Essersi occupati di Matteo Renzi, lo riconosco, è ignominioso.
Tale lo scotto da pagarsi quando si affondano le mani nella melma dell'attualità (che diviene inattuale la sera a cena).
Pubblicato su Pauperclass il 25 giugno 2016
Prima le elezioni italiane, poi la Brexit. Due eventi importanti per quel che resta del nostro Paese. I fatti in questione hanno dato la stura a migliaia di interpretazioni. La maggior parte d’esse è vergata, per usare una salace definizione di Giulio Andreotti, da “profeti postumi”, ovvero da coloro che piccansi d’aver preveduto l’imprevedibile: “come avevo detto …”, “come era scontato …”, “era inevitabile, com’io ebbi a dirvi …”, “come scrissi un anno fa …” oppure “come si evince dal mio libro del 2012 …” è intercalare usuale fra tali Nostradamus a babbo morto. Nulla da eccepire, per carità … ognuno è libero di cicalare come meglio crede … sarebbe preferibile, tuttavia, per la nostra sanità mentale e per intendere con più sagacia gli sviluppi futuri, lasciar almeno depositare la polvere di tali esplosivi accadimenti. Per conto mio, essendo ignorante come una zucca in politica, geopolitica e affini, mi limito a descrivere zone marginali della storia italiana – landa già marginale di suo. Il mio campo, infatti, sono le prospettive minime e inconsuete. Sono un Gozzano della controinformazione. Per cui dico subito che non so cosa accadrà dell’Europa.
Essersi occupati di Pippo Civati, lo riconosco, è ignominioso.
Tale lo scotto da pagarsi quando si affondano le mani nella melma dell'attualità (che diviene inattuale la sera a cena).
Per
rinverdire tali fruste considerazioni si può operare in tal modo:
1. riconoscere che la mossa attuata
da Civati è strutturale: l'inossidabile, inaffondabile, finta di Garrincha.
2. Sapere che Civati può essere sostituito da chiunque. Prima o poi, a esempio, torneranno in scena Scalfarotto o Landini o altri figuri. Basta, perciò, cancellare Civati e inserire il nuovo nome come in una equazione della vergogna politica e rileggere il post con occhi nuovi.
La signora in foto è Monica Vitti come Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa.
Pubblicato su Pauperclass il 29 maggio 2015
E così il coraggioso
Civati, dopo appena due anni di infruttuosi tira e molla nel peggior
partito d’Occidente (sedicente di sinistra), ha deciso il grande passo. Si è staccato dalla casa madre. E chi si è portato appresso? Nessuno. Neanche una Puppato. Come
trascinatore di folle non c’è male. D’altronde la faccia testimonia per
lui: è una nullità. Resta da stabilire se tale insuccesso carismatico è
dovuto al motivo anzidetto (è una nullità) o, più probabilmente, alla
sua estrema delicatezza: quella che impone di non disturbare il
manovratore, ovvero il subcomandante Matteo, il Poroshenko del Lungarno,
ex quizzarolo e presidente di provincia, ex sindaco, e ora segretario
PD e felice premier dell’attuale governo fantoccio.
Uno
dei pochi blogger leggibili in Italia: Carlo Bertani.
Pacato,
normale, sensato. Ciò non significa che sia d’accordo con il suo pensiero;
significa, invece, che le pagine da lui scritte sembrano promanare da un
individuo ragionevole, pacato, con cui si può - anche - amabilmente o
ferocemente dissentire (sempre in maniera amabile, ovvio).
Il
suo ultimo post è su Maur[izi]o Biglino.
E
chi è Maur[izi]o Biglino? Uno studioso della Bibbia. In base ai suoi studi, matti
e disperatissimi, si suppone, poiché l’ebraico antico (come l’etrusco, il
tocario, l’ittita e il lineare B) è un labirinto imperscrutabile ai più, afferma
che il Testo Sacro par excellence non è, ahi, un testo sacro, bensì, per quel
che si è potuto capire, il resoconto di una colonizzazione aliena. Elohim (gli
Elohim), una civiltà avanzatissima, in grado di modificare geneticamente l’uomo
(incrociandosi con esso). Yahweh fu il figlio di uno di tali Elohim: “comandante militare” che ebbe a
subornare la casa di Giacobbe “onde
conquistare lembi di terra e piccole aree del territorio palestinese”. Come amava dire Gadda: "Io stupiva".
Poi c’erano altri
Elohim, un pochino più navigati e di larghe vedute: questi avevano in
concessione gente un tantino meno rozza: Egiziani e Greci.
È forse un caso,
leggo nel post del buon Bertani, che ci sia un elicottero Apache (almeno è quel
che mi pare di intravedere tra le cisposità del primo mattino, ammammaloccuto,
con il croissant stillante caffellatte davanti alla bocca semiaperta) tra i
geroglifici di una stele egizia?
E così in Gemania c’è stata la rivoluzione. Più precisamente: in Baviera, terra dell’Ispettore Derrick. La CSU, una gamba del governo Merkel, ha perso le elezioni. Le buccine giornalistiche, quando manco v’era la certezza di un exit poll conclusivo, avevano già deciso su quale tonalità strepitare: il cambiamento. Strepitare da subito, prima che il volgo capisca cosa è successo, rimane un classico della propaganda. Una sorta di imprinting: lo spetezzo più veloce, meglio se all’unisono con altri culi da trombetta, decide il profumo definitivo da annusare nelle settimane a venire. In attesa di altre ventilationes. E stavolta è difficile liberarsi dal profumo del cambiamento, annunciato con tale fragore da Milano Finanza, blog e giornaloni conniventi.
La Biston Betularia, una falena dalle ali chiare, punteggiate da minuscole macchie più scure, svolazzava indisturbata, nei primi dell’Ottocento, fra la selvaggia chiarità delle campagne inglesi. Si posava, con flemma britannica, sulle betulle indigene, ricche di licheni bianchi: lì, immobile, poteva mimetizzarsi perfettamente; e riposare. Si trovava, infatti, nel proprio elemento, con cui aveva ingaggiato un progressivo rapporto simbiotico: millenni di lotte, fughe, inganni e crudeltà venivano racchiusi in un insettino solo apparentemente insignificante. In esso, però, vivevano milioni di ascendenti e, soprattutto, ancor più, i nemici sconfitti. Si poteva ben dire che il complesso e ingannevole vestimento le era stato donato dalla lotta coi predatori più accaniti. Ora prosperava naturalmente, fra gli alti e i bassi di un’esistenza fugace, aleatoria e libera. Le guerre non mancavano; il gelo poteva uccidere; la farfallina era, tuttavia, perfetta: strutturata per la vasta eternità. Poi venne la Rivoluzione Industriale. Gli aggregati metropolitani cominciarono a produrre tonnellate di fuliggine da carbone. Le betulle annerirono, assieme ai licheni della superficie. La bianca falena, ora, risaltava con evidenza accecante sui tronchi: i predatori procedettero lentamente allo sterminio. Una variante scura della betularia, una popolazione fin lì assolutamente minoritaria, vide lentamente e irresistibilmente crescere le probabilità di salvezza. Le proporzioni si invertirono: da 99% a 1%; da 1% contro 99%. Le Carbonarie, sui tronchi anneriti dal progresso, si mimetizzavano con facilità; le altre non avevano, invece, alcuno scampo. Intanto l'immaginario Oliver Twist, ignaro della strage, popola l'Inghilterra, terra di confusione, nelle pagine di uno scrittore di Portsmouth.
Ridicolo l'acculturamento che è stato promosso e promesso dalla scuola dell'obbligo e dalla laurea facile post-sessantottina che ci ha reso tronfi saccenti, incapaci di usare le mani per procurarci la sopravvivenza al di fuori del frigo e del forno. Terribile il disprezzo statalizzato di uno Stato progressista contro le arti pratiche di cui eravamo ricolmi in esperienza, saggezza e tradizione scaturita dalla sorgente di evi dagli abbagli luminosi, sfuggenti da pieghe oscure, esercitato “democraticamente” allo scopo precipuo di importare schiavi a basso costo che non hanno passione per l'artigianato, l'arte e la storia dei popoli che li ospitano, ma famelica necessità di arrivare prima sugli ultimi brandelli di quel che rimane della carcassa europea. L'analfabetismo doveva essere piegato per far posto all'ignoranza di massa sulle questioni di critica al sistema. Il sistema - freddo, cinico, burocratico, statistico, onnipervasivo - continua a ripeterci che, prima di lui, c'era la barbarie, dopo di lui, l'anarchia, in mezzo, in un presente amorfo, la globalizzazione, l'amalgama fluida, senza spigoli, bordi, confini, di cose e persone, che sgomitano per un pasto caldo ogni 8 ore in una cella da pagarsi con un debito trentennale.
La
castrazione chimico-digitale ha ottenuto effetti di sorprendente efficacia.
Non
se ne trova uno.
Conculcare
la “mano morta” ha prodotto un doppio effetto: creare esserini asessuati o
degli squallidi libidinosi.
I
primi sono quello che sono: li riconosci dal ciuffo ingelatinato; i secondi
sono sprofondati in una sorta di cupio dissovi bestiale, buono per essere
stigmatizzato dal MeToo.
I
controinformatori e i controinformati continuano a tifare Putin contro Nato, ma
la realtà, micidiale, è che il tifo cela la totale, irrevocabile, mancanza di
materiale umano adatto a una rivoluzione. Macché: pure a un tafferuglio. Senza
maschi non c'è rivolta, questa una verità umana, troppo umana; talmente
semplice da sfiorare il becero e il crasso (maschilismo).
Dire:
la situazione nelle periferie è esplosiva, significa nulla. Il potere, nella
esplosiva situazione delle periferie, nei ceffoni tra Singh, De Rossi e
Seferovic ci sguazza alla grande; come nelle vetrine sfondate, nei bancomat
schiantati, nei supermercati svuotati. Un’ondata di risse e mischie, con
sottofondo razziale, è, anzi, auspicabile per chi voglia celare la questione
primaria: Usura e Identità.
Eviscerare
testicoli e ovaie culturali ai giovani italiani ha prodotto dei cretini. Ne
abbiamo già parlato, anzi: ne parlo da sempre. Castrare i maschi, grazie al
possente chiacchiericcio politicamente corretto, senza soste, ha immesso sul
mercato della resistenza controculturale dei goffi nerdacchioni. Castrati di
tutto, ovviamente. Le automobili le sanno più riparare? La caccia? La zappa
sanno cos'è? Le armi, in generale? Coltelli, spade, fionde, balestre, una volta
sogni dei ragazzini? Conoscono il funzionamento d'un generatore? Sanno quando
maturano certi frutti? E le patate? Si piantano? Crescono sugli alberi o
sottoterra? A lacci per cinghiali come stiamo? Arti marziali? Lotta? Orientamento
nei boschi? Marce, gerarchia? Come si cucinano i gamberi di fiume? Vendemmia,
seminagione, castagne, olive? Il nodo alla cravatta? A sport di squadra come
stiamo? La pallavolo ... la pallavolo ... la pallavolo ... ma che pallavolo! A
pallone si gioca! E i fucili? Sanno di cosa si parla? Le molotov? E pisciare?
Il getto è dritto o moscetto, da prostata malinconica pure a vent'anni? Si
fanno più le gare a chi piscia o sputa più lontano? Bullismo? Come stiamo con
gli scherzi feroci nelle camerate? Capisco ... non ci sono più le camerate ...
a pugni, allora, si fa più a pugni? Si gioca per la strada? Si spaccano crani?
Okkio ... si palpano, in corsa, le chiappe delle sconosciute?
C'è
ancora chi crede che il gender sia stato introdotto per rispettare le donne?
Siamo
diventati più rispettabili, più azzimati, amanti del galateo. Anzi, nemmeno di
quello, più asettici e neutri. In trent'anni. Trent'anni ... allora è vero che
il comunismo serviva a qualcosa, mi ha recentemente detto un vecchio
fascistone. Sì, a tenere alto il conflitto. Almeno c'era un po' d'azione, ha
concluso con un sorriso da pugile suonato. Il comunismo era ciò che tratteneva,
ora nulla trattiene, siamo entrati nel Mondo Nuovo, Unico. Poca violenza, molta
repressione interiore, monodimensionalità ... in nome della Bontà, ovvio.
In
Italia non potremmo fare la rivoluzione manco se risorgessero Che Guevara, Caio
Mario, Garibaldi e Spartaco mettendosi al nostro servizio. Non esiste più il
maschio. E nemmeno la femmina, peraltro, almeno a guardare il trio di punta del
MeToo: Asia Argento, su cui taccio; Rose McGowan, una lesbica fidanzata con Rain
Dove, una modella (di largo successo) che è una donna che è convinta di essere un uomo che è convinto di essere
una donna e, forse, è davvero così.
Dopo
aver visto Rain (al nome credevo fosse una pornostar: l'avevo scambiat* per
Misty Rain) sono corso a prendere il DVD di Roma
ore 11: solo la contemporanea presenza di Carla Del Poggio, Lucia Bosé,
Elena Varzi, Lea Padovani e Delia Scala ha fornito il litio necessario a
superare la depressione.
No,
non c'è speranza, non venitemi a commentare sotto casa o a ciarlare di speranza
che vi cancello ... bestemmiate, magari ... è più costruttivo.
Pure
Luca Traini, l'estraneo, legge un pappone in aula per scusarsi di ciò che ha
fatto, come un Homer Simpson che abbia preso gusto alla ciambella
dell'ecumenismo. Anche i razzisti e gli stragisti qui sono mansuefatti,
addomesticati: hanno sbagliato, ma non sbaglieranno più! Giusto! Questa è l'età
della scusa. Non si può prendere a sberle la moglie fedifraga, o il figlio
somaro, o il rivale in amore o quello che ti riga la macchina al parcheggio ...
si debbono intavolare trattative democratiche ... la moglie è a letto con
un*altr*? Si porga il biglietto da visita. Il figlio è uno scemo con l'occhio
languido? Lo si impasticca o lo si manda dallo psicologo infantile ... i
ceffoni sono fascisti ... il padre legittimo divorzia? Esca a fare bisboccia col
cazzon successore.
A
leggere i commenti online sulla resipiscenza di Traini che legge le sue scuse
alla nazione, ai nigeriani, al mondo corretto e al cielo dei migranti ci si
accorge di cosa è successo ... la svirilizzazione del maschio è totale ... in
nome della legge e della correttezza, beninteso ... aveva ragione, ancora unavolta, Jean Raspail ... presto entreranno in casa un paio di belinoni
nigeriani, attaccheranno un pistolotto boldriniano sull'ingiustizia dei bianchi
contro i neri e i bianchi lasceranno le stanze di loro spontanea volontà,
felici di aver ottemperato alla bellezza del Nuovo Mondo imparziale ... le
donne, pure loro, senza ovaie ... sono state svuotate della femminilità e
infarcite di bei diritti ... e ora possono godersi l'indipendenza ...
isteriche, istruite, civilizzate dal progresso e col lamento incorporato ...
come le vecchie bambole col disco nel dorso ... emancipate, emancipatissime, a
sei euro l'ora, in carriera nei supermercati, nel terziario avanzato, nelle
pulizie, nei CAF sindacali ... a riempire moduli a cottimo per far ottenere a
Chin Chan Pai la pensione, l'indennizzo, la 104 ... sfinite già a trent'anni
... coi mariti gonfi di popcorn e depressione post partum ... se sono fortunate
... altrimenti c'è il simulatore fallico sul comodino.
Le
femministe al corteo dell'UDI: col dito! col dito! Ma il progresso, in tale
campo, avanza.
Traini,
cattivissimo, quello che svuotò un caricatore senza prenderci mai ... anzi, no,
qualcuno lo prese ... per fortuna della vittima: così il vulnus può risanarsi
con qualche centinaio di migliaia di talleri ... tutti i cattivi debbono andare
in galera ... i cattivi in quanto cattivi e, perciò, poiché cattivi, in quanto
fascisti. Dal primo all'ultimo, sono d'accordo. Il mondo non dovrà avere più
cattivi: e non li avrà, ve lo prometto! D'altra parte, ragionate: come si fa a
essere cattivi col ciuffo ingelatinato sulla fronte? La barba scolpita? Quando,
la sera, si programmano - fra maschi! - nottate davanti al videogame? Come si
chiamava, Fortnite? Proprio ieri ho sorpreso dei venticinquenni a litigare
(litigare!) perché uno di loro, nel gioco, era troppo veloce ... e lasciava i
compagni indietro ... e, quindi, i compagni digitali eran caduti in un agguato
... agguato digitale ... e uccisi ... roba da chiodi ... roba da depressione
caspica.
Quell'altro
tizio di Riace, faccia dai tratti rilasciati e indistinti, sta in galera, pure
lui. Ma é un gioco di specchi. Traduco: voi lo vedete in galera, ma, in realtà,
è sugli allori. Presto arriverà la consacrazione. Aspettate, con calma, in
poltrona. Se c'è una cosa che sa fare l'Italiano senza coglioni è cambiare
rotta con cautela ... all'inizio si tratta di millesimi di centimetro ... poi,
col tempo, il divario fra ciò che dovrebbe essere e ciò che effettivamente è,
si allarga ... e alla fine chi è al gabbio si ritroverà, dopo tante scuse, in
Parlamento.
I cattivi, i maschi ... dove saranno andati a finire? Residuano nella bassa
criminalità. Quello che ha dato una capocciata al free lance a Ostia ... Spada
... un diecimila di quei tipi sotto casa di Moscovici e le cose prenderebbero
una diversa piega ... c'è poco da cianciare ... le rivoluzioni nascono nel
sangue ... Robespierre era un avvocato, cioè un criminale del linguaggio, e agiva fomentando
gaglioffi e tricoteuses. Ammetto che non è più tempo di sangue e cordite, è
tempo di ragionevolezza ... di veri e propri déjeuner sur l'herbe ... a
ingoiare crostini da concertazione dei sensi ... ci siamo fatti più scettici,
disillusi, distaccati ... e non perché lo siamo davvero: scettici, disillusi,
distaccati ... ma solo perché non siamo capaci di fare nulla ... la correttezza,
il volemose bene alla John Lennon, la tolleranza, l'accoglienza non derivano da
una riflessione profonda sulle istanze metafisiche dell'animo, ma da un crollo
antropologico e fisico ... lungamente perseguito da chi sa ... e sa molto più
di noi, per istinto ... quando tutto ciò che definisce un essere umano viene
incasellato nel "male" non ci resta che divenire ragionevoli, di venire a patti, chini sotto le forche caudine ... ragionevoli, non
razionali ... che la razionalità è da uomini ... ragionevoli e impotenti,
vestiti dell'organza della sottomissione a un corollario di valori anemici,
eterocliti, stranieri alla nostra vera essenza.
A Caudio, oggi provincia di Benevento, il sannita Gaio Ponzio fa erigere gioghi sotto cui si umiliano i comandanti romani. Alcuni di loro vengono sodomizzati. L'orrore per l'ignominia propagherà le sue onde psicologiche per secoli.
L'ultimo
uomo e la trasvalutazione di tutti i valori sono davvero realtà!
Appunti
per letture a venire: razze di cani create tramite mansuefazione. Manualetto.
Si
reprime un istinto, tramite uno spietato e accorto gioco di premi e castighi, e
si crea una seconda natura. Le femmine, intanto, vengono accoppiate con altre
razze, scelte per la bisogna, più adatte ai fini dei domatori. La risultante:
cani da compagnia, da caccia ai fagiani, da tartufi. Eugenetica e nuova etica:
altri cani. Più utili, più buoni.
Su una cosa Nietzsche ha ragione da vendere: la maleducazione, il rilievo urtante della personalità, la vitalità volgare, hanno, quasi sempre, i tratti genuini della forza, di ciò che ascende.
Leggo
che un capostipite dei Casamonica era sposato a una Spada, Teresa.
I
Casamonica, gente d'Abruzzo, di origine sinti, come il calciatore Andrea Pirlo,
l'ultimo vero fuoriclasse, avevano in mano il territorio del Mandrione, una
borgata romana estrema e poverissima.
Uno
dei pezzi più significativi di Carlo Emilio Gadda in Le meraviglie d'Italia:
Genti d'Abruzzo. La canzone più bella scritta da Pasolini: Cristo al Mandrione.
Ne esiste una bella versione di Gabriella Ferri.
Sia
Pasolini che Gadda vantano un fratello morto, un fantasma nell'ombra. Come
Catullo.
Solitari,
misantropi: in grado diverso. Rifiutati dall'Italia. Fecero una brutta fine,
infatti.
Di gente in gente, di mare in mare ho viaggiato, o fratello, e giungo a questa mesta cerimonia per consegnarti il funereo dono supremo e per parlare invano con le tue ceneri mute, poiché la sorte mi ha rapito te, proprio te, o infelice fratello precocemente strappato al mio affetto. Ora queste offerte, che io porgo, come comanda l'antico rito degli avi, dono dolente per la cerimonia, gradisci; sono madide di molto pianto fraterno; ti saluto per sempre, o fratello, addio.
Caro
Lei ... anzi, caro Voi (mi rivolgo, infatti, al fascistone anzidetto) ... qui
ci vuole una guerra ... stragi, morti, ustioni, cancrene, case che crollano ...
non siete d'accordo, caro il mio Farinacci degli stivali?
Certo!
Sono con Voi, tovarisch ... mi risponde quello. E obietta, giustamente: e però,
... Vos quoque ... cadete nella sindrome del Grande Botto ... siccome siete
sempre lì a digitare e a masturbarVi, caro Voi, sulla tastiera del nulla ... vi
siete ridotto a tifare la catastrofe! Un comportamento che prima addebitavate
ai coglioni ... e ora ... non sarà che vi state rammollendo?
Colpito,
affondato! ... Touché! Ma cosa volete che faccia ... che mi metta a gridare
"Vogliamo i colonnelli" dal balcone? I colonnelli, ormai, rubano
nelle furerie ...
Allora
non fate niente, amico mio, e scusatevi. Avete pargoli? Meglio non mischiarsi alle retroguardie ...
Giusto!
Non resta che scusarsi, allora ... non del nostro comportamento, ma della nostra stessa
esistenza! Annusare gli angoli, prepararsi alla successione ... con un bel testamento ... lascio ... a chi se la prende ... una casa A2, media periferia, garage, termoautonoma item magione rustica in piena Tuscia ... item terreni con seminativo e frutteto e servitù prediale annessa ... item casaletto magazzino ... item un gallo ad Asclepio ...
La lettura non mi è mai piaciuta. Leggere per leggere: lo trovo un esercizio grossolano. Leggere per conoscere: ecco, questa è una pratica spirituale che mi ha sempre accompagnato nella vita. Scandalosa, certo, tanto che molti ex conoscenti, che avevano contezza della vastità della mia biblioteca personale, non si capacitavano: “Ma come, non ti piace leggere? E tutti quei libri cosa li hai a fare?”. Gli rispondevo: “Per leggerli, ovviamente”. E quelli non capivano. I libri sono cose preziose poiché contengono preziose verità. E spesso la verità si occulta in piccoli paragrafi di tomi sterminati (I miserabili di Victor Hugo, a esempio, li ricordo solo per le due pagine su Pierre Cambronne). A volte la verità coincide con l’opera stessa: è il caso delle memorie di Marco Aurelio; altre è contenuta nella bella menzogna oppure ci brucia retrospettivamente, a libro letto e, quindi, morto.
Quando lessi I proscritti di Ernst von Solomon, in anni verdi e privi del sale della sapienza, lo compresi a metà: operina revanscista, filonazista, generata dallo schianto della Prima Guerra, col Kaiser in fuga; riposi il libro, nella scaffalatura più alta; intanto la vita, spietata, avanzava, un giorno dopo l’altro, arricchita da esperienze e illusioni nuove, depauperata da disillusioni spaventose: ed ecco che quelle righe, improvvisamente, ritornarono alla mente, senza neppure sapere perché; apparentemente neglette, ma ora rinverdite da una imprevista e sconvolgente resipiscenza.
Una
conoscente, di sicura affidabilità, mi rende edotto d'un aneddoto altamente istruttivo.
Circa dieci anni fa il figliuolo, allora diciottenne, e in odore di maturità
classica, fu spedito in Cina con tutta la classe nell’ambito di un’operazione
di “scambio culturale” (ordita non si sa da chi: sicuramente non dai nostri
provveditorati o ministeri, troppo impegnati nel sorbire cappuccini; forse dai
ministeri cinesi, come sospetta anche la sommenzionata conoscente).
I
nostri zucconi, appena arrivati a Pechino, furono sistemati con tutte le cure
presso una sorta di residence: pulito, organizzato e popolato di personale
gentilissimo e in grado di affabulare, con lodevole proprietà, almeno nella rappresentanza
preposta alla comunicazione, la nostra lingua materna. Gli sdraiati italici
stettero un pochino sulle loro, poi cominciarono a prendere confidenza con i limoncini:
sino a rivelarsi: come perfetti idioti. Erano in vacanza; di studio, certo, ma
lo studio, in Italia, serve a prepararsi agli esami, non alla vita. I pecoroni,
il giorno appresso, vennero portati a pascolare per la Capitale del Catai: ne
ricevettero un’impressione devastante. La Cina era vicina, assai vicina: e
priva di quei luoghi comuni che, chissà perché, sedimentano nell’animo dei
peninsulari: il levantino con il laccio da strangolatore, il riso e il tè, la
lingua indecifrabile, i salamelecchi orientali. Pechino, infatti, era una città
sterminata, ampiamente infiltrata dall’Occidente e dall’inglese, moderna,
insonne, paradossalmente febbrile e composta: i cinesi, poi, quegli ominicchi,
secondo loro, risolvevano problemi: l’inquinamento, i cessi, il traffico ...
ogni aspetto metropolitano, ancor caotico, veniva sottoposto alle cure
lungimiranti di un cervello da “centralismo democratico” in cui, pochi, decidevano: e gli altri, di
conseguenza, obbedivano. Soffiava, insomma, una brezza travolgente e vitale
dove le conquiste generavano problemi e questi ultimi, risolti, generavano
progresso: e il progresso era interamente cinese, ovvero mai slegato dalla
tradizione: i cinesi, almeno gli abitanti della Capitale, erano artefici del
proprio destino (o del proprio disastro; un disastro, tuttavia, gestito intra moenia).
Andarmene, dunque, senza lasciare traccia. Questo mi è parso essenziale. La gente, se ne fosse poi occupata, doveva concludere a una definitiva irreperibilità. Meglio, a un misterioso annichilamento, un dissolvimento nel nulla.
da Dissipatio Humani Generis di Guido Morselli
Mi è sempre parso intelligente colui che rigetta il mondo o la mondanità, non per scopi dichiaratamente superiori, metafisici, iperuranici sentieri, ma per asilo coatto nel ventre abominevole del Leviatano sociale.
Ho sempre sentito un lieve disgusto, poi tramutato in nausea col passare degli anni, in mal di mare o mal d’essere, all’ascolto di sproloqui sulle proprie magagne: quello sciorinare microanalisi autolesioniste per il piacere narcisista di essere al centro di qualcosa, che non è scena, ribalta, palco, ma profluvio di inconsistenza spirituale dinanzi a un pubblico di ombre.
In questi giorni infausti, scopro tra le macerie di quella che fu la letteratura italiana, la luminosa essenza suicida di Guido Morselli, un uomo autore della sua esistenza ai margini della contabilità degli atti che si possono affastellare nel magazzino della coscienza, ad uso della toponomastica, per abuso di concretezza e di ricordi di ipotetici posteri che non si conosceranno mai.