07 febbraio 2021

Tutti insieme appassionatamente

Brian Yuzna, Society

Unreal City, 7 febbraio 2021

In fila per pagare un caffè, una tizia, con cappello e bavaglio da bandido messicano, intima ai circonvicini, sorta di cagnoloni tra il rassegnato e lo scocciato, le debite distanze da Covid19. “Amigo, stammi a un palmo!”, sembra dirmi, allargando le braccia. Poi, alla cassa, ordina cinque gratta-e-vinci; si apparta in un angolo, su di un tavolinetto squallido, a furiosamente raspare le residue speranze a lei concesse.

Riassunto della democrazia in Italia:
- 1946. Referendum aggiustato con aiuti esterni.
- 1948-1989. Si vota, col proporzionale, chi più ci aggrada poiché ognuno sa chi saranno i vincitori e i vinti. Col tempo: consociativismo di massa. Qualche attentato punteggia questi anni formidabili; a ricordare chi comanda. La salma rattrappita di Aldo Moro nel 1978 prepara i decenni futuri.
- 1990-2011. Qualche attentato punteggia i primi anni della Seconda Repubblica (1992-1993): a ricordare chi comanda. Poiché ogni attore dell’arco costituzionale è ora coinvolto nel giuoco democratico (PCI e MSI, affamati come iene, son della mischia) occorre escogitarlo, tale giuoco democratico, di modo che alle ideologie, alle idee e all’intelligenza si sostituisca il tifo. All’uopo soccorre il maggioritario, lungamente preparato dalle concioni dei Radicali, autentico partito-tornasole della ormai ex Repubblica. Grazie a una figura di quarto piano, Mariotto Segni, la vitalità dei precedenti decenni si coagula progressivamente in due approssimative palle stercorarie che gli scarabei elettori si rimpallano con fare esagitato vociferando sciocchezze su anticomunismo e antifascismo. Materiale estensore del dispositivo che regola il nuovo superenalotto democratico è un’ulteriore statuina di mediocrissima rilevanza: Sergio Mattarella, ricompensato lautamente nei decenni a venire per tali servigi.
- 2012-2020. Il tifo più non basta a legittimare il giuoco. Si creano, perciò, attori alternativi: di forte connotazione antisistemica. La parabola della Lega e dei 5S, cui si regalerà persino un governo pur di simulare la piena democrazia, sono lì a testimoniare la coerenza dell’inganno. Peccato che l’elettore mai lo avverta, questo inganno: egli, infatti, vive la disillusione con sentimento grossolano, addebitandola sempre alla causa sbagliata.
- 2021-2030. Progressiva e indolore sostituzione della democrazia con per-suasivi like.

02 febbraio 2021

La ballata dell'abusivo


Unreal City, 2 febbraio 2021

Espropriarci delle nostre cose è facile.
Tanto facile che non le si riconosce nemmeno.
Ciò che prima, non molto tempo prima, appariva scontato - ora non lo è più.
La casa, le proprietà di famiglia, la mattonella su cui s'appoggia il piede la mattina, il lavabo, la porta, le scale, le strade, l'automobile, l'aria: tutto questo viene revocato in dubbio.
Il Potere insinua: perché dovrebbe essere vostro?
E lo stesso sentimento lo suscita a riguardo del passato e di ciò che, volenti o nolenti, ci apparteneva: monumenti, prati, basiliche, città, ruscelli e colline. Perché - ragiona il Potere - ciò dovrebbe esser vostro?
La libertà, infine, la serenità, il lavoro, l'equità di fronte alla legge, perché mai dovreste goderne? Chi l'ha sancito mai, ci diranno. Quale mondo era - questo mondo che ricordate? Esisteva davvero? Perché - ci diranno - questo mondo nemmeno esisteva, tanto che lo rammentano in pochi, così pochi che si ha il sospetto che siano pazzi. Così ci diranno.
E le moltitudini assentiranno, come fanno oggi, poiché i più sono ormai abituati a un'esistenza da trogolo digitale, da allevamento seriale; e la sola rivendicazione di un'Italia solare e piena di vita, ricca di intelligenza, aspra e gioiosa assieme, li getta nella disperazione.
E via via diverremo abusivi in casa nostra. Ci sfratteranno da ciò che abbiamo costruito, riducendoci nelle riserve, o alla macchia, ammesso che si sia abbastanza forti da riuscire a resistere - alla macchia.
Nella mirabolante società aperta, decantata dai truffatori filosofici di ogni tempo, non si sono mai visti tanti muri.
Non ci è permesso quasi più nulla. Ogni cosa è coperta da un velo, riservata agli specialisti o agli addetti ai lavori oppure semplicemente preclusa: non si sa perché.
Nella società aperta, di cui si favoleggiava nei circoli più ottusi, l'amore è impossibile, poiché liofilizzato, alienato, pervertito, sostituito da simulacri che lo negano.
Nella straordinaria società aperta, per cui sono state bandite crociate e rivoluzioni sanguinosissime, nessuna cosa è trasparente, ma tutto è mediato dalla falsità, dai labirinti di specchi, dall'inganno.
Nella società aperta, un edificio di cristallo purissimo, non riusciamo a scorgere nulla, a comunicare con nessuno, a rivendicare il pur minimo diritto. Perché la società aperta è il castello incantato di Alcina dove una maga deforme vien presa quale ricettacolo d'ogni bellezza e il diritto, purtroppo, è sempre rovescio.
In questo mondo artificiale, innaturale, amorale e anomico, in cui i battiti del polso e del cuore sono azzerati, nemmeno il nostro corpo e il nostro pensiero ci appartengono. Ed è giusto, logico: dubitare persino di questo - del corpo e del pensiero - indurrà infatti tutti noi a chiederci: siamo? Esistiamo come esseri umani? Non saremo forse di troppo? Non sarà giusto cedere il passo?

Ci si trascina in città irreali, popolate da larve, ove il più pallido sentimento naturale del senso comune viene additato come crimine. In cui si è già abusivi poiché nulla ci appartiene più.
Eppure la salvezza sembra a portata di mano.

Proprio oggi ho assistito a un funerale cristiano. In una chiesa cristiana. La comunità filippina. O indiana. L'altoparlante esterno rimandava una litania d'estenuante ipnotismo. Nella chiesa una cinquantina di convenuti. La bara in legno scuro, di foggia essenziale. Il sacerdote e tre suoi officianti voltavano le spalle ai fedeli, continuando a salmodiare verso il crocifisso posto nell'abside - un'imitazione di gusto duecentesco. Ogni tanto la trenodia veniva intarsiata dai fedeli e dai congiunti, guidati da una sicura voce femminile. Dieci minuti. Quindici. Poi la comunione. Una cerimonia modesta, in una chiesa in cui le messe mi hanno sempre annoiato a morte. Eppure, qui, al volgere della sera, nonostante gli arredi a me noti, di avvilente normalità postconciliare, è sembrato compiersi un miracolo. Chi pregava, pregava davvero Dio. Ognuno era rivolto a lui. Né chitarre, né organetti, né bonomie; niente Amin da aiutare, né gruppi di ascolto, né pacchi per bisognosi, né raccolte alimentari; è bastato eliminare quel goffo bofonchiamento tra estranei cui si sono ridotte le messe attuali (con il Cristo ridotto a guardone, lì nell'angolo, un po' dimenticato) per ritrovare, pure in quell'ambiente da supermarket, lo scheletro polito e intatto dei meccanismi della fede.
In quegli attimi si è colti da una rivelazione: si prova la vertigine di sapere, immediatamente, inconfutabilmente, che il nostro posto nel mondo non può essere scalzato da nessuno. E nessuno deve osare farlo poiché, in nome di tale intuizione metafisica, si è ostinatamente disposti al sacrificio di sé.

Pubblico questi brevi e inutili pensieri durante la semifinale di andata di Coppa Italia: Inter-Juventus.

17 gennaio 2021

Before we vanish (addio Nutella Biscuits, addio!)


Unreal City, 17 gennaio 2021

La rivoluzione nel 2021 è una luminaria di Natale. A volte s’accende furiosamente, fitta di allusioni, insulti, sberleffi, truciferazioni, promesse di sangue (entrerete in una valle di lacrime, porci!), altre s’abbuia, all’improvviso, con impressionante simultaneità, lasciando intravedere solo la debole incandescenza del filamento dapprima sfavillante. E ciò accade quando il Potere materializza, davanti a cotanti fulguratori, le partitelle della Serie A, o qualche popolar-montalbanata. Si affilano, insomma, le lame del digitale promettendo sfracelli per poi grandiosamente rinculare allorché piove la micragna dei croccantini. E questi rivoluzionari dovrebbero … far cosa? Un cazzo, gli risponderebbe il Cambronne d’una volta, comunista o fascista che fosse.

Il candidato rifletta sulla trilogia del giapponese Kiyoshi Kurosawa: Cure (1997), Pulse (2001), Before we vanish (2017).
Il primo parla di un killer seriale (incapace di dire chi è, dov’è, cosa fa) il cui istinto omicida si propaga come un virus; radice del male è un ipnotista ottocentesco di cui possiamo udire, registrate su un vecchio fonografo Edison, alcune parole apparentemente sconnesse, ma di forte valenza misterica. Una delle ultime sequenze, ambientata in un edificio fatiscente sferzato dal vento, ci rivela come il Nulla (ciò che prima, per faciloneria, ho chiamato “male”) passi da uomo a uomo, inarrestabile come una pestilenza spirituale, grazie a benedizioni sacrileghe.
Del secondo potete ammirare un’immagine in Vanishing Italians: il web diviene il mezzo di comunicazione tra il regno dei morti e dei vivi. I primi si riversano nel nostro mondo, i secondi, divenuti apatici e depressi, lasciano per sempre la realtà. Unica testimonianza del loro passaggio sulla Terra è una macchia indistinta sulle mura casalinghe, simile a quella, sin troppo famosa, rilasciata da un vaporizzato di Hiroshima.
In Before we vanish, tre alieni prendono possesso di corpi umani. Il loro intento è comprendere alcuni valori basici della natura umana in vista di un’invasione di massa. Essi riescono a estirpare questi concetti (libertà, famiglia e proprietà, a esempio) dalla psiche profonda delle loro vittime le quali, rimanendone totalmente prive, si abbandonano a un’esistenza di angosciosa povertà spirituale.

Il candidato abbia cura di sottolineare il crescendo ideologico della trilogia riannodandone il cuore concettuale all’opera di Arthur Clarke (Le guide del tramonto), di Edward Bulwer Lytton (The coming race) e di Sergio Mattarella (“È tempo di costruttori”).

Come operano i gatekeeper?
Eccone uno: “Renzi lavora a sfavore di Conte sol perché vuole ottenere il MES e, quindi, avvelenare i pozzi alla destra che si prepara a stravincere le elezioni”. Il tizio che afferma ciò andrebbe frustato e appeso a testa in giù su un falò Apache. Secondo lui si dovrebbe votare a destra a quindi passare cinque anni a cicalare: povero Salvini, povera Meloni, poveri tutti! Ce la stanno mettendo tutta, ma il Potere, la sinistra mondialista, Greta, i comunisti, Soros, la von der Leyen, impediscono di far partire il programma, di difenderci, di sovranisteggiare!

08 gennaio 2021

Uscite dal mondo (Washington DC, 2021.01.06)

 

Unreal City, 8 gennaio 2021

A Washington DC, il 6 gennaio, giorno dell'Epifania, o della Rivelazione di Cristo a tutti i popoli della Terra, che la Tradizione Cristiana riassume nella figura simbolica dei Magi, non poteva che essere celebrata al contrario.
Di tutto il goffo trambusto inscenato dagli attori del patriziato mondiale (ciò che i poveri gonzi derubricano ancora come destra, sinistra, liberismo, libertarianesimo) è rimasta nella vostra memoria, poiché ciò solo doveva rimanervi, l'apparizione di un Angelo Cornuto.

Un Angelo, tale Jake Angeli, ennesimo attore delegato a simboleggiare i Tempi Nuovi a Venire. Che tale Angeli sia un astuto infiltrato o un tizio inconsapevole usato per l'Opera al Nero non interessa. Ciò che conta è l'effetto finale del rituale magico: qui comandiamo noi, la Democrazia è cosa nostra.

Se noi prosciughiamo gli eventi dalle incrostazioni posticce troveremo lui: l'Angelo Caduto, Lucifero, il Contrario del Cristo, che accampa i propri ormai inalienabili diritti davanti al mondo, nella sede simbolica, universale, della Democrazia già Parigi già Londra.

Va da sé che un Lucifero nella sede riconosciuta della demo-crazia equivale a invertire i poli naturali della menzogna e della verità. Ciò che si spaccia come menzogna è verità e viceversa. Per questo motivo i cosiddetti antidemocratici sono malvisti residuando come ultimi baluardi della democrazia.

Quando si discetta di Lucifero e inversioni magico-simboliche non si sta scomodando la teologia, Don Camillo e nemmeno la sceneggiatura de L'esorcista. A scanso di equivoci.

I simboli muovono il mondo, questa verità andrebbe incisa nella carne.

31 dicembre 2020

Lo sperma del diavolo

 

Unreal City, 31 dicembre 2020

I giochi sono fatti, quindi non ci rimane che giocare.

Lo sperma del diavolo è gelido: su questo sono d'accordo gran parte delle testimonianze. Persino Freud si incuriosisce, da guardone qual è: “Ah, se solo sapessi perché le accusate di stregoneria affermano tutte che lo sperma del diavolo è gelido!”. Il mistero, però, risulta abbastanza tenue: è gelido perché sterile. Da esso nulla nasce, nulla si crea. Inevitabile. Se Dio riassume in sé il Male e il Bene, suscitatori di vita, al diavolo spetta il nulla, il contagio del nulla. Iniettarsi il contagio del nulla a -80 gradi è, quindi, logico. Il diavolo, questa nullità, visita ormai le notti di ognuno di noi. Il multiforme, l'oceano nero che risale nell'anima e abbatte gli argini: cultura, arte e scienza, ciò che ci aveva resi ciò che siamo. Ora pare irresistibile il richiamo dell'inumano nella sua perfezione, l'Indifferenza Assoluta, il Nulla. Il diavolo, infatti, è tutto poiché dissoluzione, disgregazione: è succubo femminile o incubo maschile, potenza pura, materia inumana. Lo si celebra nei sabba cioè in balli coreografati ove si venera il didietro col bacio immondo: osculum infame. Gelidi amplessi, danze per il nuovo mondo.

I gazebo per la somministrazione dello sperma del Brave New World, custodito come un'ostia al contrario in teche refrigeranti, recate a Natale da magi ballerini, avverrà sotto la primula composta da cinque cuori: cinque deretani protesi per il bacio, a ben vedere.

L'ano del diavolo è una seconda bocca. Alcune miniature intravedono persino un volto, sotto la coda forcuta. In un mondo al contrario il contatto di tali fetide labbra non può che risultare inebriante.

07 dicembre 2020

Ubik

Ewa Aulin in Candy

Unreal City, 7 dicembre 2020

A1. Viaggiando lungo l'autostrada, da Firenze a Roma, si colgono, quasi sovrappensiero, i resti di un paese in via di scomparsa. L'Italia assomiglia, ormai, a un di quegli scheletri dissepolti in qualche cimitero altomedioevale con bisturi e pennello: la figura, un tempo composta e serena nella certezza della gloria oltremondana, appare sconvolta in una posa grottesca: le tibie sconnesse dai femori, la cupola delle coste sbriciolata dall'umidità, le falangi separate le une dalle altre, il cranio scoperchiato, la bocca ricolma di fango. I denti biancheggiano nelle arcate divelte, in uno spasimo di rimprovero. Eppure anche tale misero resto, scomposto come uno dei macabri burattini funebri di Trimalcione, nasconde una storia. Una brocca frantumata, a lato, o un anellino bronzeo, una moneta corrosa, un fragilissimo lacrimatoio.
I lacerti della grandezza italiana mi passano davanti, accerchiati dalla mota della modernità che non ha saputo far altro che distruggere, umiliare e schernire in un tripudio di crassa stupidità e insensatezza.
Ogni tanto un bellissimo casolare antico rapisce l'occhio, a volte scialbato dalle piogge e dall'abbandono, altre corroso dall'incuria o sbriciolato dalla tenacia degli arbusti. In rovina le torri, attraversate da crepe irreversibili, le strette feritoie a testimoniare, mute, la prossima disfatta. Improvvisamente un popolo di edifizi, su una piccola altura, raggrumati come naufraghi, stretti fra loro, entro il ciglio delle rupi di tufo, come ritirati da un mondo che ritengono straniero. Paesi ricchi di una storia maggiore, più vasta di quella di intere nazioni, e però sconnessi dal senso comune che li legava gli uni agli altri: sentieri, leggende, felloni e santi, eretici e conquistatori, chiesine e cappelle rurali; sono ossa d'una più larga e incomprensibile frantumaglia.

A qualche decina di chilometri da Roma l'apparizione mistica di Orte, al tramonto, consola con l'illusione dell'eternità. L'ultimo sole filtra fra la nuvolaglia plumbea a striare d'un giallo spento e dolce i dorsi dei colli, in un fremito di purezza rembrandtiana.
La sera, quindi, cala.
Le sagome di cespugli e alberi imbruniscono, in un verde gelido e cupo, esaltando il profilo contro il tessuto del cielo, di limpidissimo cilestrino. La lunga cresta d'un altura è merlata da ordinati filari di cipressi.
Si potrebbe contemplarle per ore queste sagome, nitide e tranquille; il mistero da loro effuso tocca corde remote, s'allarga, contrasta il caos, dona la forza dell'illusione.
 

BRUXELLES. Il Belgio vieta le messe a Natale. Sorpresi? Joseph Conrad aveva visto lungo in Cuore di tenebra, questo agile breviario del nostro futuro, definendo Bruxelles un sepolcro imbiancato. “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e d’ogni marciume”, ebbe già a dire l’altro Rompitasche.

CHE GUEVARA. Il suo ruolo di ideologo e guerrigliero cedette ben presto il passo a quello di testimonial. Oggi è soprattutto noto per questo. Se reco una maglietta con Guevara testimonio la mia attitudine alla guerriglia antimperialista, pur rimanendo sul divano con le Nike. E va bene. Ma una cosa non avrebbero mai potuto prevedere gli antimperialisti: che gli imperialisti divenissero guevariani. Tanto che, oggi, gli attempati antimperialisti di ieri rimangono spiazzati di fronte a figli e nipoti e pronipoti che non rilevano contraddizione (storica, economica, sociale) nell'associare nababbi e privilegiati al vecchio e ormai putrefatto Che. Kamala Harris e il Che, Gates e il Che, Maradona e il Che ... gli unici a rimanere scettici a fronte della sinistrizzazione del patriziato mondiale sono i sottoproletari metropolitani ... la parte apolitica del mondo: muratori di Trastevere, laotiani, cambogiani, pigmei napoletani, accattoni del Colosseo. Coloro che, dagli antimperialisti alle vongole, erano disprezzati quali lumpenproletariat (a meno che non si prestassero all’internazionalizzazione della rivoluzione sempre lì lì per esplodere: vietcong, indiani cicorioni, katanga e via sghignazzando). A tali rivoluzionari del Terzo Mondo, che in realtà aspiravano a mangiarsi le tartine dell’antimperialista italiano, o a scivolare nelle mutande di qualche guerrigliera dei Parioli, Ricky Gianco dedicò, di striscio, alcuni versi nel suo Compagno sì.

30 novembre 2020

Drowning by numbers (Il Fu Rabal)


 Il Fu Rabal


1.
Appollaiati
su curve che sempre volgono a farsi iperbole,
come pulci festanti baluginano i numeri
negli schermi iridescenti del tramonto pixelelico.

2.
Numeri primi, numeri sovrani, numeri frazionari, nascosti negli anfratti, acquattati negli algoritmi, saltimbanchi burloni, cha appaiono e scompaiono, si sommano e si sottraggono, numeri integrali o ammortizzati da interessi compositi e indici d’incidenza … perché ci vuole pazienza a non perdere la speranza.

Numeri che traboccano, numeri casuali, numeri di casi, numeri irrazionali o peggio immaginari, numeri sonori, statistici o melodici, numeri indecenti o preoccupanti, numeri ufficiali, numeri verificati, li abbiamo contati tutti, a volte anche più di tutti …
perché’ li si deve rispettare anche se sono brutti.

Numeri votati, numeri vuoti, numeri positivi, numeri d’eccezione, numeri d’elezione, numeri assenti, numeri postali, numeri annacquati, numeri lievitati, numeri solidi che trotterellano nella corrente, i numeri che conti, ogni numero conta, numeri scartati e numeri solidali …
Perché nel mondo dei numeri non si è mai soli.

Così dolcemente annegando ci si annota, con un involontario moto della mente, che l’universo può essere racchiuso in un numeretto, tutti gli atomi del cosmo contabilizzati con un dieci elevato a unapotenza, ogni creatura scomposta e ricomposta nei suoi valori essenziali.
Perché stupirsi che le nostre vite vengano codificate in banche dati di alternanti “uno” e “zero”, il numero di Dio e quello del Nulla? Perché’ stupirsi che la marea dei numeri che sembra travolgerci venga abbracciata da questa meta-umanità con copioso entusiasmo al numeratore e flebilissima renitenza al denominatore? I numeri ci salvano, ci viene detto, la perfetta contabilizzazione dei moti dell’animo e delle sue radici quadrate, è preludio alla perfetta definizione della vita e ad una più alta considerazione della decomposizione.

Intermezzo

Ci si adagia su cumuli di sciocchezze, che piovono a desta e a manca, su menzogne cosi trite che ne resta solo lo scheletro da imbellire con rutilanti improvvisazioni, nulla resta della logica e del senso, dacché ogni discorso è confluito nel dolce declivio dell’idiozia.

18 novembre 2020

I nostri carnefici

Unreal City, 18 novembre 2020

Io non ho nulla di cui dire: è mio
lontani e morti sono i miei cari
più nessuna voce
il mio compito sulla terra è finito
oscuramente
solo
vago per la mia patria che mi sta come sepolta intorno
ma tu risplendi ancora .. sole! .. del cielo!

Friedrich Hölderlin


Non ho nulla da aggiungere alla frase dell’11 marzo: “Il coronavirus serve a modellare la società del futuro. Meglio: è un esperimento sociale che inizia a modellare, definitivamente, la società del futuro”.

L'epoca che stiamo vivendo non merita commento. L'esistenza e la stessa intelligenza dei fenomeni viene frantumata in minuscole e irrilevanti questioncelle. Il Potere inventa alcuni nomi (Gimbe, lockdown) e una manciata di burattini: si passa il tempo, si spreca quel poco di razionalità residua per contrastarli, discriminarli, dissezionarli ... il risultato, vano, è sotto gli occhi di tutti.

Ciò che sta più a cuore al Potere è il chiacchiericcio insulso. Per questo viene saturato l'etere di formidabili provocazioni e sesquipedali scemenze: la malia di tali esche cattura subito l'attenzione, per l'illogica enormità ivi posta, e induce a scannarsi per ore e giorni, sfinendosi, a ricercare quell'appunto, quel link, quella versione della favola, quel ricordo.

Le elezioni americane? Sono false da quel dì, esattamente come in Italia, ma si deve passare il tempo libero a elaborare tabulati, a scremare dichiarazioni, a tarare opinioni, in una ridda scomposta in cui ognuno accusa l'altro, o trae a sé stesso l'alleato più improbabile a seconda delle convenienze meschine del momento. Alla fine il nucleo incandescente dell'inganno (la democrazia elettiva quale falsa auctorictas popolare su decisioni già precedentemente ratificate sine populo) rimane fuori da ogni considerazione.

Lo stesso dicasi per la geopolitica, questo Risiko che mai ha spiegato qualcosa.

03 novembre 2020

Italia sacra


Unreal City, 3 novembre 2020

Non ho più voglia di fare alcunché.
È bastata un'influenza stagionale per distruggere i monconi di ciò che sopravviveva.
L'Italia è finita.

Come trovare stimoli?
Italia. Significa ancora qualcosa per voi?
Italia. Fate risuonare le sei lettere quando siete soli. Sillabate. A mezza bocca. Sussurrate. Lentamente, nel silenzio atterrito dell'Italia, ripetete questo nome sin a perderne i contorni più crassi e auscultarne il primevo tintinnio.
Italia.
Ancora.
Italia.
L'Italia non è certo un toponimo, nemmeno un paese; tutto fuorché una nazione.
L'Italia regge l'Occidente, quindi il mondo intero.
L'Italia è un katechon essa stessa, l'ultimo, assieme alla Russia, la terza Roma, a Bisanzio, la seconda Roma, e a Tehran, perno attorno a cui ruota la Mesopotamia e il principio della storia.

Italia. Dicono che l'Italia è bella. L'Italia è bella!, cicalano i patrioti un tanto al chilo. Sbagliando, ovviamente, perché sono dei cretini senza rimedio.
L'Italia è bella perché l'hanno resa tale.
Ci si stupisce della candida bellezza di basiliche, templi, iscrizioni; ci si sofferma estasiati davanti a panorami - definitivi - di quattrocentesca malia. Ruscelli, declivi, colli, sentieri, filari, cipressi, muriccioli, grotte, dirupi. Cos'è tale nervatura d'un corpo immane se non il prodotto dell'amore di chi ha qui vissuto? Credete davvero che le dolci curve che avvolgono a spirale il colle fortificato d'una città medioevale abbiano quel percorso o stiano lì per decisione di un architetto comunale?

L'Italia fu modellata nei millenni. Persino un macigno anonimo appartiene al piano della bellezza elaborato da alcuni uomini, gli antiqui huomini. Abbattere sin un muricciolo è davvero un sacrilegio poiché esso venne costruito avendo in mente un piano sacro. Confini, pomerii, fondamenta, orientamenti, coltivazioni, tutto obbediva alle leggi che governano l'universo, in ossequio alla totalità, a ciò che sta.
Ecco perché l'Italia è bella.
È bastato consegnarla nelle mani della democrazia elettiva per deturparla orrendamente. Lastricati di tremila anni su cui decide un geometra di paese ... Regolarmente eletto, quindi, secondo il marcio sentimento di egalitè e libertè, sacro.
E invece no. La democrazia è sacra solo in un mondo dissacrato, in un mondo al contrario. La democrazia elettiva è un gioco di parole, sciocco, con cui vi hanno convinto che la libertà e la giustizia sono state concepite, di tutto punto, come Minerva armata dal cranio di Zeus, negli ultimi secoli.

Vi dono l'unica etica possibile per il Ventunesimo Secolo.
Diventate dei katechon, voi stessi.
Ricordate il finale di Fahrenheit 451? Gli uomini divengono libri. La metafora di Bradbury è stata subito interpretata in tal modo: leggete! Oppure: la dittatura conculca la letturatura, la conoscenza, la scienza. Questo è un inno alla libertà e alla cultura! La minestra la riscaldano sempre al fuoco lento della superficialità: si può essere più stupidi di così?

Ecco, invece, la morale del romanzo, che si erge  - ineluttabile e profetica - di fronte a noi, che lo abbia voluto l'autore o meno. Questa: divenire qualcosa di ordinato, di strutturato, di sensato (un libro a esempio) significa opporsi alla dissoluzione. Ecco l'etica. Cosa rappresentano Cime tempestose di Emily Bronte, le Rime di Guido Guinizzelli, i libri euclidei o l'Imitatio Christi se non uno sforzo, titanico, da parte di individui sacri (poeti santi sapienti) di fermare l'inevitabile entropia che dilaga a dissolvere, distruggere, schiantare il senso, umiliare la forma?