17 aprile 2021

Avidə di violenza

"Vile, tu uccidi un uomo corto!", da Alvaro piuttosto corsaro, con Renato Rascel

Unreal City, 17 aprile 2021

Il compagno Silvano Agosti non dovrà più vendere il proprio storico cineclub "Azzurro Scipioni". Numerosi e insospettabili mecenati si son mossi in suo aiuto locupletandolo d’alcuni provvidenziali malloppi. Si parla di due multinazionali bancarie, addirittura, che, rovistando nei cassetti, hanno inavvertitamente rinvenuto alcuni sacchetti di sesterzi. La Sindaca di Roma e alcuni personaggi della galassia PolCor (li si riconosce poiché fan finta di scannarsi l’un l’altrə per poi sbaciucchiarsi vicendevolmente quando c’è una causa vicina al cuore) hanno officiato e favorito il rito della consustanziazione fra pugno chiuso e sonanti chèques. L'ex sventurato, Agosti Silvano, sorpreso - sino a poche settimane fa - a svendere le poltroncine del cinemino, quelle poltrone che sostennero nei decenni migliaia di deretani cinefili, e le loro silenti flatulenze in approvazione a Fassbinder e Bergman, risponde. E come risponde? Evidentemente con un sì. Colui che, con tono svagato, dietro l’occhialame settantino, ebbe a declamare il bleso verbo antifascista e antimperialista per appena mezzo secolo, dice sì.

Dracula, in forma di pipistrello, svolacchia al di là delle portafinestre della camera da letto. I colpi d’ala al vetro, quasi inudibili, ma insistiti, compongono una nenia precisa di richiamo. Fra le coltri Lucy si agita; in suo potere vi è ancora la parola: "No!" che potrebbe render tutto solo un incubo d'angoscia. E però una corrente lubrica le frizza nel ventre, il cuore si sdoppia; e lei risponde. E cosa risponde? Sì. E il vampiro ha libero accesso, al corpo e all'anima.

Riuscirò mai a far capire cos'è un “No”?
Lo ammetto, sono demoralizzato.
Un “No” è un “No”. C'è da ponderare tale complessa affermazione.
Il primo metafisico occidentale, del pari, ci donò un problema altrettanto gravido d’infinite conseguenze logiche: "L'Essere è, il Non Essere non è".

Sono problemi seminali.

Dal primo “No”, quello mancato da Lucy, scaturisce l'etica, dal secondo la conoscenza.
No!”. Ma chi è in grado, oggi, epoca delle puttane, di tenervi fede?
Una pur maldestra introspezione di noi stessi rivela l'orribile verità: i nostri “No”, che rimangono privi di conseguenze pratiche, sono a tutti gli effetti dei “” a piena gola.
Per tacere dei “” veri e propri, talvolta lanciati persino con uno stentoreo do di petto.
Ciò che si è sempre reputato un “No” è, invece, una moda. Come le zampe d'elefante, le ghette e i tacchi di sughero. O le magliette del Che Guevara, i busti di Benito, la kefiah.
Indossare il dissenso ha permesso alle nostre generazioni un'esistenza tutto sommato accettabile. Ci si agita, appunto, senza conseguenze. Pezzi di carta, manifesti, appelli, intimidazioni: poi la sera tutti a pizza e Coca Cola. Non si rischia nulla, è solo un pavoneggiamento. Vivere come un rifugiato, giorno dopo giorno, a dispetto di chi ti circonda è un portamento nobile, ma ristretto a pochi eletti, peraltro profondamente disprezzati o derisi dalle mandrie circostanti. Rifiutare un concorso, esistere in ossequio alla legge, nel pieno rispetto della legge, rifiutare una scappatoia, donare il proprio talento per nulla in cambio: tutto questo reca a un’emarginazione manicomiale in un mondo di “Sì”; o di negazionisti alla moda.

I “No” declinati su facebook e twitter assommano a zero. È la vita a dover testimoniare il “No”.   

Si è recitato il “No”, sempre e comunque, salvo vivere nel “”. Si è ceduto un poco alla volta, sino allo spettacolo dell’oggi in cui un Mondo Nuovo, completamente inumano, ci serra da presso. E tutti a chiedersi: come è stato possibile?
Alla fine il “No”, ridotto a minuetto di cani ammaestrati, lo si declamò solo in alcune occasioni simboliche (manifestazioni, scioperi et cetera), buone per le comparsate attoriali; fra queste la più importante, tanto da rendersi somma esperienza, fu sempre la “X”, gonfia di trepidante attesa rivoluzionaria, apposta su alcuni fogli elettorali dispensati dal Ministero dell'Interno: un trionfo totale del “” a questo secolo ...

Accompagno una giovane disoccupata (37 anni!) verso il quartiere Monteverde. Il colloquio per un lavoricchio qualunque; la mia auto sostituisce la sua, svenduta causa affitto. Graziosa, quasi bella, capelli fulvi, occhi chiari, trasognati per lo sconcerto; e il sentore, pauroso e da tacitare a qualsiasi costo, che il futuro sia già passato. All'altezza di via delle Fornaci, lungo l'Aurelia Antica, la sede diplomatica russa nella villa Abamelek è presidiata da una poveretta in forza all'Esercito Italiano: mitraglietta d'assalto in tensione obliqua, basco e anfibi e mascherina, le mani arrossite da un maestrale gelido, inusitato in una primavera romana di quieta apocalissi. La soldatessa e la disoccupata sono la postrema ruggine del progresso che ci abbagliò con luminarie e goffe cineserie al neon; specchietti per aborigeni, in realtà, a riflettere le morenti luci dell'avvenire. Guai, però, al disinganno! La disoccupata e la soldatessa preferiranno sempre l'imbonitore alle cassandre poiché una lenta morte è più dolce del risveglio: quanto dolore, infatti, è nel risveglio! Nessuno ammetterà lo sbaglio, mai! Le due, nuove nemiche di classe, ma sorelle nel dire “Sì!” alle fanfaluche della Monarchia Universale, non incrociano nemmeno un'occhiata; nessuna delle due sa o saprà chi è l'altra o cosa ne sarà dell’altra. Il Nuovo Mondo egalitario si è inverato, con le proprie magnifiche opportunità sulla parità di genere e il lavoro fluido. Mentre supero l’incrocio di Villa Pamphilj, proprio davanti al Vascello, sede del Grande Oriente d’Italia, rimugino sui costi e sui benefici del Brave New World.

Walter Veltroni, pensatorə rarə, poiché in grado di scegliere sistematicamente a sfavore dell’Italia, scrive nel suo Odiare l’odio (2020): “[L’odio] è una forma di eccezionale presunzione, che fa sì che noi, il nostro modo di pensare, il colore della nostra pelle, la nostra cultura o la nostra religione siano considerati l’unica forma legittima di esistenza. Non accettiamo di essere parte. Incoscienti e presuntuosi, pensiamo di essere il tutto”.
Caro Walter: è proprio così! Noi siamo il tutto! Dobbiamo agire come il tutto! Per questo siamo sopravvissuti alle tempeste dei millenni! Il tutto esclude, certo … eppure conserva. L’odio conserva, la violenza e la sopraffazione fanno di noi qualcosa. E solo a tal prezzo, ricordalo, è consentita l’autentica tolleranza. L’amore ancestrale per sé stessi si scioglie in quello della comunità del sangue, quindi nella Patria. La Patria, intesa come Patria del sangue e dell’esclusione, genera uomini degni di essere chiamati tali. Tali entità hanno la forza di amare e di ripescare in sé stessi la nobiltà dell’azione: solo il Caso, però, potrebbe ridonarceli mercé una imprevista mutazione indotta dalla psicologia del profondo.

Odiare l’odio = il loro odio è lecito, quello degli altri no. Loro accettano di essere parte, ma agiscono con fare totalitario, come tutto. Gli altri, che vorrebbero agire come tutto, in ossequio al loro status di cittadini, devonsi, invece, ritirare nelle riserve indiane. Veltroni non avverte la contraddzione, certo. Le sue letture più ardite son quelle di Hemingway; e sto largo.

Progresso: l’amor di sé diviene senso della tribù, indi della comunità, del popolo, della Patria. Regresso PolCor: si dismette la Patria, quindi il popolo (ah, il populismo!) poi la comunità (il cosmopolitismo? A noi!) per finire con la tribù. Rimane l’individuo, solo, inerme, sempre più piccolo. Autismo, narcisismo, autoreferenzialità, arroganza da tecnici. Suicidio.

Il movimento trap è solo la collezione di alcuni disadattati urbani. Occorre indagarne però il rilievo sociale: forse qui è in azione uno degli ultimi baluardi a difesa della socialità. La tribù, i bonghi, il tam tam, il tatuaggio, la rudimentale rima baciata, il senso del possesso. Ansia trogloditica di normalità.

Un tratto patetico dei controinformatori web sono le analisi del Brave New World in cui si scomodano dalla naftalina fascismo, comunismo, nazismo; il maoismo, lo stalinismo, Pol Pot. Analisi completamente fuori bersaglio. Si ignora l’essenziale: il Nuovo Mondo come Nulla, non come Male. Il Male e il Bene sono un pieno, il nichilismo che ci attende un vuoto. E perché questi investigatori frugano nelle cassapanche tarmate del secolo scorso? Perché fascismo, comunismo et cetera si basavano sulla violenza ed erano quindi movimenti vivi, in grado di riattivare intelligenze e sentimenti. La nostalgia per la violenza, per il senso della vita dato dalla violenza, dallo scontro, dalla forza che dona il credersi parte d’una verità indiscussa … li capisco, in fondo, povere anime perdute.

L’odio fra Cristianesimo e Islam, che non cedettero mai terreno l’uno all’altro, generò alcune forme sublimi di rispetto e una letteratura d’eccezionale valore. Un codice d’onore fu distillato nei secoli. Solo nel 1990, appena dopo la dichiarazione della fine della Storia, tale codice venne infranto, in punta di yankee. In poco più di trent’anni siamo arrivati a questo.

Avidə di violenza, ognuno di voi.
Chiunque brama lo scontro, il duello, la sfida.
Il sangue dell'avversario.
La violenza, intesa come insanabile e irriducibile stare di fronte all'altro, è fonte suprema di definizione e, quindi, dispensatrice prima della civiltà. Sapienza, Arte, Spirito promanano dalla violenza, debitamente divisata. Le maschere di tale Occulto Principio si inseguono per i corridoi infiniti della Storia. Quando cessa la violenza cessa la storia. Ottant'anni di pace coatta hanno congelato la Storia, per questo alcuni citrulli parlano di fine dei tempi. Ma questa è pura entropia, non pace. La pace segue la guerra e prepara a una nuova guerra. Questa è palude, imputridimento.
La fine dell'arte si tocca con mano. Come si può essere creativi senza violenza? Chi potremo mai cantare? A chi l'inchino? Quale deferenza o ingiustizia ci sommuove? Perché una melodia o un trastullo sulla lira infiammi serve la violenza. Perché un affresco ci parli serve la violenza. Perché un’arcata o una colonna abbia quel senso profondo serve la violenza. Affermare ciò che si è equivale a negare ciò che non si vorrà mai essere: solo sul filo della spada ciò è possibile. Ma oggi chi rischia più di gridare un “No”? La stasi, il quietismo, la rinuncia, equivocati come progresso, prosciugano l'anima. Può ben dire Eliot a proposito degli uomini vuoti:

Le nostre voci secche, quando noi
insieme mormoriamo
sono quiete e senza senso
come vento nell’erba rinsecchita
o come zampe di topo sopra vetri infranti
nella nostra arida cantina

Il santo dice “No”, rovescia i banchi nel tempio, chi crede dice “No”, la fede lo urla: “No”.

Siamo capaci di comprendere che il mondo vivido e corrusco del passato si compone di “No”? È quanto costarono questi “No”!

Osservo le sbracate e rarissime falangi del dissenso ai decreti governativi. Vociare scomposto, scene isteriche; il solito drogato arruffapopoli che blatera sguaiataggini da inesistenti trincee, i militi di Casapound che arrivano a timbrare il cartellino. Nessuno, a parte reclamare gli spicci, ha qualcosa da dire. Il pensiero, inteso come parte fondativa di un’azione di lungo corso, latita. L’animatore di tale Armata Brancaleone, peraltro, rivela già tutto nell’aspetto. Una ventina di gendarmi annoiati riducono la sommossa a più miti consigli; si spara qualche mortaretto; i media di regime ingigantiscono la baruffa.

Il conformismo di sinistra è, forse, la resa più vergognosa al Potere che abbia mai registrato. Figli e nipoti di queste mannequin della rivoluzione sono ancora peggiori: inscenano i più ridicoli atti unici antimperialisti per poi farsi comprare dalla sponsorizzazione di qualche multinazionale. E così abbiamo murales di protesta pagati da banche e case farmaceutiche. Gli artisti ribelli si mettono in posa avanti la loro opericciola contro il razzismo (di cui a nessuno fregherà mai nulla) intabarrati come il Subcomandante Marcos o Yasser Arafat; nelle tasche, a ben rovistare, tintinnano i dividendi di Giuda.

Goffredo Mameli (1827-1849), uno dei più illustri sconosciuti del Risorgimento. Famigerato per le parole dell’inno d’Italia, una poesiola turgida e pugnace, ricca di riferimenti oggi di ardua decifrazione che i cosiddetti Presidenti della Repubblica si premurano anzitutto di non farvi conoscere … Cosacchi, Polacchi, Austriaci popolano tali rime sanguinose, edulcorate per l’occasione (leggi: le sempre più pallide partite della Nazionale Italiana di calcio). Il Canto degli Italiani è davvero uno scrigno di perle inaspettate; oltre alle allusioni classiche (Scipione) vi son quelle tardo-medioevali (i Vespri) e rinascimentali: il Francesco Ferrucci, a esempio, scapitozzato, in una famigerata scena, dal quel gran porco di Fabrizio Maramaldo … conoscete questa parte? Il capitano repubblicano Ferrucci, catturato dal mediceo Maramaldo e posto a morte. Gran finale corredato dalle ultime parole famose del Ferrucci: “Vile, tu uccidi un uomo morto!”, in seguito debitamente trasmutate da Renato Rascel in “Vile, tu uccidi un uomo corto!” (oso pensare che fra il pubblico popolare dell’avanspettacolo romano alcuni avran colto la citazione beffarda). Si tratta, insomma, di un inno in cui si ama l’odio, che spinge all’azione, fiero e spietato al di là della facilità del verso. Qui i bimbi d'Italia “si chiaman Balilla” e occorre randellare lo straniero, “stretti a coorte”, chiunque sia questo straniero … comprenderete perché non ve la fanno leggere tutta … Ebbene, questo tizio, Mameli Goffredo, di cui non vi faranno mai capire un tubo, fu un soldato; e odiava: figlio di soldati, ventunenne, acceso di passione gagliarde quanto inesprimibili negli attuali linguaggi castrati … valoroso a Palestrina, ben più valoroso in quel di Monteverde, nel 1849, giorni della Repubblica Romana a fianco di Garibaldi; ferito durante l’assedio francese, pressappoco all’altezza del luogo in cui la predetta disoccupata incrociò la soldatessa paonazza col suo fucilino che mai un colpo sparerà … Mameli, ferito a una gamba durante lanciati dalle mura papaline, Mameli recato in un capanno a Villa Sciarra, quindi a Trastevere all'Ospedale di Santa Trinità de' Pellegrini … la cancrena, l’amputazione, l’agonia, un mese a vegetare febbricitante tra i petardi rivoluzionari poi esaltati in romanesco da Cesare Pascarella ... Mameli, lucido di sudore, fra bendaggi lerci e il fetore delle piaghe … quindi, recline il capo, la morte … Mameli, il dileggiato Mameli, che odiava, e sceglieva ed escludeva … mica era un cittadino del mondo … poca immaginazione per Goffredo. Chissà quale Italia aveva in mente questo massone di vent’anni, caduto fra i glicini e il sambuco, a pochi passi della futura abitazione dei fratelli Bertolucci e di Pasolini Pier Paolo che, crepi l’avarizia!, gli dedicò pure una mezza poesiola … L’odio in lui era potente … altrimenti, senza odio, come avrebbe potuto amare l’Italia?

Anche Dante Alighieri odiava. Sferzante con tutti, cavaliere a Campaldino. In lui “Ahi, serva Italia …” assume un valore inusitato per i castroni nostri cui bastano due talleri per vendersi. Vita e proclama in Dante coincidono, sin alle conseguenze estreme: l’esilio, la clandestinità.

La povertà, la depressione dello stile contraddistinguono l'uomo che cede, l'homunculus del “”. Ogni cosa che promana da tale aborto è brutta: sterile, informe, grottesca; o di linearità meschina. L'omarino, infatti, non ha che due vie: o parodiare o cercare di creare qualcosa ex novo. Nel primo caso egli deforma il bello illudendosi che ciò che si distrugge possa magicamente trasfondere parte dell'antica nobiltà nell'opera che dissacra; nel secondo, apparentemente quello più naturale, la creazione lo trova impotente: “creare”, per tale subumano, diviene una scalata talmente impervia da farlo desistere.
La creazione, infatti, si nutre di violenza.
Lo scacco dell'artista postmoderno, cresciuto nella bambagia pacifista, perciò, si riduce a questo: o smerda il passato o gioca con le proprie feci. Messo di fronte a tale scelta, che lo blocca nella sterilità, egli si rifugia vigliaccamente nell’unico pertugio da ratto concessogli per simulare d’esserlo, un artista: la falsa etica della correttezza. A concedersi al PolCor di regime, gli sgorbi rimarranno sgorbi, ma come illuminati dalla fede antirazzista, antisciovinista, antiomofobica: la bellezza, o meglio: l’apprezzamento estetico, sono fraudolentemente  sostituiti dall'adesione sfacciata alla dittatura imperante … pur sempre generatrice di vanità ... vanità d’artista … A una nullità d‘oggi, debitamente ricompresa nel circolo magico della servitù all’Unico Dio, basta saldare tre pezzi di metallo alti due metri e recargli un titolo evocativo (“La via della libertà”) per vedersi aprire le porte della sovvenzione statale. Nastri, gagliardetti e orgasmi clitoridei seguiranno.

Il Potere martella su di un unico chiodo: l’odio … Ma è proprio l’odio il distintivo dell’uomo completo, ciò che racchiude il tesoro che permette di disprezzare o amare eternamente. Chi non odia è, inevitabilmente, vuoto … lo si può riempire di qualsiasi imbottitura, a piacere … Smettete di odiare, vogliate la pace, siamo fratelli … la manfrina, accompagnata dai soliti riff di lacrimoso pianoforte, a tratti suadente, altre arrogante e imperativo, fa il suo giro, ancora e ancora, come un giradischi fuori controllo. Se si è qualcosa, si deve, al prezzo di essere quel qualcosa, escludere. Chi è tutto finisce per essere niente; s’illude d’essere l’attore dei propri sentimenti, agito, nell’esistenza strasciata d’ogni giorno, di brevi pulsioni indotte.

Abbiamo smesso di considerarci Italiani tanto da non riconoscere l’Italia e guardare ai nostri tratti più peculiari e caratteristici con un moto d’orrore. L’operazione fu gigantesca e sorprendente; tanto da farci dubitare: da quanto tempo eravamo già marci senza accorgercene? Un Italiano del secolo scorso sapeva riconoscere, in quanto Italiano, i propri nemici, a pelle … una tradizione di sangue e sudore suggeriva l’alterità, con fare immediato. Da quando si è divenuti cosmopoliti e cittadini del mondo possono farci bere qualsiasi antagonista, a comando: il polacco, l’albanese, il negro, l’arabo, il turco, il russo, l’iracheno … per tacere del fascista, del comunista, del cripto nazista e di tutta la paccottiglia vomitata dalla totalità dei media.

L’istinto è stato ricoperto da una patina di subcultura corretta che blocca all’origine la verità. Gli scettici più avvertiti li si trova oramai tra i semianalfabeti delle cinture popolari; fra gli zingari o gli immigrati slavi e illirici.

Essere qualcosa: ecco il dilemma … Se si fosse qualcosa, un’entità che obbedisce a un sistema di norme pazientemente scolpite nel marmo … allora si sarebbe davvero liberi.

Il vendicativo Guido Cavalcanti, oppure Mikhail Kohlhaas che mette a ferro e fuoco una regione solo per l’ingiustizia sottesa all’affronto d’un signorotto. Il puntiglio di Kohlhaas ingigantisce, sin a mettere a repentaglio la famiglia, la vita. L’affronto? Due cavalli. Un futile motivo? Forse l’unico.

Ancor di più mi piace Gabriel Feraud de I duellanti di Conrad. Qui la causa dell’odio è ancor più futile. Assieme a Kurtz potrei lamentare: con una sola divisione di Feraud i nostri problemi in Italia si risolverebbero assai facilmente.
Sin dal principio del romanzo si avverte una disparità antropologica tra il nostro eroe, d’estrazione popolare, e il suo antagonista, il nobile D’Hubert: “I due ufficiali si chiamavano Feraud e D'Hubert ed erano entrambi tenenti degli ussari, ma non nello stesso reggimento. Feraud comandava la truppa, il tenente D'Hubert aveva invece la buona sorte di essere addetto alla persona del generale in capo alla divisione, come officier d'ordonnance”.
Feraud sa di essere qualcosa e ciò che rimane estraneo al proprio cerchio di luce è “altro”. Egli è uomo del “No”. D’Hubert, invece, pur magnanimo, è uomo del “Sì”, indifferentemente fedele a Napoleone e alla controrivoluzione. Le due personalità rimangono coavvinte per tutte le cento mirabili pagine in un’alternanza di duelli di cui Feraud è motore, avvertendo l’ambiguità dell’uomo del “Sì” e l’intimo tradimento alla causa. Finché D’Hubert che, segretamente, paga una pensione all’avversario, e, sempre di nascosto, impetra per lui misericordia presso il regime post-napoleonico, finisce per avere la meglio sul rivale, in una sfida incruenta. D’Hubert, appagato, un ricco matrimonio alle spalle, si piega ancora una volta sull’antico avversario e tenta una riconciliazione. Ma alla lettera di lui, il bestiale Feraud risponde:

Se avessi chiamato il tuo bambino Napoleone, o Giuseppe, o magari Gioacchino, mi sarei congratulato più di cuore per il lieto evento. Visto però che hai ritenuto opportuno chiamarlo Charles Henri Armand, resto della convinzione che non hai mai amato l'Imperatore. Il pensiero di quel sublime eroe incatenato a una roccia in mezzo a un oceano selvaggio mi rende la vita così indifferente che con vera gioia riceverei il tuo ordine di bruciarmi le cervella.
Il suicidio ritengo mi sia precluso dall'onore.
Comunque tengo una pistola carica nel cassetto
”.

Possiamo toccare con mano come l’Illuminismo, di cui Napoleone, Mameli e Feraud sono il braccio militare, abbia vinto: grazie a un’irrinunciabile utopia. Del pari solo l’utopia forgia questo tipo d'uomini, solo l’Ideale che si genera un Nemico può guidare la controffensiva.

22 commenti :

  1. Veltroni. Eh, ma lui e i suoi compari ben conoscono l’odio, tanto che l’espressione «bava alla bocca» è ormai stabilmente associata allo sfigato “de sinistra” nel regolare esercizio delle sue funzioni (denunciare l’incipiente apocatastasi del fascio littorio, s’intende).
    Essi tuttavia non odiano gli altri né, tampoco, odiano l’odio, come vorrebbe il povero Uòlter. Chi odiano, allora? Semplice: odiano se stessi. Si odiano di un odio diuturno, divorante, senza requie, immune da ogni contingenza e perciò inalterabile, misericordioso ed esatto. Il disprezzo che nutrono per la propria condizione è tale che, se avessero un briciolo di palle, si sopprimerebbero seduta stante. Versando invece nello stato di desolante anorchidia nel quale versano, trovano assai più pratico e confortevole esteriorizzare quest’odio nel prossimo loro («odia il prossimo tuo come te stesso», recita il Vangelo del sinistrato) e odiarsi comodamente in lui. Voilà. La pellaccia è salva. Sarà il simile et finitimo a farsi carico delle altrui miserie. Il prossimo, cioè il vicino di casa, il concittadino... Insomma: l’italiano in quanto tale. Non importa cosa fate, non importa cosa dite. Il sinistrato non agisce mai nel mondo reale. Nello psicodramma da quattro soldi a cui è ridotta la sua grama esistenza, voi siete lui, ergo vi odia. Vi odia comunque.
    E, a bilanciare l’inflessibile autoreferenzialità dell’odio, ecco sbocciare l’ammore – enfatico, affettato, farlocco fino al grottesco – per l’Altro più Altro che c’è, per il diversissimo, per il remotissimo, per l’allotrio così allotrio da essergli invero del tutto indifferente: beduini, lapponi, lapidatori afghani o cannibali della Nuova Caledonia... Provate a schiaffargliene qualcuno dentro casa e vedrete quanto regge il velo di Maya. Però, finché se li sciroppano i banausoi delle periferie, la farsa può continuare.

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    1. Come non essere d'accordo?
      Fu un lungo processo di alienazione (poco marxista) che li condusse in tale stato di onirica sospensione. Si fanno schifo da soli ergo gli facciamo schifo noi. L'amore è appunto riservato a chi non si trova sul loro cammino: Eschimesi, Ottentotti ... tanto che appena tali oggetti d'amore gli si avvicinano li vedi scappare a gambe levate (alcuni ricchi sinistrati, tempo fa, a Roma, firmarono una petizione per allontanare un campo rom).

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    2. No, non sono malati, lo fanno semplicemente per convenienza. L'obbedienza incondizionata al sistema porta i suoi dividendi. Se ieri per conformismo bisognava andare a messa tutte le domeniche, e scandalizzarsi per una parolaccia in un film o per una coppia convivente ma non sposata, oggi bisogna professare la fede nella nuova religione dell'accoglienza, del multiculturalismo, del relativismo morale. Più vistosamente lo si fa, più se ne ricaveranno vantaggi e prestigio sociale.
      E anzi, la capacità di intercettare lo zeitgeist del momento e portarlo un poco più là, è intelligenza. I fessi, i lenti di comprendonio non lo fanno e si mantengono schietti perché non capiscono come comportarsi, non hanno l'intelligenza sociale.

      Anni fa ero in Italia e cercavo un lettore mp3 in un qualche euronics (gia allora non li vendevano più da nessuna parte); a un certo punto fa il suo ingresso trionfale nel negozio una tizia coi tacchi alti e il cappotto di montone, seguita, come un cagnolino, da un negro caracollante in felpa e jeans, stazza media, piuttosto anonimo, lo si sarebbe potuto scambiare per un lavavetri all'incrocio. A sua volta seguiti da due compunte bambine meticce. Questa tizia spandeva una scia di profumo, e si rivolse ai due commessi in cassa, ragazzo e ragazza, con gesti ampi e voce scandita, parole lente ma sguardo fisso, a ravvedere alcuna infrazione. Il cagnolino gongolava gutturalmente di fronte al comparto degli stereo hi-fi. Le ragazzine seguivano la madre con sguardo attonito. I cassieri la guardavano spauriti. Io mi misi ad osservare ancora più minutamente il lettore mp3 che tenevo in mano. Feci un piccolo gesto di sfida però, alzai un sopracciglio. C'erano altri due o tre clienti, rigorosamente spalle alla cassa a rimirare le cianfrusaglie sullo scaffale di vendita a loro più vicino. Tutti lì in pratica, in soggezione, ad attendere che il disagio passasse, e a sperare di uscirne indenni.

      I sinistri sono semplicemente dei ruffiani, volontari o involontari. Tanto più alienanti sono i dettami del Potere, tanta meno gente avrà lo stomaco di adeguarvisi, tanto più chi invece non si fa scrupoli può agire da dominatore, piegare le volontà altrui, come la tizia nel mio aneddoto sopra.
      Poi c'è da considerare che tra loro sono tutti "di sinistra", quindi quello meno "di sinistra" sarà visto come "di destra", e si sentirà in obbligo di fare qualcosa ancora più "di sinistra" degli altri in modo da recuperare posizioni. Ciò dà origine ad una corsa di accaparramento verso posizioni sempre più "di sinistra" per ragioni di prestigio sociale, o solo rimanere a galla con dignità nel mondo "bene". Da qui la valanga dei diritti civili, degli accoglienti ecc che peggiora sempre di più. C'è sempre quello che deve manifestare la propria virtù andando un passo oltre la soglia del fanatismo vigente in quel dato istante.
      Il buon senso, la verità ahimé hanno pochi incentivi, anzi sono controproducenti perché si viene presi per Trumpiani.

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  2. No, non sono malati, lo fanno semplicemente per convenienza. L'obbedienza incondizionata al sistema porta i suoi dividendi. Se ieri per conformismo bisognava andare a messa tutte le domeniche, e scandalizzarsi per una parolaccia in un film o per una coppia convivente ma non sposata, oggi bisogna professare la fede nella nuova religione dell'accoglienza, del multiculturalismo, del relativismo morale. Più vistosamente lo si fa, più se ne ricaveranno vantaggi e prestigio sociale.
    E anzi, la capacità di intercettare lo zeitgeist del momento e portarlo un poco più là, è intelligenza. I fessi, i lenti di comprendonio non lo fanno e si mantengono schietti perché non capiscono come comportarsi, non hanno l'intelligenza sociale.

    Anni fa ero in Italia e cercavo un lettore mp3 in un qualche euronics (gia allora non li vendevano più da nessuna parte); a un certo punto fa il suo ingresso trionfale nel negozio una tizia coi tacchi alti e il cappotto di montone, seguita, come un cagnolino, da un negro caracollante in felpa e jeans, stazza media, piuttosto anonimo, lo si sarebbe potuto scambiare per un lavavetri all'incrocio. A sua volta seguiti da due compunte bambine meticce. Questa tizia spandeva una scia di profumo, e si rivolse ai due commessi in cassa, ragazzo e ragazza, con gesti ampi e voce scandita, parole lente ma sguardo fisso, a ravvedere alcuna infrazione. Il cagnolino gongolava gutturalmente di fronte al compato degli stereo hi-fi. Le ragazzine seguivano la madre con sguardo attonito. I cassieri la guardavano spauriti. Io mi misi ad osservare ancora più minutamente il lettore mp3 che tenevo in mano. Feci un piccolo gesto di sfida però, alzai un sopracciglio. C'erano altri due o tre clienti, rigorosamente spalle alla cassa a rimirare le cianfrusaglie sullo scaffale di vendita a loro più vicino. Tutti lì in pratica, in soggezione, ad attendere che il disagio passasse, e a sperare di uscirne indenni.

    I sinistri sono semplicemente dei ruffiani, volontari o involontari. Tanto più alienanti sono i dettami del Potere, tanta meno gente avrà lo stomaco di adeguarvisi, tanto più chi invece non si fa scrupoli può agire da dominatore, piegare le volontà altrui, come la tizia nel mio aneddoto sopra.
    Poi c'è da considerare che tra loro sono tutti "di sinistra", quindi quello meno "di sinistra" sarà visto come "di destra", e si sentirà in obbligo di fare qualcosa ancora più "di sinistra" degli altri in modo da recuperare posizioni. Ciò dà origine ad una corsa di accaparramento verso posizioni sempre più "di sinistra" per ragioni di prestigio sociale, o solo rimanere a galla con dignità nel mondo "bene". Da qui la valanga dei diritti civili, degli accoglienti ecc che peggiora sempre di più. C'è sempre quello che deve manifestare la propria virtù andando un passo oltre la soglia del fanatismo vigente in quel dato istante.
    Il buon senso, la verità ahimé hanno pochi incentivi, anzi sono controproducenti perché si viene presi per Trumpiani.

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    1. questo commento andava in coda al commento di Saint-Fond

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    2. Tu li sopravvaluti, o Barabba. Chiunque abbia avuto la disgrazia di interloquire con un sinistrato, si è reso ben presto conto che la dialettica socratica è solo un’amabile astrazione: nessuna capacità di pensiero logico, nessuna dignità intellettuale, nessuna maieutica possibile né immaginabile... No. Il muro di gomma. Un blocco compatto di slogan, grossolane giaculatorie, luoghi comuni, ragli, querele, lallazioni, goffi tentativi di ricatto, e piagnistei, accuse a vanvera, ancora ragli, ancora slogan... Gli stessi di due ore prima. Sono dei lobotomizzati, altro che intelligenza sociale! Se togli qualche mestatore, non sanno neppure dove son messi. I dividendi solidi li beccano in pochi. Per tutti gli altri, non rimane che il conforto di far parte del gregge, schivando così il disagio di doversi soffiare il naso da soli. Questo finché non li macellano, beninteso. Voglio dire: li stanno già macellando. Penserai mica che quelli che lasciano a cuocersi col covid (tachipirina e vigile attesa, mi raccomando!) o quelli ai quali spianano l’attività commerciale siano tutti di destra... E quei coglioni dello spettacolo? Quella è tutta una cricca di anorchidi de sinistra... Cantanti, comici, guitti, saltimbanchi... L’altro giorno gagnolavano in piazza coi bauli! See, see, batti il baule, che la mamma ha fatto i gnocchi! Vedrai come ti ristora il buon Draghi...

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    3. I sinistrati sono una categoria assai variegata al loro interno.
      Ci ritrovi l'aristocratica e il giornalista pezzente de "Il Manifesto".
      Il loro collante è il sinistrismo.
      Ora qualcuno si sta accorgendo della fregatura eppure non demorde.

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    4. Quello che Saint-Fond chiama "il conforto di stare nel gregge" loro lo prendono per buon senso, intelligenza.
      I dividendi che porta lo stare a sinistra non li intendevo solo come prettamente materiali: il solo quieto vivere che ne deriva, ad esempio, è già un vantaggio. Immediato, razionale vantaggio.
      Chi persevera a fare il bastian contrario per disinteressato amor di verità, come mi sembra continuino a fare autori e commentatori su questo blog, attirandosi così le ire e l'accanimento del sistema e degli invasati che al sistema credono (o peggio fanno finta di credere e si accaniscono con perfidia simulata solo per dimostrare la propria fedeltà a tale sistema) è per il gregge incontestabilmente un imbecille. Specie se il soggetto per cause di forza maggiore nel quotidiano non può evitare i sinistri, o la gente comune sinistra per convenienza.

      Cito dal mio articolo preferito di Blondet, c'entra relativamente ma fa riferimento alla stessa mentalità meschina:
      "...Se richiamo alla memoria le cinque o sei volte nella mia lunga vita in cui ho provato a resistere al sopruso – pubblicamente, in situazioni pubbliche, su questioni d'ngiustizia in cui davo per scontato l’appoggio di amici, compagni di scuola e colleghi – sono stato facilmente sconfitto perché mi son trovato solo. “Avanti miei prodi! Sfidiamo il potente!”, mi volto e i miei prodi son lì fermi, anzi hanno fatto un passo indietro, si chiamano fuori, non vogliono entrare nella faccenda, alcuni con mimica inequivocabile stanno segnalando al potente, perché li veda e ne tenga conto,che loro mi considerano pazzo, un fanatico, uno che si monta la testa. Si picchiettano la fronte col dito.
      Succede sempre così, in Italia. Che gli altri, quando si tratta di non stare al sopruso pubblico, si tirano indietro. E’ per questo che alla fine alcuni dicono a sé e agli altri che “la soluzione è individuale”, e adottano l’individualismo competitivo e vincente – una posizione giustificata esistenzialmente, perché dopotutto uno ha una vita sola, appena sufficiente per conquistarsi un posto nel mondo – ma sbagliata sul piano filosofico. Perché “il problema è sociale”, non individuale. Benissimo dice Fanelli: non è soltanto lo Stato, quanto “la società” si occupa di perseguitare quelli che vogliono resistere al sopruso, “sino a quando il loro fallimento sara’ di monito agli altri”. Sono gli altri che, collettivamente, invocano la tua “crocifissione sulla Via Appia”.
      Nei miei cinque o sei insuccessi, mi sono chiesto: come mai i compagni e i colleghi – che prima giuravano di non voler più stare al sopruso, che erano d’accordo con me – davanti al potente mi hanno lasciato solo? Solo ad andare all’assalto, che cosa ridicola. Come mai loro stavano fermi?
      D’accordo, mettiamo in conto la viltà italiota. Ma non basta a spiegare tutto, anzi spiega poco. Se provo a rievocare cosa dicevano gli sguardi sfuggenti, i silenzi derisori o le mezze frasi di scusa dei “miei prodi” che mi avevano lasciato solo e ridicolo (e con la diserzione saldato su di noi il sopruso più forte di prima) trovo una riserva inconfessata: “Non sarà che seguendolo, sto dando troppo potere a lui? Che sto facendogli troppo favore, facendolo vincere, dandogli la soddisfazione di farmi dirigere da lui? Dopotutto, non sono completamente d’accordo con lui: ci sono cose nelle sue idee che non mi convincono; e io ho le mie idee. Mica è mio fratello, dopotutto. Se lui vince, io cosa ci guadagno?...”
      https://www.maurizioblondet.it/perche-gli-italiani-amano-soprusi-delle-istituzioni/

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    5. Teste come vicoli ciechi, come quelli da agguato, nei lungometraggi.
      Imbocchereste in coscienza un vicolo cieco alle tre di notte?

      Per fortuna il mondo non è solo un vicolo cieco.

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    6. Barabba, siamo d’accordo. Ma esiste pure una tragica attitudine che chiameremo “fallacia irenica”, così riassumibile: se mi mostro remissivo e conciliante, il lupo mi risparmierà. Domanda: e perché mai la disposizione del lupo nei tuoi confronti dovrebbe dipendere dalla tua docilità, e non piuttosto dalle sue esigenze alimentari, o dalla sua fregola di affermazione personale, o semplicemente dalla sua natura di lupo? San Francesco ce n’è solo uno (e non è il babbione che sta in Vaticano).
      In un saggio del 1956, Friedrich e Brzezinski individuavano 6 tratti distintivi dei totalitarismi, uno dei quali consiste nell’impiego di una polizia terroristica investita del compito di annientare non solo i nemici del regime, ma anche intere categorie sociali più o meno arbitrariamente selezionate. Ciò significa che, mentre un regime autoritario (es. fascismo) colpisce solo chi gli si oppone, quello totalitario (comunismo, nazismo) colpisce anche chi non gli si oppone o addirittura lo sostiene apertamente. Dipende dai suoi interessi, i quali prescindono in toto dalla condotta della vittima.
      Secondo te, se sei un ebreo sotto il Terzo Reich, o un kulako in piena collettivizzazione forzata, ti salvi esibendo la tua fedeltà al regime? O evitando di «fare il bastian contrario»? E un italiano, oggi, come si salva? Abbiamo a che fare con un regime? E se sì, di che regime si tratta? Autoritario o totalitario? Rispondi a queste domande, e il resto va da sé.

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    7. Caro Loris, l'italiano si salva (dalla furia degli altri italiani) se produce, consuma e crepa senza farsi domande, o senza darlo a vedere.
      Io facevo cenno alla drammaticità delle conseguenze reali, sul campo, sulla vita delle persone di tali fenomeni corrosivi quando perfidamente si avvalgono della meschinità latente nella maggior parte delle persone.
      Che poi sicuramente la sinistra traditrice e serva del capitale internazionale avrà contribuito ad innescare lo sfacelo in una molteplicità di maniere, di cui ogni giorno leggiamo l'ennesima variazione sul tempo su 32 siti complottisti oltre a questo, è indiscutibile.
      Non vedo però a che giovi ripetersi così ossessivamente; se è per risvegliare coscienze, a quelli che lo leggono la prima volta, e non si capacitano, si può sempre suggerire l'archivio di scritti precedenti.
      Tra l'altro l'infiltrazione interessa tutte le nazioni avanzate, le specificità italiane sono poco interessanti, e per essere risolte credo bisogni aspettare si sblocchi qualcosa a monte.

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  3. “l’amor di sé diviene senso della tribù, indi della comunità, del popolo, della Patria.” Sbaglio, o questo è Leopardi?

    Moltissime volte anzi la più parte si prende l’amor della
    gloria per l’amor della patria. P.e. si attribuisce a questo
    la costanza dei greci alle termopile, il fatto d’Attilio
    Regolo (se è vero) ec. ec. le quali cose furono puri effetti
    dell’amor della gloria, cioè dell’amor proprio immediato
    ed evidente, non trasformato ec. Il gran mobile degli antichi
    popoli era la gloria che si prometteva a chi si sacrificava
    per la patria, e la vergogna a chi ricusava questo
    sacrifizio, e però come i maomettani si espongono alla
    morte, anzi la [68]cercano per la speranza del paradiso
    che gliene viene secondo la loro opinione, così gli antichi
    per la speranza, anzi certezza della gloria cercavano la
    morte i patimenti ec. ed è evidente che così facendo erano
    spinti da amor di se stessi e non della patria, dal vedere
    che alle volte cercavano di morire anche senza necessità
    nè utile, (come puoi vedere nei dettagli che dà il
    Barthélemy sulle Termopile) e da quegli Spartani accusati
    dall’opinione pubblica d’aver fuggito la morte alle
    Termopile che si uccisero da se, non per la patria ma per
    la vergogna. Ed esaminando bene si vedrà che l’amor
    puramente della patria, anche presso gli antichi era un
    mobile molto più raro che non si crede. Piuttosto quello
    della libertà, l’odio di quelle tali nazioni nemiche ec. affetti
    che poi si comprendono generalmente sotto il nome
    di amor di patria, nome che bisogna ben intendere, perchè
    il sacrifizio precisamente per altrui non è possibile all’uomo.

    E la ragione facendo naturalmente amici dell’utile proprio,
    e togliendo le illusioni che ci legano gli uni agli altri,
    scioglie assolutamente la società, e inferocisce le persone.

    La natura, come ho detto è grande, la ragione è piccola
    e nemica di quelle grandi azioni che la natura ispira. Questa
    nimicizia di queste due gran madri delle cose non è
    stata accordata se non dalla Religione la qual sola proponendo
    l’amore delle cose invisibili di Dio ec. e la speranza
    di premio nella vita futura ha conciliato con mirabile
    armonia la grandezza generosità sublimità, apparente
    pazzia delle azioni (come son quelle dei martiri, il distacco
    dai beni terreni da’ parenti dalla patria ec. il disprezzo
    della morte, il sacrifizio de’ piaceri e di tutto all’amor di
    Dio al dovere ec.) colla ragione: armonia che fuor della
    religione non si può trovare se non a parole, perchè tolta
    la speranza della vita futura, l’immortalità dell’anima, l’esistenza
    della virtù della sapienza della verità della beltà
    personificata in Dio, la cura di questo essere intorno ai
    portamenti nostri ec. l’amor di lui ec. non ci sarà mai si
    può dire, azione eroica e generosa e sublime, e concetti e
    sentimenti alti, che non sieno vere e prette illusioni e che
    non debbano scadere di prezzo quanto più cresce l’impero
    della ragione, come già vediamo e che sono illusioni
    quelle grandezze anche presenti nelle quali la religione
    non ha parte, e che collo indebolirsi la forza della fede
    negli animi, scemano presentemente quelle azioni sublimi
    delle quali erano molto più fecondi i secoli passati ignoranti
    che il nostro illuminato. Similmente si può dire della
    dolcezza e amabilità di tante idee ed opinioni che senza
    la religione sono chimere, e colla religione sono verità,
    e alle quali la ragione per se ripugnerebbe, la quale com’è
    nemica della grandezza così è nemica della profonda e
    vera bellezza, e con lei, come tutto è piccolo così tutto è
    brutto e arido in questo mondo.

    Quanto è più dolce l’odio che la indifferenza verso alcuno!
    Perciò la natura intenta a proccurare la nostra felicità
    individuale nello stato primitivo, ci avea lasciata l’indifferenza
    verso pochissime cose, come vediamo nei fanciulli
    sempre proclivi a odiare o ad amare, temere ec.

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    1. Sì lui, l'ho citato varie volte lo Zibaldone.

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    2. Eppure da osservatore contemporaneo posso dire che nel tempo di Leopardi vi furono grandi slanci e sacrifici in nome di un ideale, e così per un buon secolo dopo la sua morte.

      Se avesse potuto vedere la meschinità dei tempi post-1945, in particolare il mondo bloccato per un anno e mezzo per un epidemia con lo 0.02% di mortalità, chissà gli alti lai che avrebbe tirato sulla situazione attuale assai sbilanciata a favore della ragione sulla natura.

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  4. Carlo Alceste, so che Naipaul non è tra i tuoi autori preferiti ma questa citazione calza a pennello con il profilo psichiatrico dei sinistrati,in particolari quelli usciti dalla scuola quadri piddina : "...uomini senza talento ne merito, se non quello, per così dire, di esercitare il controllo su certi segmenti della popolazione; uomini sterili, senza idee, spinti alla ribalta dall'eccesso di quel rancore che covano in silenzio gli impiegati privi di talento"
    " I Mimi" di V.D. Naipaul

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    1. Purtroppo è così. Ciò che colpisce è propria la mancanza di humus culturale. Si accontentano della superficie più luccicante scambiando carta argentata per lingotti. Sono trogloditi del pensiero, ma si ritengono di buone maniere: i giusti. Li hanno talmente imbottiti di buoni sentimenti che non riescono a pensare a sé stessi nell'errore. Cercheranno di sterminarci. Alessandra Mussolini che si tatua sulla mano il ddl Zan è, però, nello stesso mucchio: evidentemente, non avendo pensiero proprio, subisce la sudditanza di tali avvocaticchi del bene.

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    2. Assolutamente d'accordo, triste il gesto della Mussolini, oltre che inutile per lei, la comunità LGBT e il sinistrume vario non ha minimamente apprezzato.
      Comunque, anche se è vero che, a prescindere dal partito di appartenenza, sono tutti delle maschere da commedia dell'arte, il politicante piddino meriterebbe un discorso a parte, ininfluente per la politica e le sorti del nostro paese, ma molto interessante per la psichiatria.
      L'impressione , ora che posso valutare con totale distacco, è che anche i peggiori ceffi del l'ex pentapartito e in seguito berlusconiani , Sbardella, Previti, Craxi, appartenessero comunque alla razza umana, che fossero comunque uomini, con i loro pregi (pochi) e i loro difetti (tanti).
      Quelli venuti fuori dal PCI sembrano qualcosa di diverso, come gli ultra-corpi, non realmente umani.
      Mi ricordo che già ne scriveva Bianciardi negli anni sessanta sui funzionari comunisti, personaggi pallidi, indecifrabili, che passavano la maggior parte del tempo a fumare in interminabili riunioni di partito.
      Mi ricordo anche, negli anni 90, di tanti amici e conoscenti che, quando si discuteva di politica, avevano le mie stesse idee su tante cose, che poi erano le stesse (almeno sulla carta) del PCI-PDS.
      Quando gli chiedevo perchè allora votassero altri partiti, mi rispondevano tutti che per quelli proprio non ci riuscivano a votare, con un'espressione di ribrezzo.
      Senza il filtro dell'ideologia militante capivano istintivamente che personaggi erano realmente, il loro vero volto.
      Come in "Essi vivono" di Carpenter, avevano gli occhiali per riconoscere gli alieni tra noi, io li ebbi in dotazione qualche anno più tardi.

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    3. Dici bene, Alceste. Stesso mucchio. Il fatto è che, mentre la sinistra è esistita ed esiste tuttora – greve massiccia opaca indigeribile –, la destra no. Il sillogismo fondativo del Partito Unico ha funzionato: se destra = fascismo, e fascismo = male assoluto, allora destra = male assoluto.
      Quale miglior deterrente per i cervelli molli del dopoguerra? Legioni di boomers... Tutti arruolati a sinistra! I loro estenuati rampolli, fregnoni cresciuti a pane e tubo catodico (di nipoti e pronipoti – poveretti – nemmeno parlo)... Idem! Son mica scemi a dannarsi l’animaccia loro sdrucciolando a tribordo!
      Da allora, la destra non è che una graziosa lacuna nel palinsesto della nostra Storia nazionale. Forse dovrei scrivere la [destra]. Così, per scrupolo filologico. Quasi una categoria dello spirito, pressoché irreperibile nel mondo reale in forme di socialità organizzata. La destra reperibile – cioè la /destra/, sempre gabellata per [destra] in ragione della capziosa omofonia – denota infatti mere entità residuali o abusive o colluse o vanamente narcissiche. In ogni caso, gente nella quale non ci si può riconoscere.

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    4. Tale disastro, o sinistro, è stato voluto. E patito, incredibilmente, sin all'ultima stilla, da una "destra" che in Italia fu stragrande maggioranza sino a pochi decenni or sono. Come è accaduto? Perché questo si voleva, per abbattere l'Occidente; e grazie all'organizzazione militare della sinistra del PCI che spiegherò prossimamente.

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    5. Per Karl:

      poiché ho vissuto anch'io alcune di quelle riunioni (era un PCI in totale declino, ovviamente) posso dirti che l'aura aliena derivava dall'utopia. Nient'altro che dalla sensazione, radicata e naturalissima, di essere popolo nel popolo cioè qualcosa di completamente diverso rispetto alla sozzura abituale. Però anche i democristiani degli anni Sessanta, rispetto all'oggi, sembrerebbero dei venusiani; per tacere della destra dura e pura che parrebbe agli snowflakes attuali una mandria di trogloditi sanguinari.

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  5. Evidentemente passare al nichilismo totale è molto più facile per chi ha vissuto nell'Utopia rispetto a chi ha vissuto in un umile buon senso quotidiano. Ed è anche per questo che il profilo psichiatrico di molti cattolici del mondo del volontariato, ACLI e compagnia bella, è il medesimo. Ho capito molto tardi il significato vero della parola cattocomunista.

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  6. Ricordo sempre quando io e un mio amico da bambini, vessando con dei dispetti un anziano, fummo elegantemente apostrofati con "maramaldi!"

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Siate gentili ...