16 dicembre 2024

Oh, come squittivano i musetti!

 

Roma, 16 dicembre 2024

Non si ha gran voglia né di scrivere né di parlare. Men che mai di analizzare, o pre-vedere. Quando vedi un treno che parte da Roma per Cesano hai la certezza incrollabile che, prima o poi, arriverà a Cesano. Sì, è così. Sono annoiato a morte, depresso, schiantato. Fra tutte le epoche, anche infernali, che l’Italia ha vissuto, un dio maligno mi ha incastonato in questa, la più orrenda, in cui la Patria si sbriciola in tempo reale, come oggi avviene per la Siria.
Il corpo del Paese è putrefatto, inutile che vi stia a illustrare ancora cause e concause: il blog, da qualsivoglia parte lo si imbocchi, reca a una devastante Wurderkammer di tale liquefazione post mortem.
Ogni tanto qualcuno addita alcune speranze non accorgendosi, il tapino, che son mere scosse galvaniche, inutili tentavi di rianimare carne morta, se non veri e propri sberleffi o vicoli ciechi per allocchi.
Si va a velocità folle, con gli stivali delle sette leghe, verso la Monarchia Universale. 
Gli accadimenti degli ultimi due anni non sono che trattative. Ogni patriziato locale sgomita per sedersi più vicino al Re del Mondo; le guerre servono a questo, non a determinare l’esito finale; le compravendite dei troni nel nuovo Senato panottico esigono dei costi e i costi vengono pagati con fiumi di sangue innocente. Inutile, poi, ricercare, caporioni e stati e colpevoli nei vari arenghi costituzionali. Ragionare per nazioni o per uomini, persino per potentati, non porta a nulla. Si dovrebbe argomentare in base a culture, forse, o meglio a due culture principali: quella aristocratica e conservatrice, sin reazionaria, apollinea, e quella plebea, democratica, da suburra dionisiaca. La prima trattiene nel limite, la seconda schianta i confini. Una sana visione dell’esistenza umana, dai primi ominidi al 2024, consiste nella continua dialettica fra tali poli del carattere umano. Destra e sinistra non sono che infimo e postmoderno riflesso della struttura psicologica profonda testé delineata. La malattia dell’uomo attuale deriva dalla scomparsa del primo polo, ormai irrimediabile. Viviamo, quindi, l’età della plebe, ridanciana, volgare, senza passato e, quindi, ottusa alla comprensione, abbarbicata unicamente all’attimo, pronta a prostituirsi all’onnipossente Mammona: Dispensatrice di Cartellini del Prezzo. Anche il patriziato italiano è centrifugato in tale vittoria del contingente: è inutile, ormai, non produce alcunché: cinema, teatro, arte, scienza. La foto di gruppo alla Scala di Milano riassume i mores del tempo; mancano solo i titoli di coda in sovrimpressione. Il Ministro della Cultura, logicamente, è ripreso a mezzo come a simbolizzare la dimidiazione del Paese più importante del mondo, ora all’asta.


Il Codice Hays fu una sorta di breviario morale che regolamentò il cinema americano, con una certa forza stringente, soprattutto dal 1930 al 1934. Prendeva il nome da William H. Hays, presidente della MPPDA (Motion Picture Producers and Distributors of America). Agli Americani piacciono tanto gli acronimi. Son fatti così. “Il Codice Hays vietava l'uso di linguaggio volgare, osceno e insulti razzisti e includeva istruzioni dettagliate che delineavano come determinati argomenti dovevano essere mostrati sullo schermo, in particolare vietando la violenza grafica, la criminalità, l'uso di sostanze, la promiscuità, il meticciato e l'omosessualità”; tale Sillabo venne condensato e sbeffeggiato in un’immagine icastica del 1940 di un tal Adolf L. “Whitey” Schafer, già fotografo della Paramount e celebre per i suoi scatti glam di pin up e signorine varie. 1940: ché il Codice, come detto, smiagolò ben presto. 
William Harrison Hays Sr. arriva dopo la crisi del 1929, in parallelo con i Bücherverbrennungen del 1933 in cui arsero, a Berlino e in tutta la Germania, alcuni libri sgraditi al nazionalsocialismo, in special modo quelli d'alcuni pornografi.
I roghi berlinesi possono essere giudicati come più ci aggrada. Se mettiamo fra parentesi le passioni, la destra e la sinistra, la guerra e l’antifascismo, valgono antropologicamente per quel che son in realtà: reazioni, confuse e violente, alla dissoluzione. Una resistenza alla sparizione dell’aristocrazia: aristocrazia del sangue, della terra, del gusto, degli dei. Anche in America si resisteva. L’estremo tentativo d’argine fu rappresentato dal senatore Joseph McCarthy, non a caso oggi dileggiato come alcolizzato. McCarthy fu un individuo grossolano e impostò la sua campagna nel modo più sbagliato possibile ovvero declinandola nella dicotomia sciocca dell’anticomunismo e del socialismo d’ascendenza ebraica. Quando, invece, c’erano in ballo altri valori. Come sempre, dai tempi delle baccanti, degli gnostici, della streghe; la modestia dei personaggi in ballo, l’eccentricità del campo di battaglia (l’America!), l’indebolimento irreversibile del polo conservatore, ormai consegnato a un liberalismo glam (Reagan, Trump, Bush = Clinton, Obama), condusse a una sconfitta rovinosa. 
Inutile ricordare come i divieti del Codice Hays siano divenuti il maggior vanto del politicamente corretto attuale, da Netflix alla HBO.

Un’alta carica dello Stato, in avanzato stato di corificazione, si lagna. Non è stata colpa mia, Ella si giustifica, con una punta di allarme nella voce metallica. Sono stata costretta dalle circostanze - prosegue - dal giuoco avverso della legalità istituzionale, che, pur non condivisa (ben altro è il mio convincimento, credetemi!), mi lega a un residuo di superficiale lealtà al Paese, ma, ci tengo a dirlo, non sono affatto in accordo con quanto firmato e promulgato … et cetera et cetera 
Quale significato attribuire a tale inconsulta eruzione dell’animo? Una sola: la lamentazione non è rivolta agli Italiani, e nemmeno alla platea di moccicosi parassiti li riunita, bensì a Qualcun Altro ... a Colui che controlla, occhiuto, da torri a noi inavvicinabili e occulte. Cosa si possa fare in tali condizioni è inutile aggiungerlo. Lo Stato è un carapace che al proprio interno non ha più nulla; le possenti chele eterodirette si mettono in moto solo per dilaniare sul nascere qualunque sommovimento sgradito; repressione, menzogne, burocrazia fiscale; polizia, magistratura, usura sono le uniche pulsioni vitali di un Morto-in-Vita che obbedisce a bokor sconosciuti e insondabili; sacerdoti di un Nuovo Ordine, anempatici, spietati, impossibili da fermare.

I leccapiedi, i servi, i clientes, i valvassori - l’intera platea del patriziato nelle sue varie organizzazioni interne, dal politico all’impiegato statale, dal magistrato al gendarme, dal quadro amministrativo al parastato clientelare - per tacere di qualche residuato bellico confindustriale e dei consueti grassatori locali - s’è gradatamente organizzato quale mafia autoreferenziale e vessatoria contro l’Italia e gli Italiani. Il periodo del lockdown fu indicativo della faglia sociale creatasi dal 1989 in poi; ogni giorno ne abbiamo la testimonianza. L’apparato legislativo, esecutivo e giudiziario, amministrativo lato sensu, si è via via allontanato da qualsivoglia funzione sociale e costituzionale erigendosi quale classe intangibile ed estranea alla legge. I cascami dell’usura e della produttività nazionali (dalle industrie ai sindacati) si sono saldati a essa. Sono i milioni che ancora votano convintamente - votano se stessi, di fatto - per eleggere quella rappresentanza politica (dai Comuni al Parlamento, dalle Regioni alle Provincie alle Comunità montane) che, sfruttando quel poco di solvibilità loro concessa, ne premia la fedeltà da canaglie con una manciata di spicci. Otto milioni di clientes se la cantano e se la suonano, insomma, a danno dei restanti. Son questi a sbreccolare gli epinici più cretini sulla rispettabilità democratica, a difendere i lockdown, gli arcobaleni uranisti, la risacca negroide; a ca-cantare quanto è bello il progresso e l’umanità di Imagine. Lo stipendio a fine mese ne esalta la vena delatoria, l’arroganza da condominio, il sotterfugio da sicofanti. Il tempo, tuttavia, ne sta assottigliando le fila. Destinati, anch’essi, ad affogare: l’Usura del Nuovo Ordine non perdona ai servi sciocchi.

La tavola imbandita perde progressivamente le pietanze più prelibate. Il nepotismo, perciò, si intensifica, a qualsiasi livello. Basta scorrere i cognomi di qualsivoglia lucroso organigramma statale per cogliere affinità, parentele naturali o acquisite. Meno portate, più voracità. Il patriziato traditore prende a scarnificare sé stesso e ossa già abbondantemente spolpate. Interi settori del basso patriziato cominciano ad avere l’acqua alla gola, altri già gorgogliano. L’Italia in mano a tali ratti mi ricorda irresistibilmente una poesiola di Gottfried Benn, Morgue II: bella gioventù:

La bocca d'una ragazza, riversa a lungo in un canneto,
appariva tutta rosicchiata.
Aperto il petto, era l'esofago un foro solo.
Alla fine, in una cavità sotto la pleura
si trovò un nido di piccoli ratti.
Una lor sorellina era già morta.
Gli altri vivevano di fegato e di reni,
bevendo il sangue freddo e godendo
la loro bella gioventù.
E bella e rapida venne loro anche la morte:
furon gettati tutti in acqua.
Oh, come squittivano i musetti!

I musetti baffuti, intenti a rodere le viscere dell’ex Italia, si girano affannosamente a destra e a sinistra, a cercare scampo, gli occhietti rossi increduli per cotanta disgrazia. Ma qui che succede? Non abbiamo tradito abbastanza? Perché noi?
Peccato non essere in vita per schiacciarli sotto il tacco.

Immagini di repertorio nei TG RAI. Uno dei protagonisti dell’apocalisse italiana, ascaro, ma Italiano e al soldo degli Abissini, viene ritratto sempre con la stessa sequenza: esce impettito da un portone d’una magione storica, con un mezzo ghigno satollo e strafottente, volgendo lo sguardo a destra o sinistra, verso qualche suo famiglio, mentre s’aggiusta il bavero del cachemire. L’immagine emblematica di un tracollo voluto, perseguito minuziosamente, leggina dopo leggina, codicillo dopo codicillo, a rendere meschina e impervia l’esistenza di chi si sarebbe dovuto amministrare con la cautela del buon padre di famiglia. Eppure è là, l’Imbonitore, col capello ravviato e il cerebro rigonfio di flatulenze. Dicono: ma chi lo vota più! E invece no, lo votano ancora, perché, accettando il gioco democratico-liberale, se scegli la Testa Tonda ti ritrovi anche la Testa Quadra; e viceversa. E pensare che la coppiola Borghi e Bagnai dava poco peso all’influenza di ministri, parlamentari, governanti nazionali; occorreva focalizzarsi su altri problemi … gli squilibri macroeconomici, a esempio … o l’opera immortale di Roberto Frenkel … ben altro, signori, ci sovrasta, mica ‘ste minuzie da onest’uomini … non gli davano importanza prima, figuriamoci ora che son parte del circo. E anche loro, nonostante una serie di Caporetto infilate con la sicumera del peggior Cadorna, vantano una claque iniziatica … che guarda oltre, perché cause, problemi e angosce son sempre oltre … oltre i Comuni, le Provincie, le Regioni, l’Italia, la Corte Costituzionale, i TAR, la Corte dei Conti, l’Avvocatura dello Stato … guardate la luna, non il dito, ammoniscono …

Ma non vorrei dar l’impressione di avercela con la politica. Certo, essa è l’ingranaggio di trasmissione fra gli Italiani e le due ganasce dell’Usura Internazionale, finanziaria e polcor. E tuttavia non è che una propaggine del tumore maligno ovvero del patriziato italiano, autoreferenziale, saldamente incistato nelle istituzioni, tanto da identificarsi ora con le istituzioni stesse … un variegato cumulo di cellule neoplastiche che vive letteralmente d’Italia … a spese dell’Italia … vendendo a tranci l’Italia … magistrati, gendarmi, militari, parastato cooperativo, buffoni confindustriali, padroncini locali, mafiosi, impiegatucci e bidelli assunti col concorso pilotato, dirigenti e grand commis, referenti delle diecimila consorterie pubbliche, docenti e professorini, di ruolo, non di ruolo, supplenti ai quattro formaggi, coglioni apicali del terzo settore, associazioni inutili e straccione, ma capaci di vincere bandi e avvisi pubblici a pioggia, camorristi a capo di aziendine con l’affidamento diretto, marrani, sindacalisti gialli … ognuno abile a riverire l’Usura, in ogni sua forma, sempre e comunque, pur di aggranfiare quei due spicci. 
I soldi non sono la chiave per comprendere la storia postmoderna; essi rivelano solo i traditori interni. I Demiurghi, dal canto loro, se ne fregano dei soldi. I soldi più non esistono. Nemmeno l’oro esiste più, quale alternativa al sangue. I tradimenti si comprano oramai in monete di pirite, o con carta riciclata, tanto è il padrone a dire che son milioni ... e a Giuda brillano gli occhi egualmente a maneggiare l’oro degli stolti.

La Siria è conquistata dagli “islamisti”! Allarme! Poveri Siriani … Ma quali islamisti! Dell’Islam, fra i caporioni, non c’è traccia, sono mercenari del Nulla con il cervello a Londra. Forse tra i tagliagole vi saranno devoti a Mohammed che berciano di guerra santa, ma è manovalanza. Gli unici a credere all’Islam che avanza con la scimitarra sono rimasti i leghisti e i fallacisti, epigoni tonti di due figure già non troppo sveglie (Oriana Fallaci) o in malafede (i leghisti) o tutte e due. Non ricordo il nome dello Zelenski col cencio in testa: conta poco. Ciò che conta è che una terra ancora intrisa di autentica spiritualità è alla mercé dei Giuda che tutto spianeranno sino a farne un ulteriore Regno della Quantità. I commedianti di casa nostra non alzano nemmeno un sopracciglio, figuriamoci. Semianalfabeti, di una furberia laida, da postribolo, anempatici sino alla sociopatia, approvano tutto; si fanno ritrarre dai telegiornali con facce terree, appena un poco disgustati da ciò che avvertono essere divenuti; snocciolano banalità attenti a non urtare il più minuscolo granello di conformismo criminale; mai li si sente parlare del Paese che rappresentano e che gli è profondamente sconosciuto; mai l’ebbero a lodare, al presente o al passato; mai esaltarono un loro figlio, mai; le uniche breccole d’approvazione, le canaglie, le cacano in favore di personaggi altrettanto luridi, inautentici, impastati di servilismo. 

Putin? Scacco matto all’Occidente in una mossa! Così uno dei tanti geopolitici da strapazzo che infestava la miccosfera, un paio d’anni fa. E ora? Nonostante rauti e tric e trac d’avanguardia siamo sempre là; anzi, la Siria è venuta di qua. Anche l’Iran è fradicio sino alle ossa: aspetta di cadere. Damasco e la Persia, in un sol colpo. Un crollo inaspettato? Per chi ragiona secondo tifo; chi ordina gli eventi razionalmente vede una progressione inevitabile. Avanza il Mondo Unico. Possibile che a nessuno venga in mente che sia una manfrina? Chi muore qui? Su chi si abbattono le bombe? Chi è davvero sotto attacco? Popoli e paesi fedeli all’Antico Ordine. Ancora per poco, tuttavia. La reazione non c’è per mancanza proprio di uomini. I migliori sono morti. Anche gli europei sono morti: per ammazzare la crema della cultura europea ci son volute due guerre mondiali e una operazione psicologica su larga scala che, a posteriori, incute terrore per la vastità e la minuta pianificazione. Ma chi dirigerà il Mondo Unico? Gli Ebrei? Gli Ebrei sono serviti, ora non servono più. Anche Israele non serve più. La dismissione dell’Antico Ordine esige qualche sacrificio. Probabilmente i nuovi monarchi saranno automi apolidi, come ce sono già ora. La loro ascendenza conterà sempre meno. Le nuove generazioni saranno del tutto indifferenti a tale ristrutturazione dell’esistenza, dei costumi, del genere umano nel suo complesso. Anzi, addirittura approveranno: se non hai idea del tuo passato amerei il coltello del carnefice.


Nel 1770 Wolfgang von Kempelen, ingegnere di corte, costruisce su richiesta di Maria Teresa d’Austria un giocatore di scacchi meccanico. Avrà nome “Il Turco”, per gli abiti che indossa. L’automa si muove a scatti, con gran cigolio di ingranaggi, recando sulla scacchiera davanti a lui mosse infallibili. Sconfigge Benjamin Franklin, Napoleone, Federico il Grande, Caterina di Russia, Luigi III d’Inghilterra. Johann Nepomuk Maelzel lo recherà in tour in Europa: a sbalordire le folle. Ben presto si insinua il dubbio. Scrive Luigi Crovi: “Alcune teorie ipotizzavano che fosse un incredibile manufatto prodotto con un’avveniristica tecnologia che permetteva di comandarlo con dei magneti, altre sostenevano che fosse una creatura dai poteri diabolici, o che il giocatore di scacchi in realtà celasse sotto la sua scrivania un inganno, un trucco da baraccone circense, e che venisse in qualche modo manovrato o da un bambino o da un nano o da un uomo privo di gambe che poteva inserirsi negli spazi vuoti dell’automa”. Al mistero si dedica, con puntigliosità fine a sé stessa, anche Edgar Allan Poe. La verità si saprà anni dopo. Molto semplicemente, all’interno del marchingegno si celavano esperti scacchisti. Uno dei più famosi fu un polacco, Boleslas Vorowski, privo di gambe. Debitamente rincattucciato nelle lamiere del “Turco”, egli dirigeva le mosse della macchina. L’abilità gli consentiva di avere ragione di chiunque, compresa la stessa imperatrice. L’Intelligenza Artificiale è il Turco dei tempi. Le bocche a uovo per l’ammirazione (“La tecnica è sconfinata!”) - prima o poi ci cadranno tutti - non sanno che il gioco, qualunque gioco, o scoperta, o progresso, o innovazione, ha il proprio Vorowski all’interno che mente spudoratamente. Il precipuo compito della AI è di scomporre in unità particolari il passato e ricomporlo secondo un’agenda che molti, almeno da queste parti, hanno imparato a riconoscere; la missione secondaria consiste, invece, nella permutazione infinita della realtà, già permessa da google. Giustapponendo, in spregio a qualsiasi causalità o tradizione o sapere, elementi fra loro estranei, si genera una neorealtà posticcia che pian piano prende il posto di quella autentica. Anche qui il digitale agisce secondo la propria natura: imita ciò che vuole distruggere sostituendosi progressivamente a esso. Se immetto “Alessandro Magno”, “Pearl Harbour”, “pomodori in barattolo”, così, senza alcuna mira se non un idiota divertissement, l’intelligenza prima o poi plasmerà (per divertimento?) una nuova realtà secondo cui i Macedoni a Pearl Harbour abbatterono gli aerei nipponici lanciando confezioni di pelati (in Ucraina è già successo, ci dicono i media).
L’associazione di idee ha già sconfitto la logica, ora aspettiamoci un upgrade. La gratuità è sintomo della nuova umanità impossibilitata al ragionamento. Tutto è possibile, perché no?, quindi ogni fenomeno è inconoscibile secondo la logica, la tradizione, il buon senso, la storia. Ex falso sequitur quodlibet; a Carnevale ogni scherzo vale; questo o quello per me pari son. La contraddizione è auspice di verità.   

Le riviste paracomuniste dal 1968 in poi si effondevano sempre sulla “contraddizione americana”. Centinaia di libelli, monografie, saggetti, trattati. Li riassumo: come può un paese tanto ricco avere in sé larghe isole di miseria? Personale risposta: perché non era una contraddizione. La ricchezza, così creata e concepita, ha bisogno delle pezze al culo. Le orrende città americane (americane=universali), il cui centro scintillante vien mostrato al miccame delle serie TV glam, è sempre accerchiato dalle baracche e dai camper. Lo sfascio della famiglia e della psiche qui risulta strutturale. Anche in Italia, un'Italia sempre più americana vien da dire, si è sulla via. Le borgate povere, vissuta la fiammata consumista degli Ottanta, retrocedono a periferia del mondo. I nuovi poveri non sono più veri poveri. L’Italiano povero vantava l’arte d’arrangiarsi, colata giù dall’atellana, dai cantari; essere poveri equivaleva a comportarsi da poveri, con dignità, sfruttando ogni risorsa, dal risparmio esasperato, tipico del Paese rurale, all’aiuto della famiglia agnatizia, allargata a decine di congiunti. Ora un povero non è più tale bensì un solitario e mediocre edonista senza i mezzi per esser tale. Insegue le vacanze a Ibiza senza i mille euro che prima aveva; vuol far l’aperitivo, ma il ventino per qualche pizzetta ne svuota le tasche ché venti euro sono ormai una paga giornaliera; e la droga? E il botulino? E il mangime per Rover o Kitty? E così via. Il crollo del welfare ha poi prodotto un’umanità cenciosa e puzzolente, biliosa, stupida, malaticcia. A pochi chilometri dal Vaticano e dai Fori Imperiali interi caseggiati in cemento degenerano in slums. Giardini stenti, ascensori fuori servizio, marciapiedi luridi e sbrecciati. Il comparto delle botteghe e della piccola impresa privata annientata dall’usura. Fetidi stambugi egiziani o del Bangladesh, pizzerie bisunte. O cattedrali delle multinazionali, ancor più lerce di quelle. Pazzi, sciancati, adolescenti obesi o criminali, pensionati bavosi, drogati, s’aggirano fra tali rovine immedicabili senza un perché, un fine, un’utopia. Aspettano tutti il soldo facile, che non esiste più; un aiuto, che mai gli sarà dato. Le comunità straniere li schifano, gli ex Italiani, perché incapaci di tirare avanti o di educare la propria rada progenie. Negri e nordafricani hanno via libera, fan quel che gli pare, intoccabili dai gendarmi, per carità, che nessuno vuole guai con la Boldrini e l’UNHCR. “Se sorprendi un ladro in casa, la notte, hai due possibilità”, mi rivelò un di questi militi del nulla tempo addietro. “O li lasci fare – meglio sarebbe continuare a dormire – oppure li butti dalla finestra. In caso puoi sempre dire che è caduto mentre cercava di scalare il tuo piano … ma se li ferisci o, non sia mai!, li ammazzi in altro modo … allora è finita, sei finito. Io? Siamo matti? Rispondiamo alle chiamate con il ritardo giusto, giusto per farli scappare, intendo … sono padre di famiglia, io … la migliore cosa, prima o poi, sarà di non rispondere affatto …”. Il kipple si accumula nelle periferie dell’Impero Unico. Impossibile ripulirle. Non è neanche immondizia, ma una sorta di fallimento umano e tecnologico su vasta scala, scientemente organizzato: bottigliette e bottigline di plastica, elettrodomestici seminuovi e già sventrati dai malfunzionamenti, involucri d’ogni sorta, gratta-e-vinci, mobilia che rivela il proprio ossame da quattro soldi sotto un vestimento sdrucito, materassi macchiati da copule devastate o dalle urine purulente di qualche vecchio che ha tirato le cuoia, schiacciato dalla solitudine mentre la badante in nero faceva la cresta sulle spese coi familiari esasperati da eventuali resilienze alla morte. 

La perdita dei riferimenti, dalla famiglia alla sfera pubblica, dal sesso alle professioni ai mestieri, rappresenta il cuore dell’attacco postmoderno. Tutto ha da derubricarsi in antieroico o eccentrico o sbilenco o fuori fase: out of joint, per usare una locuzione amletica. Nella decadenza si esprime lo strampalato, il fuorilegge, il bislacco, la furia incontrollata, la pazzia, l’emarginazione, la fascinazione borderline, la perversione polimorfa. La rettitudine, intesa come riscontro im-mediato a ciò che viene sentito quale naturalmente giusto, è osteggiata e combattuta con ogni mezzo. La normalità, per il Potere, è sgradita, persino foriera di pericoli. Mi stavo riguardando, giorni fa, il primo Padrino di Francis Ford Coppola, tratto dal romanzo di Mario Puzo. Cosa attrae misteriosamente in questa pellicola già vecchia di mezzo secolo? Non siamo in presenza, qui, di una saga familiare o di un gangster movie oppure, Dio non voglia, di un film sulla mafia italoamericana. Queste proprietà narrative rappresentano la superficie. No, qui vengono esaltate, invece, pulsioni centrali dell’antropologia occidentale nella loro forza ferina, quasi elementale: onore, vendetta, giustizia; repulsione per l’altro da sé, fedeltà al sangue e alla terra, famiglia, clan (= famiglia agnatizia), sacramenti cristiani (il battesimo del primogenito); nel secondo capitolo risaltano poi l’orrore per l’infanticidio (Michael/Michele che aggredisce la moglie “americana”, cioè fungibile, dopo l’aborto) e la storia (il caporegime Frankie Pentangeli si suiciderà per onore come un senatore romano dopo un colloquio col consigliere dei Corleone, Tom Hagen, che, già dal nome, ricorda l’altro corno tradizionale dell’Occidente europeo: il germanico Hagen di Tronje de I Nibelunghi). Il padrino, uno degli ultimi film a inscenare un mito; qui il segreto della sua potenza attrattiva e dell’influenza che travalicò ogni confine provocando imitazioni a cascata. E qualcuno lo equivoca ancora quale kolossal sulla mafia! Il Potere ha aspettato venticinque anni prima di liberarsi di questo monolite, neutralizzandolo con una carica inversa (per mezzo di inversioni, infatti). La prima stagione de I Soprano risale al 1999: sotto l’apparenza di una serie TV sulla criminalità nel Jersey si nascondono gli elementi abili a disinnescare Brando e Pacino: boss dallo strizzacervelli, pervertiti, omosessuali, drogati; famiglie allo sbando, primogeniti impotenti, figlie che se l’intendono con ebrei di colore, disprezzo delle nuove generazioni per l’italianità (l’odio per Colombo); e così via … L’elemento sessuale, del tutto trascurato da Coppola, è qui, invece, centrale; la violenza è utilizzata quale specchietto per le allodole televisive: trangugiando la seconda s’ingoia il primo, de-mitizzando e parodizzando un mondo ancora tradizionale e di pericolosa fascinazione per lo spettatore.

Togliere all’Occidente ogni tipo di riferimento, i confini, i limiti, i cippi miliari. Questo fu il piano precipuo del Potere, attuato grazie ai maestri dell’inversione, gli Ebrei, scatenati da Cromwell e Napoleone, Inghilterra e Francia, e incubati nelle terre franche del nichilismo illuminista, Olanda e Svizzera.
La perdita dei confini, l’incertezza materiale e spirituale causata dalla loro assenza, hic stat busillis. Si legge nel Tiberio Gracco di Plutarco come il tribuno della plebe intraprese un viaggio verso nord, lungo la Tuscia, per imbarcarsi da un porto laziale o toscano alla volta della Spagna. Durante il percorso Tiberio s'accorge della disgregazione del corpo sociale romano, una volta compatto e organico. Pre-sente, in tempo reale, la rovina della Repubblica. Scrive Vincenzo Allegrezza: “La popolazione delle campagne etrusche si riduceva sempre di più ad agricoltori impoveriti, sottoposti, subordinati, alcuni semplici braccianti, altri affittuari di terreni. E questo coacervo di subordinati erano i nuovi  abitanti,  che avevano sostituito i vecchi. Per lo più piccoli proprietari considerati il nerbo dell’esercito romano, questi ultimi erano stati letteralmente scacciati dalle loro case,  non di rado con la  violenza, dai servi dei ricchi possidenti. Il processo fu graduale e in pieno corso al tempo dei  Gracchi. Ci è noto che i mezzi per accaparrare terra furono i più subdoli, i servi e i pastori dei ricchi possidenti frodavano sulla  vera ubicazione dei confini  dei terreni, sottraendo terra, a poco a  poco, spostando la  collocazione dei cippi, i segnacoli di confine che dividevano e circoscrivevano sia i fondi privati che l’ager publicus. Un’azione effettuata  occultamente ogni anno, piano piano, che  aveva l’effetto di rendere incerte le dimensioni di molti terreni , a discapito di altri che misteriosamente aumentavano le loro dimensioni in iugera ... Contro questi e altri simili abusi si batterono i Gracchi, e in questo periodo, in contesto di scontri sociali (con elementi etnici), nacque la Profezia della ninfa Vegoia, un testo  escatologico sull’ordine cosmico che vede nei cippi una funzione ordinatrice del cosmo stesso, un testo che sostanzialmente pone una sanzione, in quanto in essa si maledice gli uomini che osino  spostarli  dalla loro originaria collocazione,  e la sanzione è invocata sia che i profanatori siano uomini liberi che servi, la vendetta della divinità sarebbe stata implacabile”.

Luciano Ventrone, Natura morta

L’iperrealismo esalta il reale annullando non solo la distanza dalla fotografia, ma spingendosi in territori dove l'aderenza al vero diviene, all’occhio umano, ammirevole, ma sottilmente scostante. Un canestro di frutta di Luciano Ventrone, a esempio, è più minuzioso di quello, celeberrimo, del Caravaggio; eppure gli è inferiore pittoricamente così come il canestro caravaggesco è inferiore a un qualsiasi fiore o frutto del Botticelli e questo, per intensità, alle rappresentazioni, spesso infedele, presenti negli erbari medievali. Perché tale gerarchia al contrario?
Vediamo. Ventrone è di accecante perfezione: la sua creazione, tuttavia, esaurisce da subito sé stessa risolvendosi in una identificazione totale con la realtà. Caravaggio, invece, si trattiene un passo indietro a favore della malia del colore e dell’impasto; i difetti della frutta alludono a un popolare monito sul memento mori. 
I vegetali della Primavera botticelliana vanno ancora oltre. Ogni particolare qui è organizzato al servizio del simbolo sino a provocare una ridda di interpretazioni che, tuttavia, non influenzano la somma armonia dell’opera. Si tratta di una riduzione del Pervigilium Veneris? Oppure di un maestoso catalogo che pre-figura la felicità matrimoniale? O vi si nasconde un complesso intento astrologico? Gli erbari medievali, formalmente più grezzi, celano, da par loro, una significazione al tempo stesso morale, teologica e naturalistica; vi si omaggia cauti la classicità; l’assenza della prospettiva inscrive uomini e vegetali in un cosmo minore, ma da risolversi in un ordine divino; le personificazioni delle Virtù interagiscono fra noi, quali semidei. Una mandragola, insomma, non è solo una pianta, bensì una creazione metafisica che assomma qualità positive e veleni demoniaci e ci parla, per oscuri sentieri, della nostra missione terrena. 
Maggiore è la forza del simbolo sotteso, maggiore l'arte.
Il crescente abbandono della simbologia va di pari passo con il progressivo depauperamento della densità espressiva nell’arte, ridottasi dapprima a mera rappresentazione e, quindi, ad astrazione dalla realtà e da ogni ordine celeste. 
Non sarà un caso che la natura morta, quale genere a sé stante, s'affermerà durante il Seicento, dopo gli sconvolgimenti religiosi del secolo addietro. Come a dire: il mondo ormai basta a sé stesso. 
L’interiorità che non si nutre di simboli e riferimenti celesti è necessariamente dimidiata; svincolata persino dalla figurazione, si autoannienta progressivamente nell’Indistinto.      

Quando un Nuovo Ordine soppianta quello Antico, le spoglie di quest'ultimo vengono sempre utilizzate quale arma a difesa dei vincitori. Perseo taglia la testa alla Gorgone e poi se ne serve per pietrificare i suoi nemici; Ercole scuoia il Leone di Nemea e ne fa un'armatura; Apollo uccide il gigantesco serpente Pitone: la pelle d'esso ricoprirà il tripode della Pizia, sua novella sacerdotessa.
L'Occidente uccide Hitler e utilizza i macabri resti del nazionalsocialismo per terrorizzare chiunque attenti, sia pur lontanamente, alla struttura ormai inconfutabile del capitalismo liberale”, ebbi a scrivere ne La seconda carriera di Adolf Hitler.
L’Arcinemico ha assassinato la cattedrale di Notre-Dame (Nostra Signora); le sue spoglie  sono state indossate dal Nuovo Ordine: in spregio all’Antico. Così è per quasi tutto. In Siria, in Iraq, in Armenia, in Afghanistan. In Cina si sono già portati avanti col lavoro, in Russia fu compiuto con la Rivoluzione; manca ancora qualche porzione di pianeta, poi il ragno avrà avvolto nella tela qualunque oggetto, memoria, monito. A Roma hanno infangato l’Arco di Tito, il Colosseo, i Fori Imperiali, le torri medievali, il Pantheon, la Fontana di Trevi. Paiono ancora al loro posto eppure sono scomparse; almeno a occhi che bucano l’attualità.
Un’apocalisse sotterranea, da divano, comodamente gustata dagli olovisori, a tranci di pizza Glovo. Nessuna resistenza. Abbandono. Dolce menefreghismo.

Si crea un pupazzo, uno qualsiasi. Lo si fa abbaiare rabbiosamente al dito. Il pupazzo accumula popolarità. Gli si regala un flauto inaspettato. I lemmings si mettono in fila dietro di lui. Arriva l’endorsement del puparo, fra gridolini di gioia digitale. Si vota. 
Si crea un pupazzo, uno qualsiasi. Lo si fa abbaiare rabbiosamente al dito. Il pupazzo accumula popolarità. Gli si regala un flauto inaspettato. I lemmings si mettono in fila dietro di lui. Arriva l’endorsement del puparo, fra gridolini di gioia digitale. Si vota. Si crea un pupazzo, uno qualsiasi. Lo si fa abbaiare rabbiosamente al dito. Il pupazzo accumula popolarità. Gli si regala un flauto inaspettato. I lemmings si mettono in fila dietro di lui. Arriva l’endorsement del puparo, fra gridolini di gioia digitale. Si vota ...

George Harrison col sitar, gli antichissima Veda, i kibbutz israeliani, il libretto rosso di Mao, i mascheroni africani, i dervisci rotanti, i pittogrammi Apache, gli Inti Illimani, il jazz (cool o fusion?) la capoeira, campane tiberane e Dalai Lama, Kunta Kinte, i quilombos, qualche tocco di Giappone qua e là: tale la costellazione esotica fiorita nei testacoda degli anni Sessanta. Il filo rosso che lega queste mode superficiali è uno solo: il rifiuto di Giorgione, Dante e Shakespeare. Erano questi i bersagli, mica altro. Inutile star qui a limare i concetti. L’indottrinamento comincia dal disprezzo di sé stessi. Addestrati a schifare le proprie radici, educati a cialtronate derivative che della forza originaria avevano poco e nulla. Nei salotti borghesi ci si diletta a cicalare d’arte … e che arte … si gettano in soffitta i Bouguereau, deprezzati, ed entrano in pista imitazioni congolesi, tamburi Cheyennes, ciarpame nepalese. La strada è aperta. Da allora sorge la bizzarria, la moda outrè; per chi non può permetterselo c’è il casual più sciocco, come le magliette sportive o universitarie americane; cedono le cravatte, i tailleur e le giacche, sale l’infimo; la stupidità, coltivata per mezzo secolo, si appaga, tutta eguale, nelle botteghe multinazionali a dieci euro il pezzo.

Il giornalismo nasce con l’Illuminismo Nero e morirà con Esso. Ormai è inservibile persino alle cause più ignobili. Chi ne fa parte potrebbe riscattarsi solo recidendosi le vene in un tinozza d’acqua tiepida mentre implora il perdono degli dei.

La libertà o meglio: la perversione del concetto di libertà è il punto da cui partono tutti i calcoli sbagliati dell’Illuminismo Nero, propagatisi con fare pagliaccesco dagli anni Sessanta in poi. Alla radice di tale inversione è la negazione dell’aristocrazia, della nobiltà, dell’intelligenza, della selezione, se mi passate il termine. Più cialtroni partecipano maggiore è la libertà. Più inetti si laureano meglio progrediremo. Più radio libere ci saranno più garantita sarà la nostra democrazia. Qualcuno forse ricorderà Radio Free Europe/Radio Liberty, fondata a New York nel 1949. Essa intendeva “liberare” i poveri comunisti dal loro servaggio e mirava a destabilizzare le terre d’oltrecortina con la messaggistica del tempo infarcita delle consuete idiozie parademocratiche. Da questo modello maleodorante presero a svilupparsi, anche da noi, le spinte antimonopolistiche contro la RAI. Nel 1976, infatti, a due anni dall’Omicidio per excellence, quello di Aldo Moro, viene sancita dalla cosiddetta Corte Costituzionale “la liberalizzazione dell’etere”. Vedete come certo laissez faire, in nome della libertà, abbia da sempre minato le istituzioni, ben prima del Moloch europeo. A distanza di nemmeno mezzo secolo, dopo i primi esperimenti, che pur diedero qualche risultato interessante, lo spettacolo libertario è sotto i nostri occhi: non esiste una radio ascoltabile. I mille canali di libertà promessi si sono ridotti a un oligopolio ferreo; chi cercava di proporre qualcosa è stato spazzato via fra Ottanta e Novanta; residua materia fecale, soprattutto di ascendenza milanese. Lazzi, frizzi, allusioni sessuali, goliardate, finti esperti, finti cantautori, sparizione della musica, delle inchieste giornalistiche, del buon gusto; si parla di sciocchezzuole elevandole a svolte storiche e si derubrica la storia a episodio boccaccesco o pettegolezzo (il Duce faceva questo, Togliatti faceva quello: in ciò eccellono alcuni sicari dei padroni); proliferano i quiz, i messaggini digitali, che tempo che fa, il chiacchiericcio; quest’ultimo, spalmato per ventiquattro ore su ventiquattro, inghiotte ogni logica, un pur minima e auspicabile isola di raziocinio; si strepita, ci si azzuffa su quisquilie, oppure, au contraire, si si balocca con le nuove scienze: il clima, gli animali, la letteratura leggera, l’arte leggera poiché tutto ha da essere light altrimenti al cretino 2.0 viene l’emicrania; l’homunculus del Ventunesimo Secolo, finalmente liberato, ha creato un implacabile conformismo totalitario e vi nuota ogni giorno come nell’Indistinto – l’ennesimo epifenomeno del Nulla. Gli scherzi, la parodia, il calembour trito costituiscono l’unico orizzonte d’una vita miserabile, vissuta nella Shunned House; s’ignora la Creatura che ha succhiato l’anima, la volontà, il midollo della fierezza.

H. P. Lovecraft in The shunned house (La casa sfuggita, 1924) evoca “un edificio triste ed in rovina appollaiato sul fianco scosceso della collina, con un grande cortile abbandonato risalente ai tempi in cui la regione era ancora in gran parte costituita da aperta campagna”. 
Decine di suoi abitanti in un secolo e mezzo vi hanno perso la vita, deperendo giorno dopo giorno. Famiglie felici, poi fiaccate dai lutti; bambini vampirizzati, neonati illividiti nella culla, giovani dapprima in salute e quindi lentamente sfibrati da un Qualcosa di Indefinibile, un orrore invisibile quanto pervasivo. 
Noi ragazzi ci recavamo spesso nei dintorni a giocare, e ricordo ancora il mio terrore infantile non solo per la sinistra stranezza della torva vegetazione, ma soprattutto per l'odore e l'atmosfera soprannaturale che incombevano sull'edificio diroccato, nel cui portone principale, rimasto aperto, entravamo alla ricerca del brivido. Le finestrelle pannellate erano quasi del tutto rotte, e un senso indefinibile di desolazione aleggiava sulle persiane in equilibrio precario che si muovevano nell'interno, sulla carta da parati strappata, sull'intonaco cadente, sulle scale traballanti e sui resti di mobilio tarlato che ancora rimanevano in piedi …
Ma, dopotutto, la soffitta non era la parte più spaventosa della casa.
Era invece la cantina umida e fradicia a ispirarci la maggior repulsione, nonostante si trovasse a livello della strada, con la sua fragile porta e il muro di mattoni eretto per separare la finestra dal marciapiede chiassoso.
Non sapevamo bene se giocare ai fantasmi o allontanarcene per salvaguardare le nostre anime e la nostra sanità mentale, sia perché lì dentro la puzza era più forte, sia perché non ci piacevano le muffe bianchicce che si sviluppavano nelle estati piovose sul pavimento di terra.
Quei funghi, grotteschi come la vegetazione esterna, avevano dei contorni veramente orribili ... marcivano velocemente e, quando erano arrivati ad un determinato stadio, assumevano una lieve fosforescenza.
Per questo motivo i passanti notturni parlavano a volte dei fuochi fatui delle streghe che brillavano dietro ai pannelli rotti delle finestre maleodoranti”.
Cosa rende tale luogo maledetto?
Ciò che è sepolto nel fradiciume delle fondamenta, “la creatura diabolica che aveva infestato la casa con le sue emanazioni per oltre un secolo e mezzo. Mi chiedevo che aspetto avrebbe avuto, di che sostanza poteva essere, e di quanto fosse cresciuta in tutti quegli anni che aveva passato a succhiare la vita”.
Una mostruosità gigantesca, proliferante, di cui il protagonista, dopo vari sforzi, riesce a mettere in luce solo parte del titanico braccio. In quel pertugio, grazie all’aiuto dello zio (che morirà nell’operazione), verserà decine di litri di acido solforico che dissolveranno l’incubo.
Nulla sarà come prima, ci dice Howard, e la distruzione non passa invano. Eppure, da allora, “i vecchi alberi spogli hanno cominciato a riempirsi di mele dolci, e l'anno prossimo gli uccelli faranno nuovamente il nido tra i loro rami nodosi”.
La natura dei fenomeni ama nascondersi.
Un enorme sacrificio viene richiesto per la salvezza.
La vittoria ha probabilità infime.
Chi vuole intendere intenda.

Il protagonista di American beauty vuole la deresponsabilizzazione. E sia. Sabbacadabra. Non hai più responsabilità di nulla poiché hai nulla.  Ah che pace, che felicità!

Come ampiamente previsto, nei paesi più avanzati (leggi: putrefatti) i suicidi superano gli omicidi. Un risvolto del Quietismo Nero - la pace! - da tener celato. Per questo l’immobilismo della carcassa occidentale in necrosi irreversibile deve essere continuamente scosso da falsi allarmi sulla violenza: femminicidi, brutalità poliziesche, stupri, recrudescenza del nazionalsocialismo. In verità non succede quasi nulla, il cadavere non ha la minima volontà di muoversi: in quanto cadavere. E però si grida alla violenza, una violenza dilagante, terribile … Per far ciò basta infilarsi una trombetta su per il culo e sforzarsi un pocolino: l’effetto vien sempre raggiunto. Come per il climate change. Nella storia dell’umanità ci son sempre state catastrofi ed ecatombi, dai terremoti agli incendi alle inondazioni, eppure Valencia è stata travolta dall’emergenza climatica … ingrandire la normalità sin all'anormale: i soliti trucchi.

Me ne vado al Museo delle Terme di Diocleziano. Il tragitto è un inferno. Mendicanti obese, suonatori di clarinetto, borseggiatori dodicenni, poveracci alla deriva, squatter in bicicletta, negri che vendono libriccini di Sedar Senghor, ucraine con passeggini autoarticolati, scale mobili in dismissione, labirinti sotterranei, fiumane d’umanità con la fregola del turismo, orde di turisti con la fregola del cappuccino, cappuccini con latte di soia senza schiuma, caffè che sanno di piscio di gatto, empori seriali con rada e costosa mercanzia oppure ricolmi di ciarpame, librerie nichiliste, visori ciclopici che illustrano costose essenze multinazionali; una tizia si accoccola per pisciare in via Gioberti, un bengalese spaccia castagne; le strade, una volta castamente illuminate per il Natale, ora s’intravedono appena fra la segnaletica invasiva, la cartellonistica debordante e la pletorica dei lavori in corso. Individui inutili sciamano verso chissà cosa. Il Museo, risistemato, pare in disarmo. Il Giardino dei Cinquecento accoglie pezzi privi di indicazioni, abbandonati allo sfarinamento. Riconosco un sarcofago efesio rinvenuto dalle mie parti pochi anni fa. Restaurato, m'appare già ammalorato dalle colature di pioggia e smog. Le sale son sempre quelle, forse, ma sembrano più piccole, dimesse. Chiedo lumi sul Dioniso dell'Acquatraversa; la responsabile del settore mi rimanda al web: lì c’è il catalogo. “Sì, ma dove?”, insisto. Lì, sul web. Lascio perdere. I visitatori stanno lì a strusciare neanche fossero a fare shopping. Una coppia emiliana se la ride di gusto. Le uniche attente sono due signorine orientali. Il volto di Antonino Pio ci guarda, nemmeno troppo convinto.

Scrive Giampaolo Dossena nella sua Storia confidenziale della letteratura italiana: "In San Petronio [Bologna] avviene per l'ultima vota una cerimonia medievale: il Papa impone a Carlo V la corona ferrea del regno d'Italia (22 febbraio 1530) e la corona imperiale (24 febbraio 1530). Suona bene che in questa occasione qualcuno sogni un'altra cerimonia medievale: una impossibile rinascita del latino. Davanti alle corti riuniti di Carlo V e di Clemente VII Romolo Amaseo pronuncia due orazioni De linguae latinae usu retinendo sulla necessità d conservare l'uso della lingua latina ... Non si può fissare la data di morte del latino ... però [a] questo 1529-1530 si son fatti buoni passi".
Retrocedo questa data fatale (la fine del Medioevo) di qualche decennio, al 19 marzo 1452. Il matrimonio tra Federico III d'Asburgo ed Eleonora d'Aviz del Portogallo, unti a Roma quali imperatori del Sacro Romano Impero. Gli ultimi re a scendere rispettando codici di comportamento, giuramenti e norme (ordines) di più antico conio.
Da quel giorno la Storia prende a correre.
Il 29 maggio dell'anno seguente, 1453, cade Costantinopoli e l'idea stessa della monarchia europea nella concezione dantesca.
Il 1492 inaugura la globalizzazione. 
I regicidi di Shakespeare presagiscono Cromwell che libera l'Usura.
L'Europa si frantuma.
Divisa, verrà massacrata lentamente, uomo per uomo.
Il 2024 era già dietro l'angolo.

52 commenti :

  1. corsi e ricorsi...tempi oscuri di cui non si intravede il percorso e la fine...grazie Alceste per tutto quello che scrivi...mi conforta trovare in questo blog cose che sento dentro di me ancora in modo confuso ma che tu riesci a descriverle magistralmente...a nuove letture...

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  2. Magnifico scritto, come sempre e forse oltre.

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  3. Iniziavo a preoccuparmi per questa assenza, i tempi sono sempre più cupi, l'età non è delle più verdi e la tentazione di rifugiarsi dal mondo e scomparire come un Majorana postmoderno non sarebbe da scartare a priori. Come sempre, resoconto magistrale, ormai assistiamo quasi in diretta al crollo di una civiltà, minata alle basi da secoli e oggi in disfacimento totale sotto i nostri occhi. Allarma e preoccupa la deriva morale e fisica di quelli che un tempo erano gli italiani, almeno da trent'anni impoveriti economicamente, dal doppio moralmente, dal triplo come nazione. Oggi assistiamo all'atto finale. Quelli che un tempo erano i baluardi della restaurazione, i militi, odiatissimi dai compagni, hanno nelle loro riviste in caserma, articoli elegiaci su Nilde Iotti e inserti sulla legge ue in merito al ripristino della natura entro il 2050!
    Le denunce dei borseggi quotidiani vengono accolte con fastidio, si cercano mille scuse per tergiversare, rimandare, rivolgersi ad un'altra stazione del paese circonvicino più indicata perché più prossima al luogo del delitto, come un qualsiasi ufficio del catasto. È vero, vessazione e persecuzione burocratica dei penultimi, per fare spazio agli ultimi arrivati che si prenderanno quello che resta del cadavere del bel paese, caduto per l'alto tradimento delle classi dirigenti e dalla rassegnazione del popolo. Quest'ultimo illuso con l'edonismo delle tv commerciali e in seguito abbandonato tra i flutti della commissione europea della bce. Missione compiuta!
    Antonio

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    1. Caro mio, l'assenza è dovuta proprio alla mancanza di volontà. A che pro scrivere e, soprattutto, per chi? Per il resto non faccio che ripetere le stesse cose ...

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    2. Repetita iuvant. Mi sorprende sempre leggere qui dentro quello che vagamente intuivo ma non riuscivo a decifrare in forma corretta. Non arrendiamoci.
      Antonio

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  4. Caro Alceste i peggiori sono i giuda ed i mentecatti. I venduti e gli utili idioti del sistema. Negli ultimi anni a Firenze è tutto un proliferare di tramvie e piste ciclabili. Gli utenti di entrambe sono i diversamente italiani di ogni dove dediti ad attività diversamente legali di ogni tipo. Centinaia di milioni di euro di soldi pubblici buttati letteralmente ai maiali. Il risultato ottenuto è stato l'abbattimento dei pochi alberi cittadini rimasti, il dimezzamento delle corsie stradali, il fallimento di migliaia di negozi (non ci si può arrivare più), il traffico urbano totalmente impazzito. Eppure li rivotano. Da trenta e più anni il PDS-DS-PD affonda le sue mani in ogni dove nella città di Dante. Decine di migliaia di raccomandati piazzati in ogni ufficio pubblico-statale-parastatale cittadino ad ogni tornata elettorale si mettono pazientemente in fila per dare il loro voto al partito unico dal quale traggono per sè e per i loro famigli il sostentamento necessario. A questi vanno aggiunti i servi sciocchi di partito che ingrossano le fila dei votanti quanto basta per mantenere sempre i soliti al potere (e alla relativa mangiatoia comunale). Ho visto gente vendere l'anima al diavolo per continuare con questa decennale manfrina. Ho visto gente completamente avvolta nella propria idiozia negare l'evidenza di un degrado urbano sempre più impellente. Poi ho deciso di non guardare più...

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    1. A Roma è lo stesso. Come scrissi in altro commento, i clientes vengono addirittura lasciati in eredità da un partito (di sedicente destra) al partito opposto (di sedicente sinistra) ... Si trasferiscono in blocco come alberghi e case del Monopoly ... Non so cosa dire di fronte a queste enormità, sino a pochi decenni fa neppure pensabili. La follia dei tempi mi toglie anima e voglia di fare alcunché.

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  5. Carissimi, carissimi auguri di buon Natale e buon anno nuovo...

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  6. Grazie Alceste.
    Affermi che sei ripetitivo... ed effettivamente non c'è più alcunché da dire.
    Siamo fottuti.
    Però... Scrivi ancora. Più spesso.

    I tuoi scritti danno un senso all'abisso in cui stiamo precipitando.
    Almeno saperne il perché...

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  7. Bentornato Alceste! Un gradito ritorno, il tuo. E Buon Natale.

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  8. Bentornato, finalmente! Sei mancato...
    condivido un piccolo omaggio a questo Blog e al suo Autore, di cui c'è tanto...

    IL CARNEVALE DI CANAAN

    Popolo eletto
    eccomi all’opra
    il sopra è sotto
    il sotto è sopra

    Senti che burla:
    il bello è brutto
    se tutto è nulla
    il Nulla è tutto

    Tutto ribalto
    il brutto è bello
    è sano il matto
    lupa è l’agnello

    È matto il sano
    l’antico è vecchio
    e Calibano
    ride allo specchio

    Il falso è vero
    il vero è falso
    il mondo intero
    vada a Petrasso

    Servo è il padrone
    di Stentarello
    che ne dispone
    con il randello

    Tutto collassa
    gioca Saturno
    e nella farsa
    calza il coturno

    Pan è in catene
    savio è lo sciocco
    e Melpomene
    indossa il socco

    Da sopra a sotto
    tutto rivolto
    e quattro più otto
    fa un quarantotto!

    Se storto è dritto
    il dritto è sbiescio
    ed il Diritto?
    Tutto a rovescio!

    Fra giusto e colpa
    passa uno spillo
    sempre galoppa
    sopra un cavillo

    Oh che letizia
    va’ che gazzarra
    è la giustizia
    messa alla sbarra!

    In alto i calici
    l’arte è fandonia
    appesa ai salici
    di Babilonia

    Sempre s’impingua
    miagola e bela
    mozza è la lingua
    di Filomela

    Poi fa le fusa
    oh che scangeo!
    Cade ogni musa
    giù dal Pimpleo

    Anche Pasquino
    resta di sasso
    e fa l’inchino
    col baciabasso

    Sul marciapiede
    mostra le chiappe
    e tiene il piede
    dentro a due scarpe

    Là sulla scena
    balla Polimmia
    e si dimena
    come una scimmia

    A ognun si vende
    rantola e sbuffa
    e di prebende
    sempre si abbuffa

    Il poco stroppia
    il troppo è poco
    scambio di coppia
    riprende il gioco

    Il raffreddore
    è pestilenza
    Purgon dottore
    Fede la scienza

    L’anima ho volto
    dal culo al petto
    la cerchi il dotto
    dentro al vasetto

    Ma che pantraccola!
    Splende divina
    sotto la fiaccola
    luciferina

    Il mondo qua
    che patatrac!
    E l’Aldilà?
    È un cul de sac

    Cantiamo urrà
    viva il progresso!
    La civiltà
    marcia all’inverso

    Eterno è il moto
    rotondo il mondo
    e lì nel vuoto
    fa il girotondo

    Figli di Abramo
    cantiamo in coro
    e veneriamo
    la vacca d’oro

    Eccolo il morto
    fugge la tomba
    ed il merlotto
    si fa colomba

    Voilà ha perso
    la trebisonda
    e in ogni verso
    gira la ronda

    Femmina è l’uomo
    maschio è la donna
    non vien da Adamo
    ma dalla monna

    Ma che Babele
    state a guardare
    Caino e Abele
    vanno all’altare

    Cristo in deserto
    a predicare
    e Macometto
    se ne va al mare

    Oh Bafometto
    io con l’inganno
    il mondo metto
    a saccomanno

    Portunno e Pietro
    apro il cancello
    passa da dietro
    ogni cammello

    Tutto lo stuolo
    sfila la cruna
    e Astolfo involo
    fin sulla luna

    Ecco Selene
    all’allunaggio
    guardate bene
    è di formaggio!

    Sono emendati
    cattivi e buoni
    Frine ai giurati
    sfila i calzoni

    Che finimondo
    e Maritù
    gioca col mondo
    a pelacchiù

    Però si badi
    siete avvisati
    che sono i dadi
    tutti truccati

    Che tiriralla
    i fili tiro
    tutto traballa
    ho il capogiro!

    Misuro a mano
    colosso è il nano
    ed il titano
    …lillipuziano!

    La lupa il gregge
    guida e protegge
    e il fuorilegge
    detta la legge

    Veglia Medea
    sul focolare
    e fugge Astrea
    nel lupanare

    Il Bene e male
    che chicchirlera
    e la morale
    fa la portiera

    Spasima e langue
    in croce il Cristo
    consacro il sangue
    ma di Mefisto!

    È santo il demone
    la virtù è vizio
    Bauci e Filemone
    vanno a giudizio

    La debolezza
    piega la forza
    e la purezza
    che cosa sozza!

    Siede Sansone
    dal parrucchiere
    mentre Arpagone
    ora è banchiere

    È Saul il re
    e la ragione
    è uscita ohimè
    fuor di melone

    Tutto divora
    Demogorgone
    Loki alla prora
    regge il timone

    La verità
    è in lingerie
    e mai si dà
    per pruderie

    La lealtà
    non siate avari
    vale si sa
    trenta denari

    La carità?
    Si venda il nardo
    è la bontà
    comprata a saldo

    Freddo è l’inverno
    calda l’estate
    ho perso il senno
    dalle risate

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  9. Per Belzebù
    balliamo il Sabba
    morte a Gesù
    viva Barabba!

    Giuriam sinceri
    su questa barba
    il sole di ieri
    è nuovo all’alba

    Cada in oblio
    la storia oscena
    brucia di Clio
    la pergamena

    Da brachettone
    copro di fico
    la perversione
    del tempo antico

    Ma nel presente
    divento ardito
    e all’innocente
    il culo addito

    Oh che bailamme
    tutto è sossopra
    sul mondo in fiamme
    ci piscio sopra

    È furto il proprio
    sol io l’impresto
    il furto esproprio
    e mancia il resto

    Tutto il Creato
    oh poveretto
    è segregato
    fuori dal ghetto

    Che visibilio!
    Anche Anfitrione
    vive in esilio
    fuori il portone

    E fra i baciocchi
    Argo presiede
    coi suoi cento occhi
    tutto egli vede

    Mi genufletto
    e adoro il Gufo
    ma per precetto
    poso a Tartufo

    Sciolgo le Erinni
    mentre Pierrò
    scoppia in cachinni
    che fricandò!

    Al minotauro
    nel labirinto
    di fiori e lauro
    le corna ho cinto

    Poi dell’arena
    sfilo il tendone
    la messinscena
    è di cartone

    Niente più guerra
    spenta è la brace
    tutta la terra
    requiesca in pace

    Ed ecco la
    mela proibita
    con il mistrà
    l’ho insaportita

    Dopo che Adamo
    ne diede un morso
    noi ne riabbiamo
    piantato il torso

    Rivolto il mondo
    come un calzino
    mentre va a fondo
    suono il violino

    Prendo ad usura
    Fede e ragione
    la mia congiura
    è il perduellione

    Oh le corone
    perdon la testa
    ce l’ha il buffone
    di cartapesta

    E sulla giostra
    regna e governa
    serve e si prostra
    solo a Laverna

    Che trallalà
    di princisbecco
    la libertà
    veste il giulecco

    Fa buio pesto
    non puoi vedere
    è il tempo questo
    di vacche nere

    Fischia Abracace
    l’avemaria
    muore l’Aiace
    ma di anemia

    Fra giravolte
    e un’omelia
    ciarla Astarotte
    di teologia

    La malattia
    è nella cura
    l’Eucarestia
    do per puntura

    E l’Arlecchino
    sulla piramide
    fa l’occhiolino
    a Semiramide

    Sul mar Egeo
    civetta Achille
    nel gineceo
    fra ciprie e spille

    Veste da donna
    in crinoline
    di nastri adorna
    le treccioline

    È Alcide all’osso
    fila la lana
    di Onfale ha indosso
    pizzi e sottana

    Si prostra e piega
    implora ammenda
    ed ogni strega
    balla in Tregenda

    Cambio di regola
    e Lilith regna
    che è sempre in fregola
    e mai non spregna

    Galli e galline
    signori e dame
    per le cucine
    tutto è pollame

    Udite schiavi
    sono giocondo
    ho qui le chiavi
    del Nuovo Mondo

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  10. È Cristo a cocci
    sul crocifisso
    saltano i sorci
    su dall’Abisso

    E Satanasso
    da buon cristiano
    se ne va a spasso
    in Vaticano

    Crocia e confessa
    gira in babbucce
    e dice messa
    a pradellucce

    Regge e corregge
    chino in preghiera
    di piscio asperge
    l’acquasantiera

    E con le moine
    e qualche osanna
    ogni confine
    disfa e sciamanna

    Ma fino al Gange
    io do la balta
    se Atene piange
    non rida Sparta

    Datemi il fiele
    che tutto appesto
    anche Ismaele
    abbia il suo resto

    Né guerre sante
    né Roncisvalle
    crepi l’Argante
    preso di spalle

    Eccovi il siero
    di mestruo e vino
    contro l’impero
    di Saladino

    Sia fatta lode
    a Epimeteo
    gloria ad Erode
    e ad Asmodeo!

    Se mi fan torto
    fo’ un piagnisteo
    poi me li fotto
    … e marameo

    Di lido in lido
    in processione
    ad ogni nido
    pianto il bordone

    Guardate adesso
    da cima a fondo
    le mani ho messo
    sul mappamondo

    Anima e ingegno
    delle nazioni
    ho preso in pegno
    con strenne e doni

    L’oro si diede
    che l’occhio abbaglia
    e non si avvede
    che è cianfrusaglia

    Son questi qua
    doni del diavolo
    puff!...e voilà
    non resta un cavolo

    Ecco è venduto
    tutto al mercato
    chi ebbe ha avuto
    e fu è lo Stato

    Va la puttana
    dietro la salma
    e l’Atellana
    precede il dramma

    Per i suoi resti
    fan tutti a gara
    e le sue vesti
    giocano a zara

    Messi all’incanto
    sono i calzoni
    la Bestia intanto
    sale gli eoni

    E ride la iena
    si lecca i baffi
    la pancia ha piena
    di sbruffi e taffi

    Che scorpacciata!
    Che baraccone!
    Tutta spesata
    da Pantalone

    Ma al maccabeo
    si dia lo scarto
    e di Fineo
    si smerdi il piatto

    Fatto il delitto
    poi del reato
    il corpo zitto
    s’è dileguato

    Nè volan corvi
    bibidibù
    cupio dissolvi
    e non c’è più

    Tutto il mio seme
    siede in poltrona
    e serve insieme
    Babbo e Mammona

    Il mio lavoro
    è il mercimonio
    impresto l’oro
    del nuovo conio

    Oro usurario
    fresca fasulla
    che il mio falsario
    foggia sul nulla

    E poi di frodo
    lo passo al Fisco
    e in questo modo
    lo ripulisco

    Con tal moneta
    io compro e pago
    e il mio profeta
    è Simon Mago

    Se il grano è fumo
    che se ne dica
    ve lo improfumo
    più di una fica

    Si ingrassi il porco
    di scrocchia al Tempio
    del sacro solco
    facciamo scempio

    Finanza e Media
    ho per le corna
    alla commedia
    alzo la gonna

    Ecco i biglietti
    per lo spettacolo
    dei pupazzetti
    sul mio pentacolo

    Ma si dia il caso
    che tutto è finto
    da sotto il naso
    ve l’ho dipinto

    Spicciai la guerra
    a Bonaparte
    e l’Inghilterra
    ho vinto a carte

    E han reso isterica
    le mie fandonie
    tutta l’America
    e le colonie

    Da destra a manca
    a Ogamagoga
    ho messo in Banca
    la sinagoga

    A ogni cristiano
    la broscia imbocco
    con l’altra mano
    gli stringo il fiocco

    Nodo scorsoio
    da cavalocchio
    la pelle scuoio
    anche al pidocchio

    Io non congiuro
    dietro la tenda
    è già il futuro
    scritto in Agenda

    Sfilo le braghe
    metto alle strette
    con mille piaghe
    e cavallette

    Tutto amministro
    dalla mia scranna
    e somministro
    ninnoli e manna

    Se ci ripenso
    faccio berlicche
    prima dispenso
    poi dico picche

    Andare via?
    Manco a parlarne
    voglio la mia
    libbra di carne

    Di rane il Nilo
    e sangue sbrocca
    ovunque infilo
    la mia ciafrocca

    E la scacchiera
    …l’ho capovolta!
    A ogni frontiera
    schiudo la porta

    Su babbalocchi
    lasciate che
    anche i marmocchi
    vengano a me

    Mentre agli adulti
    tiro l’orecchia
    porta via tutti
    …la trentavecchia!

    A nanna metto
    chi è birichino
    ma non sul letto
    di Balocchino

    Tutti i birboni
    porto alla mazza
    e i pantaloni
    gli calo in piazza

    Ma non sprechiamo
    il sangue invano
    si immoli l’uomo
    sul suo divano

    Di alzare un dito
    non si dia pena
    quando ha prurito
    al fondoschiena

    Stia nel suo loculo
    ché anche la cena
    io gliela inoculo
    per endovena

    Cuocio e l’appicco
    nel girarello
    le man gli ficco
    fin nel cervello

    Ma se si annoia
    prima dell’ora
    dategli a boia
    l’accabadora

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  11. Mie schiere elette
    tutti i Gentili
    son marionette
    appese ai fili

    Si evochi un coro
    di mille diavoli
    in faccia ai loro
    figli ed arcavoli

    Ragani e angue
    per la pozione
    sbobba di sangue
    d’ogni Nazione

    È carne frolla
    metto il coperchio
    lascio che bolla
    tutto il busecchio

    Poi all’alambicco
    che bel pasticcio!
    È il nuovo micco
    fatto meticcio

    Sempre è devoto
    beve ogni frottola
    e gira a vuoto
    come una trottola

    Del suo bel ceffo
    guarda il riflesso
    poi per sberleffo
    si rifà il verso

    Va’ che robetta
    è questo menno
    nato in provetta
    l’uomo moderno

    Fatto alla buona
    nulla è di troppo
    senza sorbona
    né sugo in corpo

    Cinguetta in gabbia
    non ama e ride
    e fuor di rabbia
    né odia e uccide

    Mio burattino
    ti darò voce
    nel camerino
    metti una croce

    La tua genia
    è un po’ obsoleta
    è cosa pia
    metterti a dieta

    Non respirare
    mangia la bieta
    che bell’affare
    salva il pianeta

    Su comperate
    nuovo è di tecca
    pagate a rate
    oh che cilecca!

    Fuggi i malanni
    to’ il beverone
    campa cent’anni
    come Titone

    Segui il concione
    alla tivù
    è la canzone
    del turlulù

    Per San Tommaso
    che credulone
    l’anello al naso
    di Salomone

    Al buon scolaro
    tutto insegnam
    voce al somaro
    di Balaam

    Io la plebaglia
    ho sempre a cuore
    qualsiasi taglia
    razza e colore

    Pur se bastardi
    son tutti i cani
    come li guardi
    sempre cristiani

    Cavalli e fanti
    poveri e ricchi
    sbricchi furfanti
    e saltapicchi

    Grazia dei cieli
    dal mio pinnacolo
    i miei fedeli
    tutti miracolo

    Il nero sbianco
    da buon negriero
    e intanto il bianco
    lo faccio nero

    Con il buffone
    sono munifico
    e del busone
    il cul lubrifico

    Sulla poltrona
    piazzo Girella
    e Erisittona
    in passerella

    Parta lo storpio
    per le Termopoli
    eccovi l’oppio
    Fede dei popoli

    E belli e brutti
    io tutti includo
    poi in faccia a tutti
    la stalla chiudo

    Satàn aleppe
    spargo il veleno
    come la serpe
    covata in seno

    Tutti gli agnelli
    segno col marchio
    e poi ai fornelli
    ne faccio abbacchio

    Mi fu nemico
    ogni paese
    dal regno antico
    babilonese

    Ho i pregiudizi
    dei miei vicini
    antichi egizi
    greci e latini

    Russi e romani
    poi l’Allemagna
    ed i cristiani
    di Francia e Spagna

    Spazzano i venti
    Imperi e Stati
    popoli e genti
    razze e casati

    Oh tutto ha fine
    e torna al fango
    tra le rovine
    io sol rimango

    Piango miseria
    se mi dan spago
    e più di Egeria
    i mari allago

    Ma se fui preda
    e son ben vivo
    su ci si chieda
    qual è il motivo

    RispondiElimina
  12. Signori miei
    è lo sfacelo
    anche gli dei
    cadon dal cielo

    Di Marte han detto
    veste in gonnella
    e ha su il rossetto
    della sorella

    Non è più in fiamme
    l’impeto antico
    né impugna l’arme
    contro il nemico

    È pacifista
    ripudia il lutto
    le mani in pasta
    ha dappertutto

    A papà Giove
    han tolto il tuono
    però se piove
    chiede perdono

    Udite che onta
    s’è fatto becco
    e più non conta
    un fico secco

    Mentre Giunone
    vive nell’ozio
    con la pensione
    del suo divorzio

    A zio Plutone
    gli è preso un colpo
    non ha a pigione
    né anima e corpo

    Nettuno in mare
    serve da bere
    alle signore
    nelle crociere

    Ed ecco Venere
    è la versiera
    del proprio genere
    e fa carriera

    Fine ha la vista
    cova in lattiera
    è femminista
    tranne in miniera

    Con le seguaci
    sbarca il lunario
    sono i suoi baci
    al tariffario

    Ma ha tutti i tratti
    dell’isteria
    e quattro gatti
    da compagnia

    Fra mille scandali
    Ermes fa affari
    non ha più i sandali
    né ali ai calzari

    Ha messo a frutto
    in un paniere
    commercio e furto
    fa il finanziere

    A chi fa frodo
    di una gallina
    lui con il brodo
    se lo cucina

    Se a mani basse
    eccede il troppo
    con stecche e tasse
    smezza il malloppo

    Ecco Minerva
    ora è dottore
    mi fa da serva
    la pago ad ore

    È così tronfia
    dei suoi diplomi
    che a giro stronfia
    ciarle e scilomi

    E di bazzoffia
    sempre si imbroda
    quando sbasoffia
    batte la coda

    Ma v’entri in zucca
    che come i cani
    scuffia e pilucca
    dalle mie mani

    Solo scimmiotta
    dal labbro trulla
    di tutto è dotta
    e non sa nulla

    Intanto Diana
    è ora attivista
    vegetariana
    e animalista

    È sempre in foia
    sicché alla fine
    soltanto ingoia
    fave e zucchine

    L’arte non vende
    piangon gli aedi
    e Apollo pende
    giù per i piedi

    Smessa ha la cetra
    vive da paria
    mentre Demetra
    è proletaria

    Eros gli sguardi
    lascia di pietra
    non ha più dardi
    nella faretra

    Pan è risorto
    fa l’impiegato
    e Bacco è morto
    alcolizzato

    Fa affari Efesto
    con sbergo e daga
    sappiate questo:
    l’ho a libro paga

    Fra le farandole
    si spegne il sole
    senza girandole
    né castagnole

    S’apre la tomba
    che tutto inghiotte
    suonan la tromba
    gli angeli a frotte

    Cade il soffitto
    nera è l’eclisse
    così fu scritto:
    l’Apocalisse!

    Il mondo affonda
    va tutto in vacca
    eccola l’onda
    salpiam sull’Arca

    Cantiamo gente
    il bello è brutto
    il tutto è niente
    e questo è tutto


    Panurge




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  13. Ben rivisto. Curioso, ultimamente stavo riguardando volentieri alcuni stralci de "Il Padrino"...belli anche il 2 e il 3.

    Il "jazz"...sempre ultimamente stavo cercando una pubblicazione dal titolo "Gramsci e il jazz" in cui pare che proprio il Gramsci preconizzasse non solo la disfatta del gusto occidentale ma anche l'insinuarsi del gusto "negro" (e non solo del gusto musicale ma dello stile di vita!).

    Siccome ha detto la parolina magica (oibo!) gli articoli riguardo questa pubblicazione sono tutti volti a sottolineare (più o meno)quanto in realtà Gramsci non fosse razzista...erano i tempi etc. in realtà aveva ragione e sarei curioso di leggere la dis...ina.

    Al netto del fatto che aveva ragione, volendo non ignorare il peso oramai storico del fenomeno musicale jazz è curioso osservare come l'italiano sia stato attaccato anche in quel caso. È infatti indubbio il forte contributo degli italoamericani nella storia di questa musica. Poi però un bel giorno è arrivato un critico, un francese (ca va sans dire...), che ha detto che il jazz appartiene solo ai "negri". Tutti contenti (infatti è stato un contentino, però non potevano entrare nei bar) e nulla di nuovo sul fronte, guarda un po', occidentale.

    Comunque questi due spunti apparentemente diversi condividono la stessa natura e farebbero parte della storia del paese se il paese non avesse rinunciato a se stesso (l'emigrazione è infatti relegata a qualche riga spesso buttata a caso e un paio di musei, nei rari casi più felici, ovvero quando non vi infilano il controcazzo Pol Cor dei nuovi amici che vengono a trovarci, peraltro).

    Auguri di buon Natale e buon anno nuovo!

    Sitka

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    1. Proprio ieri sera stavo guardando un mezzo musicarello con Alberto Sordi: "Il vento m'ha cantato una canzone". Data fatidica: 1946. Il direttore della radio, nella trama, è fedele alla tradizione musicale del bel canto nonché alla prosa ottocentesca. Il padrone, però, s'annoia. Quando non s'annoierà più? Quando un gruppetto di "giovani" comincerà a canticchiare il jazz ottenendo (a Radio Sibilla) uno straordinario successo ... Buon Natale e buon anno anche a te.

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  14. Buongiorno Alceste, semplicemente grazie per condividere con noi i tuoi scritti, sono di grande sostegno. A 40 anni ho fatto la fine della ragazza restauratrice della quale raccontasti in un tuo scritto, non ricordo quale; ho abbandonato l'arte nella quale mi ero rifugiato dopo le mie prime esperienze lavorative tentando di scampare al Nulla, che ingenuo. Ti auguro un sereno Natale, con affetto Andrea.

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  15. Buongiorno Alceste, è la prima volta che scrivo un commento, ma seguo questo blog da anni.
    Grazie per questi bellissimi, illuminanti e struggenti articoli: hanno contribuito, nel corso degli anni, a farmi aprire - spesso dolorosamente - gli occhi su tanti avvenimenti e opere di cui prima non avevo capito il reale significato e obiettivo. E a scoprirne altri.
    Auguri di Buon Natale.

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  16. Alceste, sei un vero eroe d’Italia, ti meriti una medaglia al valore per quello che scrivi… in un mondo non degradato come quello di oggi saresti riconosciuto da tutti come guida ideale per tirarci fuori dalle secche …ma tutto il bello è appannato o scientemente distrutto…di consolazione hai i tuoi grati lettori che si abbeverano alla tua interpretazione della realtà…intuendo nelle tue riflessioni, cultura e intelligenza la certezza del “non tutto è perduto”. Grazie e continua a illuminare la via…

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    1. Che il bello sia appannato si può vederlo in diretta qui a Roma dove il cosiddetto sindaco ha inaugurato da poco una piazza nichilista nei pressi di San Pietro ...

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  17. Non c'entra in modo diretto con quest'ultimo pezzo, ma visto che ultimamente mi si nomina spesso Mariangela Gualtieri, e l'IA, che sempre ci ascolta, me la fa ritrovare qua e là sui dispositivi che utilizzo, chiedo: ma tu che ne pensi? Io, ormai, fatico a giudicare. Un bel po' d'anni fa avrei forse apprezzato questa o quella poesia, che richiama un po' lo stile della Szymborska (mi pare). Oggi, che non so più dire se mi piaccia la Szymborska, che qualcosa me la rende "estranea", per la Gualtieri, così tanto apprezzata, decantata, incensata, non riesco a non provare una sorta di antipatia, forse di pregiudizio. Io non sono come te particolarmente in confidenza con la grande poesia nostrana duecentesca. Fatico con Dante, Cavalcanti, Guinizzelli, con quel linguaggio di cui intuisco la grandezza ma che non mi travolge, né mi seduce in modo particolare attraverso riferimenti e una simbologia che a tratti non colgo. L'amore per la poesia si è sviluppato in me soprattutto nell'incontro con la letteratura e la lingua russa, con autori di '800-'900, che tuttavia, a differenza di quelli di altri paesi, continuavano a comporre in rima, a proporre una struttura all'interno della quale le parole diventavano poesia. Gli esiti più alti rendono anche in traduzione benché non si possano conservare tale struttura e le rime, forse perché il "miracolo" dell'arte si è compiuto e nella traduzione ve ne rimane intatta la sostanza. Ad ogni modo, su certi poeti, o quel che sono, non so che dire. Erri De Luca è un altro molto citato... o Armino... Bah... Io torno sempre a Pasternak, Blok... talvolta la Achmatova... Mi dicono qualcosa. Mi sembra che lì vi sia autenticità. Nelle sopra citate star del tempo attuale, non so cosa vi sia. Qualcosa mi disturba. Forse, lo ripeto, è un pregiudizio. Non sono dell'idea che tutto ciò che si forma in questi tempi assurdi sia da buttare. Talvolta è però difficile intendere cosa lo sia e cosa non lo sia.

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    1. Devo confessarti che non conosco assolutamente questa Gualtieri. Apprezzare i duecentisti italiani non è facile, lo riconosco. Per farlo occorre essere immersi anche nei loro paesaggi naturali, dai boschi ai fiumi, aver visto gli affreschi medievali o visitato paesi, città e chiese, conoscere alcuni libri chiave (fra cui la Bibbia: e chi la legge più), possedere una certa dimestichezza con il ritmo, anche quello classico, che esige la rima e una inevitabile compostezza formale. E occorre sapere che la poesia, allora, non era privata, ma parlava un linguaggio comune all'Occidente. Cavalcanti si lagnava dell'amore non corrisposto, ma lo faceva entro modi e filosofie universali. Parlava d'Amore, non di amorazzi e nemmeno della suocera. Detto questo, alcuni degli ultimi libri ad avermi dato piacere sono "La figlia del Capitano" e "La dama di picche", vedi tu.

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  18. Ciao carissimo. Mi hai dato gran gioia riprendendo a scrivere. Comprendo bene che ormai la voglia scarseggi, specie quando si sa di urlare in un deserto, lettori a parte...  Tuttavia, visto che hai il dono, scrivi per noi, per  spiegare, per consolare. Riscrivi, magari. Ormai sappiamo, anche grazie a te, che non c'è più soluzione, ma ci piace sognare che qualcuno, qualcosa, possa ribaltare la situazione.  Anche se ha le stesse probabilità di un bimbo con una pistola ad acqua contro un carrarmato. Grazie. Buon anno

    Walter

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  19. Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te, è morire presto

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    Risposte
    1. "La risposta di Sileno, come ho cercato di chiarire, è una violazione della logica." qui: https://mondodomani.org/dialegesthai/articoli/claudio-tugnoli-33
      Buon anno
      gioia

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    2. Non sono del tutto d'accordo. Non vedo simmetria i due mondi. Uscire dal mondo significa consegnarsi al nulla, rispetto all'essere al mondo; entrarvi è un temporaneo miracolo della cui grandezza non ci rendiamo conto.

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  20. Non una nota di più ne una di quelle che servono . Grazie

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  21. Ho letto con piacere.Buon 2025. Ogni anno ripetiamo la formula quasi magica lo stesso augurio, un rituale a cui non riusciamo a rinunciare. Mi piacerebbe leggere qualcosa su un mondo ideale, una civiltà possibile. Un saluto. Giovanna

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    Risposte
    1. Al mondo ideale dobbiamo tendere, ma non esiste. L'utopia serve solo a migliorare, ma non esiste, ripeto.

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    2. Utopia infatti significa da nessuna parte...
      Ad ogni modo: ideale per chi? "Noi" e' solo un concetto astratto... Si parla spesso di umanita', c'e' un indirizzo a cui si puo' contattarla, questa umanita', per sapere cosa ne pensa? Altrimenti l'umanitarismo e' pura superstizione.
      Anche perche', che il mondo (o l'uomo) vada migliorato, e' un'idea che ne presuppone un'altra: che esso non sia gia' perfetto.
      "C'eri tu quando creai il Cielo e la Terra? E allora che vuoi saperne o capirne..."
      Cosi', a memoria, Dio a Giobbe...
      La civilta’ ideale o torre di Babele, e’ cio’ a cui lavora la Davos & Ko.
      E a moltissimi piace.



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    3. Immagino che tu abbia un mondo ideale. O qualcosa che si approssima a esso. Un mondo senza Bergoglio, per esempio. Sembra già qualcosa.

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    4. Pensavo che i russi l'avessero gia' fatto saltare in aria, quel misterioso aereo abbattuto... o forse mi confondo con suo fratello, quello "umano" dei due.
      Un mondo ideale, inteso a 360 gradi, che consideri ogni aspetto dell'esistenza, non ce l'ho, pero' potrei forse arrivarci per approssimazioni successive. In effetti piu' volte in passato mi ero proposto di ragionarci sopra, con carta e penna... ma ho sempre desistito, lo ritengo comunque un esercizio fine a se stesso. Soprattutto perche' le idee, finche' restano idee, sembrano tutte buone*.
      Piu' facile invece dire questo no, di questo meglio fare senza etc. Al negativo ho tantissime idee. "Contro" qualcosa e' piu' facile mettersi d'accordo, eccetto che poi non c'e' vero accordo perche' le ragioni possono essere le piu' svariate...
      Il punto e' questo, che se anche avessi un mondo ideale in testa, sarebbe solo il mio. Se anche per assurdo realizzassi il mio mondo ideale, sarebbe a spese (piu’ o meno parziali) del vostro. E' chiaro che uno agisce in base a cio' che ritiene giusto, quindi ha comunque una sua visione, ma dall'altra parte credo che non spetti a noi stabilire quale sia il mondo ideale. Del resto cio' presupporebbe il conoscere senza ombra di dubbio PER COSA e' stato creato il mondo, per quale fine l'uomo... senza sapere questo come si puo' dire "questo dovrebbero essere a questo modo"? A meno di non ignorare il Creatore, che e' appunto cio' che si fa ogni volta che ci si mette in testa di costruire un paradiso in terra.
      In realta' e' mia convinzione che la sfida sia proprio il senso dell'esistenza, per lo meno della mia esistenza, cosicche' un ambiente esterno sfavorevole e' la condizione massimamente favorevole…
      Se io mi guardo dentro alla fine mi dico sempre che me la sono cercata.
      Chiedo scusa se il ragionamento e' un po' ingarbugliato ma penso che si capisca.

      Se comunque per mondo ideale si intende dove la conflittualita’ e’ piu’ bassa SENZA che gli individui siano completamente livellati e dove le cose siano organizzate logicamente e non secondo superstizione (una situazione comunque di compromesso, non realmente ideale in quanto ritengo che la guerra, a tutti i livelli, sia l’essenza di questo mondo**), mi sembra un filino piu’ sensato l’ordinamento tradizionale in caste e corporazioni, la monarchia rispetto alla democrazia e al comunismo (due stadi diversi della stessa malattia). Quel sistema lasciava piu’ spazio ad ognuno, di „manifestare” la propria essenza, e non metteva i lumpen al telegiornale o su Instagraal a spiegarti le cose perche’… siamo tutti uguali.

      *E’ mia credenza che siamo qui proprio per passare le idee alla prova del fuoco, ovvero al mondo materiale. E quindi per separare le fantasie senza capo ne coda, dalle cose che funzionano.
      ** Il mito di Atlantide non ci parla di una civilta’ che non sopportava la felicita’?

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  22. Caro Alceste, grazie per i sempre splendidi e profondi contributi. Sono appena rientrato da Vienna - ogni anno porto mia figlia adolescente a visitare una capitale europea - ed ho fatto la tua stessa riflessione in ordine a palazzi, monumenti e musei. L'Hofburg, il Belvedere, Santo Stefano sono apparentemente ancora lì, ma nella realtà sono scomparsi da qualche anno. Non danno nemmeno più l'impressione di volerci ricordare le glorie di un impero difensore di un "ordine tradizionale" autenticamente (e non artatamente) cosmopolita. Mi sono apparsi svuotati, inanimati. Non sono nemmeno "imago mortis" di quello che rappresentavano. E' l'anima stessa dell'Europa che ci sta fisicamente lasciando.

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    1. Sì, è così. Basta vedere i musi di chi governa l'Europa. Tu li hai mai sentiti magnificare questi monumenti? Oppure un europeo insigne? Li hai mai visti tagliare nastri per un genetliaco importante? Macché, solo scemenze. Fosse per loro li raderebbero al suolo. O meglio: sono indifferenti al loro destino. Guarda cosa è diventata Piazza Pia a Roma. Un sepolcro rifatto da un imbianchino mediocre. Gli piace tanto il bianco a questi. Spianano e sbiancano. Gli architetti fascisti al confronto sono Brunelleschi.

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  23. Eppure anche così si viveva...
    https://youtu.be/j5nQPlMYEf0

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    1. Sino agli anni Trenta, anche nel suburbio di Roma, si viveva come nel Medioevo. La gente era felice? Non lo so. Si faticava, si moriva in guerra, di malattia, sul lavoro. Leggendo alcuni diari di curati del tempo la sensazione è che la vita, benché dura, fosse piena. Si viveva. Ora non so cosa si faccia. Si respira, al massimo.

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    2. Mia mamma, anno di nascita 1933, visse tutta l'adolescenza in provincia di Cremona, in campagna, in una di quelle grandi cascine che si vedono percorrendo l'autostrada. Erano mondi autonomi, gestiti tra l'altro in toto da donne tostissime (uomini alla manovalanza nei terreni/compravendita bestiame...manutenzioni). Poi sfollarono in Liguria con la guerra e via via, dopo sposata la vita prese una piega borghese con gli agi del boom che tutti conosciamo. In ogni caso in svariate occasioni nel corso della sua vita mi ha ripetuto più volte che il periodo più sereno l'ha passato quando era in cascina...con pochissimo...il famoso mandarino a Natale, i geloni che venivano quando in inverno si faceva i km per andare a piedi a scuola ecc...In ogni caso mi diceva che non sapeva spiegare bene il perchè di questa serenità, e mi è venuto in mente un tuo vecchio scritto Alceste, dove si ragionava sul fatto che il detto "si stava meglio quando si stava peggio" evidentemente non si riferisce solo all'aspetto materiale della vita (è ovvio che si sta meglio con il bagno in casa senza dover uscire alle due di notte nel cesso fuori casa a -5°) ma a quell'allontanamento dal "centro" (di se stessi, delle relazioni con gli altri, con il mondo, con la terra...) che l'essere umano continua a fare man mano che il tempo passa...forse era questo che la mamma "sentiva" ma non riusciva bene a spiegare. 

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    3. La serenità deriva dall'assenza di scelta. Sì. La libertà attuale è un inferno. Cerchiamo di spiegarci. Se dai all'essere umano la libertà totale, che gli deriva dall'inosservanza di qualunque regola, legge o codice morale, egli si condanna alla schiavitù. Sempre all'erta, guardingo, sospettoso; gravato dalla scelta; oppure dissolto dalle troppe opportunità che portano alla liquidazione della personalità. Prima, non molto tempo fa, la vita, invece, scorreva su rotaie prestabilite. E le rotaie non erano forgiate da un tiranno, ma dalla tradizione; e con tradizione intendo usi, costumi, leggi e regole che si sono ereditate nei millenni per conservare un popolo. La "durezza" del vivere (il bagno a - 5°) è altra cosa. La serenità e la s-pensieratezza derivano dall'assenza di responsabilità nello scegliere sempre e continuamente; il che non significa essere non responsabili, anzi. Ciò che si era lo si doveva a chi teneva a noi, agli Italiani come popolo, come cultura. Ora, invece, siamo gettati nell'inferno. Non c'è un attimo di pace, mai.

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  24. Buonasera, proprio di pace parlavo quando chiedevo cosa fare per rendere l’esistenza delle persone più accettabile. Personalmente ho la sensazione che ogni volta che viene formulata una nuova o norma di legge sia sempre a discapito degli esseri umani. Magari sbaglio. Giovanna

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    1. Non sbagli, la guerra agli Italiani è serrata. Le cosiddette leggi sono studiate per rendere la vita (pacifica o serena) impossibile. Ciò è una strategia precisa che mira all'asservimento totale senza possibilità di riscatto. Stiamo rinunciando alla (vera) libertà in cambio di niente.

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  25. Ice - T canta Gilmour...
    https://www.youtube.com/watch?v=xVH6YL62_3Q

    Come sono arrivato qui?
    Seduto su questa sfera rotante
    Quando me ne andrò da qui
    Sappiamo che la morte è sempre vicina
    Cerco di capire ma le risposte non arrivano facilmente
    Gli amici mi ingannano sempre
    È questa la vita che dovrebbe essere?
    Animali umani
    Vagabondiamo sulla terra in cerca di sangue
    Speranza per l'umanità?
    Non credo che ci sia mai stata
    Siamo in guerra perpetua, e questa è l'unica legge
    Posso cambiarla? Ne dubito
    Quindi scrivo canzoni su questo
    Ero giovane una volta ma ora sono invecchiato
    Proprio davanti ai tuoi occhi hai visto la mia vita svolgersi
    Non avevo scelta quando sono diventato la voce del perdente
    Un giovane ragazzo di colore... guarda che cazzo ho fatto!
    Quando me ne sarò andato ci sarà qualcuno che andrà avanti
    Possiamo cedere, rinunciare o possiamo rimanere forti
    Quanto accettare le stronzate in cui siamo diventati tutti
    Questo mondo intero è... piacevolmente insensibile

    Ciao... c'è qualcuno là fuori? Qualcuno mi sente?
    Ciao... c'è qualcuno là fuori?
    Qualcuno mi sente?

    Hai una TV, un computer, quindi non ti importa
    Un tetto, dei vestiti, del cibo
    Esatto, è tutto lì
    Chiuditi in casa, cerca di dimenticare
    I milioni di persone che muoiono per guerre, fame e siccità
    Hai i tuoi problemi, sì, li abbiamo tutti
    Nessuno è libero dallo stress, né lui, né io, né tu
    Ma ci giudichiamo ancora a vicenda, vogliamo attaccare briga
    Per strada ci uccidiamo a vicenda, ogni sera della settimana
    Non voglio drammi, ma porto una pistola
    Non voglio problemi, ma probabilmente arriveranno
    Quindi ci sballiamo per lavare via il dolore
    Automedicazione, ma quella merda è tutta fatta invano
    Pensiamo di poterci nascondere dalla miseria
    Puoi chiudere gli occhi, ma riesci ancora a vedere chiaramente
    Non c'è nessun posto dove scappare...
    Sei solo piacevolmente intorpidito

    Ciao... c'è qualcuno là fuori?
    Qualcuno mi sente?
    Ciao... c'è qualcuno là fuori? Qualcuno mi sente?

    Ho passato metà della mia vita solo a cercare di sopravvivere
    E l'altra metà a cercare di tenervi tutti in vita
    Per qualche ragione mi importa ancora
    Ho fatto la mia sporcizia
    È incredibile che io sia ancora qui
    C'è del vero male là fuori, ho cercato di avvertirti
    Potresti incontrare il diavolo in persona, allora cosa faresti?
    Non c'è tempo per pregare, nessuna possibilità di scappare
    Ascolta... perché sono stato da entrambe le parti della pistola
    Mentre tu stai di fronte a me siamo tutti qui come uno
    Dobbiamo unirci o le nostre possibilità sono zero
    Forse sono solo un sognatore, troppi ostacoli
    Il pensiero della coesistenza degli umani, è impossibile
    Meglio rimanere insensibili, vivere nella negazione
    Stiamo andando tutti all'inferno e ce lo siamo fatto da soli
    Troppe polemiche religiose, troppe stronzate razziste
    E se c'è un Dio probabilmente lo facciamo ammalare

    Ciao... c'è qualcuno là fuori?
    Qualcuno mi sente? Ciao... c'è qualcuno là fuori?
    Qualcuno mi sente?

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Siate gentili ...