07 dicembre 2020

Ubik

Ewa Aulin in Candy

Unreal City, 7 dicembre 2020

A1. Viaggiando lungo l'autostrada, da Firenze a Roma, si colgono, quasi sovrappensiero, i resti di un paese in via di scomparsa. L'Italia assomiglia, ormai, a un di quegli scheletri dissepolti in qualche cimitero altomedioevale con bisturi e pennello: la figura, un tempo composta e serena nella certezza della gloria oltremondana, appare sconvolta in una posa grottesca: le tibie sconnesse dai femori, la cupola delle coste sbriciolata dall'umidità, le falangi separate le une dalle altre, il cranio scoperchiato, la bocca ricolma di fango. I denti biancheggiano nelle arcate divelte, in uno spasimo di rimprovero. Eppure anche tale misero resto, scomposto come uno dei macabri burattini funebri di Trimalcione, nasconde una storia. Una brocca frantumata, a lato, o un anellino bronzeo, una moneta corrosa, un fragilissimo lacrimatoio.
I lacerti della grandezza italiana mi passano davanti, accerchiati dalla mota della modernità che non ha saputo far altro che distruggere, umiliare e schernire in un tripudio di crassa stupidità e insensatezza.
Ogni tanto un bellissimo casolare antico rapisce l'occhio, a volte scialbato dalle piogge e dall'abbandono, altre corroso dall'incuria o sbriciolato dalla tenacia degli arbusti. In rovina le torri, attraversate da crepe irreversibili, le strette feritoie a testimoniare, mute, la prossima disfatta. Improvvisamente un popolo di edifizi, su una piccola altura, raggrumati come naufraghi, stretti fra loro, entro il ciglio delle rupi di tufo, come ritirati da un mondo che ritengono straniero. Paesi ricchi di una storia maggiore, più vasta di quella di intere nazioni, e però sconnessi dal senso comune che li legava gli uni agli altri: sentieri, leggende, felloni e santi, eretici e conquistatori, chiesine e cappelle rurali; sono ossa d'una più larga e incomprensibile frantumaglia.

A qualche decina di chilometri da Roma l'apparizione mistica di Orte, al tramonto, consola con l'illusione dell'eternità. L'ultimo sole filtra fra la nuvolaglia plumbea a striare d'un giallo spento e dolce i dorsi dei colli, in un fremito di purezza rembrandtiana.
La sera, quindi, cala.
Le sagome di cespugli e alberi imbruniscono, in un verde gelido e cupo, esaltando il profilo contro il tessuto del cielo, di limpidissimo cilestrino. La lunga cresta d'un altura è merlata da ordinati filari di cipressi.
Si potrebbe contemplarle per ore queste sagome, nitide e tranquille; il mistero da loro effuso tocca corde remote, s'allarga, contrasta il caos, dona la forza dell'illusione.
 

BRUXELLES. Il Belgio vieta le messe a Natale. Sorpresi? Joseph Conrad aveva visto lungo in Cuore di tenebra, questo agile breviario del nostro futuro, definendo Bruxelles un sepolcro imbiancato. “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e d’ogni marciume”, ebbe già a dire l’altro Rompitasche.

CHE GUEVARA. Il suo ruolo di ideologo e guerrigliero cedette ben presto il passo a quello di testimonial. Oggi è soprattutto noto per questo. Se reco una maglietta con Guevara testimonio la mia attitudine alla guerriglia antimperialista, pur rimanendo sul divano con le Nike. E va bene. Ma una cosa non avrebbero mai potuto prevedere gli antimperialisti: che gli imperialisti divenissero guevariani. Tanto che, oggi, gli attempati antimperialisti di ieri rimangono spiazzati di fronte a figli e nipoti e pronipoti che non rilevano contraddizione (storica, economica, sociale) nell'associare nababbi e privilegiati al vecchio e ormai putrefatto Che. Kamala Harris e il Che, Gates e il Che, Maradona e il Che ... gli unici a rimanere scettici a fronte della sinistrizzazione del patriziato mondiale sono i sottoproletari metropolitani ... la parte apolitica del mondo: muratori di Trastevere, laotiani, cambogiani, pigmei napoletani, accattoni del Colosseo. Coloro che, dagli antimperialisti alle vongole, erano disprezzati quali lumpenproletariat (a meno che non si prestassero all’internazionalizzazione della rivoluzione sempre lì lì per esplodere: vietcong, indiani cicorioni, katanga e via sghignazzando). A tali rivoluzionari del Terzo Mondo, che in realtà aspiravano a mangiarsi le tartine dell’antimperialista italiano, o a scivolare nelle mutande di qualche guerrigliera dei Parioli, Ricky Gianco dedicò, di striscio, alcuni versi nel suo Compagno sì.

30 novembre 2020

Drowning by numbers (Il Fu Rabal)


 Il Fu Rabal


1.
Appollaiati
su curve che sempre volgono a farsi iperbole,
come pulci festanti baluginano i numeri
negli schermi iridescenti del tramonto pixelelico.

2.
Numeri primi, numeri sovrani, numeri frazionari, nascosti negli anfratti, acquattati negli algoritmi, saltimbanchi burloni, cha appaiono e scompaiono, si sommano e si sottraggono, numeri integrali o ammortizzati da interessi compositi e indici d’incidenza … perché ci vuole pazienza a non perdere la speranza.

Numeri che traboccano, numeri casuali, numeri di casi, numeri irrazionali o peggio immaginari, numeri sonori, statistici o melodici, numeri indecenti o preoccupanti, numeri ufficiali, numeri verificati, li abbiamo contati tutti, a volte anche più di tutti …
perché’ li si deve rispettare anche se sono brutti.

Numeri votati, numeri vuoti, numeri positivi, numeri d’eccezione, numeri d’elezione, numeri assenti, numeri postali, numeri annacquati, numeri lievitati, numeri solidi che trotterellano nella corrente, i numeri che conti, ogni numero conta, numeri scartati e numeri solidali …
Perché nel mondo dei numeri non si è mai soli.

Così dolcemente annegando ci si annota, con un involontario moto della mente, che l’universo può essere racchiuso in un numeretto, tutti gli atomi del cosmo contabilizzati con un dieci elevato a unapotenza, ogni creatura scomposta e ricomposta nei suoi valori essenziali.
Perché stupirsi che le nostre vite vengano codificate in banche dati di alternanti “uno” e “zero”, il numero di Dio e quello del Nulla? Perché’ stupirsi che la marea dei numeri che sembra travolgerci venga abbracciata da questa meta-umanità con copioso entusiasmo al numeratore e flebilissima renitenza al denominatore? I numeri ci salvano, ci viene detto, la perfetta contabilizzazione dei moti dell’animo e delle sue radici quadrate, è preludio alla perfetta definizione della vita e ad una più alta considerazione della decomposizione.

Intermezzo

Ci si adagia su cumuli di sciocchezze, che piovono a desta e a manca, su menzogne cosi trite che ne resta solo lo scheletro da imbellire con rutilanti improvvisazioni, nulla resta della logica e del senso, dacché ogni discorso è confluito nel dolce declivio dell’idiozia.

18 novembre 2020

I nostri carnefici

Unreal City, 18 novembre 2020

Io non ho nulla di cui dire: è mio
lontani e morti sono i miei cari
più nessuna voce
il mio compito sulla terra è finito
oscuramente
solo
vago per la mia patria che mi sta come sepolta intorno
ma tu risplendi ancora .. sole! .. del cielo!

Friedrich Hölderlin


Non ho nulla da aggiungere alla frase dell’11 marzo: “Il coronavirus serve a modellare la società del futuro. Meglio: è un esperimento sociale che inizia a modellare, definitivamente, la società del futuro”.

L'epoca che stiamo vivendo non merita commento. L'esistenza e la stessa intelligenza dei fenomeni viene frantumata in minuscole e irrilevanti questioncelle. Il Potere inventa alcuni nomi (Gimbe, lockdown) e una manciata di burattini: si passa il tempo, si spreca quel poco di razionalità residua per contrastarli, discriminarli, dissezionarli ... il risultato, vano, è sotto gli occhi di tutti.

Ciò che sta più a cuore al Potere è il chiacchiericcio insulso. Per questo viene saturato l'etere di formidabili provocazioni e sesquipedali scemenze: la malia di tali esche cattura subito l'attenzione, per l'illogica enormità ivi posta, e induce a scannarsi per ore e giorni, sfinendosi, a ricercare quell'appunto, quel link, quella versione della favola, quel ricordo.

Le elezioni americane? Sono false da quel dì, esattamente come in Italia, ma si deve passare il tempo libero a elaborare tabulati, a scremare dichiarazioni, a tarare opinioni, in una ridda scomposta in cui ognuno accusa l'altro, o trae a sé stesso l'alleato più improbabile a seconda delle convenienze meschine del momento. Alla fine il nucleo incandescente dell'inganno (la democrazia elettiva quale falsa auctorictas popolare su decisioni già precedentemente ratificate sine populo) rimane fuori da ogni considerazione.

Lo stesso dicasi per la geopolitica, questo Risiko che mai ha spiegato qualcosa.

03 novembre 2020

Italia sacra


Unreal City, 3 novembre 2020

Non ho più voglia di fare alcunché.
È bastata un'influenza stagionale per distruggere i monconi di ciò che sopravviveva.
L'Italia è finita.

Come trovare stimoli?
Italia. Significa ancora qualcosa per voi?
Italia. Fate risuonare le sei lettere quando siete soli. Sillabate. A mezza bocca. Sussurrate. Lentamente, nel silenzio atterrito dell'Italia, ripetete questo nome sin a perderne i contorni più crassi e auscultarne il primevo tintinnio.
Italia.
Ancora.
Italia.
L'Italia non è certo un toponimo, nemmeno un paese; tutto fuorché una nazione.
L'Italia regge l'Occidente, quindi il mondo intero.
L'Italia è un katechon essa stessa, l'ultimo, assieme alla Russia, la terza Roma, a Bisanzio, la seconda Roma, e a Tehran, perno attorno a cui ruota la Mesopotamia e il principio della storia.

Italia. Dicono che l'Italia è bella. L'Italia è bella!, cicalano i patrioti un tanto al chilo. Sbagliando, ovviamente, perché sono dei cretini senza rimedio.
L'Italia è bella perché l'hanno resa tale.
Ci si stupisce della candida bellezza di basiliche, templi, iscrizioni; ci si sofferma estasiati davanti a panorami - definitivi - di quattrocentesca malia. Ruscelli, declivi, colli, sentieri, filari, cipressi, muriccioli, grotte, dirupi. Cos'è tale nervatura d'un corpo immane se non il prodotto dell'amore di chi ha qui vissuto? Credete davvero che le dolci curve che avvolgono a spirale il colle fortificato d'una città medioevale abbiano quel percorso o stiano lì per decisione di un architetto comunale?

L'Italia fu modellata nei millenni. Persino un macigno anonimo appartiene al piano della bellezza elaborato da alcuni uomini, gli antiqui huomini. Abbattere sin un muricciolo è davvero un sacrilegio poiché esso venne costruito avendo in mente un piano sacro. Confini, pomerii, fondamenta, orientamenti, coltivazioni, tutto obbediva alle leggi che governano l'universo, in ossequio alla totalità, a ciò che sta.
Ecco perché l'Italia è bella.
È bastato consegnarla nelle mani della democrazia elettiva per deturparla orrendamente. Lastricati di tremila anni su cui decide un geometra di paese ... Regolarmente eletto, quindi, secondo il marcio sentimento di egalitè e libertè, sacro.
E invece no. La democrazia è sacra solo in un mondo dissacrato, in un mondo al contrario. La democrazia elettiva è un gioco di parole, sciocco, con cui vi hanno convinto che la libertà e la giustizia sono state concepite, di tutto punto, come Minerva armata dal cranio di Zeus, negli ultimi secoli.

Vi dono l'unica etica possibile per il Ventunesimo Secolo.
Diventate dei katechon, voi stessi.
Ricordate il finale di Fahrenheit 451? Gli uomini divengono libri. La metafora di Bradbury è stata subito interpretata in tal modo: leggete! Oppure: la dittatura conculca la letturatura, la conoscenza, la scienza. Questo è un inno alla libertà e alla cultura! La minestra la riscaldano sempre al fuoco lento della superficialità: si può essere più stupidi di così?

Ecco, invece, la morale del romanzo, che si erge  - ineluttabile e profetica - di fronte a noi, che lo abbia voluto l'autore o meno. Questa: divenire qualcosa di ordinato, di strutturato, di sensato (un libro a esempio) significa opporsi alla dissoluzione. Ecco l'etica. Cosa rappresentano Cime tempestose di Emily Bronte, le Rime di Guido Guinizzelli, i libri euclidei o l'Imitatio Christi se non uno sforzo, titanico, da parte di individui sacri (poeti santi sapienti) di fermare l'inevitabile entropia che dilaga a dissolvere, distruggere, schiantare il senso, umiliare la forma?

15 ottobre 2020

Una breve nota

 

Mi si chiede: ma perché vuoi imporre l'account google che ci chiede il telefono e coarta la nostra ansia di libertà?
Ma io nulla impongo.
Purtroppo, a suo tempo, essendo inetto alle sofisticazioni digitali, scelsi, per comodità, blogger.
Blogger di Google.
Blogger (di Google) permette solo tre tipi di commenti: 

1. Anonimi
2. Chi possiede un account Google
3. Solo membri del blog

Poiché non ho voglia di passare mezz'ora al giorno a scremare i cretini anonimi ho scelto la seconda opzione.


L'altro giorno ho cercato di crearmi un'identità digitale per il futuro e inevitabile SPID.
Mi ha richiesto (un'azienda privata): carta identità - tessera sanitaria - account mail (con password) - numero cellulare - un simbolico bonifico (di pochi centesimi, tanto per avere pure l'IBAN) - giuramento video in sette passi.
Fra poco tutti - e dico tutti - saranno costretti a questa trafila. Prima o poi. Ci si intende ancora? Pronto? Siete nella realtà del Nuovo Mondo?

888immuni [Il Poliscriba]

Il Poliscriba

Approfitta della guerra ragazzo, perché la pace sarà terribile”.

Non so sgravare la gente del male di vivere, perché non sono una levatrice.
Mi si chiede di scrivere qualcosa di più leggero, ameno: sono attratto dalle coincidenze, non per forza significative.

Età carolingia. La diffusione dell'immunità in età carolingia si spiega non con una volontà di rinuncia alle proprie prerogative da parte del potere pubblico, come si è scritto in passato, bensì con il tentativo da parte del potere centrale di rafforzare la potenza sacrale dello Stato.

Immunità. E se lo Stato coincide con il mondo intero, oggi, l’immunità sanitaria che trae origine e forza da quella politica di età carolingia, coincide con il rafforzamento della sostituzione dell’oggetto di culto religioso con l’oggetto puramente laico, e affermo, puramente, con lo stesso identico significato di purezza condannato, quando fu e non sarà mai più pensiero predominante dei cultori di un ritorno all’ariogermanesimo ottocentesco.
L’immunità promette una protezione, una separazione, una filtrazione sociale, biopolitica… promette... non mantiene.

Officium hospitalitatis.  Fin dal 793 Carlo Magno inserì fra i doveri del sovrano anche tale uffizio. Gli ospedali sono inoltre studiati, nella medievalistica, come perni di organizzazione del territorio e della viabilità (si pensi agli ospedali sorti nei pressi delle strade o dei ponti, preposti non solo all’accoglienza dei viaggiatori ma anche alla manutenzione delle strutture di passaggio e di valico); come centri di gestione patrimoniale (grazie a lasciti e donazioni numerosi ospedali divennero grandi proprietari fondiari e gestori di capitali mobili, assumendo in certi casi la funzione di monti di deposito e di prestito); e, ancora, come fulcro dell’incontro fra chiese e autorità civili locali nel momento in cui si dovevano fronteggiare problemi come il pauperismo, le ondate epidemiche, e si voleva mettere mano a politiche non solo sanitarie e di ordine e decoro pubblico, ma anche di rafforzamento del potere e della sua immagine; dal momento che, infine, la carica di ministro ospedaliero era di fatto considerata alla stregua di un beneficio ecclesiastico.

Ospedali sotto l’egida del COVID-19. I malati sono questione statale, i parenti stiano fuori, non infettino e non si infettino. All’occorenza vi consegneremo le ceneri dei vostri cari. State buoni se potete; morirete di salute e per la salute. Égalité, fraternité (fratelli tutti secondo bergogliana enciclica) e santé.

10 ottobre 2020

Il vestaglione di Bagnai


Unreal City, 10 ottobre 2020

Alberto Bagnai si sta accorgendo, pian piano, della realtà.
Non di quella oggettiva, gnoseologicamente rilevante, netta e filosofica, bensì di quella vischiosa, meschina, mediocre, luciferina; che induce allo sbalordimento, indi alla rassegnazione disperante, le anime migliori.

Un blog è uno dei modi per esternare (o espettorare, secondo le multiformi varietà dello spirito) il proprio sé, l’inconscio (più o meno in-conscio) sentimento o di superiorità o di inadeguatezza o di fallimento nella vita quotidiana.

Bagnai, attraverso il blog, con un misto di albagia, lepidezza e arroganza, ha costruito un affascinante Golem del suo pensiero; mentre, probabilmente, tentava vago i tasti del clavicembalo: un pizzico di ennui a colare sulla plebaglia in ascolto; d’altra parte è giusto così: i migliori danno il tempo, o i tempi; gli altri remano.

Purtroppo il digitale ha questo difetto: i capi, o coloro che raggiungono la visibilità, o la popolarità apparente (oh, quanto apparente!) non provengono, per merito (un qualsiasi tipo di merito: virilità, bellezza, forza, astuzia), dalla plebaglia, da cui si distinguono, o dal fiore dell’aristocrazia (che una volta era plebaglia, ovviamente); i migliori del digitale sono figurine imposte dal digitale stesso, che interagiscono con i trucchi del digitale, sfruttandolo vogliosamente (facebook, twitter ...): per questo vengono riconosciuti esclusivamente dal web e da simili ectoplasmi del web; finché, ahiloro, la turba lurca e stracciona li accerchia e allora si rendono conto dell'impossibilità d'ogni agire.

Io stesso, come accennai in non so più quale post, faccio parte di tale consesso. Mi considero, inoltre, un traditore; così come l'Inca Garcilaso de la Vega scrisse in spagnolo (la lingua dei dominatori) la storia del proprio popolo trucidato, così Alceste si serve della lingua dei dominatori (google) per tradurre in versi prosaici il massacro di ciò che amava. E, tuttavia, a differenza dei molti, ho almeno contezza di tale inganno, e lo soffro; perseguo in esso solo per voglia di cronaca: per l’ansia di documentare, più a me stesso che ad altri, lo sfacelo; si può morire in un ansimo di fierezza.

08 ottobre 2020

Quando la casa brucia [Giorgio Agamben]

 

Grazie al lettore "Sconosciuto" che mi ha consigliato questo scritto. Ve lo propongo con piacere.

 di Giorgio Agamben

«Tutto quello che faccio non ha senso, se la casa brucia». Eppure proprio mentre la casa brucia occorre continuare come sempre, fare tutto con cura e precisione, forse ancora più studiosamente – anche se nessuno dovesse accorgersene. Può darsi che la vita sparisca dalla terra, che nessuna memoria resti di quello che è stato fatto, nel bene e nel male. Ma tu continua come prima, è tardi per cambiare, non c’è più tempo.

«Quel che accade intorno a te / non è più affar tuo». Come la geografia di un paese che devi lasciare per sempre. Eppure in che modo ancora ti riguarda? Proprio ora che non è più affar tuo, che tutto sembra finito, ogni cosa e ogni luogo appaiono nella loro veste più vera, ti toccano in qualche modo più da vicino – così come sono: splendore e miseria.

La filosofia, lingua morta. «La lingua dei poeti è sempre una lingua morta… curioso a dirsi: lingua morta che si usa a dar maggior vita al pensiero». Forse non una lingua morta, ma un dialetto. Che filosofia e poesia parlino in una lingua che è più meno della lingua, questo dà la misura del loro rango, della loro speciale vitalità. Pesare, giudicare il mondo commisurandolo a un dialetto, a una lingua morta e, tuttavia, sorgiva, dove non c’è da cambiare nemmeno una virgola. Continua a parlare questo dialetto, ora che la casa brucia.

Quale casa sta bruciando? Il paese dove vivi o l’Europa o il mondo intero? Forse le case, le città sono già bruciate, non sappiamo da quanto tempo, in un unico immenso rogo, che abbiamo finto di non vedere. Di alcune restano solo dei pezzi di muro, una parete affrescata, un lembo del tetto, dei nomi, moltissimi nomi, già morsi dal fuoco. E, tuttavia, li ricopriamo così accuratamente con intonachi bianchi e parole mendaci, che sembrano intatti. Viviamo in case, in città arse da cima a fondo come se stessero ancora in piedi, la gente finge di abitarci ed esce per strada mascherata fra le rovine quasi fossero ancora i familiari rioni di un tempo.
E ora la fiamma ha cambiato forma e natura, si è fatta digitale, invisibile e fredda, ma proprio per questo è ancora più vicina, ci sta addosso e circonda in ogni istante.

27 settembre 2020

Regressione universale

Amos Nattini, Lucifero tricipite nel Cocito

Roma, Unreal City, 27 settembre 2020

Ormai ci è talmente appiccicata addosso questa ideuzza criminale da non potercela più toglier via, come una macchia di crassume dal vestito buono. I discorsi e i sillogismi, persino i più aperti e imparziali, danno per scontato il postulato, inutile girare in tondo, in senso orario e antiorario, in alto o basso; e il postulato è questo: l'umanità che oggi, settembre 2020, respira su questa terra è la migliore possibile. Certo, ha i suoi difetti, però, a ben vedere, lo si ammetta: un qualsiasi belinone del 2020, con tutte le dovute cautele, risulta in media assai più desiderabile d'un abitante della Cappadocia del 1374, delle coste africane del 322 d.C. oppure, cito a caso, dell'Iberia precristiana nel 971 a.C.; per tacere di neolitici, palafitticoli, neandertaliani: chi vorrebbe tornare indietro? Per carità! Sì, ci riteniamo migliori, i migliori. E migliori in che senso? In questo unico miserabile senso: che l'uomo del domani sarà migliore di quello dell'oggi e questi, cioè noi, assai migliori di quelli di ieri; per tacere dell'uomo dell'altroieri, un vero barbaro; un medioevale, addirittura, come se nella Svevia o nella Padania del Mille non fossero vissuti individui sani, pieni, felici. Anche tale aggettivo, medioevale, è infatti ben presente nella zucche postmoderne col suo carico di indesiderabilità.

Sarebbe bene dimenticarlo, l'uomo dello ieri e dell'altroieri, da sostituire con l'utopia del dopodomani: il dopodomani, infatti, sarà ancor migliore, il migliore di sempre, luminoso e ampio, dolce e ultimativo.

Il progresso lavora a fianco dei migliori, con i migliori, alimentato dai migliori. Ogni giorno che passa ci avviciniamo alla civiltà, perfettibile e, fra qualche decennio, assolutamente perfetta.

Mi permetto, però, dopo qualche decennio di frequentazione con i peggiori ceffi letterari e filosofici, di amaramente dissentire da tale più o meno conscia convinzione. La visione giusta, infatti, mi pare l'opposta: l'uomo decade, da sempre.

07 settembre 2020

Noterelle sparse sull'umanità malata

Roma, 7 settembre 2020

Accanto a me, al bar, lontani secondo i gradi di separazione sanciti dal Potere, stazionano due neutrini. Esserini che una volta si sarebbero detti maschio e femmina; si somigliano, invece, nei modi smorti, tenui e indecisi tipici della nostra epoca definitiva; potrebbero giudicarsi riguardosi e gentili se non che le movenze tradiscono, invece, in luogo d’un comportamento dettato da un codice, le languidezze di chi si sta lentamente spegnendo: vocine, mossette, minuscoli trasalimenti. Non vantano carica elettrica, per tale motivo amo soprannominarli, anziché snowflakes, neutrini: privi della personalità individuale che regala profondità e massa critica; aerei, insulsi; fungibili e, perciò, sacrificabili. Da tali insignificanti sbuffi d'aria è impossibile aspettarsi alcunché: una reazione, la rabbia, l'odio, volontà, il raziocinio. Un cubicolo e una poltrona bastano già alla loro mansuefazione; sono i tesorucci, ovvero gli umani ridotti a cani per gli alieni padroni, come si legge in Umanità al guinzaglio di Thomas Disch.

Il barista passa uno straccio imbevuto d’alcool sul banco: un breve effluvio offende le nari della coppia. Lui spalanca la boccuccia, portandosi una mano al petto; lei, forse più ricca d’un sottofondo femminile (ottant'anni di pace favoriscono le gonadi), simula una sorta di anacronistico melodramma: arretra di un passo, quindi di due, la mano destra, arrovesciata, recata alla fronte; il braccio sinistro annaspa all’indietro come a cercare un tendaggio dannunziano, le quinte passionali cui aggrapparsi nel deliquio del momento. La bocca, semiaperta, come Lyda Borelli in L’amor mio non muore, pare interrogare il mondo sul perché di tanta sofferenza; in generale; e, in particolare, pare interrogare l’autore del misfatto, il barista, un poveraccio malmesso, spelacchiato e dai piedi gonfi, alle soglie della pensione e, forse, d'una sincope.

La scena si raggela per un attimo, poi qualche parola è farfugliata, a sciogliere l’imbarazzo. Le scuse, una breve risata nervosa; i neutrini le accettano, certo, e poi si guardan muti, ancora increduli, chiedendosi come fosse stato possibile un oltraggio simile: a quelle latitudini poi, latitudini di viale Liegi, in Roma!

04 agosto 2020

Amico poliziotto, amico carabiniere

Roma, 4 agosto 2020

Amico poliziotto, amico carabiniere,
ti scrivo per dirvi questo: non conti più niente.
Le manganellate, i soprusi, l’odio, l’ordine pubblico, il golpe De Lorenzo, nei secoli fedele, usi a obbedir tacendo, sub lege libertas, indagine su un cittadino al di sopra d’ogni sospetto, la quarta Forza Armata, Genova, c’eravamo tanto pestati, le guardine, il tanfo dei materassi, le sfilate, lo spirito di corpo, quei bravi ragazzi, divise e stellette, il prete e il carabiniere, pane amore e fantasia: addio.
Non conti più niente, solo qualche privilegio ti distingue da noi poveri fessi: gli scivoli, le pensioncine, le indennità, le malattie, le ferie, le spiagge della polizia, le spiagge dei carabinieri, i centri sportivi della polizia, i centri sportivi dei carabinieri.
Privilegi che noi avvertiamo come tali e che anche voi sentite ingiusti pur se, a caval donato dal potere, non si guarda certo nella bocca.
Presto non ci sarete più, sciolti assieme alla poltiglia o alla plebaglia digitale universale. E con voi spariranno i finanzieri, i secondini ... a che pro un finanziere in un mondo che non produce nulla e in cui ogni transazione è controllata automaticamente e immessa in database onniscienti? A che pro i secondini se ogni carcere tenderà a trasformarsi in blando open air?

27 luglio 2020

The influencer

The AIA (American Influencer Award)

Roma, 27 luglio 2020

Mi si chiede cosa penso degli influencer cioè di coloro che, in virtù di qualche casuale combinazione di fattori superficiali (il taglio di capelli, la sciocca facondia, l'esibizione di alcune parti del corpo, l'ostantazione di comportamenti teppistico-trasgressivi) riescono a indirizzare le menti e i desideri del Sudditi Definitivi verso determinati obiettivi commerciali.
Per Sudditi Definitivi intendo quelli che non avranno a disposizione la benché minima risorsa (intellettuale, psicologica, morale) per risollevarsi dal servaggio (definitivo, appunto).
La questione influencer è apparentemente semplice.
L'influencer è, anzitutto, creatura di un influencer, quello vero. Non si spiegherebbe, altrimenti, la popolarità straripante di cui beneficiano individui ipodotati sotto ogni aspetto (intellettuale, psicologico, morale) - una popolarità che attinge, nei disadattati, a vette di autentica adorazione.
La figura dell'influencer richiama irresistibilmente quella delineata dall'art. 643 C.P. sulla circonvenzione d'incapace:

"Chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato d'infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso, è punito et cetera et cetera"

Profitto è parola chiave; indi "bisogni", "passioni", "inesperienza" e, più importante, "stato di deficienza psicologica". La stragrande maggioranza dei giovani europei (leggi: sotto i 35-40 anni) rientra mirabilmente in tale definizione. Sono quasi tutti tecnopueri (minori e minorati poichè deprivati concettualmente e sensorialmente della realtà: deficienti psichici) vantando abilità tecniche di somma inutilità (smartphone, social; non sanno dove si trovano le candele della macchina, però) sommate a una ignoranza radicale dei fenomeni che sovraintendono i meccanismi della vita e del sentimento. Privi di passato, e di quel nerbo capace di attutire i saliscendi dell'esistenza, essi caracollano sul ciglio dell'alienazione fra una piena arroganza psicopatica da narcisi e crolli emotivi e suicidari.
Ma siamo a un livello scoperto.

20 luglio 2020

Anticipazioni del nuovo palinsesto politico (A fundamentis extructa)


Roma, 20 luglio 2020

Cosa colpisce nella foto?
Il palazzo retrostante, ovviamente.
Siamo a piazza Monte Baldo, Roma, quartiere Montesacro.
Come possa il sedicente Comune di Roma piazzare questi paraventi in una zona di buon pregio architettonico non è dato sapere.
Ma così vanno le cose nel secolo Ventunesimo.
A pochi metri da piazza Monte Baldo si trova piazza Sempione, progettata dall'architetto Gustavo Giovannoni assieme a Innocenzo Sabatini. 
Prima che andiate a vedere questo Giovannoni sul web, voglio porre tale domanda: secondo voi, nelle foto d'epoca, Egli porta il cappello, la cravatta, le ghette oppure bermuda e ciabatte? Rispondete subito, istintivamente, e non barate.
Ripetete la prova con Innocenzo Sabatini.
Ma torniamo a noi.
A piazza Sempione si accede per un archetto. Sopra l'archetto, a caratteri capitali, è incisa la locuzione "A fundamentis extructa" cioè tirata su ex novo, come tutto il quartiere-giardino di Montesacro nei dintorni.
Negli anni Venti ancora si progettava sub specie aeternitatis.
Se siete romani non vi esimerete da un'occhiatina alla chiesa dei Santi Angeli Custodi. Confrontate tale edifizio con "Le Vele" di Meyer a Tor Tre Teste o con qualche parto di Fuksas: rispondete istintivamente. Certo, far costruire chiese cristiane a due ebrei non è una scelta ben ponderata: come far dipingere un murale di Francesco Totti a un laziale. E, infatti, queste chiese non sono. Son altro: magazzini? discoteche? sepocri imbiancati? Non voglio farla lunga, però.
Tutte queste bellezze, tuttavia, residuano. Vi sono ancora, le si può apprezzare, appaiono addirittura in buone condizioni, eppure la sensazione precipua di questi anni è che ogni cosa, persino la più bella, venga velata dalla sporcizia, materiale e intellettuale.
Gli angoli più emozionanti della città sono come insudiciati da una proterva e dolosa forma d'abbandono. Monumenti, architetture, colonnati giacciono incompresi e, proprio perché tali, paiono lasciarsi andare a un lento suicidio; quindici mesi fa si suicidò la cattedrale di Notre Dame, ora quella di Nantes.
Nel 2016 scrissi Roma non va governata, va demolita: a fundamentis extructa. E così l'Italia. Se è impossibile farlo, demolirla, non importa: la diagnosi questa è. Le fondamenta, peraltro, esistono ab imis.
C'è poi la questione del cartello. La cannabis libera. Capisco. Sono gli ultimi spintoni alla porta del negazionismo, ormai mangiucchiata dai tarli. Un colpetto e si sfarinerà in un pulviscolo ridanciano. Che bisogno c'è di cercare tali scuse: 350.000 posti di lavoro! L'indotto, signori, l'indotto ...
Son tutti d'accordo, basta spingere la porta con un calcetto ... e allora, perché?
Passo a spiegarlo. C'è, infatti, da tacitare (col trucco) i residui destroidi dell'elettorato. Per questi gonzi è pronta la manfrina, come d'accordo. Eccola qui: il lavoro sporco lo espleteranno la sinistra e i 5S, quindi scoppierà la finta zuffa: Salvini e Meloni a sbraitare sull'impiantito dei coglioni: drogati! Vogliono diseducare i nostri figli! Abbasso la droga, male da estirpare! E via cretineggiando. I sinistrati allora partiranno all'attacco dei finti destri con una campagna social stupida quanto ridicola, in linea col QI di tale generone, prossimo a quello di una mosca chiusa in un barattolo di vetro. Forza Italia manterrà un atteggiamento perbenista, ma defilato, come a dire: fate un po' voi ... Ci sarà gloria anche per Casapound e affini ... numerose glorie dello sport e dello spettacolo interverranno, anche non richieste ... i giornali si riempiranno di gazzarre scientifiche e sociali in cui ognuno dirà tutto e il contrario di tutto. Posatasi la cordite dei fucili a salve (un annetto? due?), avremo finalmente la droga libera, anzi, che dico libera: legalizzata.
Il Programma, insomma, sarà andato avanti. Sinistrati e affini avranno fatto il loro dovere di servi, gli altri allargheranno le braccia, come sempre hanno fatto, trovando le scuse più sciocche e formidabili: "Abbiamo combattuto come leoni, ma le forze preponderanti, cari signori ... non ci lasciano lavorare ... il TAR la magistratura la Corte Costituzionale gli indiani Cicorioni ci avversano in massa ... gettiamo la spugna, ma attenzione! Lo spirto guerrier entro ci rugge! Ecco pronti i banchetti per il referendum! ¡No pasarán! Pardon, non passeranno ...".
E dopo tali dichiarazioni di fuoco, potranno accendersi il bong dell'inazione per una buona pipatina ristoratrice.
Non è ancora iniziato il dibattito e già sono stanco.
La controinformazione ovviamente si dividerà tra controinformati con la canna inastata e gli opposti controinformati irresolubilmente convinti che la destra combatta le loro battaglie ideologiche ... siamo proprio alla frutta ... ma la tecnopuerizia si sazia di tali conflitti del tutto inventati.

16 luglio 2020

Vite che non vale la pena vivere


Roma, 16 luglio 2020

Vado in parrocchia per chiedere lumi su una chiesina sconsacrata, che si trova poco distante. Diroccata, ma di buona fattura e con un affresco a tema francescano dipinto da un pittore religioso di vaglia negli anni Quaranta.
Già so cosa aspettarmi e, come spesso accade, gli eventi non mi stupiscono felicemente. Il capintesta, anzi: il caporione in tonaca, nella cui giurisdizione dovrebbe rientrare l'edifizio, mi liquida, al solito, con vago menefreghismo. Come a dire: una chiesa? E cosa c'entro io? E poi: non vedete che ho a che fare con battesimi e comunioni agostane causa Covid? Non avete nient'altro da fare? Qui mando avanti una parrocchia, non ho tempo per minuzie come la storia del cristianesimo novecentesco!
Naturalmente il dialogo avviene senza punti esclamativi.
Questo è un altro segno peculiare dei tempi: l'assenza di passione.
Il diniego non è mai diretto. Vive di afasie, stanche ipotiposi di mani e braccia, sospiri, sguardi distolti, sbuffi, mugugni prolungati, borbottii, mezze parole inaudibili. Si prova vergogna, in effetti, a mostrare la propria accidia. Una vergogna che coesiste con atti di arroganza liquidatoria che, più che all'interlocutore, sono rivolti all'interiorità. Il disprezzo e il me ne frego, insomma, non sono che disprezzo di sé stessi: a rendere plastica l'evidenza: "Non vedete che è tutto finito? Il mio mondo non esiste più! Sono il passacarte anonimo d'una civiltà ormai a tranci nel discount cosmopolita! Non ho nulla da fare e mi tocca ricorrere a questi trucchetti! Toglietevi di mezzo! Lasciatemi rivoltare nel tiepido brago!".
Le cure burocratiche ... il quotidiano ... l'ex prete, stremato, guarda di fuori. Se non fosse per la pagnotta garantita si spoglierebbe di tutto per ritirarsi in un loculo condominiale dei tanti. Presso un'uscita secondaria, infatti, si sta formando una fila lunga un centinaio di metri. Filippini, slavi, sudamericani; e un paio di famiglie italiane (le si riconosce subito poiché subiscono il disagio: gli altri, invece, compresi i neonati, sembrano a una festa) stan lì a elemosinare un posto per un evento, una volta, gioiosamente italiano: la Comunione, il Battesimo; il matrimonio addirittura!
Il pretonzolo si libera definitivamente della mia importuna curiosità inviandomi presso un famiglio laico che bivacca nella stanza accanto. Eseguo. Sorprendo il giovincello intento a smanettare sul cellulare, la rada barbetta hipster china sul visore, la borsetta a tracolla come una cartuccera guevarista, gli occhi che seguono il filo d'una logica web in grado d'assorbire totalmente l'attenzione. Più che il rumore dell'entrata, avverte la mia presenza, grave e ostile. Alza lo sguardo, spaesato. Non saluta, ovviamente. Io sì, declino per la seconda volta le mie generalità, la causa di tanta impertinenza e reitero la supplica: "Non avete, per caso .... vostri archivi ... foto ... dal 1968 ... documenti ...". Lo sguardo si fa ancora più smarrito; tocca una penna sulla scrivania, poi gira all'intorno gli occhi acquosi, indecisi, a ricercare chissà quale novità in quel bugigattolo polveroso, a giustificare un diversivo minimo che lo sollevi dalla pressione d'una situazione inaspettata e intollerabile. Poi l'atto di coraggio, comune a tutti i burocrati nullafacenti; la voglia di liberarsi dell'intruso stimola le scuse più banali sino alla recisione del rifiuto campato sulle menzogne pù puerili. "Di che anno è la chiesa?", mi domanda. "1945, all'incirca ...". "Ah, va beh ... no, no ... no, non c'è niente ...". "Ma non avete un archivio?". "No". "E dove mettete i documenti?". "Non ci sono più ... lo sapeva padre Isaia, ma è morto da tanto tempo ...". "Qualche foto della fondazione delle parrocchie le avrete?". "No, non le abbiamo, forse il Vicariato ... non conosco nessuno ... mail, non saprei ...". Quindi aggiunge, a seppellire la pretesa: "Non so ... siamo piccoli ... e poi ... non so ... io sono del '96 ...".
"Io sono del '96". Capisco, signori, che voi non mi crediate. È giusto. Così come non avrete creduto a quel dialogo in cui una giovinetta dichiarava che la capitale dell'Inghilterra era la Germania. Eppure è così, siamo entrati nell'incubo, senza accorgercene, e questo incubo non contempla più l'Italia e gli Italiani. Una civiltà annientata in quarant'anni nemmeno. "Io sono del '96 ... " mi cicala l'esserino e mai dichiarazione fu più chiarificatrice. Ne comprendete la portata? Perché il citrullino, qui, cosa vuol dirvi? Questo, semplicemente: che l'interesse suo personale e la storia stessa coincidono col breve cono di luce della propria grama esistenza; ciò che ricade sotto l'imperio degli anni precedenti il 1996 non è degno di menzione, né decisivo; forse non esiste, addirittura. Siamo alla patologia, al solipsismo autistico, all'abolizione di ogni terreno comune, quello che ci fa dialogare e vivere tramite idee senza parole.
Lì per lì ho avuto voglia di insultarlo, mi capita spesso, non so tenermi. Avevo voglia di tirargli uno schiaffo o mandarlo al diavolo davanti a qualche battezzando. E però ... a che servirebbe? Tutta questa gente, esserini, girini umani, lamprede fini a sé stesse, snervati abitatori degli abissi ... Tutta questa gente non dovrebbe mai esser nata. Sono di troppo, carne marcia. Morti in vita, certo, ma pur senzienti che intasano scuole, istituzioni, meriti. Sciaurati che mai fur vivi eppure fanno numero, paccottiglia, ciuffi di pelo nel lavandino. Non servono a niente se non a impedire la vita. A che pro?
Ecco il disagio prodotto dalla democrazia. Ecco, finalmente, rilucente in tutta la verità, l'espressione dannunziana sul diluvio grigio della democrazia e dei lumi progressivi. La regressione civile e la mancanza di libertà vengono instaurate non solo dalla distruzione delle gerarchie e dei centri della sapienza (che sussistono proprio in virtù di tali gerarchie), ma anche dal numero. La voce dei migliori, degli individui razionali, in un ambiente privo di loro pari, viene sommersa dal cicaleccio; e quando, per miracolo, un dei Diecimila riesce a farsi udire traverso la coltre della stupidità, ecco che il Potere eccita il perbenismo sciocco della moltitudine: a deviare, sopire, di nuovo sommergere.