovviamente si dividerà tra controinformati con la canna inastata e gli opposti controinformati irresolubilmente convinti che la destra combatta le loro battaglie ideologiche ... siamo proprio alla frutta ... ma la tecnopuerizia si sazia di tali conflitti del tutto inventati.

16 luglio 2020

Vite che non vale la pena vivere


Roma, 16 luglio 2020

Vado in parrocchia per chiedere lumi su una chiesina sconsacrata, che si trova poco distante. Diroccata, ma di buona fattura e con un affresco a tema francescano dipinto da un pittore religioso di vaglia negli anni Quaranta.
Già so cosa aspettarmi e, come spesso accade, gli eventi non mi stupiscono felicemente. Il capintesta, anzi: il caporione in tonaca, nella cui giurisdizione dovrebbe rientrare l'edifizio, mi liquida, al solito, con vago menefreghismo. Come a dire: una chiesa? E cosa c'entro io? E poi: non vedete che ho a che fare con battesimi e comunioni agostane causa Covid? Non avete nient'altro da fare? Qui mando avanti una parrocchia, non ho tempo per minuzie come la storia del cristianesimo novecentesco!
Naturalmente il dialogo avviene senza punti esclamativi.
Questo è un altro segno peculiare dei tempi: l'assenza di passione.
Il diniego non è mai diretto. Vive di afasie, stanche ipotiposi di mani e braccia, sospiri, sguardi distolti, sbuffi, mugugni prolungati, borbottii, mezze parole inaudibili. Si prova vergogna, in effetti, a mostrare la propria accidia. Una vergogna che coesiste con atti di arroganza liquidatoria che, più che all'interlocutore, sono rivolti all'interiorità. Il disprezzo e il me ne frego, insomma, non sono che disprezzo di sé stessi: a rendere plastica l'evidenza: "Non vedete che è tutto finito? Il mio mondo non esiste più! Sono il passacarte anonimo d'una civiltà ormai a tranci nel discount cosmopolita! Non ho nulla da fare e mi tocca ricorrere a questi trucchetti! Toglietevi di mezzo! Lasciatemi rivoltare nel tiepido brago!".
Le cure burocratiche ... il quotidiano ... l'ex prete, stremato, guarda di fuori. Se non fosse per la pagnotta garantita si spoglierebbe di tutto per ritirarsi in un loculo condominiale dei tanti. Presso un'uscita secondaria, infatti, si sta formando una fila lunga un centinaio di metri. Filippini, slavi, sudamericani; e un paio di famiglie italiane (le si riconosce subito poiché subiscono il disagio: gli altri, invece, compresi i neonati, sembrano a una festa) stan lì a elemosinare un posto per un evento, una volta, gioiosamente italiano: la Comunione, il Battesimo; il matrimonio addirittura!
Il pretonzolo si libera definitivamente della mia importuna curiosità inviandomi presso un famiglio laico che bivacca nella stanza accanto. Eseguo. Sorprendo il giovincello intento a smanettare sul cellulare, la rada barbetta hipster china sul visore, la borsetta a tracolla come una cartuccera guevarista, gli occhi che seguono il filo d'una logica web in grado d'assorbire totalmente l'attenzione. Più che il rumore dell'entrata, avverte la mia presenza, grave e ostile. Alza lo sguardo, spaesato. Non saluta, ovviamente. Io sì, declino per la seconda volta le mie generalità, la causa di tanta impertinenza e reitero la supplica: "Non avete, per caso .... vostri archivi ... foto ... dal 1968 ... documenti ...". Lo sguardo si fa ancora più smarrito; tocca una penna sulla scrivania, poi gira all'intorno gli occhi acquosi, indecisi, a ricercare chissà quale novità in quel bugigattolo polveroso, a giustificare un diversivo minimo che lo sollevi dalla pressione d'una situazione inaspettata e intollerabile. Poi l'atto di coraggio, comune a tutti i burocrati nullafacenti; la voglia di liberarsi dell'intruso stimola le scuse più banali sino alla recisione del rifiuto campato sulle menzogne pù puerili. "Di che anno è la chiesa?", mi domanda. "1945, all'incirca ...". "Ah, va beh ... no, no ... no, non c'è niente ...". "Ma non avete un archivio?". "No". "E dove mettete i documenti?". "Non ci sono più ... lo sapeva padre Isaia, ma è morto da tanto tempo ...". "Qualche foto della fondazione delle parrocchie le avrete?". "No, non le abbiamo, forse il Vicariato ... non conosco nessuno ... mail, non saprei ...". Quindi aggiunge, a seppellire la pretesa: "Non so ... siamo piccoli ... e poi ... non so ... io sono del '96 ...".
"Io sono del '96". Capisco, signori, che voi non mi crediate. È giusto. Così come non avrete creduto a quel dialogo in cui una giovinetta dichiarava che la capitale dell'Inghilterra era la Germania. Eppure è così, siamo entrati nell'incubo, senza accorgercene, e questo incubo non contempla più l'Italia e gli Italiani. Una civiltà annientata in quarant'anni nemmeno. "Io sono del '96 ... " mi cicala l'esserino e mai dichiarazione fu più chiarificatrice. Ne comprendete la portata? Perché il citrullino, qui, cosa vuol dirvi? Questo, semplicemente: che l'interesse suo personale e la storia stessa coincidono col breve cono di luce della propria grama esistenza; ciò che ricade sotto l'imperio degli anni precedenti il 1996 non è degno di menzione, né decisivo; forse non esiste, addirittura. Siamo alla patologia, al solipsismo autistico, all'abolizione di ogni terreno comune, quello che ci fa dialogare e vivere tramite idee senza parole.
Lì per lì ho avuto voglia di insultarlo, mi capita spesso, non so tenermi. Avevo voglia di tirargli uno schiaffo o mandarlo al diavolo davanti a qualche battezzando. E però ... a che servirebbe? Tutta questa gente, esserini, girini umani, lamprede fini a sé stesse, snervati abitatori degli abissi ... Tutta questa gente non dovrebbe mai esser nata. Sono di troppo, carne marcia. Morti in vita, certo, ma pur senzienti che intasano scuole, istituzioni, meriti. Sciaurati che mai fur vivi eppure fanno numero, paccottiglia, ciuffi di pelo nel lavandino. Non servono a niente se non a impedire la vita. A che pro?
Ecco il disagio prodotto dalla democrazia. Ecco, finalmente, rilucente in tutta la verità, l'espressione dannunziana sul diluvio grigio della democrazia e dei lumi progressivi. La regressione civile e la mancanza di libertà vengono instaurate non solo dalla distruzione delle gerarchie e dei centri della sapienza (che sussistono proprio in virtù di tali gerarchie), ma anche dal numero. La voce dei migliori, degli individui razionali, in un ambiente privo di loro pari, viene sommersa dal cicaleccio; e quando, per miracolo, un dei Diecimila riesce a farsi udire traverso la coltre della stupidità, ecco che il Potere eccita il perbenismo sciocco della moltitudine: a deviare, sopire, di nuovo sommergere.

11 luglio 2020

Gli Italiani hanno vissuto AL DI SOTTO delle loro possibilità [Massimo Bordin]

Gian Lorenzo Bernini, La verità svelata dal tempo
Massimo Bordin
 
Uno dei vantaggi del mio lavoro è quello di girare spesso per le grandi città internazionali e di passarci anche diversi giorni, costretto a documentarmi e ad usare i servizi pubblici per risparmiare. Inoltre, caso vuole che alcune città ormai le abbia visitate più e più volte. E’ per questo che posso dire con assoluta serenità che il luogo comune per il quale  “l’Italia è il Paese più bello del mondo” è il più veritiero che ci sia. Non c’entrano un tubo i ricordi personali, gli affetti, l’istinto ed il cordone ombelicale: l’Italia è oggettivamente il Paese più bello del mondo e chi sostiene il contrario è perchè ne ha una conoscenza molto superficiale. Gli stranieri non si permetterebbero mai di dirlo, la stragrande maggioranza lo sa benissimo che il loro luogo d’origine, rispetto all’Italia, è una cloaca, e per quanto nazionalisti possano essere, mai sentirete dire che l’Italia non è bella.

Sono appena tornato da Napoli, città che molti italiani e molti stranieri considerano un immondezzaio invivibile. C’ero stato almeno altre 6 volte. Il turismo del Golfo è quasi tutto straniero: i media hanno detto agli italiani che Napoli è pericolosa, che ti stuprano, che ti scippano coi motorini, che ti imbrogliano di sicuro e che è piena di immondizia. Dunque, al massimo ci si va con la gita della scuola, protetti da professori e touring operator, come fosse una crociera sul Nilo. Da adulti, con i bambini piccoli al seguito, invece, ci vanno quasi esclusivamente americani, inglesi, spagnoli (e chissà come mai)

La realtà è che a Napoli sembra di essere dentro un film e che ogni cosa è di una bellezza irripetibile. La mia guida alla città sotterranea - Francesco - quasi aveva le lacrime agli occhi mentre spiegava come i napoletani di tremila anni fa avessero costruito la città scavando nel tufo fino a 40 metri di profondità e portando blocchi di quintali in superficie, morendo a centinaia, salendo e scendendo nelle viscere della terra senza alcuna sicurezza. Ai Campi Flegrei, a Pompei, al castello del Maschio Angioino, dopo i racconti delle guide, ti dispiace di non essere napoletano. Ti sembra quasi di doverli invidiare. E sono tutte guide che raccontano aneddoti personali, fanno battute, uno si è messo anche a cantare. Al British, al Louvre, al Museo di Sissy, invece, sono solo capaci (al triplo del costo) di rifilarti una fottuta, impersonale e noiosissima audioguida coi numeretti da pigiare.
E ho preso Napoli ad esempio solo perchè l’ho appena visitata e perchè viene dipinta sempre malissimo, ma cosa si potrebbe dire del resto d’italia? Non basterebbero tutti i blog del mondo.

08 luglio 2020

Omaggio a Ennio Morricone & Friends (alla gente piace conoscere le cose a metà)


Roma, 8 luglio 2020

Quando Morricone era già Morricone (e, perciò, morriconeggiante) esisteva un gruppo di avanguardia tra rock e free-jazz chiamato "Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza" o "The Group" o "Gruppo Improvvisazione Nuova Consonanza" in cui si esibiva, alla tromba, fra gli altri, Ennio Morricone.
Il pezzo di cui sopra è tratto da un disco del 1970, The feed-back.
Mi piacerebbe sapere, solo per curiosità, quanti conoscono questa roba. Diamo la formazione:
Bruno Battisti D'Amario, chitarra; John Heineman, piano, trombone, violone; Ennio Morricone, tromba; Mario Bertoncini, voce, tastiere, percussioni; Walter Branchi, basso; Renzo Restuccia; batteria; Egisto Macchi, percussioni.
Egisto Macchi, a esempio, è un genio.
Ma chi se lo impipa?
L'Italia, in quegli anni, debordava di tali individui.
Musicisti in consonanza con la migliore avanguardia tedesca: Darmstadt, Werner Meyer-Eppler, Can, Neu! Questi nomi dicono ancora qualcosa? Pronto? Egisto Macchi (o Restuccia) in questo pezzo evocano o no il motorik dei Neu! O magari no: non sarà che i Neu! sono influenzati da Egisto Macchi? Hello, hello? C'è un Italiano oltre la tastiera?
E le colonne sonore per Dario Argento? Non proprio morriconeggianti. Le ha citate un di questi estensori di epinici da mercatino dell'usato?
L'uccello dalle piume di cristallo. La scena in cui Tony Musante è intrappolato fra le due vetrate. Qualcuno se ne ricorda?
Forse sì forse no.
Ma no, non c'è speranza.