Roma, 22 luglio 2019
La
maggior colpa dei buonisti? Aver svuotato di ogni bontà, vera, i cuori degli
Italiani.
Essere
sistematicamente buoni prepara al ritorno di fiamma della malvagità.
E
qui per bontà non si intende la facilità, spesso patologica, all’altruismo. No.
Significa, invece, un a precisa strategia di annientamento dell’Antico Ordine.
Essere buoni, sempre, a onta della razionalità e persino del buon senso
spicciolo non fa che esacerbare l’animo. Essere buoni e giudicare, sempre e
comunque, al di là dell’evidenza, giudicare come reazionari e sporchi razzisti
i propri stessi concittadini, naturalmetne legati dal sangue e dagli usi, non
pùò che generare odio.
L’odio.
L’ingiustizia
genera odio.
Tutto questo, lo riconosco, ha un retroterra antropologico ben preciso.
Tutto questo, lo riconosco, ha un retroterra antropologico ben preciso.
Il
popolo nel popolo di memoria comunista.
Noi
comunisti siamo un popolo, si diceva, un popolo (comunista) nel popolo (quello
italiano). E il popolo comunista costituiva la parte migliore della nazione. Lo
disse anche Pasolini, forse addirittura credendoci. Ciò che era al di fuori del
popolo comunista, ovvero il popolo italiano, poteva essere disprezzato. Al di
fuori del popolo comunista c’erano i forchettoni della DC, i fascisti, i preti,
i clientelisti, gli evasori fiscali, i palazzinari. Ciò fu vero, in parte; rispondeva
a verità, peraltro, che il popolo comunista fosse esiliato in patria (la
conventio ad escludendum) e trattato, come allora conveniva, quale consesso di
traditori internazionali.