Roma, 25 giugno 2020
Adesso
la controinformazione si è accorta della corsa alla distruzione dei simboli
dell'Occidente.
Se
ne accorge poiché gli eventi precipitano con una violenza iconoclasta mai vista
prima. La furia in essere ricorda i perversi polimorfi per cui nulla deve
frapporsi tra il sacco di carne di cui sono detentori e un supposto piacere. Le
combinazioni concettuali più bislacche, le più gratuite illazioni, i giudizi
più stupidamente avventati, l'arroganza che deriva da una crassa supponenza –
tutto ciò si sussegue come una tempesta d'inesauribile forza che solo può
placarsi con la rovina completa di noi stessi, dell'Italia, dell'Europa.
Gli
attori di tale godimento dissolutorio, lo ricordiamo, non sono niente. Possiamo
catalogarli come polveri da crollo. Ma il crollo fu originato da altri
cedimenti strutturali, equivocati quali progresso. E pulviscolo è anche la
controinformazione, purtroppo, poiché non riesce minimamente ad affrancarsi
dall'attualità, dal trito fatto, essendogli negato il privilegio di
un'ideologia larga e peculiare. Il distillato di una visione alta: il
"saper vivere", in ultima analisi, che corrisponde a un vivere
alternativo, cioè a un'etica intransigente.
Inutile,
insomma, ordire traballanti requisitorie o larghi fogli excel, scientificamente
probanti, se poi, la sera, si gioca a Lara Croft o si ordina da Glovo e
Deliveroo per allietare la partita di calcio o di basket tarocche prenotate
(con carta di debito) presso Dazn o Sky.
Ciò
che mi stupisce di questi tempi è l'infrollimento generale. La mancanza
assoluta di spirito di sacrificio, a esempio. Il Covid, da tal punto di vista,
è stata una manna per tali ciabattoni della volontà. Ogni minimo impegno umano
viene avvertito come una minaccia alla tranquillità della propria esistenza,
così fittamente articolata in una serie di inderogabili scadenze. "Ho da fare", "proprio non posso", "mi piacerebbe, ma" sono le nenie
più in uso da questi mollaccioni la cui unica mira, par di capire, l'unico
scopo sulla terra, consiste nel passare dalla poltrona alla sedia a sdraio: a
ristorare chissà quali forze dato che la loro intera esistenza si basa su
sciocchezzuole, appuntamenti, incontri e lavoricchi sempre più angusti e umilianti.
Ma, per carità, proprio non possono.
C
ome
O
rganizzare
V
acanze
I
nterminabilmente
D
olci
Il
prete scende verso le sue pecore, tra i banchi, pecore disunite come mai
furono. Uno o due a banco, al massimo, per non trasmettere il virus, secondo
una disposizione sancita da una segnaletica da ufficio postale.
L'acquasantiera, questo manufatto che mi vide in prima linea con sbocchi d'ira
incomprensibili dai più, sono state finalmente obliterate da inderogabili
erogatori di disinfettante all'alcool. L'acquasantiera: litigate, protervie
verbali, combattimenti con preti d'ogni risma. "L'acquasantiera non può essere di plastica! Non può trovarsi secca! Non
potete mettere un recipiente per conservare le melanzane in frigo dentro una
vasca di pietra!".
Bei
tempi, si pensava di invertire il corso delle cose, ma il corso delle cose mai
s'inverte; a meno di non creare nuove cause, nuovi simboli, suggestioni
metafisiche. Il prete scivola tra i banchi, consegna particole, poi ciabatta
verso l'altare. Sotto la tonaca s'indovinano le scarpe da ginnastica, Diadora,
un po' scalcagnate.
Quando
mi prese il ticchio di leggere biglinate, tanti anni fa, dai Dogon alle
piramidi, m'imbattevo spesso nella profezia di San Malachia sull'ultimo papa.
Secondo accorte ricostruzioni, Giovanni Paolo II sarebbe stato il terz'ultimo
Pontefice; Benedetto il predecessore dell'ultimo, l’estremo difensore della
fede. Allora pareva una scemenzuola buttata lì; oggi, a bergogliare gli
accadimenti, sembra una probabilità di buon peso. La Chiesa, di fatto, è sciolta.
Chiunque avverte, a pelle, come gli attacchi più deliranti (vietare il San
Michele poiché ricorda Chauvin mentre atterra Floyd; in tal caso, a lume di logica,
Floyd personificherebbe Satana) possano avere una benedizione presso il Tevere.
Vietare Michele? Perché no? Se spiace a Black Lives Matter ... E poi: abbiamo
così tante colpe: Colombo, Cortez ... i roghi di Salem, povere streghe ...
giusto pagare ... non in moneta bensì in Storia ...
Leggo
che si vorrebbe dipingere Black Lives Matter anche in Italia, a caratteri
cubitali ... a Roma, Firenze, Napoli ... Non me la prendo con quell'ammasso di
peli e fonemi da bar che ha proposto tale scemenza ... e nemmeno col prete con
le Diadora, altra vittima della deculturazione fatta con diserbanti vietnamiti.
La
strada per l'inferno non è lastricata di buone intenzioni, ma di continue
concessioni all'informale.
L'informale,
il senza forma. Dimenticarsi di alzare una bandiera, presentarsi con la barba
incolta al commissariato, discutere di diritto commerciale coi jeans sdruciti,
quante minuscole concessioni all'informale stanno deflagrando oggi. Antiche
istituzioni, una volta seriose e compassate, degenerano in comunità hippie. La
disinvoltura, però, non si traduce in maggiore efficienza bensì nell'estinzione
dell'efficienza, in ogni ambito.
C
erti d'
O
norare il
V
ibrione
I
ndolenti
D
ormiamo
L'informale
vanta questo pregio agli occhi del potere: rende plasmabile ogni cosa.
Ogni
capriccio è consentito, persino una pagina facebook dedicata alle bestemmie.
Non
vorrei ingenerare equivoci facendomi passare per beghino. Ciò che vorrei
sommessamente significare è che le mura di una chiesa difendono persino gli
infedeli. Capisco, però, che è dura accettare un sillogismo che vanta centinaia
di premesse.
A
vedere il muso anonimo e ottuso d'un Sardino qualunque si ha l'impressione
d'una perdita talmente irrimediabile da ingenerare orrore. Qui si è in presenza
di un'assenza capitale: la personalità. Ragioniamo. Certamente un Sardino
rileva quale somma di funzioni fisiologiche: mangia, beve, defeca e minge.
Queste poche azioni sono le uniche che, è solo un esempio, condivide pienamente
col sottoscritto. Concediamogli pure una manciata di fornicazioni con regolare
versamento di umori. I due insiemi (io e il Sardino) sono ancora blandamente
sovrapponibili benché, mi tocca ammetterlo, crepi la modestia, in certi atti
sommenzionati mantengo una gravitas raramente raggiungibile da tali esserini. E
il resto? Cosa hanno in comune con me? Piaccio a pochissimi, ma nessuno può
dirmi ch'io sia un plagiario o un tipo suggestionabile o accomodante o
concessivo. Ho una mia propria personalità, ricca di convinzioni, forte di un
retaggio antico; una proprietà definita dell'umano che mi distingue anche da
animi affini. E questo avviene non perché sia stato educato bene o sia
deferente a una ideologia precisa. No, sono portato a credere che tale
indipendenza derivi da alcuni libri letti, e poi riletti, libri decisivi, cui
si sono accompagnate esperienze inevitabilmente decisive nel formare un
carattere che è così e non potrà mai essere altrimenti. Il Sardino, invece,
nella versione col cerchietto o senza, è un assemblaggio di dati posticci che, assieme,
fingono una personalità: creduta tale
sol perché l’accozzaglia suona in concordia col vento dei Tempi. In realtà se
un dio maligno gli dicesse: "Vi
abbiamo mentito, è tutta una farsa" questa gente sparirebbe,
improvvisamente, inghiottita dal caveo nulla che è proliferato in luogo
dell'anima. Abituati a ripetere: "Portobello!",
ogni giorno, ossessivamente, essi, senza il riferimento del Potere che quel
grido chioccio ("Portobello!")
giustifica interminabilmente, ammutolirebbero all'istante rimanendogli estranei
quei luoghi comuni di cui sono composti quali frankenstein postmoderni.
È
raggelante, poi, la cesura col passato. Lasciamo stare i Maggiori, da Giotto a
Gadda, da Leon Battista Alberti a Galileo, da Marco Polo a Torricelli. A un
Cristian Raimo qualsiasi dicono poco pure Fellini e Alberto Sordi. Questa la
tragedia. Si eclissa un mondo, nella sua interezza. Personalmente, come uomo
nel guado, con un piede piantato nello ieri e l'altro nel presente eterno,
ricordo con vividezza come Fellini, Truffaut o Bergman fossero popolari. In
questo senso: c'era una larga fetta di Italiani che il sabato o la domenica decidevano,
dopo la compulsazione del giornale locale acquistato in edicola, di spendere
qualche migliaio di lire per andare al cinema. A vedere Totò e Milian, fra gli
altri, ma anche I quattrocento colpi
o La dolce vita, campione d'incassi.
Oggi cosa sarebbe d'un film, cito a caso, come Il fascino della borghesia, L’infanzia
di Ivan o Nashville? Ma questo è
ancora poco. Prendiamo l'attore italiano in cui convive la popolarità, la
denuncia sociale e una irresistibile cialtroneria: Alberto Sordi. Cosa
sopravvive di lui, oggi, a diciassette anni dalla morte? Ben poco.
Nessuna sa degnamente celebrarlo per il fatto, lapalissiano, che pochissimi ne
conoscono la reale filmografia, quella decisiva. Il vedovo, Una vita difficile,
I vitelloni: che ne sanno di tali
pellicole il Sardino, o il Raimo, quello che dileggiava Moravia perché l'aveva sorpreso
a usare troppo spesso il passato remoto? Anche i più anzianotti, però, ormai disabituati
al bel cinema, come lo furono all'arte, alla scienza, all'archeologia, al
civismo, non riescono più a inquadrare una figura un tempo universale come
Sordi. Al massimo ricordano le sue prove tarde, Il tassinaro o il citatissimo Il marchese del Grillo, irto di
macchiette e grossolanità. Non è un caso se, per i cento anni dalla nascita
di Sordi, le bacheche di facebook si siano riempite della triviale battuta
"Io so' io e voi non siete un cazzo";
ignorando, peraltro, che tali parole non sono che versi d’un sonetto di
Gioachino Belli.
Non
sfugga poi l’ennesima mano luciferina. Cambia la definizione di museo. Ecco
quella nuova, appena proposta: “I musei
sono spazi democratizzanti, inclusivi e polifonici per il dialogo critico sul
passato e sul futuro. Riconoscendo e affrontando i conflitti e le sfide del
presente, conservano reperti ed esemplari in custodia per la società,
salvaguardano ricordi diversi per le generazioni future e garantiscono pari
diritti e pari accesso al patrimonio per tutte le persone.
I musei non sono a
scopo di lucro. Sono partecipativi e trasparenti e lavorano in partnership
attiva con e per le diverse comunità al fine di raccogliere, preservare,
ricercare, interpretare, esporre e migliorare la comprensione del mondo, con
l’obiettivo di contribuire alla dignità umana e alla giustizia sociale,
all’uguaglianza globale e al benessere planetario”.
Forse
vi sfugge il senso ultimo di tali ciacole. Ve lo condenso in tal modo: “Accanto alla Tempesta del Giorgione, nei
prossimi anni - non c’è fretta - dovranno comparire, quale risarcimento storico,
le collanine del Niger o le stupidate di Basquiat. A miscelare suggestioni, a
sveltire le sveltine democratiche, con l’obiettivo di contribuire alla dignità
umana ...”.
Il
prete con le scarpe da ginnastica lo comprendo. È, in fondo, un poveretto. Che lo
sia me ne rendo conto quando chiude il Paternoster coll’insopportabile “e non abbandonarci alla tentazione”. Mi
ricorda lo stilita di Buñuel che sapeva contrastare al Male e al Maligno, ma
non potè far nulla contro il casual. Gli inganni luciferini venivano rintuzzati
poiché comandati in nome del Male; l’informale, il mediocre, il piccino, lo
sciocco, lo stolido, però, quelli furono invincibili. Tanto da ridurre il
povero Simón a ubriacone da discoteca mentre la diabolica Silvia Pinal gli ride in faccia, di gusto: una vittoria così semplice e totale non può che farsi esilarante.
Mille
anni e mille anni e mille anni ancora giacciono dietro di noi, in una rovina
inimmaginabile sino a poco tempo fa. Davanti non si ha niente, solo qualche
resoconto svogliato come questo. In ogni caso: Vade ultra!