Roma, 13 ottobre 2023
Ma non sarà così, è impossibile! Lo concedo: c’è la minuscola possibilità di un fallimento. Ciò che non si potrà scongiurare, però, sarà la distruzione. Dalla distruzione non si torna mai indietro.
L'Italiano accorto del blog sentirà il dovere di leggere
il racconto di Philip K. Dick, Il gioco
della guerra (War game, 1959).
Ganimede, luna di Giove, ha delle mire di conquista nei riguardi della Terra.
Si sospetta che i Ganimediani possano lanciare azioni ostili da un momento
all’altro. Uno dei mezzi più subdoli che potrebbe usare il nemico: i giochi per
bambini. Per questo motivo, una squadra dell’Ufficio di Importazione sottopone
a un esame severo due di essi, prossimi al lancio sul mercato terrestre. Il
primo è un imperscrutabile gioco di guerra, l’altro una variazione del Monopoly. L’attenzione dei funzionari si
concentra sul complesso war game di cui, tuttavia, non si riesce a stabilire la reale finalità: lo si mette, perciò, in quarantena; il secondo, The syndrome, viene ritenuto un innocuo
passatempo e ha via libera. Quando il giocattolaio Joe Hauck porta a casa un
prototipo di The syndrome, esso affascina da subito i figlioletti Lora e Bobby. Gioca assieme a noi, papà! E Hauck gioca. Ed esclama: “Ho vinto!”; e invece no, lo correggono i
bimbi, qui “bisogna disfarsi dei propri
averi. Sei fuori del gioco papà!”. Hauck cerca l’accumulo, ma The syndrome esige l’esatto contrario
del Monopoly. Esso, infatti, insegna ai bimbi come “cedere con naturalezza i loro
averi [tanto che i bambini, per vincere] davano via le proprietà e il denaro con avidità, in una sorta di
trepido abbandono”. Vince chi perde tutto. Non avrai nulla e sarai felice. I
Ganimediani, come Schwab, la sapevano lunga: "Dietro di lui, i due ragazzi continuavano a giocare, animandosi sempre di più man mano che le azioni e il denaro cambiavano proprietario ... Guardandolo con gli occhi lucidi, Lora disse: 'È il più bel gioco educativo che tu ci abbia mai portato, papà!'".
Occorre
indottrinare da subito per avere la certezza dell’assenso poiché anche la
rassegnazione può insegnarsi e divenire costume.
Allo
stesso modo, i ragazzetti romani di borgata dei Settanta erano devoti al
traversone, ovvero all’esatto contrario del tressette. Vinceva chi rifilava i
carichi agli avversari totalizzando il meno possibile. Tressette e poker
assommano, il traversone dilapida. A posteriori, rinvengo in quella passione
ludica un logico correlativo della nostra inferiorità sociale.
Improvvisamente sento berciare dalla camera accanto alcune voci concitate: “Hamas! … Ashkelon!! … barrage di razzi!!! …”. La televisione! E pensare che non l’accendo mai … come ha potuto farlo? Sospetto ch’essa, che da anni mi spia, anche mentre visiono innocui documentari sull’arte del Neolitico, sia ormai posseduta da un’entità capricciosa che vuole recarmi noia. Infastidito dal vociare, irrompo per tacitare l’ordigno. Lo trovo sintonizzato su RAI3, all’ora del telegiornale quotidiano. Sullo schermo immagini di guerra. Guerra, stavolta, israelo-palestinese. E cos’altro, se no? Il telecomando, ovviamente, non risponde agli impulsi. Alberto Angela sentenzierebbe che sono esaurite le pile, ma - ne ho quasi la certezza - ormai si comanda da sola. Infatti, nonostante pigi l’off della tacitazione elettrica, Ella persiste nel frignare. Che voglia dirmi qualcosa? Scendo a patti e m’assiedo. Sullo schermo l’inviata della RAI, acronimo di Radio Audizioni Italiane, si conduole con i colleghi da Roma d’una terribile esperienza: la stanno bombardando.