26 marzo 2018

Origini del politicamente corretto antirivoluzionario hollywoodiano (1933-1970) [Il Poliscriba]


 Il Poliscriba

Alle estreme periferie della società, silenziati e pressoché invisibili, ci sono bensì dei Dissidenti del Politicamente Corretto, puniti con l’irrilevanza pubblica, ma essi non sono organizzati in tendenza culturale omogenea, e ci sono poche speranze che una simile organizzazione possa avvenire presto. È anche normale che sia così. Un giovane che volesse prendere parte a questa organizzazione verrebbe immediatamente colpito con l’interdetto all’accesso al ceto politico, al circo mediatico ed al clero universitario.
Costanzo Preve

La citazione in testa a questa mia disamina, assolutamente incompleta rispetto all’argomento che mi accingo a eviscerare nelle sue linee generali, è tratta da un saggio breve sul Politicamente Corretto (PC) del compianto filosofo Costanzo Preve.
In realtà, come l’autore sosteneva, si trattava di un’ introduzione a una vera analisi che poi egli non riuscì  a sviluppare, anche se le  sue intuizioni   sono poi risultate profetiche.
Mi soffermerò sulla questione non secondaria della produzione cinematografica americana che ha fatto del PC la sua tendenza culturale omogenea, imponendola e spalmandola in tutto il mondo.
Preve asserisce, non a torto, che il PC nasce in USA, ed è evidente che la sua propaganda doveva passare e continua a passare attraverso il circo mediatico del quale Hollywood è la chiave di volta per potenza economica e capillarità socio-territoriale.
Il PC descritto sommariamente da Preve, a mio modesto avviso, nasce subito dopo il maccartismo, movimento conservatore,  anti-comunista, anti-sindacale, anti-ebraico che si proponeva di stanare ogni tipo di associativismo o cooperativismo di stampo socialista, all’interno della produzione filmica degli anni ’50 (e non solo), considerato sovversivo e antiamericano.

22 marzo 2018

Un tenero esserino del futuro


San Martino al Cimino, 22 marzo 2018

Certo, il mondo quotidiano è avvilente.
La consapevolezza che anche gli uomini più avvertiti non possiedono la minima contezza della vera posta in gioco induce alla depressione.
In assenza di uomini d’azione (e sia!) avanza il dotto alternativo in grado di resecare crini di cavallo in sezioni di minuscolo e fantastico spessore.
Con tale nuova figura di rivoluzionario e combattente il dialogo è impossibile.
O meglio: una qualsiasi base di dialogo pare inesistente o fragile sino alla catastrofe.
Il dotto alternativo o sapiente rivoluzionario conosce ogni branca del sapere tecnico e tecnologico, in modo così profondo rispetto al volgo comune, da riuscire a sbagliare ogni previsione sulla sostanza delle cose o da azzeccarla a babbo morto erigendosi a profeta postumo.

19 marzo 2018

Stiamo tutti cercando qualcosa di reale [Il Poliscriba]


Il Poliscriba

"C’è sempre un momento nella storia degli uomini in cui la difesa della propria tradizione culturale vuol significare che tutto ciò che è accaduto non è stato vano, che il tormento, la gioia, l’odio, l’amore folle e smisurato per affermare la realtà di una passione, continua a vivere e ad avere un senso. Ma quando, guardando indietro, si pensa di appartenere ad una tradizione non più recuperabile, ci si persuade che il destino non dà nessuna spiegazione e nemmeno l’ombra di una motivazione su ciò che è stato, allora la ricostruzione di un’identità perduta e dimenticata diventa impossibile e rimane soltanto l’angoscia dello sradicamento, la desolazione e la solitudine vissute come incubo quotidiano".

Stefano Zecchi (dalla prefazione a Il tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler)

Nel Carmelo si entrava nella cella e un teschio appoggiato sul piccolo scrittoio, accanto al rigido giaciglio, ricordava l’estrema debolezza della carne, il martirio dei sensi, il Golgota, la rudezza della vita di un soldato che conosce il breve sonno, mai ristoratore, di una notte  corona di poche ore, prima del mattutino.

L’eroe, il santo e il mediocre soli possono morire pacificamente, affermava Bernanos.
In questa ribalta da piccola bottega degli orrori che ci si è apprestati a definire società dello spettacolo (bizzarre-freak), il mercante, il cliente e il politico sono la manifestazione infida del sublime giullare, dell’atletico saltimbanco, dell’illusionista, del ciarlatano da fiera che annusano la credulità del volgo, il senso innato della fede, l’atavico desiderio di spostare ogni centimetro del proprio fragile essere in un’incarnazione, nelle radici occulte di un oggetto di culto supremo che, dopo la morte di Dio, ai bordi della strada, è destinato ad essere un’intercambiabile ridda di metempsichici frammenti di un’ Atlantide Iperborea.

La vita è così tremendamente straordinaria a causa dell’ordinarietà della morte.
La paura è talmente ovvia, salutare e diffusa da rendere il coraggio molto poco desiderabile.
La quotidianità è un elenco di azioni sconclusionate, una serqua di aforismi estrapolati da un inedito di Cioran riscritto dal suo eteronimo, Fernando Pessoa.

14 marzo 2018

Aspettando il 6 di ogni mese


Roma, 14 marzo 2018

Un giorno, il millennio scorso (si era nel 1999 o giù di lì) incontrai un futurologo.
Bazzicava una delle numerose biblioteche patrizie di Roma.
Avrà avuto settant'anni.
Studiava. E attaccava bottone con tutti. Molto intelligente, segaligno, vecchio stampo, col sigaro di traverso.
Uno di quei personaggi indefinibili che, per mia stortura mentale, associavo alla militanza nei servizi segreti.
Il futurologo mi puntò, negligentemente. Non so quale fu l’argomento di approccio. Un momento prima parlava fittamente con un tizio presso l’entrata e un momento dopo con me. L’Italia, l’Italia allo sbando. L’argomento principe di ogni rivoluzionario in fila negli uffici pubblici. Ogni sua affermazione era sarcasticamente perentoria; le mie, rapsodiche, erano accolte da un gentile, inespresso e inevitabile: “Certo ... certo ... ognuno ha le proprie opinioni, ma insomma …”. Un alone di sorridente mistero, peraltro, lo circonfondeva attribuendo una naturale autorità ai suoi pensieri.
Cicalammo sul declino della nazione, poi egli si dilungò su un aneddoto che riguardava Benito Mussolini e Albert Einstein.

10 marzo 2018

Fascismo eterno, Democrazia eterna


Roma, 10 marzo 2018

Il fascismo eterno è un breve saggio di Umberto Eco. Come avverte la presentazione (in Cinque saggi morali), esso fu originariamente un discorso pronunciato in versione inglese a un simposio organizzato dai dipartimenti d'italiano e francese della Columbia University, il 25 aprile 1995, per celebrare la liberazione dell'Europa ... poi apparso come Eternal Fascism su The New York Review of Books (22 giugno 1995) … ed è [poi] stato tradotto su La Rivista dei Libri di luglio-agosto 1995 come Totalitarismo fuzzy e Ur-Fascismo”.
Tale breve incursione di Eco nella delicata tessitura dell’universo morale si divide, approssimativamente, in due parti. La prima consta dei suoi ricordi d’infanzia. La seconda è quella prettamente più filosofica. La prima è interessante per il giudizio psicologico su Umberto Eco; la seconda importante per comprendere il fenomeno PolCor UDW.
Riporterò alcuni passi del saggio (in corsivo) apponendo dei commenti [fra parentesi quadre].

08 marzo 2018

Cosa c’è dopo Renzi? [di Eugenio Orso]


Renzi a sciare, Renzi che dà e non dà veramente le dimissioni, la sua appendice “garbata” Gentiloni che resta in carica sine die, tutto “nelle mani” del grigiore fatto persona, Sergio Mattarella, resa dei conti nel piddì, eccetera, eccetera. Questo riportano i media omologati, altrimenti detti presstitute, in relazione alla tormentata vicenda politica italiana.
Giunti a questo punto, propongo di andar oltre la squallida figura sub-politica del treccartaro/ex enfant prodige fiorentino, emerso con la Ruota della Fortuna di Mike Bongiorno. Il neo-mostro di Scandicci e Rignano non sarà più determinante negli assetti politici come in passato, nonostante le dimissioni “a scoppio ritardato” dalla segreteria.
Archiviato Renzi, in prospettiva futura e nel medio periodo, vorrei sollevare un paio di questioni e fare un paio di ipotesi, a seguire.

06 marzo 2018

Matteo Renzi si è già suicidato?


Roma, 6 marzo 2018 

Fra la caduta del Fascismo e l’avvento della sedicente Democrazia, inaugurata da un atto antidemocratico nel 1946, vi fu, se ricordo bene, un suicidio (1) nelle alte sfere.
Nel biennio di Tangentopoli, secondo uno studio di Nando dalla Chiesa, trentuno (31).
Guarda chi si ammazza e ti dirò dove vivi …
Matteo Renzi, invece, lo vedo bello arzillo.
Cosa gli frulla per la testa?
Ieri si è presentato in conferenza stampa, dopo la supposta disfatta, ricco della consueta vantardigia da gradasso. Su di lui un paio di responsabilità. La prima, in solido con altri carnefici: la consegna di un’Italia economicamente depezzata (e aperta ai pervertimenti del futuro) a chi governa davvero. Alla doppia ganascia della tenaglia che ci stritola: Usura ed Edonismo UDW. La seconda: aver reso talmente odioso l’idioma toscano da annientare intere sezioni della letteratura italiana.

01 marzo 2018

Attraverso uno specchio, nell'enigma


Roma, 1 marzo 2018 

Les décombres. Devo riconoscere ai nostri attuali governanti un talento straordinario: la capacità di desertificare l’Italia. Nella provincia alcuni paesi già non esistono più. Residuano come ammasso di seconde case, in vendita o in locazione, o come ospizî a cielo aperto. Alcune abitazioni, a volte di gran pregio, risalenti agli anni Venti, sono state sequestrate per debiti. Ogni tanto vengono spedite all'incanto, sonnacchiosamente, ma le aste vanno deserte: chi vuole accollarsi un simile peso? Interi paesetti, poi, sono presi d’assalto da truffatori: comprano tre o quattro case fatiscenti, le salvano dal crollo, quindi pietiscono un prestito in banca (complice il banchiere) per ripristinare l’antico splendore: segue la fuga. Centomila, duecentomila. Si hanno così ircocervi sbalorditivi: magioni col tetto nuovo di zecca, ma sostanzialmente in rovina.
Il più, tuttavia, è in stato di pietoso abbandono. Anno dopo anno i fregi cedono, le persiane perdono i listelli, l'umidità risale dagli inferi infradiciando i portoni, i tetti s'incurvano come se non potessero sostenere il peso di tanta negligenza, grate e inferriate vengono saccheggiate dai cercatori di metalli, à la Blade runner, le erbe e le edere assaltano quiete gli intonaci o iniziano la lenta opera di disgregazione delle pietre. Accanto a tali esausti giganti in pietra sorgono, a volte, orrendi villini dallo stile composito e abominevole, in cui alluminio e cemento la fanno da padrone. Oppure appaiono nuove case popolari, a cinque o sei piani, tirate su al risparmio, con prati rachitici e rifiniture da pochi euri: balconi come stie, recintati da graticci metallici, aiole senza fiori, mura perimetrali composti da blocchi grigiastri. Si ha, in tal modo, la contraddizione massima: edificazione con l’80% di case sfitte o abbandonate. La distruzione del paesaggio è conseguente. O logica, almeno in un mondo al contrario.

27 febbraio 2018

Parola d’ordine: Sciogliere i movimenti “fascisti”! [di Eugenio Orso]

Ricevo e sono ben felice di pubblicare questo articolo
di Eugenio Orso
Leggo su repubblica online, turandomi il naso (e anche qualcos’altro che non dico):

Milano, Boldrini davanti al murale dei partigiani: "Sciogliere i movimenti fascisti".
Adesso, per la prima volta, la richiesta arriva da una carica dello Stato. Sciogliere i movimenti fascisti. L'affondo della presidente della Camera, Laura Boldrini, arriva alle quattro del pomeriggio da Milano, quartiere Niguarda, il luogo dove è iniziata la battaglia di Liberazione contro il regime nazifascista. Di fronte al celebre murale ("Niguarda antifascista") di via Majorana - dedicato alla partigiana Gina Galleotti Bianchi (uccisa il 24 aprile 1945) e ridipinto dopo essere stato  più volte imbrattato con svastiche croci celtiche e scritte inneggianti a Forza Nuova - la terza carica dello Stato non ha usato giri di parole: "I gruppi che si ispirano al fascismo vanno sciolti. Non c'è posto per loro nel nostro Paese, nella nostra Repubblica che è antifascista".

Leggo di un appello lanciato proprio da repubblica (dello storico patron De Benedetti, che ha inculato i lavoratori dell’Olivetti) per lo scioglimento delle formazioni “neonazifasciste”, con adesioni corali dei sinistroidi servi della troika, dei cinque stalle, di rappresentanti delle istituzioni e, immancabili, delle comunità ebraiche.
Boldrini affonda il coltello della propaganda a due settimane dal voto politico di marzo. Sarà un caso? Il “pericolo fascista” dovrebbe far dimenticare tutto, al popolino: dalle truffe delle compagnie telefoniche alle delocalizzazioni dell’industria che continuano implacabili, dai cinque milioni di poveri assoluti in Italia alla squallida vicenda del figlio di De Luca, anche lui piddì come il babbo, eccetera, eccetera.
Come scrive quella cloaca di repubblica, l’esaltazione dei fatti di Como e Macerata, hanno tenuto alto il dibattito – udite, udite! – sulle derive neofasciste, xenofobe e razziste!
Mi domando se voi, la mattina, uscendo da casa incontrate ad ogni angolo di strada, ogni due per quattro, squadracce in orbace armate di manganelli e spranghe, pronte a colpire in nome del Duce buonanima, teste rasate che innalzano vessilli con tanto di croce uncinata e aggrediscono gracili “progressisti”, a spasso con il cagnolino, mentre intonano Die Fahne hoch!
Non credo proprio, ad essere sincero, perché è molto più facile incontrare mendicanti, soggetti ridotti male e non necessariamente extra-comunitari, uomini e donne che frugano nei cassonetti dell’immondizia, alla ricerca di qualcosa di utile, o peggio, di commestibile …

19 febbraio 2018

Le elezioni: vado, non vado ...


Roma, 19 febbraio 2018

Ecce Bomba. Vado, non vado. "No veramente non mi va, ho anche un mezzo appuntamento al bar con gli altri. Senti, ma che tipo di festa è, non è che alle dieci state tutti a ballare in girotondo, io sto buttato in un angolo, no ... ah no: se si balla non vengo. No, no ... allora non vengo. Che dici vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto così, vicino a una finestra di profilo in controluce, voi mi fate: ‘Michele vieni in là con noi dai ...’ e io: ‘andate, andate, vi raggiungo dopo ...’. Vengo! Ci vediamo là. No, non mi va, non vengo, no. Ciao, arrivederci Nicola".

Vado non vado. Ci andiamo: è inutile. Non ci andiamo: il potere dilaga. Allora ci andiamo? Ma no: è inutile! Basterebbe ammettere che entrambe le cose sono vere. Sì, le elezioni democratiche sono inutili. Votare lo è. La democrazia è inutile ai fini di un cambiamento radicale degli eventi (l'unico cambiamento che interessa). E però sono utilissime; per il PD, Giorgia Meloni e compagnia cantante addirittura fondamentali. C'è bisogno di un perdente credibile per simulare ecumenismo. Non si sottovaluti, poi, il bisogno di pagnotta. Per la pagnotta ci hanno venduti al miglior offerente. Entrambi gli schieramenti, dal 1989 a oggi.

Rifondare. Un ristorante al centro di Roma, famosissimo, varie centinaia di euro per uno spuntino. Un dirigente comunista, lì rifugiatosi dopo le fatiche del comizio antiberlusconiano, è al telefono con un conoscente. Sta trattando l'acquisto di un casale, in Umbria o in Toscana. Si intrattiene, per venti minuti circa, predisponendo fittamente bonifici e sconti. La cifra si aggira sui 300.000 euri. Un cameriere orecchia la conversazione. Il dirigente, un altissimo dirigente isolano, chiude la comunicazione e ordina gli antipasti, un po' stanco delle pieghe multiformi della sua impegnatissima esistenza. Il cameriere, ossequioso, muove i piedi piatti sul pavimento di pregio: scatta, veloce; non ha malanimo, odio di classe: vuole solo ottenere una mancia più sostanziosa. L'accaduto, la cui veridicità era, ed è, indubbia, mi scosse sino all'amarezza. Sono passati millenni. Ora guardo a quell'episodio con un sorriso. Ah, la pagnotta!