Roma, 28 giugno 2025
I geopoliticanti sono in calore. Quando gli ricapita una bazza del genere? Iran, Russia, Russia bianca, Siria, Israele, Stati Uniti; l’intero Medio Oriente scompaginato, l’Europa in foia dissolutrice, i BRICS assistono frementi: interverranno? Trump che fa McCain, i Democratici silenti, Tajani come un moccioso sperduto al luna park, Meloni e Schlein rifugiate sotto il tappeto delle decisioni altrui. Quale sarà la fine del gran casino (The end of the whole mess), per citare il titolo di un racconto di Stephen King?
Il personale parere, non richiesto, per carità, è che il gran casino sia solo apparente. Le nervature storiche, oserei dire: connaturate all’uomo, rimangono implacabili e richiamano la povera creatura alla fine già stabilita, ab immemorabili. In fondo, si ragioni, la civiltà esiste da 5.000-10.000 anni. E il resto? Non conta? L’Abominio a cui stiamo assistendo oggi è nell’uomo, vive nell’uomo, agisce l’uomo. Quest’ultimo ha solo provato a contrastarlo, nel tempo, sublimando la sfida del Nulla con armi sempre nuove: l’Arte, la Religione, la Legge, la Conoscenza Metafisica. Quando una mano modellava linee d’ocra sulle pareti d’una grotta o forava il femore d’un orso oppure intagliava visi e animali nel legno, a mezzo fra terra e cielo, a oggettivare incarnazioni del divino, qui si rifuggiva trionfalmente dalle origini protozoiche per attingere alla purezza. Quando tali aneliti vennero combattuti come falsi idoli, all’alba dell’Illuminismo Nero, Mietitore delle Grandi Illusioni, l’Uomo cominciò lentamente a rattrappirsi, sfasciandosi la divina forma che s’era faticosamente costruita a immagine della perfezione; l’Abominio, la Bestia, risalì, quindi, i precordi dell’anima per reimpossessarsi della Sua creazione e annientarla. Più che una guerra è qui un ballo delle streghe la cui fine ultima sarà la Pace Universale, intesa come trionfo dell’Indifferenziato. L’istituzione, qualunque essa sia, la si vede oggi deformata, squassata, scomposta come un quadro postmoderno. L’uomo stesso è tale, un groviglio informe d’insensatezza dove le antiche leggi più non hanno presa o potere. Dai palchi si tifa questo o quello, invocando distruzione, in un’orgia da cupio dissolvi fantasmagorica. Nessuna ragiona su un semplice fatto: queste locuzioni - Stati Uniti, Italia, Inghilterra, Israele, Ucraina, Francia, Russia - non denotano realtà riducendosi a meri flatus vocis. Non esiste una guerra di Israele contro la Siria, così come non esistono più né Germania e né Italia. S’intenda: ancora possiamo notare, su certi edifici, la dicitura: Presidenza della Repubblica o Presidenza del Consiglio dei Ministri. Sono, però, colature di un’epoca oramai dissolta. Rilevano solo per uso interno quali propaggini d'un Potere Universale che le muove da dentro. Così avviene per ogni istituzione sovranazionale o sedicente nazione: Merz, Starmer, Kallas non sono diversi da Aznar, Ciampi e Sarkozy, se qualcuno ricorda chi fossero. L’Europa, l’Occidente e il mondo viaggiano su binari prestabiliti verso l’autodistruzione, nella guerra più spietata di sempre che non vedrà vincitori, ma solo il deserto. D’altra parte come finiva il gran casino di King? Con la trasformazione del genere umano in un esercito di idioti. Tutto in nome della pace.
Dissipare la civiltà europea in nome dell’eguaglianza e della correttezza. Per ritrovarsi coi tam tam. Fu un calcolo sbagliato?
“The Abraham Accords” è la trovata terminale per inglobare anche il Medio Oriente. Ognuno consente, dagli Arabi agli Ebrei, dai Cristiani agli Ottomani. Qui è proprio l’essenza profonda della Monarchia Universalis. Le guerre, da secoli, sono recate verso i paesi non allineati all’Illuminismo Nero; questi ultimi, se deboli, sono distrutti e inglobati; se vantano un patrimonio umano e storico in grado di resistere vengono lentamente usurati e cooptati a tavola, previo accordo su una resa non disonorevole. Traditori, ascari e semplici imbecilli da progressismo decadente fanno da contorno. La recentissima farsa tra Iran e Israele questo significa: mi arrendo, entro nella Monarchia, tali le condizioni che accetto, le fîches sono i morti. La pace in Palestina è costata 200.000 morti? Bene, essa, la terra di Joshua, può accomodarsi al tavolo, Nuova Sorella. Sarà, nel tempo, spogliata d’ogni peculiarità e tradizione, spianata, devastata, pornografizzata: solo a tal prezzo, essere Qualcosa d’Altro, avrà requie. Tutto il Medio Oriente (Mesopotamia e Persia!) è andato; l’Europa, dal canto suo, pagò il suo prezzo; Italia e Grecia, in particolare, son ancora lì a cercare di ammortizzare la colpa d’essere la matrice profonda della Civiltà; Russia e Cina accampano più alte pretese. Prima o poi cederanno: il lavorìo di tarli e ratti non lascia scampo.
Credere ancora che esistano l’Italia, la Grecia o il Canada o il Texas è davvero un atto di superstizione disperata. Esse più non sono; e indietro è impossibile tornare. Ciò che è bruciato si disperde come cenere, per sempre. I ritorni all’antico, le poche volte che son stati tentati, si allontanano spiritualmente e materialmente dalla matrice originaria alla stregua di grottesche parodie. Diciamo addio all’Italia, alla Patria. Chi la riconosce più, sfigurata com’è dalla lebbra dell’eguaglianza, della bontà ecumenica, dell’irenismo che ogni cosa appiattisce? Parliamoci chiaro: dov’è il materiale umano adatto a una pur vaga ricostruzione? Chi combatte? Di solito la lotta è riservata a giovani maschi. Eppure “Men’s testosterone is 40% lower than it was in 1980” … una notiziola come tante, ma che spiegherebbe la forsennata ambizione alla pace dell’omiciattolo medio. La rinuncia quale valore, l’ecumenismo come acquiescenza. E poi: chi comprende più l’Italia? Alcuni, passata la mezza età, ne hanno forse un’indistinta nostalgia … ma comprendere, pur minimamente, la ragione del commuoversi dei nostri antenati a fronte a d’un epigrafe, d’una valletta sinuosa, d’un castelletto: chi è in grado di farlo? Le cosiddette giovani generazioni nascono già castrate dalla tecnica, da un indottrinamento che le relega al contingente più meschino. Esse non possiedono una pietra di paragone in grado di smuovere la rivolta. E se per caso ciò avvenisse, non avrebbero in sé la forza di ribellarsi. Il sentimento di accondiscendenza (la pace, facciamo la pace, vogliamo la pace, imagine all the people) è troppo radicato, sin quasi a un brutale quanto compiaciuto servaggio. I giovani, i trentenni, i quarantenni sono stati addomesticati all’amore per il guinzaglio, al quietismo, a un’esistenza breccolosa in cui ogni attimo assomiglia all’altro. Quando una scintilla di natura reclama la vera libertà, essi o si trasformano in carnefici oppure piombano in una depressione oscura, sorta di cholera nigra del nichilismo spicciolo. Il suicidio, allora, si anela con stanca cupidigia.
Giuseppe Parini, oltre all’imputridimento dei nobili, traviati dal progressismo, pre-vide anche la fatuità del cretino 2.0, pronto a tifare chiunque gli allunghi, ogni tanto, qualche croccantino ideologico che li rincuori e, soprattutto, li faccia sperare:
Ha notizie da Lione, signora?
Quei suoi farabutti di Francesi, che hanno
buttato all’aria legge, fede e tutto,
continuano a massacrare i preti e i frati?
Cosa succede a quel Petion,
che in nome di questa bella libertà
pretende di mettere in un mucchio noi
nobili e dame con tutti quanti i mascalzoni?
A proposito ... Mi faccia vedere quel
cappellino là, che ha un velo intorno: è stato
inventato dopo accoppato il re?
È il primo che è arrivato? Ma che bello!
Che bello! Oh che bravi, quei Francesi!
Bisogna proprio dirlo: non c’è popolo
che sappia far le cose meglio di loro!
Leggo delle iniziative diplomatiche di un nostro ministro sulla guerra Israele-Iran: “All'Iran ho detto 'Non reagite più', a Israele 'Fermiamoci qua'”. Quando si vuole soffocare un paese gli si altera la circolazione sanguigna per mezzo di ostruzioni ben congegnate; coaguli e placche impediscono la retta ossigenazione degli organi maggiori; labbra e unghie rivelano l’inizio della disfatta; dottori e chirurghi, foraggiati dall’usura, trascurano i loro doveri; il quadro clinico si aggrava, nel disinteresse generale: alcune zone dalla cupezza del blu virano al grigio; i coaguli si moltiplicano, innestati con perizia, l’irrorazione si blocca definitivamente, la periferia va in necrosi; si amputa, per preservare cuore ed encefalo, poi sopravviene la morte del paziente, ultimo atto di una perversa cura al contrario. Tajani, Di Maio: più sono inadeguati più sono inamovibili: e così sia. Dell’Italia a chi interessa? Che questo tizio fosse quel che appare lo si capiva già dalle partecipazioni alle trasmissioni di Gianfranco Funari, addirittura precedenti il colpo di Stato del 1992: l’acre e puerile partigianeria recava stimmate difficilmente cicatrizzabili dall'esperienza e da un futuro buon senso. Giornalista, poi deputato, senatore e segretario di Forza Italia, addirittura. Silvio Berlusconi risulta oggi persino simpatico, a riguardare alcuni ceffi, e però la nidiata che ha tenuto in caldo è da incubo. Ma non voglio farla lunga. Si assomigliano tutti. Di loro ammiro la tenacia, il voler durare, a ogni costo, a costo del giudizio degli uomini e della catastrofe; del pari m'incanto di fronte alla impassibilità dopo figure meschine, all’impenetrabilità agli insulti, al rifiuto gioioso della logica, al sonno che arriva nonostante atti e tradimenti esiziali ai danni degli Italiani più indifesi. Lacune psicopatiche che, da noi, sempre favoriscono il cursus honorum.
Le serie televisive, i film, i cartoni animati e i grandi controinformatori a gettone non pre-vedono nulla. Essi informano la vittima. Quest’ultima consente, quasi sempre. La procedura ha nome, infatti, consenso informato. Non è che l’evoluzione del sacrificio.
Ti sto per fare questo, non c’è alternativa, è per il bene pubblico, per i tuoi figli, per Gaia.
Sì.
E cala il coltello di ossidiana.
Mi scrive il lettore O. mettendomi al corrente d’una nuova legge contro i maltrattamenti degli animali la cui starlet è la forzista Michela Brambilla. Pare che sia punibile, in base alle nuove norme, anche “chi tiene un cane alla catena”. Non conosco quest’ultima trovata, però posso tranquillamente affermare: perché no? E chi uccide una nidiata di gattini? L’ergastolo? Ma perché fermarsi ai cuccioli domestici? Vacche e polli non sono creature? Meduse e blatte non ricoprono, nell’economia di Gaia, un ruolo spesso superiore a quello umano? E le zanzare? Senza le zanzare non avremmo il cacao, mi spiegava accorata una barista, davanti alla mia attonita tazzina, queste divine impollinatrici! Gli sbafatori di Nutella ci pensino prima di avvelenare, friggere o spiaccicare le moleste e rimirarne l’omicidio con voluttà: le fragili zampine ritorte attorno a un’esplosione d’interiora sanguinose: esse son più utili di Tajani. L’uomo, sbraitano animalisti e ultras dell'antispecismo, non è che un animale fra gli animali ... un neonato e un cucciolo di foca, infatti, per loro pari son. Cosa si nasconde dietro questa attitudine, dobbiamo chiederci, con la consueta circospezione. L’Illuminismo Nero, rispondo. Al liceo ancora ripetono assurde litanie sull’uomo rinascimentale come misura di tutte le cose mostrando il famigerato disegno leonardesco quale simbolo - addirittura! - dell’Umanesimo; non accorgendosi, anzi, ignorando del tutto, che proprio in tale epoca fu posta la pietra tombale sul vero Umanesimo europeo innervato dalla classicità rinata sotto le specie del Cristianesimo. Il disegno leonardesco risale al 1490, le nuove rotte americane al 1492. Non vogliamo certo addebitare al Rinascimento questi rivolgimenti. Gli eventi accadono. La natura dei fenomeni ama nascondersi. Le cause sono annidate nei luoghi più riposti della storia: impossibili da tacitarsi. Da allora l’uomo perse il dominio sulla Natura ovvero le ragioni metafisiche profonde di tale dominio. Per quanto possa sembrare paradossale, Michela Brambilla incarna, inconsapevolmente, tale sfacelo filosofico. Affermiamo meglio: la povera Michela Brambilla viene agita dalle tendenze fondamentali del nostro tempo. Come tutti. Rifiutare il ruolo di golem ideologico: questo è appannaggio di pochi eletti. Sdegnare gli anni in cui si è costretti a vivere, tale la rivolta. Disprezzare il tran tran dei luoghi comuni, questo è autentico dissenso. Spesso sottovalutiamo una serie di atti e condiscendenze quotidiane che firmano la nostra condanna a morte. Dire “no” al “mondo”, in ciò si condensa il messaggio spirituale più profondo. Rovesciare i banchi degli usurai al tempio ne è un esempio. Tale la cruna dell’ago, la porta stretta. Quanti dicono “no”? Dire “no” equivale a non vivere più nel mondo e a rifiutare ciò che si cela sotto le false sembianze del bene. Come dire no a un cane maltrattato? Eppure, occulta, sotto questa benemerita legge, è la serpe della dannazione. Id est: la progressiva, ormai inevitabile, indistinzione dei confini tra umano e animale. In vista di un altrettanto inevitabile indistinzione tra umano e inorganico. Da tale accettazione ingannevole segue la disfatta dell’umanesimo. Aborto, sdoganamento delle perversioni polimorfe, eutanasia. Dall’umanesimo alla reificazione passano pochi secoli. L’infallibile segnacolo di tale de-generazione può ravvisarsi nella sparizione della metafisica. La perfezione non è più un modello. Si codificano le proporzioni traendole dall’esperienza terrena e non da idee celesti. Inevitabile il rattrappimento della Bellezza. A furia di ridurre al mondo ogni anelito di grandezza si è giunti alla merda d’artista. Ma in ogni ambito è così. L’ex essere umano è ormai autoreferenziale. L’omiciattolo è misura di tutte le cose. Una carrellata di immagini da google d’altra parte è ben rappresentativa. Storti, grassi, ridanciani, bestemmiatori, ottusi, arroganti, idioti, popolano il web, dalla suburra sin alle alte caste. Non vi è limite al fango poiché l’omiciattolo è questo, ormai, un mucchio di fango. Il soffio vitale di Adamo è perduto, si ritorna alla polvere: “Godi e fa' godere, senza far male a te stesso o a qualche altro: ecco qui, credo, tutta quanta la morale”, cicalava il giacobino Sébastien-Roch Nicolas de Chamfort, senza accorgersi della folle enormità di quanto andava affermando poiché, a’ tempi suoi, la vita poteva ancora vantare dei colori; l’avessero recato dal Settecento presso un vagone della metropolitana di Roma, A.D. 2025, avrebbe rigettato la Rivoluzione e scelto, come accadde a Huysmans, o la rivoltella suicida o il saio da monaco.
Qualcuno ricorderà la famosa beffa di Livorno, quando dei buontemponi fecero ritrovare nel Fosso Reale alcune teste scolpite alla maniera di Modigliani. Gli esperti, i ricercatori, gli storici, in massa, mai ebbero incertezze: sono le commoventi espressioni del genio di Amedeo Modigliani! Come può il volgo revocare in dubbio il modellato, la plasticità, la finesse … I fratelli Durbé, Giulio Carlo Argan (colui che affligge ancor oggi i licei con un manuale incomprensibile), Ragghianti, Carli, Brandi esposero il petto a difesa delle selci scolpite col Black & Decker qualche giorno prima. Solo Carlo Pepi e Federico Zeri negarono il conforto dell’attribuzione; Zeri, in particolare, durante una trasmissione RAI dedicata alla burla, si tolse un ulteriore sasso dalla scarpa qualificando come bidone anche il monumentale kouros greco in procinto d’essere acquistato dal Getty Museum, l’anno successivo, per dieci milioni di dollari del tempo (1985): “Mi fido soltanto di una cosa: del mio occhio e della primissima impressione che ricevo dal mio occhio. Non credo nelle analisi chimiche ... no, non ci credo ... non credo nelle analisi tecniche perché ho avuto una serie di esperienze proprio nel campo della scultura ... di oggetti plastici ... che sono stati offerti in vendita a un museo americano … uno dei più colossali bidoni di tutti i tempi ... un’opera ridicola, assurda, priva di qualità, con delle discrepanze stilistiche, ovvie anche per chi non è un archeologo, e tuttavia provvista di pacchi e pacchi di perizie chimiche, di perizie tecniche, di analisi delle incrostazioni calcaree, di analisi del terreno che è rimasto negli interstizi delle pieghe, di analisi di tutti i generi che vorrebbero dimostrare che si tratta di un oggetto del V secolo a.C. ... appena la vidi dissi: ‘Ma questo è un bidone incredibile, meraviglioso ...’ ”. Analisi profondissime, indiscutibili, in-con-fu-ta-bi-li che avevano misurato “the carbon and oxygen isotope ratios, and traced the stone to the island of Thasos. The marble was found to have a composition of 88% dolomite and 12% calcite, by X-ray diffraction. His isotopic analysis revealed that δ18O = -2.37 and δ13C = +2.88, which from database comparison admitted one of five possible sources: Denizli, Doliana, Marmara, Mylasa, or Thasos-Acropolis …” e via ridicolizzandosi. “Di fronte a una documentazione del genere di cosa ti fidi?”, continuava Zeri. “Del mio occhio ... quello che conta ... è l'impatto che provoca nella sensibilità di chi guarda ...”.
Perché l’occhio ha un curriculum di mezzo miliardo d’anni, la diffrazione a raggi X qualche decennio. L'occhio diffida poiché nelle impercettibili sfumature si annidava la sopravvivenza. La diffrazione ci casca con tutte le scarpe; soprattutto se la dai in mano a qualche impostore ebreo più interessato alle percentuali che all’arte plastica la quale, per tradizione aniconica, manco gli appartiene. Un apolide sempre in moto tra America e Francia, i due terminali della truffa secolare del postmoderno: a cominciare dagli Impressionisti. Fosse vivo oggi proporrebbe il taglio dell’IVA dal 22% al 5% sulla compravendita di pacchi e bidoni.
Il kouros, oggi, non è più visibile al pubblico.
L’hanno messo in cantina.
Giorgia Meloni, Ursula von der Leyen, Christine Lagarde, Roberta Metsola, Kaja Kallas, Margrethe Vestager, Nadia Calviño, Evika Siliņa, Salomé Zourabichvili, Zuzana Čaputová … sì, l’altra metà del cielo irrompe nella politica internazionale a miracol mostrare. Nei momenti decisivi c’è bisogno di una iniezione di folle irrazionalità addolcita dalla vaselina. Scrive Chantal Thomas (La reine scélérate. Marie-Antoinette dans les pamphlets, 1989) sul periodo pre-rivoluzionario che piegò definitivamente l’Europa: “Nel 1770, all’epoca in cui Maria Antonietta arriva in Francia, due potenti Imperi hanno alla testa delle donne: la Russia con Caterina II [1762-1796], l’Austria con Maria Teresa [mamma di Maria Antonietta, 1741-1780]. Qualora Maria Antonietta desse prova di senso strategico e di un reale interesse per gli affari di governo, rivelandosi donna di potere, ecco allora le donne assumere sulla bilancia dei rapporti internazionali un peso decisivo. Dietro il fantasma di un complotto lesbico c’era la paura che gli uomini perdessero le redini della politica, che non fosse più in mano loro la direzione del mondo”. Ma cosa intende la Thomas con “complotto lesbico”? Un libellista del tempo (L'Iscariote de la France. Ou Le député autrichien, 1789) si riferì Maria Antonietta e alla sua cerchia con l’espressione “alla scuola delle donne pericolose” alludendo “al demone dell’omosessualità, che la regina e le sue donne diffondono in tutta la Francia e al di là dei confini”. Si insinuava, infatti, che Antonietta avesse commerci carnali con la principessa de Lamballe e la duchessa di Polignac, favorite d’una corte depravata (Le godmiché royal, La garce en pleures), oltre a vantare istinti ninfomaniaci e persino incestuosi. Dopo Austria e Russia anche la monarchia francese veniva infettata dalle donne. Insinuazioni giacobine o preoccupazioni lealiste? Non importa. In questi pamphlet, a volte pretestuosi, altre pornografici o artefatti, si intercetta, confusamente e senza volerlo, l’inarrestabile Spirito del Tempo e cioè che il disordine dei ruoli sessuali è lo specchio oscuro di quello istituzionale; come avviene in altri snodi storici: a Weimar, a Berkeley. L’anarchia uterina si risolve in rivoluzione dissacrando le più ferme istituzioni familiari e sociali; i fluidi ghiandolari, incontrollati, si mutano alchemicamente nei rivoli di sangue del Terrore, delle Ardenne, di Hiroshima, dei nostri giorni.
A leggere Le godmiché imperial, ove Giunone-Antonietta, annoiata dalle consuete masturbazioni, chiede alla compagna Ebe cazzi di misura formidabile (“Quinze pouces de long! Huit de circonférence! Ah! ... mon con en décharge aussitôt que j’y pense! Qu’ils viennent donc ici, qu’ils inondent mon con!”) viene in mente il marchese Alphonse De Sade, lui, l’Illuminista Nero par excellence, il Materialista privo di filtri e scusanti ideologiche: al grado zero della dissoluzione. La filosofia di questi ultimi tre secoli, in fondo, è quella del boudoir. Fa ciò che vuoi. Gli agghiaccianti tableaux vivants di De Sade, sterili e asettici, ove parvenze d’umani si contorcono per cercare un piacere che sfugge sempre al fondo dell’Abisso. Le stille di tali accoppiamenti bruti e innaturali cadono come lo sperma freddo della Bestia a sfregiare ogni nobiltà. L’uomo sadiano alla ricerca del godimento è un Sisifo senza requie che disgrega il patrimonio umano e sé stesso, brano dopo brano, sino alla consumazione suicidaria. Infrangere i sigilli messi al vaso di Pandora per consentire la vita: tutto in nome di una falsa libertà che avrebbe consentito la vita! Uno scioglilingua ingannevole, ma che ancor oggi vediamo in azione: “Che in Iran si tengano feste illegali, si balli, si beva e si consumi un sacco d’oppio è vero. I giovani rigettano l’oscurantismo. Ragione di più per liberarli”, afferma un cretino 2.0, convinto che l’anarchia sia libertà e la libertà deserto morale. L’eutanasia di massa sarà lo sbocco di tale strage. Afferma Chamfort in Maximes et pensées (1795) “I re e i preti, nel rigettare la dottrina del suicidio, hanno voluto assicurare la durata del nostro asservimento. Vogliono tenerci rinchiusi in una cella senza uscita; somigliano a quello scellerato dantesco, che fece murare la prigione dove era rinchiuso lo sventurato Ugolino”. La vita è un asservimento, quindi una prigione: il suicidio, invece, la libertà. Si tocca con mano la tendenza fondamentale della specie: l’autoannientamento. Il cosiddetto uomo occidentale rifugge dal gravame della Civiltà, dal fardello dell’uomo bianco, li nega, lontano da ogni responsabilità e ruolo. La pace che anela è quella della pozza protozoica, rettiliana; la vacanza al limitare d’una pozza marina, esanimi sotto il sole, irresponsabili, disgustati, in fondo, dalla pienezza della vita.
Lo Spirito del Tempo permea ogni cosa, come Ubik. Molti controinformatori credono che la storia ancora la scriva il dittatore, il regnante, l’allocco giuridicamente votato, qui e ora, ma la guerra psicologica è nelle strade, nei posti di lavoro, fra le sciampiste, sui cartelloni pubblicitari delle metropolitane, sui visori allagati dalle menzogne e dalle trappole, nelle aule di quelle scuole ridotte a musei di scarpette rosse. E la dissoluzione è insita in noi stessi come demone primigenio dell’autodistruzione. Trump e Zelenski sono i sintomi di cancri terminali risvegliati da geni dormienti per millenni. Il vaso di Pandora è aperto. Scrive Louis-Claude de Saint-Martin nella sua Lettre à un ami sur la Révolution Française (1795): “I nemici della Rivoluzione non hanno visto che, da sola, nessuna forza umana avrebbe potuto operare tutti quei fatti prodigiosi che giorno dopo giorno si vanno accumulando davanti a noi, perché nessun pensiero puramente umano avrebbe potuto progettarli; non hanno visto che gli stessi agenti della nostra Rivoluzione l’hanno iniziata senza nessun piano prestabilito, arrivando a dei risultati sui quali, per certo, non contavano minimamente ... Non hanno visto che l’epoca attuale è la crisi e la convulsione delle potenze umane spiranti, in conflitto con una potenza nuova, naturale e vivente; e che la Provvidenza permette a dei ciechi mortali di procedere così con gli occhi bendati verso l’adempimento del decreto che intende abolire il regno della potenza vana dell’uomo sulla terra”. “Nessuna forza umana” equivale a “nessuna forza conosciuta dai tempi della civiltà umana”. La dissoluzione si riattiva dal cuore ancestrale dell’uomo, impulsi protozoici richiamano all’Indifferenziato, all’Inorganico. Chtulhu si ridesta, ghermisce il cuore, lo strascina su fondali pleistocenici. A tutto questo si dà il nome di pace. Distruggere la civiltà che si è costruita è il prezzo da pagare alla Pace Universale. Spianare il Colosseo una blanda conseguenza.
Sono invitato presso uno dei siti archeologici romani più importanti, a latere del Parco dell’Appia Antica. I ruderi, spartiti dalle selci dell’antico basolato, sembrano abbandonati a sé stessi. L’erba alta, insecchita dalla canicola, li minaccia da vicino, occultandone il disegno primigenio; un orribile casottino prefabbricato deturpa l’ingresso. Gli scavi languono, fermi da tempo. L’epigrafe di Ottaviano giace supina: nessuno trova due spicci per collocarla degnamente poco più in là. Parlotto con uno dei responsabili: “Fra qualche decennio qui sarà un parcheggio”, pre-dico. Egli ride: “Non esageriamo!”. “Sono troppo enigmatico per Lei? Chi dovrebbe curare questo luogo? Negri, bengalesi, pakistani, musi dello Xinjiang o dello Guangxi? Alberto Angela? I signorsì della Soprintendenza? Franceschini o Giuli? Avanti!”. Smuove le labbra in una piega di rifiuto. Tace. Forse pensa: no, questo è inaccettabile! È vero, forse, lo so in cuor mio, eppure inaccettabile! Devo andare in ferie tra poco, lo stipendio è gramo, ma sicuro - una bazza con questo andazzo! - fra vent’anni sarò in pensione quindi tali parole per me debbono risultare i-nac-cet-ta-bi-li! E poi, guai a rivelarsi!
Infatti trova una scusa e se ne va.
Gli ultimi Italiani (poche decine di migliaia) assisteranno alla sparizione della Patria nei loro tepee, a masticare amaro; quindi creperanno.
“Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l’Appia come un cane senza padrone”.
“Tutti i viali, le strade e i vicoli erano pieni di sangue e di umore sanguigno che colava dai cadaveri dei civili sgozzati e fatti a pezzi. Dalle case venivano trascinate fuori le donne, nobili e libere, l’ancella insieme alla padrona, a piedi nudi. Avresti dovuto vedere la più infima soldataglia turca scovare e spartirsi fanciulle giovanissime e nobilissime … I paramenti intessuti d’oro con le immagini di Cristo e dei santi li usavano come giacigli per i loro cani e per i loro cavalli”. Così Isidoro di Kiev in una lettera al cardinal Bessarione.
Il 29 maggio 1453, infatti, cade Costantinopoli. Le mura dell'Impero Orientale, difese da appena settemila combattenti, non resistono all'urto dei duecentomila di Maometto II e dell'acciaio dei cannoni forgiati in Occidente. Presso ogni edificio conquistato i Turchi erigono uno stemma di vittoria. Se ne conteranno alfine duecentomila, uno per ogni infedele: “Questi turchi avea questa costuma, che dove lor intrava in una caxa, subito lor si alzava una soa bandiera con la soa insegna ... per tuta Costantinopoli s'avaria trovado duxento milia de quelle banderuole turchesche per suxo tute case ... per tuta questa zornada turchi si fexe una gran taiada [massacro] de cristiani per la tera; el sangue se coreva per la tera come el fosse stà piovesto, e che l'aqua si fosse andada per rigatoli cusì feva il sangue; i corpi morti cusì de' cristiani, come de turchi, queli si fo' butadi in nel Dardanelo ...” c'informa il veneziano Nicolò Barbaro nel suo Giornale dell'assedio di Costantinopoli.
Il corpo dell'imperatore Costantino XI, caduto presso Porta Romana, è nel mucchio, anonimo e irriconoscibile. Così come Romolo Augustolo riassumeva beffardamente il primo re e il primo imperatore occidentale, così l'ultimo "Basileus ton Rhomaion" riecheggia il fondatore dell'Oriente Cristiano e Romano.
Silvia Ronchey (L'enigma di Piero, 2006) ci dice ch'egli era “estremamente bello. Aveva grandi occhi azzurro intenso, un sottile naso aquilino, una barba bionda. L'alta statura e la magrezza eccessiva erano avvolte in un mantello da cui spuntavano solo le mani, prive di anelli, esangui, scheletriche, con le vene azzurre in rilievo. Sotto il copricapo a punta tipico dei sovrani di laggiù i capelli scendevano fino alle spalle e incorniciavano il viso pallidissimo, le guance scavate, la fronte alta, segnata da rughe sottili”.
In Italia, assieme a Pio II e al cardinal Bessarione si cercherà di costituire un'armata per la riconquista di Bisanzio. Invano. La crociata fallirà per i troppi nani, gli usurai, i traditori.
Nell'uomo a piedi nudi che appare nella Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca, lo sguardo amaro fisso in un punto lontano dagli occhi dello spettatore e perduto in un tempo irredimibile, vestito sì di porpora imperiale, ma poveramente, è, forse, da riconoscersi lui, Tommaso. Lì accanto il martirio di Gesù, simbolo del dolore patito dal corpo della Chiesa tutta a opera dei Turchi.
Lepanto, più di un secolo dopo, nel 1571, sarà un atto eroico, ma di mera difesa.
L'Europa arretrava, seppur lentamente; si rintanava, via via, come un turista da banane prima del suicidio.
Il sangue di Bisanzio prese, quindi, a scorrere più a est, in Russia. La figlia di Tommaso, Sofia Paleologa, sposerà Ivan III divenendo granduchessa di Mosca. Ivan adotterà subito lo stemma dell'aquila bicipite bizantina, simbolo immane, unione di Occidente e Oriente, Paganesimo e Cristianesimo: a battezzare la terza Roma.
Il sangue patrizio scorre assecondando, per decadente inerzia, il moto della Terra. Le piaghe, le migrazioni, le epidemie si propagano, invece, nel senso opposto, per vitalità tutta propria, invincibile. La devastante peste antonina del II secolo ebbe il focolaio suo nel Catai.
Hanno eletto il Papa! Leone XIV! Finalmente la Canaglia Eretica è morta! Cosa dire? Orami me ne importa il giusto cioè quasi niente. Ricordo (lo vidi presso un cinema di Trastevere) una commediola con Enrico Montesano e Vittorio Gassman, Il conte Tacchia (Bruno Corbucci, 1982), girato nel solco stilistico delle commediole risorgimentali di Luigi Magni. Gassman interpreta un aristocratico ottocentesco decaduto, il principe Torquato Terenzi, che tutti disprezza. In una sequenza apparentemente secondaria, i due protagonisti passano per il Foro di Traiano; qui il principe Terenzi, svaniti i fumi della sbornia, prende a spiegare al falegname Puricelli-Montesano l’arcano della nobiltà: “A me? A me non me sta bene nisuno. E per forza. Perché in quanto di aristocrazia primaria io sono il prius. Vengo prima. I Savoia … so’ nobiltà terziaria … il principio è questo .... il nobile è fondato sul prius … la vedi ‘sta pietra? [un blocco di marmo con un’iscrizione imperiale romana] É vecchia? É vecchia, ma io vengo prima. Io so’ prius, io so’ antico … Ma tu l’hai conosciuto mai il nonno del nonno del nonno del nonno del nonno de’ tu nonno? Perché sei plebeo, non fai testo. Io so’ settanta, ottanta generazioni che li conosco, che mi conosco … questa la differenza …”. L’Italia si conosceva, quando ancora le sue fila erano innervate dall’aristocrazia. A suo modo, ognuno si conosceva e riconosceva. Il ruolo, il proprio posto. Oggi siamo homo homini lupus, fra noi … e chi si conosce? Il marker infallibile di chi non conosce, di chi non si riconosce nel volto amato della Patria, è la freddura, lo scetticismo, l’alzata di spalle, l’insulto fuori luogo, lo sberleffo verso qualsivoglia gerarchia. L’omiciattolo non prende nulla sul serio, ama scavarsi la fossa da solo, rifiuta per istinto i migliori. Il brago è il suo letto d’elezione.
Il fanatismo è la risposta sbagliata che segnala sempre una mancanza spirituale. L’inurbamento seguito al trionfo della tecnica allontana gradualmente l’Europa dalla terra, la propria natura. Si cercano surrogati. L’ecologismo dapprima contagia gli aristocratici, poi mano a mano le popolazioni più “progressiste” dilagando nelle terre dello scisma: Svizzera, Inghilterra, Olanda, Germania. Con le brucianti sconfitte dei paesi mediterranei (leggi: guerre mondiali), come in ogni periodo di decadenza, ha via libera l’animalismo più ottuso. La rivoluzione colorata dei Sessanta impone il cretinismo esotico: via i crocifissi e le corride per far posto a Fuffi e Rover; e si taccia dei panda, del WWF e di Greta Thunberg.
Cos’è il tifo? La via più breve per deporre il cervello nell’urna dell’insensatezza. Osserviamo da vicino un di questi tifosi, un destrorso antisionista. Per lui dapprima Greta Thunberg rappresenta una stupida marionetta telecomandata dal potere, poi, allorché i sionisti la prendono a calci in culo, una vittima della repressione nasona. Il tifo non gli fa scorgere il dato essenziale. Greta e i sionisti sono le pedine della sua distruzione. E la distruzione egli la merita poiché chi usa la storia a suo piacimento, come un vestito da metter su per l’occasione giusta, avrà sempre la peggio.
Certo, caro mio, spiego al mio usuale interlocutore. Sì, anche qui rischiamo una Caporetto moltiplicata per mille, per diecimila, la Caporetto di ciò che siamo stati, dell’essenza che ci ha tenuti in vita nei millenni. Sui visori scorgo braccia strappate ai torsi, gambe divelte, occhi bruciati; i visi, un tempo umani, arrovesciati all’indietro, nella fissità raggelante della morte materiale. Eppure questo sfacelo è anche qui, fra di noi; la guerra è anche in Italia, un altro tipo di sterminio, inavvertito ai più. Nelle scuole e nelle università, su giornali e blog, nelle aule delle amministrazioni civili, nei tribunali, negli ospedali, nelle caserme: un disfacimento continuo, quotidiano, delirante, dissolutorio, feroce; lo Stato nella manifestazione sua più spietata che divora la Patria, la ridicolizza, la umilia, la rende inintellegibile; grazie a traditori, usurai, pagliacci e servi d’ogni risma. Zelanti, facinorosi, di bestiale supponenza; ormai talmente adusi all’inganno da esserne travolti in una anelito febbrile di distruzione: i Salvini, i Tajani, le Meloni; i Conte, i Fratoianni, le Schlein; sin al sommo dell’istituzione; queste coorti da circo equestre, dietro alle cui caricature si celano altri milioni di traditori, incistati in ogni struttura sorretta dal soldo pubblico ovvero dagli spicci che l’usuraio permette possano essere pagati ... tutte queste figure della democrazia da trogolo che millantano, mentono, dissimulano, vendendo l’Italia che son chiamati fintamente a difendere in cambio di quattro spicci … il cosiddetto Parlamento ridotto a lupanare, in piena evidenza, gli organi costituzionali, nessuno escluso, piegati alla volontà di chi vuole annientarci … con fare definitivo, de-finitivo. E la guerra la vediamo ovunque. Nelle sale d’attesa d’un ufficio pubblico, dei mezzi pubblici o d’un pronto soccorso. Italiani devastati, sconfitti, isolati; pazzi o drogati, rimbecilliti dalla propaganda dei visori, sterili nell’anima, desertificati dalla menzogna, e orrendi alla vista: calvi o forforosi, storpi, mollicci, gli arti diseguali, bendati come mummie, avvelenati da sieri e pozioni da supermercato; spiritualmente stremati sino a non avere più risorse, eterodiretti nell’odio che riversano contro le uniche forme di salvezza loro concesse: la famiglia, i figli, i padri e le madri; e il passato che più non comprendono poiché gli è stato servito per decenni nelle liofilizzazioni più sciocche e devianti: il Risorgimento e il Rinascimento, i Lumi, l’antifascismo da comodino. Le terre d’Italia hanno ospitato e rielaborato i due cicli decisivi dell’Occidente e del mondo, quello classico e cristiano, e ora le sue strade sono insozzate da una suburra da quarto mondo; loro stessi, che si credono ancora Italiani, resi stranieri a sé stessi, odiatori di sé stessi: sino alla glorificazione dell’infamia, del tradimento, dell’assassinio: aborto ed eutanasia, mascherati dalle giustificazioni più laide, sono ormai accettati, scorrono come linfa venefica. Vivere contro la vita ci rende immuni dallo scandalo di chi annichilisce la vita. Per questo un neonato smembrato ci pare, in fondo, poca cosa. Altri bisogni premono. Un domani ignobile e pacifico ci attende. Anestetizzati al bello e al giusto, lo desideriamo con ferocia, nonostante tutto.
Un tale Michel Serres, lodato da Umberto Eco come "la mente filosofica più fine che esista oggi [2015] in Francia" evacua un libercolo (Contro i bei tempi andati, C'était mieux avant!, 2018) il cui nodo concettuale è: perbacco, quanto eravamo brutti, sporchi e cattivi ieri! Per tacere dell'altro ieri! Non si sta meglio oggi? Di gran lunga! Democrazia, longevità, libertà, medicine, aria condizionata; una volta, invece, mancanza d'igiene, cibo orrendo, razzismo, donne segregate, viaggi lenti, morti precoci, malattie, sozzure assortite, poveri sdentati ... Madamine, il catalogo progressista sempre quello è. Il calcolo, al solito, sbagliato. L'evoluzione non è detto che sia ascendente. Ciò che si guadagna è spesso inferiore a ciò che si perde. La rovina può occultarsi dietro una fanfara. "Se in spiaggia o in piscina i nostri genitori non si spogliavano" ca-canta Serres "non era per una forma di triste pudore ... ma perché nascondevano sotto drappi lunghi e opachi i segni del vaiolo o altre cicatrici indelebili ...". Tipi come lui vellicano sempre l'individualismo edonista. Non pensano che quelle cicatrici furono il prezzo da pagare a una vita piena, dolorosa e completa, in grado di esaltare la comunità tutta. E poi, dov'è oggi tale vittoria? Un giro per le linee periferiche metropolitane resoconta un'umanità storpia, marcia, sfasata, infrollita, bestiale e puzzolente: l'esatto prezzo pagato all'ingannevole bengodi delle sorti progressive per cui 2+2=5.
Dicono: i rapporti maschio-femmina sono rovinati: dal femminismo, dalla pornografia, dalla propaganda omosessualista … sì, certo, è anche così. La propaganda, però, opera ormai in maniera più sottile. Dopo le repressioni e lo shock, anticaglie di un passato ormai trapassato, si è tramutata in una pioggerella sottile e inavvertita che, sempre, viene equivocata come benefattrice di campi ubertosi invece che come diserbante micidiale.
Lo sciocchezzaio sessuale subìto nei decenni trascorsi, persino sotto le spoglie della goliardia, dello scherzo e della provocazione pecoreccia, le esalazioni mefitiche della cosiddette radio e televisioni libere, quasi tutte di derivazione lombarda, il venticello da week-end, da ponte interminabile, da viaggetto esotico, da esplorazione mignottesca (a Cuba!), l’esaltazione di personaggi da trivio, travestiti, superdotati, emancipatrici parassite, bellezze al bagno deformi per il botulino (difese, però, chissà perché, quale ratio ultima dell’emancipazione dalle emancipatrici predette); e le instancabili, letali, riviste femminili che, non a caso, venivano quasi regalate dai maggiori centri della dissenteria PolCor (“Repubblica”, “Corriere della Sera”) a loro volta proprietari delle radio libere di cui sopra: a sfornare, instancabilmente, incessantemente, modelle modellate dall’anoressia, cattolici anticristiani, glorificazioni terzomondiste (indios sudamericani, nepalesi, birmani; con special riguardo al negro-buon selvaggio vittima del turbo capitalismo bianco e occidentale – quello che finanziava i giornalini suddetti, ça va sans dire – le vene aperte dell’Africa!), aneddoti sul buon cuore di chiunque purché non fosse Italiano, testimonial universal-filantropi coi soldi degli altri, articolisti saputelli e raccomandati, a volte di terza generazione di figli e cognati e generi e nuore di mignotta; saggetti apparentemente secondari, estesi da “studiosi” angloamericani, o di tale derivazione, in cui la famiglia e il paterfamilias venivano schiantati, posti in sospetto, ridicolizzati, in quanto bruti congeniti; e poi il maschio bianco, inadeguato, sozzo, prevaricatore; da umiliare pubblicamente, rovistando nelle mutande o sabotando, sotto le lenzuola, la meccanica degli umori stillanti del coito (non fa l’amore per tre ore come Sting? Mollalo! Ma come, due o tre scappatelle e ti ha fatto l’occhio nero? Se dici no, anche come moglie, e lui insiste, è stupro! Non hai letto la sentenza del Massachussets sulla vicenda Jennifer Whore? Ma come, non sai che l’orgasmo femminile dura venti minuti? E non è capace di dartelo? Seguono indagini scientifiche sulla lunghezza dell’uccello maschile che, se non è di dimensione asinine, non fa per le signore). Le Italiane si convincono progressivamente quanto irrevesibilmente che l’altra metà del cielo è un povero minus habens, grasso, ipodotato e manesco; il negro o lo straniero in generale le alletta, perché no? Il fascino dell’esotico indotto da telenovelas, stupidaggini americane e rotocalchi massonici ghermisce l’utero emozionale; questo per le mezzane, dai quaranta in su, per le giovincelle c’è anche l’alternativa omosessuale: una sorella dai capelli azzurri non tradisce mai. In tale marasma il maschio non sa dove sbattere la testa, prende lezioni di su-e-giù da Internet, ingoia pillole, ma non basta a compensare il solco scavato dalla propaganda: e allora si lascia corrompere dalla prostituzione, dai trans e, di là dai trans, nome omen, dall’omosessualismo vero e proprio, un pochino distante dal rapporto amante-amasio d’ascendenza euboica e più improntato alle mossette da Vizietto ‘77; i più, tuttavia, optano per la masturbazione; si rimane soli a vita - anche qui: perché no? - magari dopo un infruttuoso tentativo di solidarizzare con qualche ragazzotta conosciuta al liceo o in qualche tugurio postmoderno: discoteche, palestre; il maschio italiano e la pornostar, anzi la ragazza perfetta ricostruita con l’immaginazione della IA … senza odori e rivendicazioni femminili (non è una femmina, infatti), soda e pronta a tutto, astorica, 95-50-95, eternamente Lei, intercambiabile, modificabile: priva di complicanze uterine, di gravidanze indesiderate, di impossibili pagliacciate.
L'aveva capita, 'sta storia, pure il Casanova di Fellini che, infine, si struggeva per una bambola, ancora non gonfiabile: ah, che pace, che serenità!
" 'Lei trova che sia vita quella che fate voi a Papeete, al Relais des Méridiens?'.
C'era del rancore nelle sue parole.
'E perché no?'.
'L'aperitivo, le ragazze, le camere sporche, la siesta, poi ancora l'aperitivo ...'.
'E qui?'.
'Vivo con la natura'.
'E che cosa le fa la natura? La riempie di pustole, le dà le coliche! Non mi venga a parlare della natura! No, sono chiacchiere che vanno bene a Parigi, non qui dove ne vediamo passare a centinaia di tipi come lei. La natura va bene alla domenica, o per un picnic come questo'.
'Qui sono felice' disse Donadieu voltando la testa dall'altra parte".
Si suiciderà - ovvio - in una lurida camera d'albergo.
Tutte le citazioni sulla Rivoluzione Francese le ho rinvenute in una breve antologia curata da Guido Ceronetti, La rivoluzione sconosciuta. Ti piace Ceronetti? Lo detesto senza capire il perché, un po' come Cioran o Calasso. Pre-sento in loro un nichilismo compiaciuto, ateo e antipopolare, da massone pannelliano, capace di esaltare ogni cosa che contrasti con l'Italia tradizionale, a qualsiasi prezzo.
Qualche settimana fa, per puro caso, mi sono ritrovato a un concerto di canzoni tradizionali romane. Improvvisamente, nel silenzio dello sparuto pubblico, appena sottolineata dal sottofondo acustico per chitarra, una voce limpida prese a modellare il testo di Casetta de Trastevere.
La canzone, resa nota dall’interpretazione di Claudio Villa, risale, però, al 1937 (testo di Sabbatini-Simeoni; musica De Torres-Del Pelo). In quegli anni l’urbanista Benito Mussolini progettava lo sventramento del rione Borgo, nei pressi del Vaticano, per far posto a via della Conciliazione. La Spina di Borgo, occupata da edifici patrizi e semplici abitazioni, fu rasa al suolo. Fontane, statue ed epigrafi rimosse o poste presso depositi che ancor oggi possono ammirarsi, fetenti d'un elegante abbandono.
In tale contesto si inserisce questa delicata elegia. Il protagonista torna all'umile dimora natale proprio mentre il piccone la demolisce; e con essa demolisce il suo cuore:
«No, nun è gnente è ′n po' de carcinaccio
aspettate, me tiro ′n po' più in là
me metto bbono bbono e che ve faccio?
Sfasciate pure, che ve sto a guardà
e sotto quer piccone traditore
come quer muro me se sfascia er core
Casetta de Trastevere, casa de mamma mia
tu me te porti via la vita appresso a te
tutti li sogni cascheno, mattone pe' mattone
e in mezzo ar polverone io nun te vedo più
Fa piano, muratò, cor quer piccone
ma nun lo vedi che mamma è ancora lì?
Appiccicato proprio a quer cantone
ce stava er letto ′ndove ce morì
e c′è rimasto, fa' piano co′ le pale
nun lo vedete che j'e fate male?
Casetta de Trastevere, casa de mamma mia
pare che er monno stia cascanno appresso a te
sogni e ricordi crolleno, tra er muro e quella porta
mo′ che mi' madre è morta, io nun te vedo più
sogni e ricordi crolleno, tra er muro e quella porta
mo′ che mi' madre è morta, io nun te vedo più
fa piano, muratò, cor quer piccone
ma nun lo vedi? C'è mamma ancora lì»
In tale ballatetta riposa la forza che abbiamo perduto, l’istinto che incitava a lottare, il dolcissimo inganno, di stampo magico, per cui il mondo materiale veniva contagiato da quello, spirituale, della famiglia o della comunità.
I mattoni, la casa, la madre, il ricordo, la persistenza del passato. Identificazione totale. La Patria non è che la sublimazione del focolare. Il centro e l’identità, la durata.
Non sappiamo nemmeno più cos'è lo ieri.
E il passato?
Chi discorre più, come Machiavelli, con gli “antiqui huomini”? Chi li conosce? Chi si riconosce più?
Cristo, per me, è come il Simurg.
Posso non credere alla Rivelazione che solo la purezza della Fede è in grado di donare; la storia del Cristianesimo, però, ogni scheggia venerata nel tempo dell’esistenza, intendo, l’alito di rosso d’una miniatura medioevale, lo spezzone d’una frase, un’omelia, l’epigrafe di Livia Primitiva, una terzina, la più minuscola tessera del mosaico del Mausoleo dei Giulii nei sotterranei protocristiani del Vaticano … è tutto questo universo a ricomporsi lentamente, alla fine della vita, nel Volto amato.
Benché senta, a tratti dolorosamente, di non appartenerGli avverto che l'interezza di ciò che ho sempre amato sia in Lui ricompresa.
Il Redentore di Rublëv ci guarda di lontano, gli occhi fissi nei nostri; è forse un miraggio se, rimirando l'Immagine a lungo, quella severità paia stemperarsi in una speranza benigna?
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Siate gentili ...