14 maggio 2017

Qualche considerazione sulle elezioni regionali (2015)


Pubblicato su Pauperclass il 2 giugno 2015
 
Poco si muove sul fronte meridionale dell’Impero, la trincea più bersagliata. Le vettovaglie latitano, il morale è basso, i comandanti palesemente inetti, e persi in un corrotto sadismo, eppure la truppa ancora dà pochi segni di vero malcontento. Si limita a borbottare. Le linee, apparentemente, tengono.
Le ultime elezioni regionali consegnano questo quadro.
Proverò a esporre al garbo delle vostre critiche alcune personali considerazioni
Una di queste, però, l’ultima che vi dirò, mi piacerebbe vederla approfondita in sede di controinformazione.

La torta della democrazia
 
Questa è quasi una legge. Statistica storica sociale o psicologica non so.
Al decrescere dell'affluenza i rapporti fra le varie componenti dell'elettorato rimangono sostanzialmente stabili. Voto libero, clientelare, e fideistico (tradizionale o di appartenenza) tendono a rimanere in rapporti costanti fra di loro.
Che la torta democratica sia di venti fette, o dieci, o quattro, o composta da poche briciole, le dosi degli ingredienti di tali fette o briciole saranno in rapporto costante fra loro.
Una volta si credeva che una bassa percentuale di votanti favorisse il voto dei clientes a danno di quello libero. Forse lo credono anche nelle secrete stanze: infatti hanno piazzato le votazioni durante un ponte vacanziero sterminato. Ma gli elettori italiani si son portati avanti, evidentemente.
Una maggiore affluenza, insomma, avrebbe portato a percentuali non dissimili da queste.
 
Voto clientelare. I partiti maggiori (tra cui, in parte, la Lega) hanno cannibalizzato le riserve di caccia democristiane e del pentapartito. Il PD può, inoltre, contare sui residui clientelari dell'apparato comunista (sindacati, soprattutto). 30% circa dei votanti.
 
Voto fideistico. Il voto fideistico, tradizionale è ancora forte, specie nelle fasce anziane. I media lo preservano quale reliquia preziosissima: chi vota a destra lo fa per dar contro alla sinistra e viceversa. Ogni depositario di tale sentimento è adeguatamente aizzato dai media di competenza. A destra esiste uno spauracchio guareschiano dei comunisti; a sinistra si teme la destra razzista e fascista. Un votante fideistico (un piddino, ad esempio) si vanta del fatto che su venti regioni quindici siano ‘rosse’: e si rallegra della cartina italica imbellettata di tale colore; un votante fideistico di destra gode nel vedere ‘asfaltata’ la Ladyfake veneta, Alessandra Moretti. E così via. 40% circa dei votanti.
 
Il voto libero. Riguarda al massimo un 30% di votanti. È intercettato da Lega, 5S e formazioni pulviscolari dell’estrema destra e sinistra.

Chi ha vinto
 
Nessuno, solo il sistema. La trincea ha tenuto, la truppa ancora obbedisce.
Buona la conferma dei 5S alle amministrative, elezioni di solito chiuse. Bene la Lega. Entrambi i successi rimarranno sterili però o, nel caso della Lega, sublimeranno nella pura amministrazione del potere.
Il PD non ha perso, ma si è sgonfiato assai.
Forse dovremmo dire: il renzismo si è sgonfiato, il PD ha tenuto.
La sconfitta psicologica del renzismo, coi suoi toni gradassi, non impensierisce il sistema, però. Morto un Quisling se ne fa un altro. Il PD (non Renzi), dal canto suo, ha pronte altre fresche truppe cammellate: quelle di Cofferati e dintorni; in attesa dell'altro finto innovatore Landini (chez Civati).
Da questo punto di vista la Liguria è davvero un laboratorio politico.

Laboratorio Liguria
 
La vittoria di Toti mette al sicuro gli affari dei soliti noti.
L'insopportabile Paita segue a ruota, però. Il voto clientelare e tradizionale la innalza ancora al 30%, una percentuale di tutto rispetto.
All'eventuale ingovernabilità verrà posto fine con un nuovo mini patto del Nazareno (più o meno occulto). Gli affari, come detto, devono continuare. Per affari intendo la persistente rapallizzazione della Liguria. ‘Rapallizzazione’ fu neologismo coniato per indicare la selvaggia devastazione ambientale della città di Rapallo, presso Genova. 
Paita è una insigne rapallizzatrice. E Toti anche, seppur di riflesso (Scajola, come il fantasma di Banquo, occhieggia dalle retrovie)
[En passant: la rapallizzazione del territorio ligure è al centro di un misconosciuto capolavoro di Italo Calvino, La speculazione edilizia, ambientato, come nota lo scrittore, “in un clima di bassa marea morale”. Leggetelo e capirete cosa intendo per ‘mondo degli affari’].
Il risultato dei 5S è, come detto, buono, ma non ottimo, come lasciavano presagire gli exit poll, regolarmente smentiti a favore dei partiti rapallizzanti. I 5S opereranno una opposizione dura, seppur la narcosi indotta dell'informazione rapallizzante (quella locale è, forse, peggiore dei Ballarò e degli Otto e Mezzo mainstream) li ridurrà come al solito, al silenzio; o meglio: alla pittura d’essi come macchiette urlanti in calzoni corti, irresponsabili, mentre i partiti maggiori, in calzoni lunghi, pensano, da bravi adulti, a mandare avanti la baracca. 
Il risultato di Pastorino è il vero asso nella manica del potere. Esso intercetta i salmoni del voto libero che cercavano di risalire la corrente renziana: delusi, tradizionalisti di sinistra e quant’altro. L’operazione ordita dal Cinese li ha irretiti di nuovo; il solito trucco: a Landini, Cofferati e ai piddini fintamente all’opposizione basta passare all’incasso: una nuova formazione politica vedrà la luce nei prossimi mesi: darà la sensazione dell’alternativa, poi farà confluire i voti, come sempre, presso la mefitica sorgente principale, il PD. In che modo avverrà tutto questo è impossibile da dire; il potere opera con piccoli aggiustamenti di rotta, finte, scatti in avanti improvvisi, falsi arretramenti, attento agli umori del momento e ai sondaggi; non solo, ma opera spesso con personaggi in buona fede. L’importante è il risultato finale: le strade per arrivarci sono molteplici; alcune, apparentemente, lodevoli.
Le vie dell’inferno (e di Pastorino), infatti, sono lastricate di buone intenzioni.

È finita 5 a 2?
No, è finita 5-2-0.
Lo zero è il nostro bottino.

I prossimi mesi
 
A meno di uno shock esterno (default Grecia, guerre nel Mediterraneo, attentati) nei prossimi mesi assisteremo al consueto teatro dei pupi. Il risultato è ormai dato: si dovranno al massimo sistemare gli affari nei vari ambiti regionali. Questo avverrà in ombra, tuttavia. Alla luce il teatro dei pupi regalerà il consueto canovaccio: minoranza PD che sbraita per finta, il caso De Luca, resurrezione berlusconide, gli addominali di Salvini, i moniti alla coesione di tal Mattarella et cetera
Il cicaleccio assorderà le stelle, sin alla fine di giugno, almeno; poi, complice l’aria tiepida e invitante, le voci si spegneranno. Le vacanze son dietro l’angolo.

Meglio il non voto?
 
Come si è notato il non voto ha impatto numerico quasi zero sul sistema. E impatto assolutamente zero dal punto di vista ideologico.
Forse in alcune aree degradate del sud esso favorisce addirittura il sistema.
In ogni caso queste sono le regole: il potere va a rappresentanti eletti durante le elezioni – elezioni definite dalle leggi dello Stato votate nei vari parlamenti, locali e nazionali.
Inutile esibire primiera e settebello quando si gioca a briscola.

Ma quale rivoluzione!
 
Alternative al voto e al non voto? E quali? La rivoluzione? La lotta clandestina armata?
Forse, in alcuni casi, sarebbero auspicabili, ma non ora; non in Italia.
Inutile berciare.
Il materiale umano è quello che è. Guardiamoci allo specchio. Non possediamo il know how dei rivoluzionari; al massimo siamo come il Paolo Mieli d’antan: champagne e molotov. 
Di recente sono stato a un matrimonio; alcuni invitati erano preoccupati: il nodo della cravatta necessitava, infatti, di cognizioni e sapienze antiche che non possedevano più.
Siamo a questi livelli.
Lo si ammetta, non sappiamo fare niente: sparare, uccidere, avvelenare, sgozzare animali, leggere una mappa, camuffarci, falsificare un documento, rapinare tabaccherie, accendere un fuoco, sopportare le privazioni estreme e il dolore; non abbiamo neanche la folle perseveranza, l’unica virtù degna del rivoluzionario: la perseveranza di ottenere il fine a qualsiasi costo, anche a costo di se stessi. Gli ideali li abbandoniamo come balocchi, dopo pochi minuti, come infanti molli e viziati, alla prima contrarietà.
C’è poco da rivoluzionare.

Cosa si può fare?
 
Sostenere le formazioni e i movimenti più urticanti per il sistema (non necessariamente le entità che siedono in Parlamento); informare sempre e comunque. Altro non si può fare. 
Sperare in qualche liberatore internazionale, forse. O in qualche evento non pronosticabile che accenda una forza psicologica ribelle sepolta nell’anima del popolo. Una sorta d’imponderabile mutazione genetica, un incidente di percorso.
La speranza, però, è la prerogativa degli schiavi peggiori.

Cosa sono le elezioni?
 
Ecco, questa è una domanda che mi faccio spesso.
Non ho mai trovato riscontri puntuali sull’argomento; su nessun sito di controinformazione, neanche di sfuggita.
Cosa sono, tecnicamente, le elezioni?
Chi ‘produce’ le percentuali, insomma? Come funziona un seggio? Chi sceglie gli individui al seggio? C’è ricambio per gli individui al seggio? Come funziona tale ricambio? E, soprattutto: funziona? Come si contano le schede? Come si invalidano le schede? Come si comunicano i numeri al Viminale? E cosa fa il Viminale? Dove? Chi opera al Ministero? Quale il numero degli impiegati? Quali sono i loro nomi? E quali sono i nomi dei dirigenti che sovraintendono alle varie operazioni di conta? Chi vigila sul passaggio fra cartaceo e digitale? E, ancora: una volta sul digitale, tali numeri sono suscettibili di ulteriori vagli? Da parte di chi? In finale: i numeri che vediamo in TV quanti passaggi gnostici hanno avuto dal momento che la matita copiativa ha vergato la croce fatale?
Tanto per sapere.

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