Roma, 3 agosto 2018
L'opulenza digitale reca l'estinzione.
L'opulenza digitale reca l'estinzione.
Il
digitale è un progresso o no?
A
tirar le somme pare un netto regresso.
Serve il digitale? Certo, a dominare meglio le pecore.
Le fotografie di famiglia. Nonni, mamma, papà, figli, nipoti, amici. In bianco e nero oppure esornate dai primi timidi colori.
Serve il digitale? Certo, a dominare meglio le pecore.
Le fotografie di famiglia. Nonni, mamma, papà, figli, nipoti, amici. In bianco e nero oppure esornate dai primi timidi colori.
Le foto di famiglia costituivano una bella responsabilità.
Anzitutto c’era l’apparecchio vero e proprio, che aveva un costo suo, e occorreva custodire con cautela, in appositi foderi di pelle o similpelle. E poi c'era il rullino, costoso anch'esso. Si scattava quindi, ma con parsimonia, poiché ogni clic aveva un prezzo: la posa doveva essere studiata, avere significato, o assommare più gente possibile: non si poteva immortalare un albero un fiore una casa un cane: che spreco era quello? Tutte le vecchie foto eran cariche d'un compito preciso: tramandare a chi di dovere momenti salienti della storia di famiglia. Ogni immagine vantava sul retro una dedica oppure la data, scritta, con cura, a penna, assieme alla località ove era stata presa; a volte si indicavano nomi e nomignoli degli attori coinvolti. “Luigi e Ines”, “Zio Valerio e la sua chitarra”, “Giampi a Milano Marittima 1961”, “Mamma e Papà, Ladispoli 1967”, “Giovanni al giuramento, Taranto 1972”. Per tacere dei sacramenti: battesimi, comunioni, cresime, matrimoni; persino funerali.
Anzitutto c’era l’apparecchio vero e proprio, che aveva un costo suo, e occorreva custodire con cautela, in appositi foderi di pelle o similpelle. E poi c'era il rullino, costoso anch'esso. Si scattava quindi, ma con parsimonia, poiché ogni clic aveva un prezzo: la posa doveva essere studiata, avere significato, o assommare più gente possibile: non si poteva immortalare un albero un fiore una casa un cane: che spreco era quello? Tutte le vecchie foto eran cariche d'un compito preciso: tramandare a chi di dovere momenti salienti della storia di famiglia. Ogni immagine vantava sul retro una dedica oppure la data, scritta, con cura, a penna, assieme alla località ove era stata presa; a volte si indicavano nomi e nomignoli degli attori coinvolti. “Luigi e Ines”, “Zio Valerio e la sua chitarra”, “Giampi a Milano Marittima 1961”, “Mamma e Papà, Ladispoli 1967”, “Giovanni al giuramento, Taranto 1972”. Per tacere dei sacramenti: battesimi, comunioni, cresime, matrimoni; persino funerali.
La foto era, insomma, una incombenza: si recava il rullino, spesso dopo le ferie estive o le vacanze di Natale, presso il proprio bottegaio di fiducia: "per lo sviluppo". Un altro costo. E spesso si aspettavano giorni. Sviluppare non era impresa facile. A volte ci si rendeva conto che la foto era sovraesposta o sfocata: ne derivava l'ira del capofamiglia che vedeva svanire le sue lire per una disattenzione ...
Ma
le immagini, così lungamente ricercate, erano di buona qualità, nitide, e
riposavano su buona carta. Attenti con le dita! Avete le mani pulite? si diceva
ai figlioli mentre questi le incollavano pazientemente e con reverenza in album
dalla solida rilegatura, con gli angolini rigidi a fermarne la scivolosa irrequietezza.
Una carta velina trasparente le proteggeva, di pagina in pagina; a volte si
incollava anche un ulteriore cartiglio esplicativo a mo' di didascalia: “Fregene, Pineta,
3 agosto 1975”.
E
lì le immagini si accumulavano, anno dopo anno; ogni tanto le si andava a compulsare,
con nostalgia crescente. Ognuna ridonava attimi commoventi: un parente che
non c'era più, un ricordo che si credeva disperso, o i figli lontani: presi
dalle beghe quotidiane, cresciuti oramai, un po' disinteressati; e irriconoscibili:
“Ma guarda Isabella com'era carina”, “Guarda Giulio alla Prima Comunione!”, “Dio,
com'era bambolotta Claudia!” …
L'opulenza digitale le ha annientate. Non sostituite, attenzione, annientate!
Il
digitale non sostituisce, distrugge e basta.
Ama
chiamare tale fenomeno: “Medioevo Ellenico” o “Dark Ages”.
Lo
studioso Anthony Snodgrass, forse sbagliando, si riferisce con Dark Ages (da
cui: Medioevo Ellenico) al periodo - fra
1200 e 800 a. C. - che vide il crollo della civiltà micenea e l’avvento dei
Dori: scomparsa della scrittura, della grande architettura, della minuziosa
burocrazia, della fusione del bronzo, regressione a uno stile pittorico
geometrico.
In
ogni famiglia il Medioevo Ellenico ha il proprio inizio attorno ai primi Novanta
e tocca la vetta al principiare della decade del Secolo Ventunesimo. Da quella data, all’incirca, gli
album rimangono muti. Come se un olocausto della dimenticanza si fosse
abbattuto su ogni cosa. Così come nel Peloponneso preomerico.
Il
digitale irrompe, smaterializza, abbatte i costi; diviene appetibile da ognuno e
tutto trasforma in merce da dozzina, fatua e irrilevante.
La foto è gratis, di fatto; perde il proprio valore memoriale e di attenzione e studio: si clicca ripetutamente: è gratis. I cellulari hanno memorie più estese, si fanno foto a qualunque cosa: ai cani, ai gatti, ai tombini, ai portoni, alle fontanelle, alle statue, ai cartelli stradali, a un ghiribizzo qualsiasi; decine, centinaia, migliaia di scatti irresponsabili, fatti tanto per fare. Sono gratis, poi si cancella, si modifica, se ne fanno altri! Le pose degenerano in atti sguaiati, la smorfia è oramai la normalità: occhi strabuzzati, lingue protruse fuori dai grugni, panze in evidenza, scherzi idioti, e sghignazzi, tanti sghignazzi; oppure si cerca di eternare tutto il possibile, di ogni pietra o coccio si immortala la prospettiva che si crede migliore, sin all'esaurimento. Ma tale furia è mediocre, frettolosa, individualista. La qualità del digitale concede un iperrealismo irreale, ma senza profondità e vera definizione plastica: una lattiginosità congenita, inoltre, annega il tutto in una brodaglia priva di gusto.
La foto è gratis, di fatto; perde il proprio valore memoriale e di attenzione e studio: si clicca ripetutamente: è gratis. I cellulari hanno memorie più estese, si fanno foto a qualunque cosa: ai cani, ai gatti, ai tombini, ai portoni, alle fontanelle, alle statue, ai cartelli stradali, a un ghiribizzo qualsiasi; decine, centinaia, migliaia di scatti irresponsabili, fatti tanto per fare. Sono gratis, poi si cancella, si modifica, se ne fanno altri! Le pose degenerano in atti sguaiati, la smorfia è oramai la normalità: occhi strabuzzati, lingue protruse fuori dai grugni, panze in evidenza, scherzi idioti, e sghignazzi, tanti sghignazzi; oppure si cerca di eternare tutto il possibile, di ogni pietra o coccio si immortala la prospettiva che si crede migliore, sin all'esaurimento. Ma tale furia è mediocre, frettolosa, individualista. La qualità del digitale concede un iperrealismo irreale, ma senza profondità e vera definizione plastica: una lattiginosità congenita, inoltre, annega il tutto in una brodaglia priva di gusto.
E
poi di tale messe cosa rimane? Poco o nulla. Dopo le ferie si
riguardano le immagini: un cumulo di sciocchezze goffamente orgiastiche o solipsistiche; passa qualche tempo: esauriti gli isterismi della condivisione ci si accorge che tali
epitomi della goliardia più disperata intasano i cellulari o gli Ipad e paiono assai meno interessanti: e allora si comincia a cancellare quelle che non
piacciono più confidando in un prossimo download su pc; passa il tempo, però, altre
immagini si affastellano: un tatuaggio, il cane con gli
occhiali, la merenda o la pasta alla carbonara (“guardate come sono brava!”), la barzelletta, un
fotomontaggio … tutte scemenze buone per lenire le nostra ansia
narcisistica da like, il nuovo scaccia il vecchio, le foto di Formentera sembrano
quelle che sono, robetta scaduta da quasi due anni, da eliminare, insomma: han fatto
il loro tempo; o magari è morto l'amorazzo o il rapporto conviviale che le innescò e allora quell'iconografia diviene secondaria, insulsa … oppure odiosa … e, perciò, da scaraventare, con una serie di furiosi click, nel limbo
dell'irrilevanza ... qualcuno, più avveduto, ha salvato qualche decina di
scatti sull'hard disk o il pc, ma il pc a volte muore, l'hard disk cade e distrugge
il suo contenuto ... quel tratto di esistenza sparisce nel nulla … le avevo sul pc ma
è crashato, le avevo sull'hard disk, mi è caduto di spigolo, niente, non si può
recuperare nulla ...
Gli
album di famiglia si fermano al 2000 … al 2003 … al 2004 ... come brogliacci
alla vigilia d'una catastrofe nucleare ... o il diario di bordo della Mary Celeste
prima del misterioso naufragio … inevitabile, micidiale.
Le
vite, consegnate al mostro dell'immateriale, svaniscono. Così, smiagolando nell'impalpabile,
senza neanche il risarcimento d’un cartoncino sbiadito.
E
così per i libri: l'e-book sostituisce il cartaceo, ma non è vero; le vendite dell’e-book
sono in picchiata, l’e-book non lo legge nessuno, perché dovrebbe esser letto?
Intanto il cartaceo, che era in attesa di farsi sostituire da Kindle e IBooks,
si fa sempre più grossolano: la carta è da poco, il libro perde le cuciture, la
copertina diviene floscia e scioccamente colorata, crolla la qualità dell'impaginatura, la
stampa è digitale: gli inchiostri nitidi e definiti sono un lontano lusso ... l’ultimo
best seller, venti euro!, rileva, dopo nemmeno mezza lettura, quale mucchio di
fogliacci malinconicamente sparnazzati. L’oggetto libro, non solo il
contenuto, perde ogni fascino e appetibilità feticista. L'antiquariato librario
si ferma gli anni Ottanta, in realtà: il libro usato e di seconda mano non
sublima nel vecchio o nel ricercato, ma, quale usa e getta, finisce
direttamente nell'immondizia. Una biblioteca costituita da testi degli ultimi
trent’anni merita - esteticamente - il
macero. E tale avviene per i mobili, gli umili elettrodomestici, le ceramiche,
i quadri: di fattura tanto approssimata e sciatta da rendere impossibile una
loro vita ulteriore. Scompare ciò che Bertolt Brecht amava: la bellezza del "ben
invecchiare", "del migliorare forma":
Fra tutti gli oggetti i più cari
Fra tutti gli oggetti i più cari
sono per me quelli
usati.
Storti agli orli e
ammaccati, i recipienti di rame,
i coltelli e forchette
che hanno di legno i manici,
lucidi per tante mani:
simili forme
mi paiono tutte le più
nobili. Come le lastre di pietra
intorno a case antiche,
da tanti passi lise, levigate,
e fra cui crescono
erbe, codesti
sono oggetti felici.
Penetrati nell’uso di
molti,
spesso mutati,
migliorano forma, si fanno
preziosi perché tante
volte apprezzati.
Gli ultimi trent'anni sono un buco, uno iato culturale e materiale da Dark Ages.
Gli ultimi trent'anni sono un buco, uno iato culturale e materiale da Dark Ages.
Intere
generazioni di uomini e cose inghiottite da un magma liquido.
Uno Snodgrass del futuro che indaghi l’Italia post 1989 ipotizzerà, giustamente, l'invasione vincente e rovinosa di una cultura inferiore.
Uno Snodgrass del futuro che indaghi l’Italia post 1989 ipotizzerà, giustamente, l'invasione vincente e rovinosa di una cultura inferiore.
Mi ritrovo ancora a scrivere qualcosa, anche se spesso mi dico di non scrivere piu'. Che il mio paziente e gentile ospite non me ne voglia. Ogni espressione del se e' poco pudica, e la pudicizia e' una attitudine sana e discreta, rara, di gran valore in questi tempi penosi. Nonostante cio', appunto, mi ritrovo a scrivere, con il dubbio di dare un'altra immagine di me, inutile, o rivelare qualcosa del mio intimo. A chi mai puo' interessare il mio intimo? L'intimo e' segreto, va custodito e protetto. Ma cosi' vanno questi tempi, e in questa zattera, su cui mi imbarco a volte, il nocchiero indica rotte seducenti. Quindi mi ritrovo a scrivere: perdonatemi. Ho esperito un po' nella vita, come tutti d'altronde. Tra le varie esperienze, la fotografia. Per quindici anni e fino a circa dieci anni fa, ho armeggiato con un'Hasselblad 6x6, una Leica e una Fuji 6×9, documentando cio' che vivevo. Amici, amori, sconosciuti, famigliari, spiaggiati dalla vita, stagioni. La pellicola e la stampa sono qualcosa di magico. Il bianco e nero ha una dimensione letteraria: aggiunge cio' che il colore toglie. Poi un giorno ho messo tutto in tre valige, e le ho chiuse: in una le macchine fotografiche e gli obbiettivi, in un'altra un flash professionale Bowens e in un'altra ancora le foto ed i negativi. Molti nudi, alcuni casti e altri impubblicabili. Forse la mia morte, cioe' il tempo, e quella dei soggetti ritratti, liberera' queste foto e le rendera' visibili. O forse tutto scomparira'. Che senso ha lasciare infinite tracce del nostro errare? Un'amico oggi mi ha regalato un libro sul generale giapponese Nogi Maresuke. La mattina del 13 settembre 1912, subito dopo i funerali dell'imperatore Mutsuhito, il generale Nogi fece seppuku. Il suicidio rituale avvenne nella sua forma piu' estrema: Nogi si squarcio' lo stomaco prima da sinistra verso destra, poi dal basso verso l'alto. Infine, dimostrando una volonta' oltre l'umano, si pianto' la lama nel petto. Lo stesso giorno sua moglie Shizuko si taglio' la gola. Nel libro ci sono le ultime due foto sua e di sua moglie, scattate entrambe dopo il funerale dell'imperatore. Nogi e' ritratto in divisa stile occidentale. Prima di suicidarsi egli si tolse gli abiti moderni e si vesti' con un kimono tradizionale. L'ultima foto di Shizuko la ritrae con un severo kimono. Queste due foto appartengono ad un altro mondo. Un mondo vero. Vivo. Eterno.
RispondiEliminaUn caro saluto a tutti. Anonimo di nome R
Questa storia del digitale qualcuno la deve spiegare tecnicamente, per bene.
RispondiEliminaHanno anche distrutto la musica ... Keith Richards se ne accorse a tempo debito, negli anni Ottanta, ma evidentemente era un fenomeno inarrestabile.
ho etto un libro, qualche anno fa, di un tale Jerome Lanier, uno dei ragazzi di via Panisperma in salsa americana, (che nome ominoso) che hanno dato vita a questo nuovo universo digitale, nel quale, tra le altre critiche che alla ai suoi ex colleghi, lui musicista, spiegava quanto fosse deleteria la tecnologia digitale alla musica. Non ricordo bene i dettagli tecnici della sua analisi, ma in sostanza sosteneva che tutte le piattaforme digitali per uso musicale si basano su un programma(?) elaborato negli anni ottanta, estremamente "primitivo" e con limiti enormi. Ogni nuovo prodotto digitale quindi, per quanto sofisticato possa essere, non puo' andare oltre i limiti della piattaforma su cui e' costruito, magari puo' solo nasconderli, come la polvere sotto il tappeto. Non so se quello che ho detto abbia senso, ma credo emerga chiaramente la mia scarsa familiarita' con la cibernetica... Per chi e' interessato il titolo inglese del libro e' "you are not a gadget".
RispondiEliminaPer quanto riguarda la fotografia, come hai ragione Alceste... credo di aver smesso di scattare fotografia 20-25 anni fa... ho sviluppato un'avversione profonda verso la fotografia seriale, per la riproduzione fine a se stessa, per la cancerosa moltiplicazione di immagini artificiali a chiudere ogni poro dell'immaginazione. Un soffocamento dello sguardo. Non si e' piu' capaci di guardare.
Hai ragione, tanto più che oggi sono tutti fotografi ... si salvano in pochissimi, forse Salgado ... forse ...
EliminaGrezzamente il digitale realizza la trasformazione di una vibrazione (immagine o suono) in un "file" di valori elettro-magnetici, valori tra loro disuniti ma che, nel flusso della riproduzione, vengono uniti attraverso un processo di interpolazione. Questi files possono essere facilmente (data la tecnologia odierna) immagazzinati in supporti magnetizzabili e/o trasferiti via cavo o "etere". Come tali, questi files sono sempre degli "autentici", anche quando vengono artificialmente manipolati o creati dal nulla. Ovvero, sono sempre dei falsi. Cio' e' possibile perche' il supporto digitale di registrazione non e' irreversibile, a differenza del supporto analogico. Quindi con il digitale si sono raggiunti molti scopi: disconnessione dal reale, eliminazione della testimonianza del reale, capacita' di accumulo di dati pressoche' infinita, possibilita' infinita di trasferimento dati, possibilita' illimitata di schedatura dei dati, possibilita' illimitata di incrocio computerizzato dei dati da parte di softwares. In sostanza si e' raggiunto il sogno della ingombrante eliminazione della "prova del reale". Per fare un esempio: tutte le foto che la NASA ci mostra dei pianeti e dell'universo, sono dei render realizzati in digitale. Foto costruite o pesantemente modificate (...it is photoshop, but it has to be...). Nessun negativo di controprova. Le foto dello sbarco (?) sulla luna?
RispondiEliminaSe false (uso questo ridicolo se), hanno richiesto un immane sforzo di set cinematografici. Comunque sia gli astronauti lunari hanno usato un'Hasselblad meccanica 6x6 con pellicole: stessa macchina e stessa tecnologia da me utilizzata per le mie foto... Le pellicole prendono fuoco oltre i 70° e sulla luna (dicono) la temperatura, rivolti al sole e' di + 200°... Scusate la digressione spaziale: tanto per rendere l'idea. Riprendiamo: praticamente il sogno del potere: falsificare impunemente ed illimitatamente la realta' senza dover rendere conto dei supporti originali, e cosi' falsificare le menti. Contemporaneamente, registrare le idee e le immagini di ciascun essere umano trasmesse con telefoni, computer ecc via rete. "La plebaglia mondiale pensa che il digitale le sia stato dato per la sua felicita'?" (Libera e retorica citazione intellettualmente modificata di una frase detta da Attali -uno dei "papa'" J dell'Unione Europea a riguardo dell'euro). La digitalizzazione permette anche l'unificazione in un unico supporto di tutto cio' che interessa al potere: soldi, immagini, scritti, progetti. L'esistenza tutta in un unico calderone, la cui qualita' puo' essere modificata illimitatamente, normalmente tramite falsificazione o/e svalutazione. Come per la moneta. Ed anche, perche' no, se serve eliminata. Smaterializzata con un clic. Siamo tutti oggi schedati, ed il concetto di "fake news" introduce un nuovo livello nel processo satanista del potere: chi ha il potere dei media, ha la capacita' di dichiarare vera o falsa qualsiasi cosa della cui verita' e' impossibile dire qualcosa poiche' e' gia' falsa in partenza. Citando Elon Musk a proposito delle immagini del lancio di Space(fake?) X: "sono cosi' vere che sembrano false"... E ci pigliano anche per il culo.
Un caro saluto a tutti. Soprattutto all'animaccia di Orwell. Anonimo di nome R
Interessante.
EliminaUnico calderone, unico supporto di registrazione, unica tecnologia, unico linguaggio, unica razza, unica religione: la scienza. Unica storia, ne comprovabile e ne confutabile. Unico pensiero. Il digitale?
RispondiEliminaONE WORLD.
THE NEW BRAVE WORLD.
L'UOMO AD UNA DIMENSIONE.
BABILONIA.
Un caro saluto a tutti. Anonimo di nome R
A quanto hai detto, rigorosamente esatto, aggiungerei la possibilità di nascondere un qualsiasi file all'interno di un altro file (un testo nella musica, la musica in una immagine, ecc: steganografia)
RispondiEliminaIl prossimo passo verso l'integrazione digitale? L'auto elettrica. L'auto elettrica e' un vettore energetico: semplicemente immagazzina e rilascia energia prodotta con... centrali a carbone! Andatevi a vedere quante centrali a carbone sono in costruzione nel mondo! Poi si devono produrre le batterie e quindi smaltirle. Nel suo ciclo di vita l'auto elettrica consuma ed inquina molto piu' di analoghe auto a combustione. Tutta la questione dell'inquinamento globale causa automezzi e' una fregnaccia (ben lo sapeva guru Marchionne, ma questo l'ho gia' detto...). L'auto elettrica consentira' pero' un totale controllo via digitale anche dello spostamento degli esseri umani, i quali in un futuro prossimo non possiederanno ne auto e ne casa, ma avranno tutto in comune: finalmente realizzato il comunismo globale in salsa "green" e progressista! Con lo smerdphone 666 prenoterai un'auto elettrica che con guida autonoma ti portera' in una abitazione cittadina che condividerai per pochi giorni con altri cittadini del mondo come te. Tutta gente connessa e cosmopolita: non il vecchio e grigio comunismo sovietico! Magari pero' ti tocchera' di condividere anche la fidanzatina genderfluid con nigeriani. Magari esperti in giochetti cannibali... Questo futuro e' gia' propagandato nei paesi del nord europa ("europa" in minuscolo) da un bel pezzo di ubalda che fa da megafono ai global... Non ricordo il nome, ma la trovate su Youtube se cercate. E se ti comporti male o pensi male? Sanno cosa scrivi o che foto posti, quindi sanno cosa pensi e quindi sanno chi sei. Magari l'auto elettrica a guida autonoma che comandi dal tuo smerdphone 666 color platino si... smerdera' in un platano analogico di duro legno, vecchio stampo. La connessione digitale ultrasicura ha avuto un problema imprevisto, e voilat: un bel vecchio caro platano non tradisce mai. Oppure la scatoletta intelligentissima ti portera' in un ospedale per un vaccino obbligatorio contro il virus che tu sei. Perche' tu sei un virus, anzi, un troll, un troll russo, e non sapevi di esserlo. Operazione riuscita ma c'e' stato un imprevisto... Omonimia. Ti e' stato somministrato un farmaco che ben non ti ha fatto. Succede. Un caso su 666.000! La perfezione non e' di questo mondo, tantomeno del digitale terrestre. Ma stanno progettando il digitale celeste: 33.000 volte piu' sicuro di quello terrestre! E approvato dal Santo Padre. E grazie anche a te, i pinguini polari LGBT si stanno riproducendo!
RispondiEliminaIl digitale e' un progetto globale a lungo termine: pervadera' tutti gli aspetti della vita umana, e schiavizzera' l'umanita (o quel che ne rimarra') come mai nella storia tramandata. Gli umani vivranno in un mondo di immagini (false), notizie (false), sbarchi su Marte (falsi), guerre con alieni (false), pandemie (false), partite di calcio (false), giubilei (falsi)... Avranno il sospetto di vivere in un allevamento zoologico ricreato dall'ultima versione tridimensionale di Photoshop. Non molto diverso da cio' che vivono oggi comunque. Per molti tutto sommato, forse meglio questo che una vita reale.
Un sinistro saluto a tutti, urbi et orbi. Anonimo di nome R
Ho capito, la mia vita finirà la prima volta che sarò ricoverato in ospedale e, dato che ho sessantadue anni, non dovrò aspettare molto a lungo temo...
EliminaLa stazione ferroviaria di una città padana, interno sera di una soffocante domenica estiva. Rari passeggeri scendono dal treno di una linea secondaria, in attesa della coincidenza. Nell’atrio, la biglietteria è già chiusa; sprangati, letteralmente, i due o tre negozi, il bar, la tabaccheria- edicola.
RispondiEliminaTra l’uscita e i giardini che danno sulla piazza, un grande baccano. Una folla di persone, tutti africani. Le donne, per atteggiamento e vestiario, sono manifestamente in attesa di iniziare un antico, triste mestiere nei viali delle grandi città vicine. Tra gli uomini, prevalgono tipacci dall’aria patibolare, presumibilmente i loro sfruttatori. Non sono pochi, tuttavia, i giovani maschi con telefonino, cuffie e berrettino con la visiera all’indietro che di giorno stazionano davanti a locali e supermercati in attesa dell’elemosina. Sembrano curiosi e perplessi, più che eccitati: gli ultimi arrivati, quelli dei barconi. Una delle viaggiatrici rientra frettolosamente sul marciapiede e mormora al suo accompagnatore: siamo in Africa.
Avevamo pensieri analoghi, sperando nell’annuncio liberatorio del treno per casa, ma il tono della signora, una tristezza composta, lontana dal rancore o dal moralismo, chissà perché, ci ha fatto riaffiorare una frase letta tanti anni prima: amo il mio paese perché è mio. Fu scritta sette secoli fa da un vescovo cristiano, Stepanos Orbelian, storico dell’Armenia, una terra sfortunata, troppo vicina alla Turchia. La cosa più strana è la fonte di quella memoria lontana, non un testo di filosofia o un’opera letteraria, ma un racconto giallo di Rex Stout imperniato sull’imponente figura di Nero Wolfe, l’investigatore amante delle orchidee che non lasciava mai la sua casa di arenaria nel centro di New York.
Amo il mio paese perché è mio: poche parole definitive, sottili, tutt’altro che retoriche. Non si parla di patria o di nazione, solo di paese, e l’amore per esso non riguarda glorie passate, missioni storiche o destini futuri. Si avverte più un’idea misurata di possesso che l’orgoglio del padrone, mio è quello che riconosco, sta sotto i miei piedi, le pietre, le voci, le credenze, i costumi, le facce che mi somigliano. Le ragioni di Orbelian sono elementari: il mio paese è mio nel primo panorama visto da bambino, nella comunità che mi protegge, nelle parole che designano le cose, le persone, i sentimenti, pronunciate in una certa lingua, tra le case, i monti, i fiumi, che sono lì da sempre, gli stessi che hanno accompagnato la vita di altri come noi. Una delle prime grandi emozioni dell’infanzia di chi scrive fu la visita al cimitero, al tempo dei Morti, leggere il proprio cognome sotto fotografie invecchiate di gente tanto simile alla mamma, al papà, ai nonni. Senza saperlo, idee senza parole, cominciavamo ad amare qualcosa, semplicemente perché ci sembrava, era “nostro”, vivo, concreto attorno a noi.
In quella stazione, oppressi dalla calura, colpiti dall’estraneità profonda dell’umanità che avevamo sotto gli occhi, abbiamo compreso di colpo perché, già da tempo, non riusciamo più ad amare il nostro paese. Ovvio, non è più nostro, è stato espropriato, e non soltanto per la massiccia immigrazione sostitutiva, ma perché nulla sopravvive che somigli a quello che era pochi decenni or sono. La grande bellezza italiana, del paesaggio naturale come di borghi e città ha ceduto il passo a periferie anonime e uguali dovunque, la stessa tonalità di grigio, perfino i graffiti paiono tutti identici, chiazze informi che qualcuno definisce arte; chilometri di cubi e parallelepipedi lungo le principali strade di accesso, capannoni opprimenti multiuso, molti abbandonati, incuria ovunque, sciatteria generalizzata, costumi civili imbarazzanti, i centri storici delle città lasciati al degrado o in mano a criminali di cento nazionalità, indifferenza dilagante, burocrazie opprimenti, litigiosità.
Nessun principio condiviso ci rende comunità, Dio è morto, la famiglia è diventata arcobaleno o è allargata, eufemismi per non riconoscerne la fine. La patria fa ridere, il lavoro non c’è e quando c’è è precario, flessibile, a chiamata. Il nostro paese, ormai, è il trolley con le rotelle, bagaglio leggero per una vita zingara. No, zingaro non si può dire, meglio nomade, munito di smartphone, connessione veloce e carta di credito. Oppure la faccia oscura della luna, masse di poveracci sradicati da mafie in doppiopetto, illusi da cinici sfruttatori, il cui unico orizzonte è il centro di accoglienza, un presente tanto diverso da quello prospettato dagli schiavisti, nessun futuro. Chi è sradicato, sradica, è una spirale verso il basso, descritta dal genio di Simone Weil nella “Prima radice”.
RispondiEliminaForse fa velo la malinconia che ci coglie invariabilmente d’estate: troppo caldo, troppa luce, folle scamiciate e sudate, ritmi e abitudini che mutano con l’alzarsi della temperatura, il mito delle ferie a ogni costo, l’esibizione sfrontata di sé, e non parliamo di corpi, ma di comportamenti. La decomposizione della società in questa parte dell’anno pare farsi visibile, tangibile, la senti, la annusi, un elemento del panorama. Magari è la stagione della disillusione personale, si preferisce la solitudine non in sé, ma perché segna la distanza da ciò che non ci piace e soprattutto non riusciamo più a comprendere. Nel carnaio della guerra di trincea, la distruzione circostante destava l’orrore di Giuseppe Ungaretti, ma gli faceva dire “è il mio cuore il paese più straziato”. Più modestamente, lo strazio è aver smesso di amare il proprio paese in quanto non lo si riconosce più. Cambiate le facce, le voci, le idee, i modi di essere, come amare ciò che non è più tuo?
Ulisse, l’eroe archetipo della civiltà occidentale, astuto, indagatore del mondo, anelava un’isoletta fatta soprattutto di pietre, Itaca. Nel vasto mare che aveva imparato a conoscere, sapeva che quello scoglio, uno dei tanti del mare greco, era la meta in quanto patria, luogo dell’anima, ma anche destino del corpo fisico che voleva trovarvi riposo. Ne era simbolo il letto nuziale fabbricato con le sue stesse mani. Lì voleva tornare, certo per rivendicare i diritti di re, ma soprattutto per rivedere le persone amate, respirare l’aria natia che un poeta italiano, Umberto Saba, avrebbe definito tormentosa. Il cane Argo, il vecchio padre Laerte, il pastore Eumeo, la moglie Penelope, il figlio Telemaco erano “suoi” più del trono, e Ulisse era certo che Itaca fosse lì ad aspettarlo. Questa è la differenza: per alcuni, dotati di una sensibilità incomprensibile al tempo corrente, Itaca non c’è più. Amavamo il nostro paese perché era nostro, finché era nostro. Per mille motivi, non lo è più e ci siamo trasformati in esuli senza esserci mossi da casa.
Scacciata la malinconia, abbiamo preso una decisione: dichiararci ufficialmente stranieri. Nulla di difficile, è solo la presa d’atto di una condizione esistente. Privi di un’Itaca a cui tendere, possiamo abitare nell’ Isola- che-non-c’è, la Neverland di Peter Pan, senza il dolore per il mancato ritorno, poiché questo è il significato di nostalgia, una ferita interiore che diventa dolore fisico. Probabilmente il guaio è stato crescere, il paese che amavamo non sarà mai esistito: da stranieri, ci sentiamo già meglio. In fondo Itaca è piccola, sassosa, i Proci hanno le loro ragioni, Penelope è invecchiata, l’isoletta la può amare solo chi non ha visto nulla del mondo. Con il trolley alla mano e Google Maps sullo schermo dello smartphone, torna il sorriso.
Diceva una vecchia canzone romana che “basta ‘a salute e un par de scarpe nove, poi girà tutto er monno “. Non importerà più la tua terra sfregiata, la tua lingua messa da parte a favore di un indigeribile grugnito anglofono, chi se ne frega se il sindaco di una città ligure difende a norma di costituzione le bestemmie pronunciate da “artisti” in uno spettacolo pagato dal municipio – il titolo è Gogol Bordello – non facciamo una piega se l’esame medico urgente è tra otto mesi, nostro figlio guadagna cinquecento euro nonostante la laurea, certi stranieri stuprano le donne ma il signor presidente si scomoda solo per raccomandare accoglienza e indignarsi contro i suoi ( suoi?) concittadini.
RispondiEliminaMa no, meglio così, sta parlando in nostro favore, siamo stranieri, finalmente qualcosa che ci piace. Chissà, abbiamo ritrovato un’Itaca di ricambio. E’ bastato uscire da noi stessi, non sentirsi più quelli che eravamo. Facile transitur ad plures, è facile passare alla maggioranza, avvertiva Seneca nelle lettere a Lucilio. Che razzista quella signora indignata per la presenza di una folla africana, che stupidi coloro che deprecano l’indifferenza religiosa, il consumismo, la dissoluzione dei legami familiari e comunitari, l’opportunismo e il tornaconto sovrani. Siamo liberi, ci siamo liberati. Da stranieri stiamo proprio bene, adesso basta con questi termini antiquati. Non ci sono stranieri, né frontiere, né differenze. Itaca non è mai esistita e se c’è fa schifo, i diritti devono essere estesi, i doveri aboliti. Amo il paese dove posso fare ciò che mi pare, il resto sono chiacchiere da vecchi parrucconi. Incubo di una notte di mezza estate.
Posso commentare l’articolo di Pecchioli col titolo di un mio vecchio post: Straniero in terra straniera.
EliminaE che dire dei nonni tecnologici? Sono circondata da conoscenti mamme e nonne che invece di mostrare i progressi dei loro figli o nipoti nell'album o almeno in quel blocchetto di fotografie cartacee che si sfogliano con il cellophane tra l'una e l'altra per non sciuparle, impugnano lo smartphone e mi tediano col ditino che passa sulle icone. Il dito fa i capricci e le immagini non scorrono. Oppure non si vede un accidenti perché la luce del sole ne impedisce la visibilità. "Uh che carino! Ma che bello!" mi tocca mentire ipocritamente, pur non avendo visto niente. E allora azzardo: "Perché non ne fai un album cartaceo?".
RispondiEliminaAlceste, quanto hai ragione! "Il digitale non sostituisce, distrugge e basta". Fa parte di quell'universo "liquido" alla Bauman. Ogni immagine si dissolve e si liquefa in quella successiva.
Per quanto possa sembrare incredibile anche la burocrazia delle scartoffie era migliore del digitale. Questo, infatti, serve solo per controllare, mai per rendere migliore il rapporto con le istituzioni.
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RispondiEliminaAd epitaffio della scaramuccia e conseguente ritirata strategica a tema "sublime balletto", cito l'inarrivabile Marchese del Grillo: "...Perche' Io so Io, e voi non siete un cazzo!"
RispondiEliminaCetto Laqualunque avrebbe da dire parimenti la sua, ma meglio di no.
Un caro saluto a tutti, soprattutto a Michelangelo B ed Alceste.
Anonimo di nome R
A epitaffio dico che o fai parte di una consorteria o sei solo - privo di famiglia cose affetti - e senza nulla da perdere. Se sei nel mezzo meglio lasciar perdere tanto più che non ho voglia di rogne che altri dovrebbero sbrigare. Comunque il post non l'ho cancellato io.
EliminaCiao Alceste,
RispondiEliminahai fatto bene come hai fatto. Che poi non l'hai cancellato tu, ma comunque hanno raggiunto l'obiettivo voluto e quindi direi che contenti loro,...
E noi abbiamo la conferma di quel che e' divenuta la nostra societa'. Non e' amnesso alcun dissenso, neanche quando e' una semplice opinione personale su una cosa di (ir) rilevanza pubblica - notiziola apparsa e scomparsa come tutto il digitale appunto. Mirano all'autocensura e al group thinking. In Italia restavano molte sacche di pensiero indipendente data la scarsa omologazione dei cittadini, a differenza dei paesi nordici ad esempio, dove le esistenze sono molto piu' schematizzate e lobotomizzate. Ora stanno calcando il polso per adeguare l'Italia agli altri paesi europei piu' evoluti.
Io, vorrei chiederti di inserire analogamente a quanto hai fatto per il '900, un riquadro con i testi medievali che consiglieresti ai tuoi lettori (non solo cantari di crociata!?). Se ti va. Per il 900 consiglio Apocalisse, di H.Lawrence. un testo contraddittorio perciò umano e toccante. Quando era bambino, racconta, provava ribrezzo, per i versetti apocalittici, come se non ci entrassero nulla, con la nobiltà d'animo del nuovo testamento. Un'oscena volontà di potenza, che non poteva avere un portato morale. Eppure nelle case dei minatori, che quei versetti amavano leggere, regnava un'aria aristocratica, e segreta
RispondiEliminaH.D.Lawrence, sorry
RispondiEliminaUltimamente leggo solo testi che riguardano la Tradizione e l'Apocalisse. Tradizione ed Apocalisse ritornano molto simili in tutte le culture antiche.
RispondiEliminaForse Lawrence ha voluto dirci qualcosa a riguardo. Minatori? Aristocrazia? Segreto?
Leggero' il libro. Grazie per il consiglio.
Per il resto, cio' che andava detto e' stato detto. Un caro saluto a tutti.
Anonimo di nome R
Bene! Io non sono un gran che come lettrice, uno ogni era geologica, ma quel libro mi ha dato il giusto passo in un periodo di casini ospedalieri, che mi facevano scoppiare la testa. Mettendo mano al decalogo di Alceste prima ho provato Il mondo sommerso ma sarà stata la stagione poco adatta, l'ho lasciato in una sala d'attesa...ora provo con Il disperato il titolo mi fa sentire di casa. Saluti a tutti, ciao, prima di partire
EliminaScusa Alceste, una domanda tecnica. Che fine ha fatto l'ultimo articolo da te pubblicato?
RispondiEliminaL'ho trovato illuminante ma ora sembra rimosso. C'è la possibilità di ripubblicarlo?
https://youtu.be/-3tCRJi5peU
RispondiEliminaAlceste, sono ancora abbastanza scosso dall'accaduto, ma veramente è possibile oggi che un sedicente artistucolo quereli un critico del proprio lavoro appellandosi alla legge Mancino o alle norme sul copyright? Il tutto è avvenuto tra "anonimi" come nella migliore tradizione delatoria. Mi riprenderò a fatica. Intanto ti offro la mia solidarietà. Un saluto.
RispondiEliminaChi ha cancellato l'articolo precedente? Finirà che non potremo nemmeno più leggere Alceste perché lo ha deciso il regime PolCor, questi dispensatori del nulla che non fanno altro che intossicare le esistenze altrui (e poi, in ogni ambito, ti dicono "cosa vuoi saperne tu"). Commento per non sfasciare la caffettiera dal nervoso, perché viviamo in tempi sempre più bui. Quello che scrivi, anche in questo articolo, l'ho sempre pensato anch'io, sebbene non abbia vissuto gli anni '70-'80 (ma anche solo 10 anni fa le cose erano diverse: c'era il rincoglionimento televisivo, ma quando si era in strada non si compulsava ossessivamente il pezzo di silicio chiamato "smartofono", che ancora non si era diffuso). Comunque spero che il blog possa continuare, perché si tratta di uno dei pochi angoli di questo "luogo" dove si respira ancora un poco di italica umanità.
RispondiEliminaIl post non c’é più perche sotto minaccia di denuncia (la segnalazione per odio e incitamento alla violenza pare ci sia stata). La soluzione migliore, in questo momento. Occorre salvaguardare tutti, anche i commentatori: una denuncia eventuale e una grana e ora non ho tempo e voglia di affrontarla. Mi era già capitato prima, capiterà ancora.
RispondiEliminaHo scoperto da poco questo blog e sto leggendo tutti i post pubblicati nei mesi precedenti, posso dire di condividere il percorso di Alceste dagli antichi riflessi di “ rosso antico “ attraverso la presa di coscienza della ferrea disciplina imposta dal potere globalista fino all’odierna imposizione urbi et orbi dell’ idiozia PolCor. Mi auguro che non ci sia nessuna chiusura e che il padrone di casa possa continuare a lacerare con qualche lampo il buio del nostro attuale conformismo. Forza e coraggio. Antonio
RispondiEliminaPer Antonio: Non sei il primo che mi fa notare la mia escalation ... Animo, allora!
RispondiEliminaGentile Alceste, per mia fortuna ho preso l'abitudine di stampare gli articoli (con annessi commenti dei lettori) che mi interessano e mi emozionano come i suoi e potermeli leggere e rileggere tranquillamente infischiandomene delle censure e della del digitale. Un caro saluto
RispondiEliminaBene, grazie.
EliminaAnimo e disciplina! Riflettendo, meglio non mostrare il fianco! Per il resto, il popolo italiano non si beve piu' le fregnacce di questi ridicoli individui inutili. Un caro saluto a tutti e ad maiora! Anonimo di nome R
RispondiEliminaImpossibile dire quale sia la strada migliore ... cosa fatta capo ha ...
Eliminahttps://www.maurizioblondet.it/germania-ordoliberista-fino-al-suicidio-della-civilta/
RispondiEliminaUn bell'articolo di Blondet che fa luce su dove i dirigenti tedeschi stiano portando la Germania. Dopo ovviamente aver distrutto la Grecia e provare in tutti i modi a distruggere economicamente l'Italia e l'Europa intera.
Un caro saluto a tutti, specialmente a frau Mutti e a tutti i politici e dirigenti che hanno permesso o attuato il saccheggio economico culturale dell'Italia. Anonimo di nome R
Io penso che i luoghi cosiddetti turistici siano lo specchio della decadenza umana, attrazioni musei castelli: "e dico, sei andato a xxx e neanche un museo ti sei visto?" Ma esattamente cosa fai nel museo? Ci sono andato recentemente un.castello e un palazzo, proprio per non essere sempre fuori da tutto cio...dico solo che c'era una tizia che la prima cosa che faceva, la prima, appena entrava in una stanza con affreschi arazzi etc. cosa era? Puntava lo smartphone: pa! Poi casomai si guarda qualcosa...ma che senso ha salire su un castello medioevale scansando gente che si fa i selfie? Ha alcun senso, di fatto? Due turiste a roma si sono appiccicate a trevi perdio...per il selfie...
RispondiEliminaHai ragione Sitka, quando ho visitato il museo dei Bronzi di Riace di Reggio Calabria, era pieno di ragazzine che non facevano altro che selfie, la cosa è demoralizzante (da altre parti per fortuna è vietato fotografare). Lo diceva anche Gaber: "la cultura per le masse è un'idiozia, la fila coi panini davanti ai musei mi fa maliconia".
RispondiEliminaE all'epoca sua non c'erano gli smartphone...forse mi giustifica un po' perché questo tipo di turismo non mi ha mai attratto...selfie o meno...so che in Spagna per vedere alcune grotte paleolitiche devi: aspettare un giorno x, prenotare, andare in loco, aspettare che estraggano a sorte quattro nomi putacaso fra quaranta presenti e poi se sei fra i fortunati andare, senno a casa...giusto cosi, li si vede se ti interessa davvero...eh ne aveva intuite parecchie di cose il buon Gaber...vero artista indipendente.
Eliminahttps://www.repubblica.it/tecnologia/sicurezza/2018/08/20/news/quegli_oggetti_smart_spioni_sanno_tutto_di_noi-204524005/
RispondiEliminaIl digitale? Ecco a cosa serve! Anonimo di nome R
Caro Alceste, anche grazie a questo scritto e a cio' che mi ha ricordato, ho tirato fuori i miei vecchi e meravigliosi arnesi fotografici a pellicola: Hasselblad, Leica e Fuji. Pellicole vecchie di piu' di 10 anni: chi se ne frega! La sera del mio compleanno ho festeggiato alla vecchia maniera: una sessione fotografica "hot" con il mio folle e selvatico amore. Dopo oltre dieci anni ho riassaporato l'emozione di scattare calcolando la luce, il campo focale, il diaframma, il tempo di posa. Valutare la sensibilita' della pellicola ed il suo inevitabile degrado negli anni. Scegliere la macchina ed il tipo di obbiettivo. Il luogo, il "come". Ed ho riassaporato il gusto e la tensione nel progettare l'evento, preparando il campo mentale della amata femmina/modella, donna matura e bella, lei inconsapevole fino all'ultimo del mio ribaldo progetto, a cui acconsenti' con grazia e spontaneita', come fece in precedenza piu' di dieci anni fa (ci siamo reincontrati dopo anni di distacco e reciproche peripezie amorose gargantuesche). Ho preparato l'evento aiutandomi con un bel libro fotografico di Nobyoshi Araki, sfogliato durante una gustosa cena accompagnata da buon vino e riflessioni, per nulla femministe e polcor, sul rapporto (naturale e sano) di dominio e sottomissione tra uomo e donna, fotografo e modella/paesaggio erotico o non. Durante il rito, mi sono immerso nell'azione quasi sacrale, dove una donna si dona perche' della sua bellezza, che e' sempre interiore, rimanga traccia. I rullini sono li, impressi. Li portero' dal mio sviluppatore di fiducia, se esiste ancora, e vedro' il risultato fra qualche giorno. Un po come era nel tempo dell'adolescenza scrivere una lettera d'amore e trepidare non sapendo, se non dopo qualche tempo, l'effetto sull'amata. Fotografare con apparecchi a pellicola, meglio se manuali, ti riporta alla bellezza e all'inesorabilita' del tempo. Al trepidare perche' saprai solo dopo giorni se il risultato dei tuoi scatti e delle tue scelte e' stato corretto, giusto. E' qualcosa che appartiene realmente a te e a colei/coloro che hai ritratto. E allo stesso tempo e' indipendente. La fotografia tradizionale ti riporta all'azione, che richiede un progetto, un lavoro. Cioe' fatica. Riprendo a fotografare. Ve lo consiglio. E' un'arte quasi monacale, per nulla semplice, che sta scomparendo nel fiume del tutto e subito cioe' niente.
RispondiEliminaI veri grandi fotografi sono pochi. Meno che i grandi pittori.
Un caro saluto a tutti.
Anonimo di nome R
Ciò che è importante sta nella ritualità che rende difficile l’atto tramite una precisa gerarchia. Le cose facili svaporano. Per assurdo, dopo ore di preparazione, potrebbe non farsi la foto ... questo vale per ogni cosa, anche per i corteggiamenti ... ciò che esige una liturgia sarà più apprezzato.
EliminaVerissimo. E' la liturgia che conta.
EliminaUn caro saluto.
R
Torno su quest'argomento perche', a ben pensarci, nasconde molte piu' sfaccettature di quanto sembri di primo acchito. Perche' imparare a fotografare con vecchi arnesi e pellicola? Perche' la pratica di questa arte, soprattutto se realizzata con macchine manuali e con obbiettivi intercambiabili (dal superzoom al tele passando per le varie focali), educa alla visione. Educa alla composizione dell'immagine. Inoltre insegna come funzionano gli obbiettivi fotografici e come questi distorcano (o rispettino) l'area inquadrata. La visione e' il nostro senso piu' sviluppato, ed e' cosi' naturale che non ci facciamo caso al miracolo della visione. Non conosciamo ne come funziona il nostro occhio e tantomeno non sappiamo come funzionano le ottiche che normalmente usano i fotografi e i cineoperatori che lavorano per giornali e televisioni. Inoltre ultimamente assistiamo all'uso "a senso unico", soprattutto negli sport estremi, della telecamera "Gopro", che, tecnicamente parlando, e' un grandangolo molto spinto in grado di riprendere una porzione molto ampia del campo visivo. In conseguenza di cio' distorge, curvando le linee. Et voila': PER MAGIA L'ORIZZONTE TERRESTRE DIVENTA CURVO... IL GLOBO... LA GLOBALIZZAZIONE... Come ti ficco l'idea del globo in testa? Con l'eliminare la possibilita' di giocare con le focali (il gioco e' l'anticamera della guerra), e dando all'umanita' ludicamente dedita all'uso dei soli bicipiti, un'unica focale: LA FOCALE "GLOBALE". Se poi complichiamo il giochetto ed introduciamo il digitale ed i software per modificare o ricreare da zero un'immagine o un video CHE SEMBRANO REALI, MA CHE INVECE SONO TOTALMENTE O PARZIALMENTE ARTEFATTI, allora il gioco e' fatto: l'umanita' ignorante anche del suo senso primario e' totalmente buggerata. Quindi fottuta! Sapete voi riconoscere le immagini false o modificate o riprese ad arte che giornali, televisione e internet vi propinano quotidianamente? Come pensate di raggiungere una mera comprensione della realta' che si estende al di la del vostro campo visivo, se non sapete niente di... fotografia?
RispondiEliminaUn caro saluto all'animaccia nera di Stankey Kubrik, il piu' gran falsario della storia! Ed anche il regista piu' grande, oltre che gran conoscitore di obbiettivi e focali...
Anonimo di nome R
Kubrick, un altro genio imperscrutabile, come Bob Dylan.
EliminaPiccolo haiku dai sito "Ama no gawa"
RispondiEliminaMani si stringe
sopra affetti sbiaditi
Strati di tempo.
Di quell'attimo amato
vivi ancora il colore.
Etain