Il Poliscriba
Nell'intero gelso onirico
a corto d'estate è il pozzo
… vecchio vuoto d'acqua
la pergola indora d'ambra i guanti fiori
e nei fianchi delle robinie e dell'acacia
nel furore invetrato dei rumori
sgrana mela l'apribocca
sepalo bruciato d'una cosa in te
… tra rose, rosa
(quando il Poliscriba si dilettava in poesie bucoliche)
Devo
ricordarmi di pomeriggi in fuga dalla città impazzita, prima che fosse il
mercato delle vigne a mutare il paesaggio vitivinicolo delle Langhe, a maturare
per marcire d’egoismo agroindustriale le colline, i rabbocchi terreni pennellati
di stracci verdi, non ancora coltivati intensamente dopo l’omicidio dei boschi
profetizzato dal Cassola.
Si
sorseggiava allegramente e gli occhibuchi mi guardavano come fossi un bambino,
io ch’ero un giovane bipede inesperto, contento di essere accolto tra bevitori
incalliti di rossi genuini, non strutturati, lasciati macerare nei loro roveri,
talmente a buon prezzo che, il presente etichettato DOCG, sembra un cattivo
plagio, un logoro rubino presagio di morte dell’amicizia consumata, noia dopo noia,
con accompagnamento di ricordi di vite strappate alla morte.
Le
mani aggrinzite, rapaci sui vetri ricurvi, sporchi di depositi viola; sugheri
sui tavolini e intonazione di canti montanari.
In
quali uteri nuotavamo, noi, generazione X, quando quegli esseri sdruciti di
fuoco e vento sminavano i passaggi tra le valli, lottavano per la pace
portandosi a spalle i cadaveri?