08 luglio 2024
Singh Singh
30 marzo 2024
Buona Pasqua 2.0
Tucker Carlson, che ha pure un bel nome, è il nuovo beniamino degli Speranzosi. Agli Speranzosi piace tifare, mica cercare la verità. La verità dei fatti, intendo, che, quasi sempre, equivale a infilare le mani alla cieca in un covo di vipere. Tifare appaga, tifare rilassa, tifare fa comunella, tifare dà sicurezza – ovvero il narcotico rilascio dello sfintere che segue alla consapevolezza d’essere in tanti. Essere in pochi, invece, essere soli, di fatto, soli per tutta la vita, regala brividi di gelo lungo la spina dorsale. Chi vorrebbe vivere una vita così? Giunti a un certo punto ci si sente come dei sassi: sole, vento e pioggia più non importano.
Quindi Tucker afferma: “Abbiamo vinto!”. Fosse stato così semplice, avremmo messo tutti la firma. Una nazione, la Russia, depapuperata sin all’osso, e umiliata dai clientes del Nuovo Ordine sin agli anni Duemila, in vent’anni è riuscita a risorgere e a guidare una reazione vincente appropriandosi di qualche migliaio di chilometri quadrati di un ex nazione, l’Ucraina, depauperata sin all’osso, e umiliata dai clientes del Nuovo Ordine: da 0-4 al trionfo, avendo tutti contro, dagli arbitri al pubblico ai guardalinee, così come non era nemmeno riuscito a Michael Caine e Pelé in Fuga per la vittoria. Domandiamoci, però, se vittorie e sconfitte passano gli uomini o meno. Hic stat busillis. Le tendenze fondamentali del nostro tempo, la tecnica, la digitalizzazione, la sparizione del reale, la globalizzazione della miseria spirituale, ci parlano dell’esatto contrario. Dovremmo chiederci cosa accadrà di questa presunta vittoria fra dieci o quindici anni, quando Putin (e tutti gli altri figuranti della Storia) saranno stabilmente all’ospizio o al cimitero. Chiediamoci, altresì, se questa vittoria è foriera di un’inversione della catastrofe in atto. Lo è? Non sembra. La secolarizzazione avanza; il saeculum impregna totalmente le esistenze dei miliardi, da Dubai a Shanghai a New York. Qualcuno declina, altri paiono ascendere. E allora? Proprio questo il segreto della globalizzazione. La scomparsa di quello che può chiamarsi Europa, e quindi Occidente, non è nient’altro che un atto rituale propedeutico all’abbraccio finale. Certo, nelle more di questa sconfitta universale, si possono equivocare degli eventi contingenti quali vittorie …
Sarei felice, prima di crepare, di vedere i cavalli cosacchi abbeverarsi in San Pietro, e di vivere una vera Pasqua … o un vero Natale … uno solo … mentre i cardinali del Conclave pendono da qualche forca. Lo vedo difficile, però. Tra le nebulosità della palla di cristallo, chissà perché, mi appare sempre un cartello, anzi più cartelli, di un giallo canarino, appesi a decine sulle colonne del Bernini. Recitano: “FOR SALE”.
Sperare è facile. Lo si fa dal divano. Contrastare alla dissoluzione, invece, risulta assai duro; sgradevole, depressivo; sì, durissimo. Contrastare vivendo la propria vita al contrario, erigendo un’esistenza che dice “no”, questo è ancora più aspro e pericoloso. Qui siamo alla porta stretta, al canapo nella cruna dell’ago. Gli exempla dei santi questo vogliono dirci. E ogni epoca esige il proprio santo ovvero un certo tipo di martirio, di testimonianza. Non basta, nel 2024, sistemarsi, come gli stiliti, sulla cime di una colonna rinunciando del tutto al saeculum. Il nostro tempo corrompe anche i migliori e il tanfo dello zolfo si insinua persino negli eremi più inaccessibili. Serve un “no” onnicomprensivo, ma chi ha il coraggio e la forza di pronunciarlo?
29 febbraio 2024
Trattori e spicci
Roma, 28 febbraio 2024
Diavolo d’una Giorgia. Preoccupatissima del voto in Sardegna (qui si vince un’altra volta!), ha urgentemente rimediato, con la velocità impressionante d’un Fregoli. Andata a scovare il più antipatico candidato del mazzo, fatto fuori quello che assicurava i migliori clientes, ha percorso ventre a terra li cattru mori come la cavaliera della sconfitta, fra boccacce, dichiarazioni a vanvera e selfie NATO, giusto per alienarsi il maggior numero possibile di voti. Eppure non bastava! Questi cretini si rifugiano nell’astensione, ma l’altra non la votano abbastanza! La politica contempla anche l'arte della ritirata, soprattutto quando si dovranno imporre patrimoniali e sangue di drago. Noi li aiuteremo, come sempre, ma la faccia la mettano gli altri! E allora, con cautela, giù passi falsi, divisioni interne, piagnistei e litigate, e la benedizione delle randellate ai liceali utili per il ludibrio h24. Alla fine, dopo un incredibile e sospetto stillicidio dalle sezioni, specchio d’una organizzazione che avrebbe fatto dimettere i ministri dell’Interno di nazioni più strutturate della nostra, dal Gabon alla Guinea Equatoriale, la sospirata débâcle. Salvini sostituito da qualche esponente più vaselineggiante (ha fatto il suo tempo, basta farse sovraniste in nero, ci vogliono leccapiedi in chiaro + IVA), governo in autosmantellamento controllato, l’isola direttamente nelle mani di Jen Stoltenberg-Heiberg. Le felicitazioni dell’israeliana Schlein alla compagna di mille giochi hanno chiuso (con ecumenica festa a sorpresa e scambio di cotillons) anche questa stagione di successo della filodrammatica elettorale.
Le elezioni sono l’indizio chiaro che si vive in una democrazia! Che ci distingue dalla dittatura! La “x” è garanzia di libertà!
E bravo il mio coglione.
Ma cos’è la democrazia? La nostra democrazia attuale, intendo, quella liberale, che dal cul rugge la trombetta della libertà. Ci si interroghi sul perché la democrazia ci ha progressivamente isolati e poi schiacciati in una globalizzazione ben peggiore di quella prefigurata da George Orwell e nell'opera del maestro suo, mai riconosciuto per tale, Evgenij Zamjatin. Alla domanda risponde uno dei pifferai più rispettati del pensiero liberale novecentesco, Norberto Bobbio. Afferma Bobbio ne Il futuro della democrazia (sarebbe bene leggere con accuratezza il pastone che propongo): “La democrazia è nata da una concezione individualistica della società, cioè da quella concezione per cui, contrariamente alla concezione organica, dominante nell’età antica e nell’età di mezzo, secondo la quale il tutto è prima delle parti, la società, ogni forma di società, in specie la società politica, è un prodotto artificiale della volontà degl’individui. Alla formazione della concezione individualistica della società e dello stato e alla dissoluzione di quella organica, concorsero tre eventi che caratterizzano la filosofia sociale dell’età moderna: a) il contrattualismo del Sei e del Settecento, che parte dall’ipotesi che prima della società civile esiste lo stato di natura, in cui sovrani sono gli individui singoli liberi ed eguali, i quali si accordano tra loro per dar vita a un potere comune cui spetti la funzione di garantire la loro vita e la loro libertà (nonché la loro proprietà); b) la nascita dell’economia politica, vale a dire di un’analisi della società e dei rapporti sociali il cui soggetto è ancora una volta il singolo individuo, l’homo oeconomicus, e non il politikón zôon della tradizione, che non viene considerato per se stesso ma solo come membro di una comunità, l’individuo singolo che, secondo Adam Smith, ‘perseguendo il proprio interesse, spesso promuove quello della società in modo più efficace di quanto intenda realmente promuoverlo’ (del resto è nota l’interpretazione recente di Macpherson, secondo cui lo stato di natura di Hobbes e di Locke è una prefigurazione della società di mercato) c) la filosofia utilitaristica da Bentham a Mill, per cui l’unico criterio per fondare un’etica oggettivistica, e quindi di distinguere il bene dal male senza ricorrere a concetti vaghi come ‘natura’ e simili, è quello di partire dalla considerazione di stati essenzialmente individuali, come il piacere e il dolore, e di risolvere il problema tradizionale del bene comune nella somma dei beni individuali o, secondo la formula benthamiana, nella felicità del maggior numero”.
27 gennaio 2024
Soffittizzatevi!
Roma, 27 gennaio 2024
Si domanda una delle gazzette dell’Illuminismo Nero: “Le auto volanti delle città del futuro faranno troppo rumore?”. E il sottotitolo, sbarazzino, recita: “Quando sulle nostre teste ci saranno le auto volanti l'inquinamento acustico peggiorerà. Per questo gli ingegneri studiano per renderle più silenziose”. La mucca da pascolo delle sciocchezze tecnologiche e il tecnopuero leggono; e sognano; e rimuginano: ma queste macchine faranno o non faranno rumore? Eh, sì, un bel problema … per fortuna ci sono gli ingegneri … che s’ingegnano … e risolveranno, sicuramente … quando mai non hanno risolto qualcosa, loro, gli uomini della scienza, in camice e alambicco? Per il tecnopuero il problema sono i decibel delle auto volanti, non l’esistenza delle stesse, ch’egli già vede rigare i cieli d’una città formicolante e automatizzata, in cui umani e androidi coesistono e la felicità, guidata dal progresso ateo che sempre avanza, la si stacca dall’albero di pomi del Bene. Per carità, a "Focus" e al castrone da fattoria 2.0 mica gli passa nella capoccia ch’egli non guiderà un tubo, né per terra e né per mare, che la sua esistenza, già grama, sarà ridotta nei loculi della Monarchia Universale, soli, consumati nella depressione che, a tratti, in violenti raptus, si sfoga in verde livore … contro chi? Contro chi gli indicheranno, la lattigine del PC a illuminare volti tirati, senza scampo. Non c’è niente da fare, il micco da "Focus" s’immagina già sull’auto volante, mentre chiede il permesso al roboserver di attraccare al ventiduesimo piano nel condominium di prima classe nel caseggiato medio-patrizio del settore metropolitano Est/4 di Alma … il loft panoramico già riscaldato, la collaboratrice o il collaboratore androidi già pronti a soddisfarlo mentre l’olovisore seleziona i punti di prospettiva migliori per godere della partita di Supercoppa d’Asia Shanghai – Tehran. Non lo mette in guardia il proliferare dei rottami, a milioni, dagli smartphone ai tostapane, il malfunzionamento strutturale degli ordigni digitali, il fatto che ogni trovata (scale mobili, tapis roulant, asciugatori, condizionatori) deperisca nel giro di pochi mesi e che, nonostante i miliardi di euro investiti, non si riesca a risolvere alcunché ricorrendo alla tecnologia celeste e che i mirabolanti uffici del terziario, open air, siano ricettacoli di lerciume e sfruttamento.
Macché, a lui importa il sogno, che il sogno continui; il sogno che non ben precisate entità, altruiste e benigne, lavorino per lui, incessantemente, escogitando sempre nuovi gadget per rendergli la vita facile … i nuovi chirurghi del futuro, i robot! Quelli mica sbagliano! Ah, il progresso … poi la ASL gli assegna una TAC nel 2025 …
E invece sarà pianto e stridore di denti, lì, nel cubicolo, dove, forse, permetteranno, oltre agli elettrodomestici ricondizionati, di tenere un pesce rosso di gomma.
L’Illuminismo Nero molto ha promesso, e le moltitudini ancora vi credono. Concedendo qualche mirabilia, ma, ecco il trucco, sempre in cambio di qualcosa: che ora non è più possibile recuperare. Tutto ha un prezzo, dicono i turbocapitalisti. Peccato che nel contratto che il nostro tempo ha stipulato con la promessa del progresso illimitato, il “do”, pendant di “ut des”, fosse scritto con l’inchiostro simpatico. E, però, ora che ci si avvicina ai roghi finali, quelle righe cominciano a risaltare sulla pergamena dell’inganno: sì, par di capire, dobbiamo al futuro una libbra di carne. L’ultima, poiché le altre, senza che nessuno se ne accorgesse, sono già state riscosse dal fattore. Certo, a suo tempo, occorreva dire di no, un no che fosse un no, ma chi ha mai avuto il coraggio di esclamare questo scandalo?
Liofilizzazione, da liofilo (greco λύω, lio-, ovvero "sciogliere"). La liofilizzazione, leggo da un sito a caso, “è un essiccamento sotto vuoto spinto di un materiale preventivamente congelato, mediante il processo di sublimazione, ovvero il passaggio diretto dallo stato solido (ghiaccio) allo stato di vapore (eliminazione dell'acqua)”.
14 dicembre 2023
Il mondo dietro di noi
Roma, 14 dicembre 2023
Il centrodestra vuole il premierato. Per chi? Per il prossimo supertecnico che le darà il benservito. Col proprio consenso, ovvio. Nel farlo, tirerà un sospiro di sollievo: le famiglie sono ormai al sicuro, gli appalti pilotati a dovere … ora tocca ai vicini di loggione … il popolicchio si arrangi, lui e il suo stellone … per noi può tornare chiunque … Draghi, Monti, Schlein … espirazione, inspirazione … sinistra, destra, tecnico, sinistra, destra, tecnico … il micco è servito, Davai Italianski!, limone in bocca e carota, l’immancabile carota, a vellicare il tifo più sterile e l’istinto dell’autocommiserazione. Rivoltolarsi nel brago della decadenza, infatti, dona brividi di piacere.
Non è stato il Ministro dell’Istruzione e del Merito dell’ex Repubblica Italiana, Giuseppe Valditara, a nominare Anna Paola Concia quale ambasciatora dell’Amore che ci Avvolge Tuttə nelle aule che stipano i residui pargoli italiani, ormai istupiditi, bensì Anna Paola Concia a creare le condizioni per la nomina di Giuseppe Valditara. Solo alla luce delle vere gerarchie si comprende la realtà globale. La devoluzione dell’avanspettacolo leghista “Profumo Dur - secessionismo con carro armato di latta - ponte dei terroni - lesbiche in classe” è solo apparentemente enigmatica. In realtà non ci siamo mai spostati dalla catastrofe (gr. kαταστροϕή, rivolgimento, capovolgimento finale che rivela la tragedia), progettata più di trent’anni fa, a cadaveri e macerie ancora caldi. Che la Anna Paola Concia abbia rinunciato all’incarico fa solo parte del piano che, al riparo da ogni obiezione, avanza. Al prossimo suono della campanella, magari con una nuova maggioranza, avremo i surrogati della direttrice artistica Concia, vestiti a festa, con i talleri europei cuciti sulle tutine d’organza, a insegnare come si diventa un servo, definitivo e irredimibile.
Il giornalista Massimo Del Papa, vaccinato, si lamenta dei danni da vaccino. La sua ricognizione sulle responsabilità istituzionali è condivisibile. Meno accettabile è lo j’accuse contro lo Stato e i partiti che promanerebbero da ideologie totalitarie, di destra e di sinistra. Già che c’è, forse per riflesso pavloviano, Del Papa coinvolge anche la Chiesa. L’errore è fatale. È proprio l’assenza dello Stato, già parodia della Patria, e cioè lo Stato 2.0 aggredito e conquistato dalle fanfaluche sul libertarianesimo, il liberismo, i liberali e il pensiero debole, ad aver permesso e giustificato questo. Il presunto Stato, in tale vicenda allucinante, entra solo coi suoi rami repressivi; un nudo esoscheletro con mere funzioni di polizia, ingannevolmente al servizio degli individui. La partita impari, e dall’esito segnato, si giocava fra tale apparato, connesso criminalmente a livello globale, e l’individuo. Di qui la tragedia. Tutto ciò che sino a pochi decenni or sono costituiva la vera difesa dell’individuo dal totalitarismo - organizzazioni religiose, accademiche, amicali, militari, corporative, politiche e professionali - fu dolosamente liquidato; spesso in nome di quella falsa libertà anarcoide, instaurata durante le rivoluzioni colorate degli anni Sessanta, di cui le parole di Massimo Del Papa sono ancora riflesso.
La fiscalizzazione dell’esistenza si è insinuata fra noi inavvertitamente, grazie al trojan della comodità.
15 novembre 2023
Vogliamo vivere!
Roma, 16 novembre 2023
Ho passato quasi metà della mia personale esistenza a vivere la vita di un altro; e ciò che ne restava a ripudiare il tempo in cui nacqui, giorno dopo giorno. Da giovane, per campare, si doveva fingere in tutto: sui banchi di scuola, in società, al lavoro, in vacanza, al bar. Ci si riservò la mendacità, una briosa discesa agli inferi. Il grasso di quella breve epoca edonista consisteva, a ben ri-vedere, nella moneta presa in prestito dal più sordido usuraio; e si viveva in accordo con quei semitoni una danza di sguaiato e inavvertito orrore. Quanto tempo perso, quanta stupidità in ogni atto! Alla nostra secolare etica, che disconosceva, come ogni tradizione che ci tiene in vita, il giudizio su sé stessa, se ne sovrappose un’altra, apparentemente libertaria, ariosa, dalla vastità infinita. Fu un miraggio degno di Alcina. In realtà vedevamo con altri occhi e i nostri, gli unici che potevano salvarci, furono resi ciechi: “gli ochi nostri tenebrosi”. Poi cominciai a leggere meglio, a vedere meglio. Non si trattava di risvegliarsi a niente, semplicemente giudicai secondo ciò che siamo sempre stati. E presi a vivere la vita al contrario. Sottosopra. Perché il contrario del contrario è la retta via. Dappertutto giravo in senso antiorario, come i detenuti durante l’ora d’aria. Alla stanga, a faticare il triplo, a essere compatiti (non capisci!), a rimanere esclusi, inevitabilmente, dal corretto fluire della vita che ancora, sonoramente, disperatamente, con risate isteriche e forzate, gorgogliava giù per la fogna. Dove merita di stare.
Una volta non ci si domandava: voglio vivere nel mio tempo, oppure no, lo rifiuto. Ci si adattava secondo un conformismo più o meno accettabile, schiantati da sacrifici o privazioni, oberati dal male, ma l’intimo conforto di cui si godeva erano quei punti cardinali verso cui guardare. Qui è il problema. Un asse del mondo è necessario, o per conformarsi o per tentare di svellerlo alle fondamenta. Le epoche o sono incardinate alla tradizione oppure minacciate da sconquassi sociali e umani, ma la bussola deve necessariamente segnare un nord morale. Uno dei primi a rendersi conto dello sfacelo fu William Shakespeare: quella frase, apparentemente innocua, poiché riferita a una vendetta ("Time is out of joint", il tempo è fuori dei cardini, della giusta guida), alludeva al tramonto di un Ordine (di un kosmos) e all’incipiente in-augurazione dell’apostasia inglese. Egli intuiva che quel turbine di sangue celava non certo il male, presenza connaturata all’umano, bensì il nichilismo corrosivo e sterile dei nuovi tempi a venire.
Nel Riccardo III alcune nobili dame si rinfacciano assassinii:
13 ottobre 2023
Operazione cubicolo
Roma, 13 ottobre 2023
Ma non sarà così, è impossibile! Lo concedo: c’è la minuscola possibilità di un fallimento. Ciò che non si potrà scongiurare, però, sarà la distruzione. Dalla distruzione non si torna mai indietro.
L'Italiano accorto del blog sentirà il dovere di leggere
il racconto di Philip K. Dick, Il gioco
della guerra (War game, 1959).
Ganimede, luna di Giove, ha delle mire di conquista nei riguardi della Terra.
Si sospetta che i Ganimediani possano lanciare azioni ostili da un momento
all’altro. Uno dei mezzi più subdoli che potrebbe usare il nemico: i giochi per
bambini. Per questo motivo, una squadra dell’Ufficio di Importazione sottopone
a un esame severo due di essi, prossimi al lancio sul mercato terrestre. Il
primo è un imperscrutabile gioco di guerra, l’altro una variazione del Monopoly. L’attenzione dei funzionari si
concentra sul complesso war game di cui, tuttavia, non si riesce a stabilire la reale finalità: lo si mette, perciò, in quarantena; il secondo, The syndrome, viene ritenuto un innocuo
passatempo e ha via libera. Quando il giocattolaio Joe Hauck porta a casa un
prototipo di The syndrome, esso affascina da subito i figlioletti Lora e Bobby. Gioca assieme a noi, papà! E Hauck gioca. Ed esclama: “Ho vinto!”; e invece no, lo correggono i
bimbi, qui “bisogna disfarsi dei propri
averi. Sei fuori del gioco papà!”. Hauck cerca l’accumulo, ma The syndrome esige l’esatto contrario
del Monopoly. Esso, infatti, insegna ai bimbi come “cedere con naturalezza i loro
averi [tanto che i bambini, per vincere] davano via le proprietà e il denaro con avidità, in una sorta di
trepido abbandono”. Vince chi perde tutto. Non avrai nulla e sarai felice. I
Ganimediani, come Schwab, la sapevano lunga: "Dietro di lui, i due ragazzi continuavano a giocare, animandosi sempre di più man mano che le azioni e il denaro cambiavano proprietario ... Guardandolo con gli occhi lucidi, Lora disse: 'È il più bel gioco educativo che tu ci abbia mai portato, papà!'".
Occorre
indottrinare da subito per avere la certezza dell’assenso poiché anche la
rassegnazione può insegnarsi e divenire costume.
Allo
stesso modo, i ragazzetti romani di borgata dei Settanta erano devoti al
traversone, ovvero all’esatto contrario del tressette. Vinceva chi rifilava i
carichi agli avversari totalizzando il meno possibile. Tressette e poker
assommano, il traversone dilapida. A posteriori, rinvengo in quella passione
ludica un logico correlativo della nostra inferiorità sociale.
Improvvisamente sento berciare dalla camera accanto alcune voci concitate: “Hamas! … Ashkelon!! … barrage di razzi!!! …”. La televisione! E pensare che non l’accendo mai … come ha potuto farlo? Sospetto ch’essa, che da anni mi spia, anche mentre visiono innocui documentari sull’arte del Neolitico, sia ormai posseduta da un’entità capricciosa che vuole recarmi noia. Infastidito dal vociare, irrompo per tacitare l’ordigno. Lo trovo sintonizzato su RAI3, all’ora del telegiornale quotidiano. Sullo schermo immagini di guerra. Guerra, stavolta, israelo-palestinese. E cos’altro, se no? Il telecomando, ovviamente, non risponde agli impulsi. Alberto Angela sentenzierebbe che sono esaurite le pile, ma - ne ho quasi la certezza - ormai si comanda da sola. Infatti, nonostante pigi l’off della tacitazione elettrica, Ella persiste nel frignare. Che voglia dirmi qualcosa? Scendo a patti e m’assiedo. Sullo schermo l’inviata della RAI, acronimo di Radio Audizioni Italiane, si conduole con i colleghi da Roma d’una terribile esperienza: la stanno bombardando.
29 settembre 2023
La pesca
Roma, 29 settembre 2023
Una nota catena italiana di supermercati lancia una campagna pubblicitaria ove compare una bimbetta, Emma, e i genitori divorziati. Emma soffre per la separazione, ma, ingenuamente, cerca di rappezzare i rapporti fra il papà e la mamma col dono di un frutto, una pesca.
L'innocente operazione commerciale ha scatenato un prevedibile flame da distrazione di massa, ancorché di proporzioni inusitate.
Alcuni allocchi hanno equivocato il consiglio per gli acquisti, ideato al fine di far comprare più prodotti nella nota catena italiana di supermercati, per una svolta in senso reazionario: a favore della famiglia; altri isterici, ben più numerosi, dalla parte progressista della barricata, l’hanno inteso, invece, per una svolta in senso reazionario: a favore della famiglia.
Entrambe le fazioni sono composte in larga parte da tecnopueri ovvero da individui i cui unici sentimenti sono mediati dal web; essi esprimono, perciò, al massimo, un vago sentimentalismo digitale ove non hanno campo un vero odio, una reale gioia, un afflato di libertà. I simulacri dei sentimenti animano, perciò, un homunculus dai tratti infantili che, purtroppo, non vanta le emozioni sorgive degli infanti, ma ne rappresenta la raggelante parodia. L’infantilismo di massa, fanatico e sprezzante, specchio deformante del violento e ricco cromatismo delle reali emozioni umane, oggi preterite o represse, forma le quadrate legioni degli armigeri del web: controinformatori, gatekeeper, fact checkers, polemisti calvi, geopolitici in fregola, femministe in pieno arco isterico, checche sfinteriche, decime mas dell’impotenza.
Se i reazionari digitali sono, assai semplicemente, degli imbelli, è nel campo sedicente progressista che si rinvengono le reazioni più scomposte e interessanti. È bastata una pallidissima e involontaria evocazione dell’Antico Ordine per scatenare la fase del clownismo chiacchierone: contorsioni, bava alla bocca, coprolalie, insulti sanguinosi, bestemmie, irsutismo lesbico, furore da licantropi al plenilunio: ove per clownismo ci si riferisce alla fase acuta dell’isterismo, da sempre identificata con le possessioni.
Ma cosa è accaduto davvero per accendere tali dimenamenti da tastiera?
La serica trama del politicamente corretto, filata in decenni di propaganda ossessiva che ognuno ha dovuto ingurgitare, a piacere o controvoglia, come le foglie di un gelso venefico, imbozzola oramai l’Italiano, chiuso al suo interno senza alcun contatto con la realtà di ciò che è stato. Quando, per un incredibile accidente, tale insetto, chiuso nel depressivo solipsismo PolCor, entra pur minimamente in contatto con l’evidenza, si crea la reazione isterica. Gli insulti sono vomitati, quindi, per proteggere tale coscienza posticcia, creduta progressiva e, perciò, inconfutabile, contro l’insorgere della verità che, latente, ancora alberga nei cuori.
Negare a onta di qualsiasi evidenza, a costo di sacrificare sé stessi. Tali le ondate di fanatismo di massa che stiamo affrontando. E la situazione peggiorerà. I bruchi si trasformeranno, prima o poi, in perfette falene psicopatiche. Gran parte delle nuove generazioni non sembrano toccate da tali accensioni sol perché, in loro, l'anima artificiale è degenerata in ordinaria e seriale complessione psicologica.
Questi esseri da villaggio dei dannati saranno, inevitabilmente, i naturali carnefici della residua normalità.
02 settembre 2023
Hysteria!
Roma, 2 settembre 2023
In Niger scacciano i colonizzatori! L’India va sulla Luna! I BRICS non pagano il petrolio in dollari! Crolla il sistema che ha governato il mondo nell’ultimo secolo! Se non più! E tutti a ballare la polka … come se tali avvenimenti non favorissero sfacciati, invece di negarne l’inveramento storico, proprio ciò di cui si celebra l’apparente funerale: la globalizzazione terminale, la Monarchia Universalis.
Lacrime su Michela Murgia, altra inessenziale figurina della sedicente scena letteraria e intellettuale dell’ex Italia. Il funerale, né cattolico né pagano, celebrato nella chiesa di piazza del Popolo, una volta dedicata alla Vergine, e oramai mezza sconsacrata, ha rivelato l’essenza dei Nuovi Tempi … a riguardare certi spettacoli trascorro intermittente tra rictus spettrali e facies da umor nero … L’enormità delle eulogie, sproporzionate rispetto al reale peso della Defunta, l’indifferenza al luogo di culto, scambiato dal becerume per una fumosa sezione di partito, le allocuzioni strampalate … ove alcune citazioni da fumetto, commiste ai ricordi più goffi, si induriscono improvvisamente in sconclusionate quanto violente invettive alimentate da un odio incomprimibile, di cui gli autori stessi ignorano la scaturigine reale … tutto induce a uno sbalordimento che sconfina nel malessere. Una di tali Erinni postmoderne, che il Potere ama ingigantire sin al rilievo d’intellettuale, brutta e insecchita dal risentimento, vocia scomposta dal baldacchino della prosopopea: la concione rassomiglia alle registrazioni allucinate carpite da una cella imbottita, ma ognuno la prende sul serio, per carità, dal pretame agli stracciaroli della stampa lì convenuti … eppure indovino, negli interstizi di quei monologhi, a unico conforto, una segreta e divorante disperazione … si può volare assecondati dai venti del Conformismo dei Tempi Nuovi sin a credersi latori della Verità, ma è arduo ingannare la propria natura profonda: da tale duello interiore deriva l’isterismo.
Ormai nemmeno leggo più tanto. Mi hanno tolto questo piacere. Infatti, non esistono più libri. L’obiezione principale che mi si può muovere ("E le librerie, allora?") non tiene conto del fatto che le librerie non vendono più libri. Pochi giorni fa sono entrato in una delle ultime operanti a Roma, di una nota catena. L’odore dei disinfettanti, esaltato dall’aria viziata dei condizionatori, quella miscela nichilista di falso pulito, mi ha subito aggredito alla gola. Ormai ogni lupanare delle multinazionali, o di bugigattoli nazionali a esse affini, dalle banche al vestiario, profuma allo stesso modo, di detergenti asettici, anonimi, seriali. Le luci al neon e l’ordinamento meticoloso dei prodotti delle scaffalature reca un senso di smarrimento; l’impressione è che tale ordine celi l’estrema povertà dell’offerta. Cinema e musica sono scomparsi; residua l’attualità di qualche titolo; e l’orrenda moltiplicazione di offerte di libri per bambini, uno peggiore dell’altro, di baedeker da cucina, vademecum new age, ricettari da svago. Come se l’ominicchio attuale dovesse ancora svagarsi … ma da cosa? Le copertine sono necessariamente sgargianti, con titoli vistosi, smerdate da foto o disegni di terrificante stupidità; l’impaginazione è grossolana, la carta mediocrissima, le cuciture inesistenti. Al di là del contenuto, il libro ha perduto del tutto il proprio valore di preziosità. Un libro si stampa e si getta via. Ciò ha praticamente distrutto il settore dell'antiquariato: i libri stampati negli ultimi trent’anni ci si vergogna persino a esporli accumulandoli come spazzatura fuori del negozio, in offerta a pochi euri; la maggior parte viene viene sversata nei bookcrossing o nelle carceri. Dopo pochi minuti ero già disgustato da tutto: difficile nascondere il ribrezzo al contatto di quelle levigature di straziante alienazione; la mancanza di materiali nobili liofilizza anche il pensiero … pure quegli allucinati omaggi alla cosiddetta cultura, le gigantografie di Garcia Marquez e Brecht, scoraggiano all’acquisto ... persino di Garcia Marquez e Brecht ... il povero Bertolt, poi, chi se lo compra più oramai? Quando il PCI e l’Einaudi spingevano per Mutter Courage, forse … ma oggi lo si riguarda come testimonial, al massimo .... a testimoniare l’engagement … ma di chi? Di Saviano, che quello ha da scalare le classifiche di vendita … Anche il settore dei classici rigurgita di orrori. Impossibile (dico: è impossibile) leggere Conrad o Catullo in tali edizioni brossurate … la forma, signori … stupra brutalmente il contenuto … il verso Ancor che l’aigua per lo foco lassi, di cui, in mancanza di maestri, s’ignora la natura e la segreta, intima, bellezza, non può fisicamente leggersi o apprezzarsi sfogliando quelle pagine puzzolenti di colla alla buona … l’utilitarismo straccione sbaglia ancora i calcoli, o meglio: gli Italiani, ancora una volta, si son lasciati infinocchiare da questi imbonitori taccagni, sacrificando ciò che furono ... eppure si comprendeva, sino a pochi decenni or sono.
19 luglio 2023
Canicola
Roma, 20 luglio 2023
"Anche i migliori non sfuggivano talvolta alla tentazione di degradarsi volontariamente, di livellare le frontiere e le gerarchie, di tuffarsi in quella superficiale fanghiglia di comunanza, di intimità facile, di turpe promiscuità"
Bruno Schulz, Le botteghe color cannella
Sì, signor giudice … confesso ... lo faccio liberandomi finalmente l’anima da un peso insostenibile, e rimettendomi, al contempo, alla clemenza del Vostro giudizio … confesso: i trentacinque gradi delle mie estati da ragazzino erano assai più fresche se confrontate coi trentacinque gradi di oggi. Purtroppo, nato e cresciuto quale plebeo, vissi nell’ignoranza … ma ora, in attesa della condanna, severa quanto equa, perdonate una minuscola caduta nel ricordo. Si era a metà degli anni Settanta. Spensierato, come solo i bambini di allora potevano essere, senza nemmeno il sospetto della crudeltà, innocente come un uccellino, solevo sdraiarmi all’ombra, presso il balconcino della nostra cucina: in un palazzo popolare dell’infinito suburbio romano. La mattina, libero dagli impegni scolastici, che pur mi erano cari, io leggevo. Giulio Verne, non ancora Jules, fantascienza, Dracula, Frankenstein, Tex, saggi su Magellano e Cristoforo Colombo (rinvenuti nella sbrindellata e casuale biblioteca di casa), leggende cristiane, Dumas, Paperinik. Andava di moda, a quel tempo, il gioco del clik-clak, due palle di legno legate a un filo che si facevano cozzare violentemente e velocissimamente con un giuoco formidabile dei polsi. I lunghi pomeriggi, senza televisione, amavano riempirsi di tali ritmici rintocchi; dalle decine di balconi che davano sull’ampio cortile interno, sorta di salotto comune, ragazzini e adulti discorrevano amabilmente fra loro; poi, svaporate le ore più calde, ci si ritrovava fra noi, a inscenare farandole e scherzi infantili: allora, per qualche ora, tutto prendeva a risonare di schiamazzi e richiami; l’aria immobile si faceva gradatamente compassionevole; al tramonto s’avvertivano lieti i profumi della cucina: un fritto, della carne al tegame; si cenava, a volte, rinserrati come conigli, proprio su quei balconi; dopo, mentre mia madre risciacquava i piatti, amavo starmene da solo, coi gomiti appoggiati alla ringhiera scrostata. Aspettavo il consueto miracolo personale: le luci della sera. Quelle timide accensioni, una dopo l’altra, contro all’azzurrino del crepuscolo che, dolcissimamente, cedeva il campo alla notte, mi rapivano irresistibilmente, ogni volta. Soggiogato, riuscivo a dimenticare persino la fetta di melone, che mi rimaneva in mano, a mezzo sbocconcellata; l’umile spettacolo: flebili lampadine giallastre, abat-jour, soffusioni al neon, lampadari a goccia - tutto definiva le sagome di chi avevo pur visto, in pieno giorno. Ma quegli uomini e quelle donne, e i loro figli - Stefano Elisabetta Enrico Danila - mutavano, ora, in presenze nuove, fantasmatiche, seppur amiche. Un mondo sospeso, diverso; in cuor mio (ma lo compresi solo più tardi) speravo che rimanesse per sempre, gravido del dono dell’eternità. In sottofondo s’avvertiva il ronfare della città; e il pulviscolo dell’elettrico, lontano, verso il centro formicolante, da lì sfumato come un miraggio. Poi le tenebre infittivano; inaspettata, risaliva da terra una brezza fresca, a scuotere i rami dei pinastri del cortile; allora chiudevo gli occhi, a meglio goderla: il mondo era perfetto.