02 marzo 2022

Una guerra spietata

 

Roma, 2 marzo 2022

Mi ferma un tizio che non posso evitare. Conoscendomi un poco, vuole, forse, stuzzicarmi.
Ma tu sei con Putin, no? Che ne pensi, ce la farà?”.
Caro mio, io sono con pochissimi, pochissimi. Quando sarò con qualcuno te lo farò sapere. Posso dirti che non sono al fianco dei cretini del tifo, quello sì. Sulla questione in oggetto posso, invece, dirti che, finora, almeno per quanto ci riguarda, la faccenda pare la continuazione di Roberto Speranza con altri mezzi … é una guerra spietata … Giudica tu, non voglio forzarti … staremo meglio o peggio? Non che a te freghi qualcosa dato che il pane te lo provvedo con imposte e tasse …”.
La prima parte non credo l’abbia compresa, l’ultima frase sicuramente sì poiché s’è impermalito subito. Uno in meno da salutare.

Mi dicono: è la guerra! Ma io non presto attenzione all’attualità. Una guerra, una guerra vera intendo, sarebbe la liberazione definitiva.
Non la guerra di qualcuno contro altri, né la guerra degli amici contro i nostri nemici.
La guerra in sé, l’amabile sofferenza, persino la disperazione, il timore fisico della morte.
Questo ripulirebbe l’animo dalle incrostazioni, farebbe rifulgere entro il petto un nuovo nuovo cuore, dorato!
Per questo, temo, non avremo guerra, ma solo il simulacro d’essa.

Ancora una volta noto come frasi additate al ludibrio come “Guerra sola igiene del mondo”, debitamente considerate, abbiano la forza di fatti indiscutibili. Al pari delle intemerate di D’Annunzio sulla sterilità della democrazia e del Céline sulla comunità di sangue come unica via di salvezza.
In altre parole: avevano ragione loro.

Ma se non é guerra cos’è?
L’ombrello sotto cui la regressione arriverà in tre anni invece che in trenta.

Una tizia, rettrice di non so cosa, interrompe un corso su Fëdor Dostoevskij, tenuto da Paolo Nori, per “evitare polemiche in un momento di forte tensione”. La rettrice, consultatasi col rettore alla didattica, ha evidentemente deciso di oscurare i riflettori su un russo (un minore della letteratura: Dostoevskij) per non alimentare polemiche durante l’attacco militare dei Russi (di cui Dostoevskij fa parte, nolente), nostri nemici acquisiti da poco, contro gli Ucraini, di cui i maggiori e più responsabili media (digitali e analogici) hanno appurato, invece, la schiettezza amicale.

18 febbraio 2022

REAPER vs CREEPER [Il Poliscriba]

 Il Poliscriba

"L'ultima cosa che le aziende antivirus vogliono è un cliente istruito. Dopotutto, più diventi istruito, più ti renderai conto che Avast non offre la protezione che afferma di fornire. Sfortunatamente, poiché la quota di mercato è diminuita, si sono rivolti a spingere il loro software attraverso la paura e il terrore tramite popup implacabili, prendendo di mira i consumatori più anziani e meno esperti di computer. 'Non sei protetto! Acquista il nostro software! La tua identità e gli assegni di sicurezza sociale vengono venduti online ora! I bambini verranno rubati! OMG!'. In alcuni casi, le aziende AV classiche hanno persino fatto ricorso alla creazione di malware falso per migliorare le statistiche dell'ID malware e allo stesso tempo punire i loro rivali".

(omatomeloanhikaku.com) 

La storia che oggi viviamo, dettata da questo totalitarismo sanitario che si fonda su terrore, ignoranza e volenterosi carnefici, iniziò probabilmente nel 1971.
In quei tempi c'era Arpanet che ispirò film come Tron e Terminator, un sistema di condivisione file ad uso militare e universitario messo a punto nel 1969 dalla DARPA, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.
L'era informatica nacque teoricamente con Leonardo, praticamente con Pascal, di cui Alain Turing fu grande estimatore, ma quella che viene definita età dell'informazione digitale si può far risalire  agli anni ‘30 del secolo scorso fino alla  realizzazione della prima rete di computers collegati in una linea elettrica, in grado di riconoscersi e interfacciarsi attraverso un comune sistema operativo di calcolo e memorizzazione comandi e dati.
L'idea di un programma auto-replicante, invece, fu teorizzata per la prima volta da John von Neumann nel 1949, quando il matematico ipotizzò degli automi capaci di scrivere delle copie del loro codice. L’ispirazione matematica proveniva, senza tema di smentita, dalla virologia e dall’epidemiologia, branche dell’infettivologia all’epoca non ancora intaccate dalla statistica e dalla logica booleana.
Ma fu solo nel 1971 che comparve  il primo vero worm, un codice autoreplicante capace di diffondersi.

In quell’anno, l’embrione di internet che collegava MIT, Caltech, Princeton, Cambridge, Pentagono NASA, etc. la cui storia è reperibile sul World Wide Web (invenzione di Tim Berners-Lee e Robert Cailliau conseguita al CERN di Ginevra nel 1991), fu infettata da Creeper, un programma inventato da uno dei creatori dell’architettura Arpanet, Bob Thomas. Alla sua seconda versione si dovette necessariamente assemblare un antiworm che prese il nome di Reaper. Da lì in avanti ci fu  una corsa, quasi una gara sotterranea di informatici geniali che volevano acquisire popolarità, violando i server ed essere assunti dalle industrie del settore (Assange è figlio di quei tempi).
Cosa che puntualmente avvenne.
Bastava ammettere la bravata, fare ammenda pubblica e promettere di lavorare dalla parte del "bene": governi, servizi segreti e di intelligence, aziende - firmando contratti vincolanti contro lo spionaggio industriale interno, ma non esterno - consorterie militari e di plutocrati ispirati.
Il quindicenne Rich Skrenta, ad esempio, è stato l’inventore del primo virus informatico, da lui ideato per infettare il sistema operativo Apple II.
Dopo, la sua carriera è decollata, mentre, senza abiura, si poteva finire nelle spire processuali internazionali per il resto della propria vita, come accaduto a Gary McKinnon, in arte Solo, forse il più pericoloso hacker di tutti i tempi, ancora oggi sotto libertà vigilata.

06 febbraio 2022

IO


Roma, 6 febbraio 2022

Il Male serve il Bene. Ma il Nulla distrugge entrambi. Guardatevi dal Nulla, quindi.

Dapprima il PIL, quindi lo spread, ora l’inflazione. La scienza statistica, usata contro il popolo, è una contraddizione in termini. Anzi, comincio a pensare che il gergo tecnico sotteso equivalga a quello della malavita: “buiosa” (la galera), “la birra” (partita di droga), “paranza” (clan) sono in corrispondenza d’amabili sensi con “capital asset”, “future Clearing House” e “margine operativo netto”. Alludono, insomma, a truffe e raggiri a livello planetario; trovarvi una causalità interna, e persino una debole plausibilità logica, risulta impossibile. Se un presidente occidentale, democraticamente eletto, cicala in Parlamento di “commodity futures” o “development capital” egli, in realtà, lancia messaggi e segni immediatamente riconoscibili dai compari: come il palo a chi tenta la rapa all’arrivo della madama. Che questi termini (“commodity futures” e “development capital”) abbiano un senso proprio e che tale senso si intersechi logicamente con quello di ulteriori altri sino a formare una “scienza” è fatto non perspicuo; assai poco intuitivo; difficilmente accettabile, quindi, se non campato in aria. Di cosa sia composto un libro postmoderno di economia politica non saprei dire.

Il Festival di Sanremo, da quando fu istituito l’Auditel (7 dicembre 1986), è in costante miglioramento d’ascolti. Da tale banale constatazione, e dalle relative, catastrofiche, inferenze, dovremmo tutti venire in sospetto delle scienze statistiche propinate (= usate contro) al popolo.

Patrick Zaki, colonna patriottica della Repubblica Italiana, assediato da supplichevoli microfoni d’ogni parte e colore, insiste a vociferare in inglese. Pacioso, insulso, e apparentemente inoffensivo, quasi quanto la larga padella facciale di Romano Prodi, fintamente ebefrenica.

24 gennaio 2022

Il prigioniero


Roma, 24 gennaio 2022

Vede, caro figliuolo ... Il generale Francesco Paolo Figliuolo (1961-vivente), potentino come mezzo Roberto Speranza, e italiano come (forse) mezzo Roberto Speranza, pluridecorato, più del Gran Mogol delle Giovani Marmotte, avrà mai sparato una cartuccia in vita sua?
E chi lo sa.
Di sicuro sappiamo ch’egli iniziò formazione e folgorante carriera nel 1980: corso 162 (motto: “Onore!”) presso l’Accademia Militare di Modena.

Cronologie. 23 febbraio 1972 (corso 154, nessun motto), otto anni addietro. Eugenio Cefis (1921-2004), successore di Enrico Mattei, tiene un famigerato discorso presso l’Accademia Militare di Modena: Il pontefice dell’ENI illustra (con inflessioni apodittiche e mai dubitative) alcuni nudi fatti: l’Italia (e l’Europa) più non esisteranno; i cadetti dell’Accademia, futuri Figliuoli del mondialismo, ben avrebbero fatto, quindi, a dichiarare fedeltà agli enti sovranazionali invece che alla Patria, la terra dei padri. In pochi minuti Cefis liquida un paese, un continente, una cultura ancestrale.

Giugno-luglio 1972. Pier Giorgio Bellocchio (1931-vivente), fratello del regista Marco, pubblica nel mensile “L’Erba Voglio” (nr. 6) l’allocuzione di Cefis, arricchendola di qualche azzeccata postilla.

Settembre 1974. Elvio Fachinelli (1928-1989) dona l’ominoso numero della rivista a Pier Paolo Pasolini, assieme a un libriccino di Giorgio Steinmetz (alias Corrado Ragozzino) su Cefis. Pasolini, che in quel momento sta lavorando alle bozze di Petrolio, accetta il regalo di buon grado. Quelle parole lo recheranno alla verità dei fatti incontrovertibili; egli ne comprese al volo la devastante portata tanto da fargli abiurare l’impegno politico comunista, la sinistra, la futilità della polemica di partito. La sua conoscenza, profondamente intuitiva, della storia italiana, sotto tale nuova prospettiva cambiò radicalmente. È la rivelazione dell’anamorfosi: il cambio del punto di vista, originato dal caso (in questo: un discorso di Cefis), fa sì che la figura dapprima percepita si definisca in nuove, imprevedibili, definitive e terrificanti silhouettes.

9 gennaio 1975. Pasolini annuncia il grande romanzo Italiano, Petrolio, in un’intervista a “Stampa Sera”.

2 novembre 1975. Il cadavere di Pasolini è rinvenuto presso l’Idroscalo di Ostia.

Dalla lettura de “L’Erba Voglio” alla rena fetente di Ostia passano circa quattordici mesi.
Quando si staccano gli occhi dal circo del quotidiano, dalla polemica e dagli imbecilli e, anche per puro caso, si affondano nella melma della verità: nell’Hellfire Club della verità, allora ... Allora si scappa; o ci si vende; oppure si muore.
 

L’occhio della Provvidenza. Roberto Speranza nasce a Potenza il 4 gennaio 1979. Come sempre accade, egli, inavvertito ai più, sbaraglia sin da giovane tutti i concorrenti. Politici di lungo corso, volponi, maneggioni e culi di piombo cedono il passo alla nuova speranza del partito. Nessuno sa perché ciò accada: e tuttavia accade. Speranza muove da un fortino partitico anch’esso trascurato, spesso dileggiato. Eppure adesso è qui. Come un predatore seriale: pochi attimi prima non c’era, ora è nel villaggio.

21 gennaio 2022

Le Montagne Blu (Tien Shan) o una storia incredibile [Il Poliscriba]


Il Poliscriba

Retrospettiva dal sottosuolo, anno 2022

Così a me son toccati mesi d'illusione
e notti di dolore mi sono state assegnate

(Giobbe  7, 3)

Because the night. Una notte del secolo scorso, l’ennesimo notturno insonne che preannunciava nei miei precordi le palpitazioni del nuovo evo degli orrori del presente, mi ritrovai a fissare le immagini di un film che Enrico Ghezzi - un altro “caro estinto” -  decise di inserire nella sua scaletta di "Fuori Orario".
Devo ammetterlo, a quei tempi era per me fonte di consolazione seguire quel programma notturno, alternandolo  alle mie letture o al mio sbattere furibondo le dita su di una Olivetti Lettera 35, ferendo  d’inchiostro a nastro, carta vera.
Il film raro apparteneva alla vasta cineteca RAI, probabilmente acquistato subito dopo la presentazione al Festival di Cannes nel 1985, nella selezione parallela istituita in tempi di contestazione: la "Quinzaine des Réalisateurs".
Si trattava di un lungometraggio scomodo a un regime in via di dissoluzione, una piccola crepa foriera di crolli nel vasto e macilento edificio socialista, come la simbolica commedia caustica e intelligente, raccontava.
D’altronde, il regista georgiano Eldar Šengelaja che lo diresse, apparteneva, per estrazione e influenza familiare, a quel gruppo di artisti eufemisticamente definiti individuali, e, per tale vissuto, sentiva imminente la caduta dell’URSS per asfissiante burocrazia non aderente a semplici principi di buon senso e realtà.
Diresse il film nel 1983.
Tre anni più tardi, un reattore nucleare esplose a Cernobyl e, insieme ad esso, un mondo soltanto fantasticato nelle piccole menti di coloro che vivevano i “meravigliosi anni ‘80” al di qua della Cortina di Ferro.

09 gennaio 2022

Paradigma Nagasaki: a true story [Il Poliscriba]

Il Poliscriba

Innamorarsi di androidi è una speranza mai sopita della generazione di maschi dagli occhiali a specchio del ventennio precursore della distorta distopia socio-fobica del terzo millennio in atto.
Quei maschi hanno ora 40 anni e più; disseminati come spore, hanno succhiato latte da seni di carne preferendo, dopo la loro pubertà, che sembra non terminare mai, la sintesi plastica del neoprene.
Certi giapponesi, malati di mente, si accoppiano con bambole di lattice robotizzate dal mattino alla sera; a volte si tratta di ingegneri di alto livello che hanno sbattuto la faccia sulle scrivanie di cromo, in preda a un sonno parossistico da super-lavoro.
Matsuko Hiroshi è stato arrestato per aver seviziato e ucciso la piccola Nakata Ishikawa, scambiata per una bambola erotica dal giovane psicopatico che non sopportava le grida di lei, giudicando impossibile il fatto che un droide femmina, pagato 10.000 yen, avesse, oltre le desiderabili facoltà di urlare, dibattersi, soffrire, quella incompatibile con una schiava sottomessa: la libertà di insultarlo.
Il prof. Shinzo Abe, docente di scienze sociali all’Università di Ryukyus a Okinawa, sostiene da tempo che il fall-out radioattivo dovuto agli ovetti all’uranio sganciati dall’Enola Gay nell’agosto del ‘46, non sia terminato, a fronte dei dati radiometrici del dipartimento di fisica nucleare dell’Università di Tokyo.

Non erediterai nulla e sarai felice [Roberto Pecchioli]

Liu Xiaodong, Things aren’t as bad as they could be

Finalmente se ne comincia a parlare. La recisione del legame col passato non può che accompagnarsi a un ulteriore spossessamento: il patrimonio familiare. L'intrasmissibilità del sapere, della bellezza e, ora, di ciò che possediamo; e che ci definisce. E questa intrasmissibilità, sancita per legge, non può che avere una immediata causa economica, quale scusa. In attesa delle leggi sull'eutanasia, sulle droghe come farmaco e sulla liberalizzazione delle parafilie, s'incominciano a vedere i primi fuochi d'artificio nel campo del felice impoverimento di massa, già preparate dalle elucubrazioni sulla decrescita (anch'essa felice, anzi: felicissima).
Il tutto avverrà con progressione naturale, al riparo dalla pandemia, una scusa come un'altra; i "sì" pronunciati a favore della miseria, peraltro, sono stati infiniti.
Roberto Pecchioli è assai sottovalutato; uno dei pochi a fornire una cronaca lineare e coerente dell'apocalisse.

Roberto Pecchioli

La campana suona per tutti, per me e per te. Peggio per noi se non ne percepiamo il suono in mezzo al frastuono. L’Agenda 2030 si sta svolgendo sotto i nostri occhi, ma non vediamo né sentiamo. Dopo aver attaccato la proprietà privata delle case di abitazione minacciando di vietarne la vendita se non in regola con le scalmane climatiche “verdi”, in attesa di tassare in maniera esorbitante le abitazioni attraverso la rivalutazione catastale (ce lo chiede l’Europa!) sale il livello dell’attacco. Il quotidiano "Le Figaro" ha denunciato che nel programma presidenziale di Emmanuel Macron, l’enfant prodige di casa Rothschild, vi sarà una pesantissima tassa sulle successioni. La proposta parte dal CAE, Consiglio d’Analisi Economica, un’istituzione della presidenza francese. L’obiettivo è tassare le eredità sino a farle scomparire in una generazione. L’idea è attribuita agli eredi del pensiero di Pierre Bourdieu, il sociologo marxista che coniò il concetto di “violenza simbolica”, esercitata non con l’azione fisica, ma con l’imposizione di una visione del mondo, dei ruoli sociali, delle categorie cognitive, delle strutture mentali attraverso cui viene percepito e pensato il mondo, da parte di soggetti dominanti verso soggetti dominati; una violenza “dolce”, invisibile, esercitata con il consenso inconsapevole di chi la subisce.
L’articolo de "Le Figaro" termina riassumendo come il tema dell’imposta di successione venga affrontata dalle varie famiglie politiche alla vigilia delle elezioni presidenziali: “La sinistra vuole alzarla, la destra abbassarla, e il centro … non dice niente”. Nulla di nuovo: l’iniziativa è sempre nelle mani dell’avversario, per la timidezza, la paura, la malafede di chi difende solo il proprio orticello senza una visione e un progetto. La sostanza è che in occasione delle elezioni presidenziali di una Francia in cui la maggioranza naturale è sempre più a destra, si deciderà anche sul più ambizioso tra i punti dell’Agenda 2030: l’abolizione della proprietà - per gradi e mascherata da politica fiscale - attraverso la difficoltà di trasmetterla ai discendenti o a chiunque altro. Nessuna sorpresa: impazza la cultura della cancellazione, il rifiuto di trasmettere la civiltà e perfino la vita. Cancellare l’eredità materiale è solo una coerente conseguenza. Il destino è la tabula rasa: nessun lascito di cultura, di comunità e di spirito. Il finale è scontato: gli ultimi padri non lasceranno eredità materiali agli ultimi figli. Le generazioni si sono rinnegate a vicenda. Ognuno ricomincerà da zero: al gregge tosato provvederà il pastore.

03 gennaio 2022

La Bestia


Roma, 3 gennaio 2022

Il buon Nachtigall mi chiede: chi sarà mai il Monarca Universale?
Gli rispondo, per puro miracolo, poiché google mi consente raramente commenti in calce al post, che non occorre individuare esseri umani; di ipotesi contingenti, quelle che fanno perdere anni e decenni in chiacchiere, è lastricata la via dell’inconcludenza. É preferibile definire concetti, stati d’animo, concrezioni spirituali, accumuli storico-metastatici. Il Re del Mondo arriverà, di notte, e tutti lo accetteranno con naturalezza poiché il decesso della civiltà vanta cause assai risalenti. Un cedimento strutturale della Chiesa occidentale e orientale e la sua resa al mondo protestante? Una Roma senza Papa, quindi? Un embrassons-nous totalitario e liquidatore? Oppure: un consesso globale che superi ONU, NATO e religioni positive in grado di sussumere al proprio interno esseri di indiscussa e indiscutibile levatura morale che si ponga quale Consiglio Universale di Sapienti? Pax mundi? Di “questo” mondo, e non di altri, poiché l’Altro non è più necessario. L’ex Papa, l’ex Dalai Lama, l’ex Presidente ONU, i rappresentanti temporali dei cinque angoli della Terra … tutti riuniti, in povertà materiale, onde predicare il nuovo verbo: lo spossessamento dell’uomo, definitivo, al termine di una parabola di civiltà ormai sentita come oppressiva e sanguinaria …

Il discorso, da tal punto di vista, è arretrato, quasi trogloditico. Inutile intavolare dibattiti con chi ancora crede che la Rivoluzione Francese fu lo spauracchio del Potere; altrettanto deprimente invischiarsi in colloqui, più o meno digitali, ove il Potere è sentito come criminale. Il Potere, infatti, non è più criminale, bensì totalitario. Esso si pone quale Unico al di fuori del quale nulla sussiste poiché - è questo il punto - nulla di ciò che vive al di fuori è più concepibile e, perciò, oggetto di discorso. E tutto questo lo vediamo avverarsi ogni giorno, quando il passato viene triturato nell’immondezzaio della più anonima irrealtà quotidiana. Ben riassume tale caduta nel totalitarismo Oswald Spengler allorché afferma: “Un giorno l’ultimo quadro di Rembrandt e l’ultima nota di Mozart avranno cessato di esistere pur sussistendo, forse, una tela dipinta e uno spartito: perché l’ultimo occhio e l’ultimo orecchio che potevano cogliere la lingua delle loro forme saranno scomparsi”. Al di là dell’agghiacciante “forse” è appena il caso di notare che ogni occhio e ogni orecchio sono stati, come in ogni rituale magico, liberi di scegliere: e hanno scelto la Bestia.

27 dicembre 2021

Salir per l'altrui scale

Roma, 27 dicembre 2021

Tutti i grandi sconfitti della postmodernità, da Jünger a Evola, dai protosocialisti ai cristiani preconciliari, tutti, nessuno escluso, godettero del privilegio dell’esilio.
Solo a noi ciò non è concesso; se proprio ripugna, ad alcuni, questo “noi”, che manda, lo ammetto, un bel tanfo da latrina digitale, dirò: a me non è concesso.
Persino le esecuzioni sommarie o la damnatio riconoscevano al vinto una rilevanza, quasi ad annichilire l’ultimo ansimo di spiritualità che s’avvertiva irriducibile in quel nemico, pur ferito, impotente, senza scampo.
Ma non oggi.
Allo sconfitto è impedito non solo di gettare nell’arengo della discussione la forza delle argomentazioni contrarie, ma, e questo rappresenta un unicum, anche la serenità della prigionia, il ruolo di contestatore e d’oppositore; in una parola: il limite santo dei luoghi d’espiazione come l’esilio.
Qui si anela la capitolazione totale, la desertificazione dell’anima, una reificazione definitiva. Nessuna distopia ci ha preparato a questo, né il pluricitato Orwell, né Huxley. Solo Zamjatin: solo in quel finale la felicità coincide assolutamente con il conformismo totalitario benché il risultato si ottenga nel romanzo con una castrazione cerebrale, puramente fisica.

19 dicembre 2021

Una vita miserabile


Roma, 19 dicembre 2021

Dizionario etimologico di Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli: “miseràbile, agg. ‘che è da commiserare per estrema povertà o infelicità’ (av. 1342, Domenico Cavalca), ‘che è da disprezzare per meschinità e bassezza morale’ (secolo XIV, Cassiano volgar.), ‘che ha scarsissimo valore’ (av. 1642, Galileo Galilei) ...
Il dizionario riunisce mirabilmente le tre accezioni della miseria che nel Nuovo Mondo in molti avranno patire: le infelicità e la povertà di coloro che sono destinati ad aver consuetudine, vita natural durante, solo con oggetti, sentimenti e orizzonti di scarsissimo valore, angusti e anonimi, per ordine di individui disprezzabili per meschinità e bassezza morale.
Le parole racchiudono il senso preciso dei millenni: per questo il potere ama svilirle o limitarle a un pidgin tecnico formato da pochi vocaboli; per il medesimo motivo il potere ha in odio l’umanesimo: grammatica, musica, storia, filosofia, arte, religione: qui, infatti, si cela una polisemia rivelatrice e pericolosa, migliaia di coloriture espressive, una ricchezza debordante di opinioni, logiche, intuizioni. Nelle parole, rettamente intese, è la libertà.

Mario Draghi, che biascica un Italiano di base, scolorito e banale, a tratti persino incespicante, è lo chef perfetto per i tempi nuovi: a cuocerli e prepararli con cura. Gli è stata ordinata la distruzione; lui esegue. Non credo si renda conto di quello che veramente fa; alla fine è solo un tecnico, come il pilota dell’Enola Gay o il killer digitale che dal satellite inquadra i bersagli dei resistenti afghani. E però egli, come i compari d’ascendenza anglossassone, ha il pregio dell’efficienza; perciò distruzione sarà. Ci sarà da alzare il volume per coprire i belati del mattatoio? Non troppo, dato che larga parte degli armenti, alla vista del sangue altrui, gioiscono con lunghi muggiti di approvazione.

Il patriziato italiano, prezzolato per tradire l’Italia che amministra, assomma a qualche milione di cinghiali; le odierne grufolanti assemblee delle provinciali italiane - vedere per credere - in cui ogni minuscolo partito, senza nemmeno l’assillo della campagna elettorale, si divide le residue spoglie dell’ex grasso italiano; lo stato e il parastato più torpido; le magistrature, gli alti dirigenti pubblici e semipubblici, eserciti e gendarmerie varie, i plotoni d’esecuzioni delle agenzie nazionali, le aziende sanitarie, scuole e università d’ogni sfumatura e grado … tutti compongono legioni variegate, ma sostanzialmente conniventi, attentissime a non far aprire brecce di dissenso al loro interno, oculatissime nel boicottare chiunque possa mettere in dubbio il monopolio della loro lucrosa inefficienza. Tale blocco lo si ritrova operativamente e ideologicamente compatto  nel recare il proprio paese al default, alla micragna, all’inessenzialità … purché un bottino, pur miserabile, venga assegnato loro. Trenta denari, d’oro o nichel, ma che trenta denari siano.

Un politico di altissimo rango briga per pagare alcuni lavori in nero; insulta, offende, disprezza; alla fine liquida il poveraccio come un accattone qualsiasi. Una scena già vista negli ambienti romani. Hai voglia a raccontarla: nessuno ci crede. Ognuno, nel suo piccolo, è abituato a rispettare l’autorità, qualsiasi autorità, ad accettare il verbo dal piedistallo. Il patriziato del New World, ormai privo d’ogni remora di ordine morale, sicuro entro la cintura poliziesca a lui fedele, si rivela per ciò che è: una poltiglia di ignoranza ottusa, arroganza e risentimento di classe. Di classe? Certo. Se i veri Dominanti, infatti, operano in vista della coercizione spirituale (per mutare la struttura stessa dell’anima umana e assoggettarla nell’eternità, una volta per tutte), i loro succubi (chi, una volta, con goffo linguaggio brigatistico, si appellava come sub-dominanti) non sono che individui perduti, incapaci di concepire altro che il guadagno mondano e lo squallore che deriva dall’esibizione d’una manciata di lenticchie. La guerra totale, devastante, che subiamo da decenni mira ai nostri cuori; i soldati infernali delle battaglie, però, quelli che cianciano sui visori televisivi e digitali, non risaltano che quali comuni mercenari con la sacchetta dei sesterzi assicurata alla cintura. Lanzichenecchi, edaci, spietati, deprivati sensorialmente; garzoni di bottega; in alcuni casi, proprio per questo, addirittura sacrificabili.