L’asfissiante retorica culturale imperante oggi in Italia si impernia essenzialmente sui così detti “buoni sentimenti”. Una meschina morale manichea che vede la società italiana divisa in due blocchi: da una parte i buoni e dall’altra i cattivi. I buoni, che sono votati anima e corpo al trionfo dell’amore, del bene, della giustizia e della libertà. Illuminati da una vera e propria superiorità culturale (e sentendo alcuni discorsi perfino antropologica, se non razzista), i buoni si fanno carico del peso della civiltà ed indirizzano la vita della società verso le “magnifiche sorti e progressive”. Di fronte ad essi stanno i cattivi: ignoranti, bigotti, razzisti, stupidi e privi del senso di libertà. La lotta del Bene ha come bersaglio principale non un’ideologia o un partito, ma un sentimento: l’Odio. L’Odio è ritenuto, così, la fonte di ogni opposizione al progresso della società verso il Bene, tant’è vero che è stato criminalizzato anche dal punto di vista giuridico (concependo i così detti “crimini di odio”). Ma cos’è l’Odio? È possibile e giusto eliminarlo dalla società? O piuttosto non è un elemento essenziale della società stessa?
Questo scritto vuole essere un pratico discorso volto al riposizionamento dell’Odio nell’immutabile ordine naturale della vita. Le righe che seguono non sono altro che riflessioni sui pensieri esposti dal Leopardi nel suo diario filosofico, fra la fine di marzo e l’inizio di Aprile del 1821.