Unreal City, 3 novembre 2020
Non
ho più voglia di fare alcunché.
È
bastata un'influenza stagionale per distruggere i monconi di ciò che
sopravviveva.
L'Italia
è finita.
Come
trovare stimoli?
Italia.
Significa ancora qualcosa per voi?
Italia.
Fate risuonare le sei lettere quando siete soli. Sillabate. A mezza bocca.
Sussurrate. Lentamente, nel silenzio atterrito dell'Italia, ripetete questo
nome sin a perderne i contorni più crassi e auscultarne il primevo tintinnio.
Italia.
Ancora.
Italia.
L'Italia
non è certo un toponimo, nemmeno un paese; tutto fuorché una nazione.
L'Italia
regge l'Occidente, quindi il mondo intero.
L'Italia
è un katechon essa stessa, l'ultimo, assieme alla Russia, la terza Roma, a
Bisanzio, la seconda Roma, e a Tehran, perno attorno a cui ruota la Mesopotamia
e il principio della storia.
Italia.
Dicono che l'Italia è bella. L'Italia è bella!, cicalano i patrioti un tanto al
chilo. Sbagliando, ovviamente, perché sono dei cretini senza rimedio.
L'Italia
è bella perché l'hanno resa tale.
Ci
si stupisce della candida bellezza di basiliche, templi, iscrizioni; ci si
sofferma estasiati davanti a panorami - definitivi - di quattrocentesca malia.
Ruscelli, declivi, colli, sentieri, filari, cipressi, muriccioli, grotte,
dirupi. Cos'è tale nervatura d'un corpo immane se non il prodotto dell'amore di
chi ha qui vissuto? Credete davvero che le dolci curve che avvolgono a spirale
il colle fortificato d'una città medioevale abbiano quel percorso o stiano lì
per decisione di un architetto comunale?
L'Italia
fu modellata nei millenni. Persino un macigno anonimo appartiene al piano della
bellezza elaborato da alcuni uomini, gli antiqui huomini. Abbattere sin un
muricciolo è davvero un sacrilegio poiché esso venne costruito avendo in mente un
piano sacro. Confini, pomerii, fondamenta, orientamenti, coltivazioni, tutto
obbediva alle leggi che governano l'universo, in ossequio alla totalità, a ciò
che sta.
Ecco
perché l'Italia è bella.
È
bastato consegnarla nelle mani della democrazia elettiva per deturparla
orrendamente. Lastricati di tremila anni su cui decide un geometra di paese ...
Regolarmente eletto, quindi, secondo il marcio sentimento di egalitè e libertè,
sacro.
E
invece no. La democrazia è sacra solo in un mondo dissacrato, in un mondo al
contrario. La democrazia elettiva è un gioco di parole, sciocco, con cui vi
hanno convinto che la libertà e la giustizia sono state concepite, di tutto
punto, come Minerva armata dal cranio di Zeus, negli ultimi secoli.
Vi
dono l'unica etica possibile per il Ventunesimo Secolo.
Diventate
dei katechon, voi stessi.
Ricordate
il finale di Fahrenheit 451? Gli
uomini divengono libri. La metafora di Bradbury è stata subito interpretata in
tal modo: leggete! Oppure: la dittatura conculca la letturatura, la conoscenza,
la scienza. Questo è un inno alla libertà e alla cultura! La minestra la
riscaldano sempre al fuoco lento della superficialità: si può essere più
stupidi di così?
Ecco, invece, la morale del romanzo, che si erge - ineluttabile e profetica - di fronte a noi, che lo abbia voluto l'autore o meno. Questa: divenire qualcosa di ordinato, di strutturato, di sensato (un libro a esempio) significa opporsi alla dissoluzione. Ecco l'etica. Cosa rappresentano Cime tempestose di Emily Bronte, le Rime di Guido Guinizzelli, i libri euclidei o l'Imitatio Christi se non uno sforzo, titanico, da parte di individui sacri (poeti santi sapienti) di fermare l'inevitabile entropia che dilaga a dissolvere, distruggere, schiantare il senso, umiliare la forma?