Roma, 1 ottobre 2018
La lettura non mi è mai piaciuta. Leggere per leggere: lo trovo un esercizio grossolano. Leggere per conoscere: ecco, questa è una pratica spirituale che mi ha sempre accompagnato nella vita. Scandalosa, certo, tanto che molti ex conoscenti, che avevano contezza della vastità della mia biblioteca personale, non si capacitavano: “Ma come, non ti piace leggere? E tutti quei libri cosa li hai a fare?”. Gli rispondevo: “Per leggerli, ovviamente”. E quelli non capivano. I libri sono cose preziose poiché contengono preziose verità. E spesso la verità si occulta in piccoli paragrafi di tomi sterminati (I miserabili di Victor Hugo, a esempio, li ricordo solo per le due pagine su Pierre Cambronne). A volte la verità coincide con l’opera stessa: è il caso delle memorie di Marco Aurelio; altre è contenuta nella bella menzogna oppure ci brucia retrospettivamente, a libro letto e, quindi, morto.
Quando lessi I proscritti di Ernst von Solomon, in anni verdi e privi del sale della sapienza, lo compresi a metà: operina revanscista, filonazista, generata dallo schianto della Prima Guerra, col Kaiser in fuga; riposi il libro, nella scaffalatura più alta; intanto la vita, spietata, avanzava, un giorno dopo l’altro, arricchita da esperienze e illusioni nuove, depauperata da disillusioni spaventose: ed ecco che quelle righe, improvvisamente, ritornarono alla mente, senza neppure sapere perché; apparentemente neglette, ma ora rinverdite da una imprevista e sconvolgente resipiscenza.