18 marzo 2019

Soluzione finale


Roma, 18 marzo 2019

A me Greta Thunberg piace.
All’inizio ero scettico, ma, lo ammetto, a furia di riguardarla, nelle immagini innumerevoli, dai fotomontaggi maliziosi alle posizioni e pose più varie, mentre fa sega a scuola o parla dalle maggiori tribune mondiali, mi è divenuta simpatica.
Il facciotto aggrottato, gli occhietti dolcemente porcini, il berrettone fantozziano da cui scendono le trecce da dodicenne; soprattutto: lo spaesamento che cogliamo nei suoi tratti quando la consapevolezza - anche lei ne ha una - risale alla sua coscienza di bimba, la sensazione, terribile, che traspare da alcuni scatti in cui lei, proprio in quel momento, si rende conto, pur oscuramente, che le quinte alle sue spalle sanno un po’ di sdrucito … In fondo è una ragazzina, dai! Non si può essere così cafoni e maleducati! Strumentalizzata! Gretina! Scema! E i volgari argumenti ad mocciosam! Lasciamola stare. L’accanimento dei contrari, e la tetra stupidità dei compagni di viaggio, me la rendono amica.

Vorrei darle un casto bacio sulla fronte, e quindi prenderle la mano e accompagnarla a casa, discutendo di fatti irrilevanti, del più e del meno; le racconterei, quindi, un paio di storielle, in cui sono maestro, e, strada facendo, insinuerei il tema del clima - fa un po’ freschino qui da voi - e del mio progressivo smottamento nel vegetarianesimo - causa famiglia - pur avendo in odio sia i vegetariani militanti che i vegani:

12 marzo 2019

L’impero delle luci


Roma, 12 marzo 2019

Essi ci guardano dalle torri. Agli ultimi piani delle torri del mondo i Prescelti si devon fare, tra una festa e l’altra, parecchi risolini. Osservare, da quelle altezze, che rendono con chiarezza cristallina l’ampiezza del panorama, il disfacimento di un’intera civiltà, dell’unica civiltà motore, il crollo dell’Occidente, in un ridicolo rovinio pulviscolare ove si aggirano pagliacci da film horror e pupazzi rigonfi di stoffe sdrucite, dev’essere uno spettacolo impagabile. La storia degli ultimi tremila anni, le delicate architetture erette per resistere alla Notte, si trovano, d’improvviso, senza più fondamenta; la catastrofe si propaga per via esponenziale, dalla suburra al centro dei commerci, dai templi ai lupanari. Mai vista una cosa del genere; mai fu preannunciata. Uomini e donne spaesati, torpidi, disorientati, impolverati dalla farina disastrosa da ciò che credevano eterno, i volti grigi rigati da sangue e lacrime, chiedono aiuto, si suicidano, impazziscono, vanno dietro al primo imbecille che afferma di avere una via d’uscita. Per chi ha vivida in mente ciò che fu la nostra civiltà, squadernantesi nell’immediatezza davanti allo sguardo dell’anima, nei suoi modi multicolori e nelle epifanie brucianti, corrusca di carneficine e celesti asperità, tutto questo non può che gettarlo nella disperazione più totale. E quale sollievo trovare in tali giorni colmi d’angoscia?

Ariani. La trattatistica di destra si è lungamente interrogata sugli ariani, sugli indoeuropei, sulla civiltà bianca. Le risultanze sono state, a volte, interessanti, altre deliranti; spesso confuse in un misticismo d’accatto. Veda, Vedanta, Iperborei, le mistiche tre Roma. Ma l’elemento comune al genio dell’Occidente fu sempre uno e lo si ritrova, inevitabile e purissimo, nel popolo più fatale: i Greci.
 


05 marzo 2019

La nuttata è passata (non si interrompino i sogni)


Roma, 5 marzo 2019

La nuttata del PD è passata? In così poco tempo? Perché no.
Nicola Zingaretti è il nuovo segretario del PD. Lo si sapeva da circa due anni almeno, eppure ci sono stati 1.800.000 esserini che si sono recati a votare alle primarie di tale partito per farlo vincere. Come se il destino avverso incombesse sulla ridanciana pelata del Nostro. 1.800.000 italiani convinti che, recando circa 3.600.000 euri al partito del tradimento strutturale della Patria, si potessero decidere le sorti di una candidatura già decisa laddove si decide veramente.
Come certe elezioni in cui il candidato dell’apparato riceveva dai compagni il 98,31%: meticolosamente scrutinato, ovvio. Il comunismo non c’è più, ma l’apparato sì. E non è certo l’apparato del PD.

26 febbraio 2019

Avemo vinto, poppolo (elezioni e illusioni)


Roma, 26 febbraio 2019

Il veleno più insinuante che non riusciamo a diluire: la democrazia liberale.
Questo concetto ce l’hanno marchiato a fuoco in anni felici e ora, come il tatuaggetto di una nota canzoncina, è impossibile toglierlo. Se ne può fare uno più grosso, certo, che inglobi il precedente, ma cancellare quella patacca … non si può, non si può, signora mia …

La democrazia è bella, giusta e, sulla carta, uno vale uno, e poi c’è la libertà, la libertà di fare cosa non lo sappiamo, ma siamo liberi. Liberi di partecipare a un concorso pubblico con eguali diritti e possibilità? No, quello no. Liberi di scegliere un lavoro? Ma se è tanto che ne hai uno, pur miserabile. Liberi di far sì che i figli abbiano le stesse possibilità degli altri? No, neanche questo. Liberi di godere i diritti di una sanità eguale per tutti? No, non questo. Liberi di scegliere il Presidente della Repubblica, i magistrati, il capo della polizie? No. Liberi di scegliere i dirigenti di Equitalia, dell’Agenzia delle Entrate, dei ministeri, delle ambasciate? Della RAI? No, caro signore, è il patriziato a selezionare tali individui … per via endogamica, incestuosa … per non avere sorprese … e poi non si può certo ricorrere al poppolo per così poco … lo si disturba, mi capisce? Allora … allora, ecco l’azzardo … io la butto là … forse, forse … liberi di votare? Bravo, proprio così!

22 febbraio 2019

Il crollo della Galassia Centrale


Roma, 22 febbraio 2019

La metafora dell’abisso è perfettamente adeguata.
Cadere nell’abisso. Abiezione. Abietto.
La faccenda, credetemi, è semplice. Si cade, ma, privi d’ogni riferimento, non si cerca di risalire; anzi, si prende gusto alla caduta in una sorta di cupio dissolvi. A un certo punto ci si sorprende a esclamare: “Ma sì, tutto è perduto, di più, ancora di più!”: la gioia nell’autodistruzione, di sé e di tutto, persino di ciò che si reputava eminente e bello, è un ragno che ha tessuto la sua tela per anni e anni, all’oscuro, entro le più intime fibre del nostro essere; finché questo animalino, che non degnavamo d’uno sguardo, tale sfuggente e simpatico esserino, creduto innocuo per un lungo tempo negligente, non decide di stringere le fila del lavoro secolare; e allora le trippe si accorgono che la tela è costituita da fili d’acciaio. Stringe cuore e budella in una morsa terribile e ci fa gridare, sempre più forte, in una foia d’annientamento, che la caduta è bella, desiderabile, è ciò che si voleva, è una liberazione, finalmente.
Il superuomo o Ubermensch di Nietzsche è qui fra noi.
Colui per cui il piacere (la Volontà di Potenza!) consisteva persino nella gioia del proprio annientamento: eccolo qua.
E però non scorgo bestie bionde, o signori; e nemmeno una nuova aristocrazia.

18 febbraio 2019

La paranza dei bambini


Roma, 18 febbraio 2019

Alle tre, mentre il cielo grava soffocante come una lastra infuocata di rame, il Sofferente invoca a gran voce il Padre. Tradito dai compagni e dal proprio stesso popolo, dal potere che vuole la continuazione di sé stesso nell’intrigo, il Re dei Giudei sfoga il disinganno verso un cielo muto. Ai piedi della croce un gruppo tremolante, nerovestito, soffocato dalle lacrime: Maria, la madre, Maria di Magdala, la moglie; la zia, Maria di Cleofa. Un Giovanni quasi imberbe è nei pressi, a capo chino: il Maestro muore.
Le derisioni, gli sberleffi, l’avidità della bassa spoliazione, i carnefici, l’efficienza burocratica dei funzionari: l'andirivieni prosaico della giustizia.
Ma chi legge dell’Agonia non può che rimanere sconcertato davanti alla fisicità evidente e cruenta della morte. Questo Uomo sfuggente, che parlava in parabole, che nulla scrisse e mai sorrise ("Flevisse lego risisse numquam"); irascibile, sdegnoso, duro, misantropo, ha riservato la sincerità della disperazione negli attimi fatali. Parla al proprio Padre, ad alta voce, finché, lanciando un grido straziante, per noi spaventoso, si congiunge all'eternità.

11 febbraio 2019

Fatemi una faccia da guerra


Roma, 11 febbraio 2019

Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertarî, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna”.
Così recita il nono comandamento del Manifesto dei Futuristi.
Prendere Filippo Tommaso Marinetti per imbecille è facile. Liberarsi dall’eco profonda delle sue rodomontate, se si possiede un animo equanime e impavido di fronte alla rivelazione della verità, molto più difficile.
Cerchiamo di comprendere.
Siamo stati educati, io e la generazione dei Settanta, nonché quelle a me seguenti, al rifiuto preciso e costante della guerra. La Costituzione Italiana, peraltro, descrive  chiaramente il ricorso alla guerra come sopraffazione. La Costituzione del 1946 anela la pace; e le costituzioni di tutti gli ammirevoli enti che ci han fatto studiare a scuola (Europa, ONU, UNESCO, UNICEF, FAO) contengono inviti solerti alla pace e al ripudio della guerra. Siamo uomini di pace, insomma. Programmati per la pace. L’arte è programmata per la pace tanto che l’antimilitarismo è divenuto cibo per ogni tizio che voglia impressionare una pellicola, lordare una tela, imbrattare un pezzo di carta.

05 febbraio 2019

Mamma, li Bianchi!


Roma, 5 febbraio 2019

L’ultimo gradino … quel gradino finale, decisivo, che porta alla soglia dell’irreparabile, spalanca l’abisso, divide per sempre dal dopo … viene avanti una figura inedita che si affaccia all’orizzonte del nostro Paese … silenziosa, qualcuno che nelle mille convulsioni dell’Italia ancora non conoscevamo, e che sembra spuntare di colpo dalle pagine di un romanzo di Harper Lee sull’America più profonda: è il fantasma dell’uomo bianco”.
Queste parole sono scandite dalla prosa, nobile e piagnucolosa, di Ezio Mauro, ex direttore de “La Stampa” e di “Repubblica”.
Il libro da cui sono estratte si titola: L’uomo bianco. Per la comprensione immediata del brogliaccio ecco il breve sunto: “Siamo noi che, lasciandoci via via rinchiudere nella corteccia delle paure nostre e altrui, ci trasformiamo come dei mutanti, fino a voler tornare a distinguerci in base alla pelle e al sangue. È l’ultimo spettro italiano: quello dell’uomo bianco”.

29 gennaio 2019

Galeotto fu il canotto


Roma, 29 gennaio 2019

A queste latitudini ci si è occupati spesso della sedicente sinistra.
La sinistra l'ho inquadrata in un processo storico di progressivo immiserimento: dal socialismo del pane sino alla rarefazione dei diritti civili. I diritti civili, non sostanziati dal pane, infatti, sono quello che sono: niente (o prese per i fondelli).
Il protagonista della liquefazione della sinistra è il sinistrato.
Il sinistrato è diviso fra Jekyll e Hyde.
Jekyll, l'idealista, persegue il diritto civile, cascame ridicolo e parodico dell'antico socialismo.
Hyde, l'occulto, anela i denari, gli agi e le prebende che l'indotto dell'attuazione di quel diritto gli riserva.
Esempio.
Il diritto alla libertà di espressione degenera, ridicolo, nel diritto all'amore libero (LGBT).
Il sinistro Jekyll reclama con forza e a suon di periodiche pagliacciate (Gay Pride) tale istanza (in una democrazia permissiva, si badi).
Hyde passa all'incasso grazie ai finanziamenti a questa e quell'altra lobby e associazione (nata dall'oggi al domani) dove tali diritti vengono, presumibilmente, adorati, analizzati, laccati, tatuati, scarnevalati, declinati, introiettati, permanentati.

La destra, tuttavia, non è da meno.
Forse è ancor peggiore della sinistra.
Come possa gente come Meloni e compagnia rappresentare il cuore duro e puro della tradizione italiana non è dato sapere. In verità: perché la Meloni è considerata di destra? Nessuno lo sa.


25 gennaio 2019

Il bomber


Roma, 25 gennaio 2019

Il “Corriere della Sera” imbraccia la chitarra Echo, residuo del bel tempo che fu, e intona la sua lagna: “Non mi hanno ancora chiamato, non so quando dovrò partire, né dove mi porteranno”.
A parlare è un tal Ansou Cisse, giovanotto del Senegal, punto di forza della Castelnuovese, la squadra di Castelnuovo di Porto, ameno paesino fuori Roma, lungo l’avita consolare Flaminia, nonché, da quel che si capisce, della squadra atletica vaticana (vedremo poi perché).
Il CARA (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo) di Castelnuovo di Porto è stato appena smobilitato; e con lui l’anzidetto Ansou.
Dopo le predette notazioni da Garage Olympo, il Nostro tenta vago la lira di una a stento trattenuta disperazione: “Mi trovo benissimo, tutti mi vogliono bene. L’altro giorno  il capitano dela squadra si è messo a piangere per telefono quando gli ho detto che mi vogliono mandare via. Non sappiamo cosa fare”.