14 dicembre 2023

Il mondo dietro di noi

Roma, 14 dicembre 2023

Il centrodestra vuole il premierato. Per chi? Per il prossimo supertecnico che le darà il benservito. Col proprio consenso, ovvio. Nel farlo, tirerà un sospiro di sollievo: le famiglie sono ormai al sicuro, gli appalti pilotati a dovere … ora tocca ai vicini di loggione … il popolicchio si arrangi, lui e il suo stellone … per noi può tornare chiunque … Draghi, Monti, Schlein … espirazione, inspirazione … sinistra, destra, tecnico, sinistra, destra, tecnico … il micco è servito, Davai Italianski!, limone in bocca e carota, l’immancabile carota, a vellicare il tifo più sterile e l’istinto dell’autocommiserazione. Rivoltolarsi nel brago della decadenza, infatti, dona brividi di piacere.

Non è stato il Ministro dell’Istruzione e del Merito dell’ex Repubblica Italiana, Giuseppe Valditara, a nominare Anna Paola Concia quale ambasciatora dell’Amore che ci Avvolge Tuttə nelle aule che stipano i residui pargoli italiani, ormai istupiditi, bensì Anna Paola Concia a creare le condizioni per la nomina di Giuseppe Valditara. Solo alla luce delle vere gerarchie si comprende la realtà globale. La devoluzione dell’avanspettacolo leghista “Profumo Dur - secessionismo con carro armato di latta - ponte dei terroni - lesbiche in classe” è solo apparentemente enigmatica. In realtà non ci siamo mai spostati dalla catastrofe (gr. kαταστροϕή, rivolgimento, capovolgimento finale che rivela la tragedia), progettata più di trent’anni fa, a cadaveri e macerie ancora caldi. Che la Anna Paola Concia abbia rinunciato all’incarico fa solo parte del piano che, al riparo da ogni obiezione, avanza. Al prossimo suono della campanella, magari con una nuova maggioranza, avremo i surrogati della direttrice artistica Concia, vestiti a festa, con i talleri europei cuciti sulle tutine d’organza, a insegnare come si diventa un servo, definitivo e irredimibile.

Il giornalista Massimo Del Papa, vaccinato, si lamenta dei danni da vaccino. La sua ricognizione sulle responsabilità istituzionali è condivisibile. Meno accettabile è lo j’accuse contro lo Stato e i partiti che promanerebbero da ideologie totalitarie, di destra e di sinistra. Già che c’è, forse per riflesso pavloviano, Del Papa coinvolge anche la Chiesa. L’errore è fatale. È proprio l’assenza dello Stato, già parodia della Patria, e cioè lo Stato 2.0 aggredito e conquistato dalle fanfaluche sul libertarianesimo, il liberismo, i liberali e il pensiero debole, ad aver permesso e giustificato questo. Il presunto Stato, in tale vicenda allucinante, entra solo coi suoi rami repressivi; un nudo esoscheletro con mere funzioni di polizia, ingannevolmente al servizio degli individui. La partita impari, e dall’esito segnato, si giocava fra tale apparato, connesso criminalmente a livello globale, e l’individuo. Di qui la tragedia. Tutto ciò che sino a pochi decenni or sono costituiva la vera difesa dell’individuo dal totalitarismo - organizzazioni religiose, accademiche, amicali, militari, corporative, politiche e professionali - fu dolosamente liquidato; spesso in nome di quella falsa libertà anarcoide, instaurata durante le rivoluzioni colorate degli anni Sessanta, di cui le parole di Massimo Del Papa sono ancora riflesso.

La fiscalizzazione dell’esistenza si è insinuata fra noi inavvertitamente, grazie al trojan della comodità.

15 novembre 2023

Vogliamo vivere!


Roma, 16 novembre 2023

Ho passato quasi metà della mia personale esistenza a vivere la vita di un altro; e ciò che ne restava a ripudiare il tempo in cui nacqui, giorno dopo giorno. Da giovane, per campare, si doveva fingere in tutto: sui banchi di scuola, in società, al lavoro, in vacanza, al bar. Ci si riservò la mendacità, una briosa discesa agli inferi. Il grasso di quella breve epoca edonista consisteva, a ben ri-vedere, nella moneta presa in prestito dal più sordido usuraio; e si viveva in accordo con quei semitoni una danza di sguaiato e inavvertito orrore. Quanto tempo perso, quanta stupidità in ogni atto! Alla nostra secolare etica, che disconosceva, come ogni tradizione che ci tiene in vita, il giudizio su sé stessa, se ne sovrappose un’altra, apparentemente libertaria, ariosa, dalla vastità infinita. Fu un miraggio degno di Alcina. In realtà vedevamo con altri occhi e i nostri, gli unici che potevano salvarci, furono resi ciechi: “gli ochi nostri tenebrosi”. Poi cominciai a leggere meglio, a vedere meglio. Non si trattava di risvegliarsi a niente, semplicemente giudicai secondo ciò che siamo sempre stati. E presi a vivere la vita al contrario. Sottosopra. Perché il contrario del contrario è la retta via. Dappertutto giravo in senso antiorario, come i detenuti durante l’ora d’aria. Alla stanga, a faticare il triplo, a essere compatiti (non capisci!), a rimanere esclusi, inevitabilmente, dal corretto fluire della vita che ancora, sonoramente, disperatamente, con risate isteriche e forzate, gorgogliava giù per la fogna. Dove merita di stare.

Una volta non ci si domandava: voglio vivere nel mio tempo, oppure no, lo rifiuto. Ci si adattava secondo un conformismo più o meno accettabile, schiantati da sacrifici o privazioni, oberati dal male, ma l’intimo conforto di cui si godeva erano quei punti cardinali verso cui guardare. Qui è il problema. Un asse del mondo è necessario, o per conformarsi o per tentare di svellerlo alle fondamenta. Le epoche o sono incardinate alla tradizione oppure minacciate da sconquassi sociali e umani, ma la bussola deve necessariamente segnare un nord morale. Uno dei primi a rendersi conto dello sfacelo fu William Shakespeare: quella frase, apparentemente innocua, poiché riferita a una vendetta ("Time is out of joint", il tempo è fuori dei cardini, della giusta guida), alludeva al tramonto di un Ordine (di un kosmos) e all’incipiente in-augurazione dell’apostasia inglese. Egli intuiva che quel turbine di sangue celava non certo il male, presenza connaturata all’umano, bensì il nichilismo corrosivo e sterile dei nuovi tempi a venire.

Nel Riccardo III alcune nobili dame si rinfacciano assassinii:

13 ottobre 2023

Operazione cubicolo

Roma, 13 ottobre 2023

Chi diavolo è Klaus Schwab? Da dove viene? Non ne ho idea. Questi personaggi vantano più l’impalpabilità delle evocazioni che una reale consistenza storica. Allo stesso modo ci stiamo ancora chiedendo: chi è stato davvero il mezzo inglese Roberto Speranza? E Giuseppe Conte? Alcune importanti trasmutazioni chimiche, in fondo, necessitano di reagenti apparentemente insignificanti. Schwab non so chi sia e non m’importa saperlo. Più importante la fisiognomica: quelle guance flosce, a esempio, rassomigliano alla colatura di pongo di Jeff Koons. Egli è uno dei latori dell’Indifferenziato; Egli anela, per noi, il cubicolo. E lo avrà. Niente auto, niente passaporto e viaggi, niente lavoro, nessuna scuola, ma solo dottrina; abolizione del codice penale, liberalizzazione droghe, eutanasia, legalizzazione delle parafilie maggiori. E il cubicolo di quindici metri. In cui agire soli. Persino il centro delle città avrà a degenerare in meta ambita e sconosciuta dai novi plebei. I commerci si ridurranno all’essenziale, poiché assorbiti quasi interamente dalle multinazionali, le aule penali svuotate dalle legalizzazioni (nulla è colpa!).
Ma non sarà così, è impossibile! Lo concedo: c’è la minuscola possibilità di un fallimento. Ciò che non si potrà scongiurare, però, sarà la distruzione. Dalla distruzione non si torna mai indietro.

L'Italiano accorto del blog sentirà il dovere di leggere il racconto di Philip K. Dick, Il gioco della guerra (War game, 1959). Ganimede, luna di Giove, ha delle mire di conquista nei riguardi della Terra. Si sospetta che i Ganimediani possano lanciare azioni ostili da un momento all’altro. Uno dei mezzi più subdoli che potrebbe usare il nemico: i giochi per bambini. Per questo motivo, una squadra dell’Ufficio di Importazione sottopone a un esame severo due di essi, prossimi al lancio sul mercato terrestre. Il primo è un imperscrutabile gioco di guerra, l’altro una variazione del Monopoly. L’attenzione dei funzionari si concentra sul complesso war game di cui, tuttavia, non si riesce a stabilire la reale finalità: lo si mette, perciò, in quarantena; il secondo, The syndrome, viene ritenuto un innocuo passatempo e ha via libera. Quando il giocattolaio Joe Hauck porta a casa un prototipo di The syndrome, esso affascina da subito i figlioletti Lora e Bobby. Gioca assieme a noi, papà! E Hauck gioca. Ed esclama: “Ho vinto!”; e invece no, lo correggono i bimbi, qui “bisogna disfarsi dei propri averi. Sei fuori del gioco papà!”. Hauck cerca l’accumulo, ma The syndrome esige l’esatto contrario del Monopoly. Esso, infatti, insegna ai bimbi come “cedere con naturalezza i loro averi [tanto che i bambini, per vincere] davano via le proprietà e il denaro con avidità, in una sorta di trepido abbandono”. Vince chi perde tutto. Non avrai nulla e sarai felice. I Ganimediani, come Schwab, la sapevano lunga: "Dietro di lui, i due ragazzi continuavano a giocare, animandosi sempre di più man mano che le azioni e il denaro cambiavano proprietario ... Guardandolo con gli occhi lucidi, Lora disse: 'È il più bel gioco educativo che tu ci abbia mai portato, papà!'".
Occorre indottrinare da subito per avere la certezza dell’assenso poiché anche la rassegnazione può insegnarsi e divenire costume.
Allo stesso modo, i ragazzetti romani di borgata dei Settanta erano devoti al traversone, ovvero all’esatto contrario del tressette. Vinceva chi rifilava i carichi agli avversari totalizzando il meno possibile. Tressette e poker assommano, il traversone dilapida. A posteriori, rinvengo in quella passione ludica un logico correlativo della nostra inferiorità sociale.

Improvvisamente sento berciare dalla camera accanto alcune voci concitate: “Hamas! … Ashkelon!! … barrage di razzi!!! …”. La televisione! E pensare che non l’accendo mai … come ha potuto farlo? Sospetto ch’essa, che da anni mi spia, anche mentre visiono innocui documentari sull’arte del Neolitico, sia ormai posseduta da un’entità capricciosa che vuole recarmi noia. Infastidito dal vociare, irrompo per tacitare l’ordigno. Lo trovo sintonizzato su RAI3, all’ora del telegiornale quotidiano. Sullo schermo immagini di guerra. Guerra, stavolta, israelo-palestinese. E cos’altro, se no? Il telecomando, ovviamente, non risponde agli impulsi. Alberto Angela sentenzierebbe che sono esaurite le pile, ma - ne ho quasi la certezza - ormai si comanda da sola. Infatti, nonostante pigi l’off della tacitazione elettrica, Ella persiste nel frignare. Che voglia dirmi qualcosa? Scendo a patti e m’assiedo. Sullo schermo l’inviata della RAI, acronimo di Radio Audizioni Italiane, si conduole con i colleghi da Roma d’una terribile esperienza: la stanno bombardando.

29 settembre 2023

La pesca

Roma, 29 settembre 2023

Una nota catena italiana di supermercati lancia una campagna pubblicitaria ove compare una bimbetta, Emma, e i genitori divorziati. Emma soffre per la separazione, ma, ingenuamente, cerca di rappezzare i rapporti fra il papà e la mamma col dono di un frutto, una pesca.
L'innocente operazione commerciale ha scatenato un prevedibile flame da distrazione di massa, ancorché di proporzioni inusitate.
Alcuni allocchi hanno equivocato il consiglio per gli acquisti, ideato al fine di far comprare più prodotti nella nota catena italiana di supermercati, per una svolta in senso reazionario: a favore della famiglia; altri isterici, ben più numerosi, dalla parte progressista della barricata, l’hanno inteso, invece, per una svolta in senso reazionario: a favore della famiglia.
Entrambe le fazioni sono composte in larga parte da tecnopueri ovvero da individui i cui unici sentimenti sono mediati dal web; essi esprimono, perciò, al massimo, un vago sentimentalismo digitale ove non hanno campo un vero odio, una reale gioia, un afflato di libertà. I simulacri dei sentimenti animano, perciò, un homunculus dai tratti infantili che, purtroppo, non vanta le emozioni sorgive degli infanti, ma ne rappresenta la raggelante parodia. L’infantilismo di massa, fanatico e sprezzante, specchio deformante del violento e ricco cromatismo delle reali emozioni umane, oggi preterite o represse, forma le quadrate legioni degli armigeri del web: controinformatori, gatekeeper, fact checkers, polemisti calvi, geopolitici in fregola, femministe in pieno arco isterico, checche sfinteriche, decime mas dell’impotenza.
Se i reazionari digitali sono, assai semplicemente, degli imbelli, è nel campo sedicente progressista che si rinvengono le reazioni più scomposte e interessanti. È bastata una pallidissima e involontaria evocazione dell’Antico Ordine per scatenare la fase del clownismo chiacchierone: contorsioni, bava alla bocca, coprolalie, insulti sanguinosi, bestemmie, irsutismo lesbico, furore da licantropi al plenilunio: ove per clownismo ci si riferisce alla fase acuta dell’isterismo, da sempre identificata con le possessioni.
Ma cosa è accaduto davvero per accendere tali dimenamenti da tastiera?
La serica trama del politicamente corretto, filata in decenni di propaganda ossessiva che ognuno ha dovuto ingurgitare, a piacere o controvoglia, come le foglie di un gelso venefico, imbozzola oramai l’Italiano, chiuso al suo interno senza alcun contatto con la realtà di ciò che è stato. Quando, per un incredibile accidente, tale insetto, chiuso nel depressivo solipsismo PolCor, entra pur minimamente in contatto con l’evidenza, si crea la reazione isterica. Gli insulti sono vomitati, quindi, per proteggere tale coscienza posticcia, creduta progressiva e, perciò, inconfutabile, contro l’insorgere della verità che, latente, ancora alberga nei cuori.
Negare a onta di qualsiasi evidenza, a costo di sacrificare sé stessi. Tali le ondate di fanatismo di massa che stiamo affrontando. E la situazione peggiorerà. I bruchi si trasformeranno, prima o poi, in perfette falene psicopatiche. Gran parte delle nuove generazioni non sembrano toccate da tali accensioni sol perché, in loro, l'anima artificiale è degenerata in ordinaria e seriale complessione psicologica.
Questi esseri da villaggio dei dannati saranno, inevitabilmente, i naturali carnefici della residua normalità.

02 settembre 2023

Hysteria!


Roma, 2 settembre 2023

In Niger scacciano i colonizzatori! L’India va sulla Luna! I BRICS non pagano il petrolio in dollari! Crolla il sistema che ha governato il mondo nell’ultimo secolo! Se non più! E tutti a ballare la polka … come se tali avvenimenti non favorissero sfacciati, invece di negarne l’inveramento storico, proprio ciò di cui si celebra l’apparente funerale: la globalizzazione terminale, la Monarchia Universalis.  

Lacrime su Michela Murgia, altra inessenziale figurina della sedicente scena letteraria e intellettuale dell’ex Italia. Il funerale, né cattolico né pagano, celebrato nella chiesa di piazza del Popolo, una volta dedicata alla Vergine, e oramai mezza sconsacrata, ha rivelato l’essenza dei Nuovi Tempi … a riguardare certi spettacoli trascorro intermittente tra rictus spettrali e facies da umor nero … L’enormità delle eulogie, sproporzionate rispetto al reale peso della Defunta, l’indifferenza al luogo di culto, scambiato dal becerume per una fumosa sezione di partito, le allocuzioni strampalate … ove alcune citazioni da fumetto, commiste ai ricordi più goffi, si induriscono improvvisamente in sconclusionate quanto violente invettive alimentate da un odio incomprimibile, di cui gli autori stessi ignorano la scaturigine reale … tutto induce a uno sbalordimento che sconfina nel malessere. Una di tali Erinni postmoderne, che il Potere ama ingigantire sin al rilievo d’intellettuale, brutta e insecchita dal risentimento, vocia scomposta dal baldacchino della prosopopea: la concione rassomiglia alle registrazioni allucinate carpite da una cella imbottita, ma ognuno la prende sul serio, per carità, dal pretame agli stracciaroli della stampa lì convenuti … eppure indovino, negli interstizi di quei monologhi, a unico conforto, una segreta e divorante disperazione … si può volare assecondati dai venti del Conformismo dei Tempi Nuovi sin a credersi latori della Verità, ma è arduo ingannare la propria natura profonda: da tale duello interiore deriva l’isterismo.

Ormai nemmeno leggo più tanto. Mi hanno tolto questo piacere. Infatti, non esistono più libri. L’obiezione principale che mi si può muovere ("E le librerie, allora?") non tiene conto del fatto che le librerie non vendono più libri. Pochi giorni fa sono entrato in una delle ultime operanti a Roma, di una nota catena. L’odore dei disinfettanti, esaltato dall’aria viziata dei condizionatori, quella miscela nichilista di falso pulito, mi ha subito aggredito alla gola. Ormai ogni lupanare delle multinazionali, o di bugigattoli nazionali a esse affini, dalle banche al vestiario, profuma allo stesso modo, di detergenti asettici, anonimi, seriali. Le luci al neon e l’ordinamento meticoloso dei prodotti delle scaffalature reca un senso di smarrimento; l’impressione è che tale ordine celi l’estrema povertà dell’offerta. Cinema e musica sono scomparsi; residua l’attualità di qualche titolo; e l’orrenda moltiplicazione di offerte di libri per bambini, uno peggiore dell’altro, di baedeker da cucina, vademecum new age, ricettari da svago. Come se l’ominicchio attuale dovesse ancora svagarsi … ma da cosa? Le copertine sono necessariamente sgargianti, con titoli vistosi, smerdate da foto o disegni di terrificante stupidità; l’impaginazione è grossolana, la carta mediocrissima, le cuciture inesistenti. Al di là del contenuto, il libro ha perduto del tutto il proprio valore di preziosità. Un libro si stampa e si getta via. Ciò ha praticamente distrutto il settore dell'antiquariato: i libri stampati negli ultimi trent’anni ci si vergogna persino a esporli accumulandoli come spazzatura fuori del negozio,
in offerta a pochi euri; la maggior parte viene viene sversata nei bookcrossing o nelle carceri. Dopo pochi minuti ero già disgustato da tutto: difficile nascondere il ribrezzo al contatto di quelle levigature di straziante alienazione; la mancanza di materiali nobili liofilizza anche il pensiero … pure quegli allucinati omaggi alla cosiddetta cultura, le gigantografie di Garcia Marquez e Brecht, scoraggiano all’acquisto ... persino di Garcia Marquez e Brecht ... il povero Bertolt, poi, chi se lo compra più oramai? Quando il PCI e l’Einaudi spingevano per Mutter Courage, forse … ma oggi lo si riguarda come testimonial, al massimo .... a testimoniare l’engagement … ma di chi? Di Saviano, che quello ha da scalare le classifiche di vendita … Anche il settore dei classici rigurgita di orrori. Impossibile (dico: è impossibile) leggere Conrad o Catullo in tali edizioni brossurate … la forma, signori … stupra brutalmente il contenuto … il verso Ancor che l’aigua per lo foco lassi, di cui, in mancanza di maestri, s’ignora la natura e la segreta, intima, bellezza, non può fisicamente leggersi o apprezzarsi sfogliando quelle pagine puzzolenti di colla alla buona … l’utilitarismo straccione sbaglia ancora i calcoli, o meglio: gli Italiani, ancora una volta, si son lasciati infinocchiare da questi imbonitori taccagni, sacrificando ciò che furono ... eppure si comprendeva, sino a pochi decenni or sono.

19 luglio 2023

Canicola

  

Roma, 20 luglio 2023

"Anche i migliori non sfuggivano talvolta alla tentazione di degradarsi volontariamente, di livellare le frontiere e le gerarchie, di tuffarsi in quella superficiale fanghiglia di comunanza, di intimità facile, di turpe promiscuità"

Bruno Schulz, Le botteghe color cannella 

Caldo torrido, caldo africano, ondata di calore, Caronte, Flegetonte, Stige, fuoco, vecchi bruciati dal fuoco, l’Italia che arde, incendi, clima torrido, clima africano, rosso fuoco, picco di calore, temperature a terra, temperature record, caldo record, anomalia record, Italia bollente, bollino rosso, gran caldo, caldo boom, Fontana di Trevi, apocalisse. Fa caldo ragazzi, eccome se fa caldo. Un caldo diverso, però, assai più caldo di quello delle estati passate. A parità di temperatura, ça va sans dire.

Sì, signor giudice … confesso ... lo faccio liberandomi finalmente l’anima da un peso insostenibile, e rimettendomi, al contempo, alla clemenza del Vostro giudizio  … confesso: i trentacinque gradi delle mie estati da ragazzino erano assai più fresche se confrontate coi trentacinque gradi di oggi. Purtroppo, nato e cresciuto quale plebeo, vissi nell’ignoranza … ma ora, in attesa della condanna, severa quanto equa, perdonate una minuscola caduta nel ricordo. Si era a metà degli anni Settanta. Spensierato, come solo i bambini di allora potevano essere, senza nemmeno il sospetto della crudeltà, innocente come un uccellino, solevo sdraiarmi all’ombra, presso il balconcino della nostra cucina: in un palazzo popolare dell’infinito suburbio romano. La mattina, libero dagli impegni scolastici, che pur mi erano cari, io leggevo. Giulio Verne, non ancora Jules, fantascienza, Dracula, Frankenstein, Tex, saggi su Magellano e Cristoforo Colombo (rinvenuti nella sbrindellata e casuale biblioteca di casa), leggende cristiane, Dumas, Paperinik. Andava di moda, a quel tempo, il gioco del clik-clak, due palle di legno legate a un filo che si facevano cozzare violentemente e velocissimamente con un giuoco formidabile dei polsi. I lunghi pomeriggi, senza televisione, amavano riempirsi di tali ritmici rintocchi; dalle decine di balconi che davano sull’ampio cortile interno, sorta di salotto comune, ragazzini e adulti discorrevano amabilmente fra loro; poi, svaporate le ore più calde, ci si ritrovava fra noi, a inscenare farandole e scherzi infantili: allora, per qualche ora, tutto prendeva a risonare di schiamazzi e richiami; l’aria immobile si faceva gradatamente compassionevole; al tramonto s’avvertivano lieti i profumi della cucina: un fritto, della carne al tegame; si cenava, a volte, rinserrati come conigli, proprio su quei balconi; dopo, mentre mia madre risciacquava i piatti, amavo starmene da solo, coi gomiti appoggiati alla ringhiera scrostata. Aspettavo il consueto miracolo personale: le luci della sera. Quelle timide accensioni, una dopo l’altra, contro all’azzurrino del crepuscolo che, dolcissimamente, cedeva il campo alla notte, mi rapivano irresistibilmente, ogni volta. Soggiogato, riuscivo a dimenticare persino la fetta di melone, che mi rimaneva in mano, a mezzo sbocconcellata; l’umile spettacolo: flebili lampadine giallastre, abat-jour, soffusioni al neon, lampadari a goccia - tutto definiva le sagome di chi avevo pur visto, in pieno giorno. Ma quegli uomini e quelle donne, e i loro figli - Stefano Elisabetta Enrico Danila - mutavano, ora, in presenze nuove, fantasmatiche, seppur amiche. Un mondo sospeso, diverso; in cuor mio (ma lo compresi solo più tardi) speravo che rimanesse per sempre, gravido del dono dell’eternità. In sottofondo s’avvertiva il ronfare della città; e il pulviscolo dell’elettrico, lontano, verso il centro formicolante, da lì sfumato come un miraggio. Poi le tenebre infittivano; inaspettata, risaliva da terra una brezza fresca, a scuotere i rami dei pinastri del cortile; allora chiudevo gli occhi, a meglio goderla: il mondo era perfetto.

05 giugno 2023

È arrivata una cicogna


Roma, 5 giugno 2023

I tagli lineari … il taglio delle accise … il taglio delle tasse … il taglio dei boschi … eppure solo un taglio è centrale per la distruzione, probabilmente l’ultimo per l’Italia, quello mortale - l’unico colpo di rasoio a cuore agli psicopatici che comandano a bacchetta la feccia in cravatta e tailleur della dirigenza nazionale, protetta dal basso patriziato che spera ancora di lucrare qualche cioccolatino - quello, orizzontale, fra le generazioni.

Il Sessantotto, rivoluzione coloratissima e psichedelica che iniziò l’operazione “homunculus”, fu il primo tentativo “radicale” di recidere la tradizione (lat. trā-dere, dare oltre, affidare, consegnare in mani fidate id est piene di fede, a cui prestare fede). Non si contarono mai abbastanza gli eserciti di filmini, le canzoncine, le concioni e le invettive varie contro i padri, le madri, gli avi, persino i padri della patria, ridotti a lestofanti e mestatori; la consegna andava sventata ... non una, ma due tre cento volte si dipinse il mondo del passato coi colori bui di una reazione ferina e depravata, da rigettare e dimenticare … in nome della falsa libertà, come sempre, si arrivò alla perversione perfetta dell’etimologia stessa, tradire, fondata sul tradimento supremo e insuperato, quello del ragionier Giuda, che consegnò il Cristo.
E ora assistiamo allo spettacolo di tale mondo libero

E poi seguirono altre rasoiate.
Nelle università contro la trasmissibilità del sapere (il diciotto politico, il trentasei politico, il crollo casual della selezione); nei reparti di ostetricia onde triturare feti e svuotare il ruolo della madre, quella vera, simbolo supremo della vita e della gerarchia legata al sangue; nelle scuole in cui si doveva, da subito, disimparare tutto ciò che ci legava allo ieri, dalla storia (non si studia la guerra in Vietnam, ma ci rendiamo conto!); nella religione (e il buddismo dove lo mettiamo? E il giainismo? Vi fa schifo?); nella lingua (l’inglese vi servirà come il pane! Come troverai lavoro senza inglese? Meno genitivo da latinorum e più genitivo sassone!); in economia, disincentivando mercé miriadi di leggine e regolamenti locali, le più sciocche e gratuite, i piccoli proprietari e il rapporto stesso degli Italiani con la terra onde favorire il latifondismo da multinazionale, spacciato per efficiente; nel sociale con l’irruzione del divorzio; nella psicologia fomentando un immaginario da rotocalco femminile in cui occorreva liberarsi dei tabù instaurati da quei delinquenti di mamma e papà; e ancora: imposte vertiginose sulla casa e i servizi locali (il decentramento!) per costringere alla resa gli omiciattoli e sfarinare lentamente, ma fatalmente, l’asse ereditario (l’eredità è un furto: così i falsi socialisti di ogni risma già in secoli meno sospetti); nel Cristianesimo, tramite il Concilio, che prevedeva minutamente un’architettura, una liturgia e una lingua sciatti, falsamente vicini al fedele, brutti, squallidi, generici - in sostanza un corpus di credenze svalutato come respingente, insulso, fungibile, e reso buono per quaccheri, hippie e animisti, inutilizzabile; nei mestieri e nelle professioni, resi, grazie alla tecnica digitale, roba da passacarte o fenomeno sussunto velocemente dalla sfera seriale; in ogni arte, anche la più minuta, investita al ribasso da torme di dilettanti cui faceva gioco la mancanza di selezione (abolizione della terza pagina, della figura del critico etc).

Cosa significa tagliare quei fili? Cosa significa, in ultima analisi, la rinuncia alla sapienza come tradizione, alla profondità dei secoli?

22 aprile 2023

Occidente in demolizione controllata


 "The tiger springs in the new year. Us he devours"
Thomas S. Eliot

Roma, 22 aprile 2023

Più passa il tempo storico, oramai scandito da malsani scoppi di follia invece che da avvenimenti politici rigorosamente esaminati e classificati, e più pare d’essere precipitati agli estremi fotogrammi di una dittatura africana del dopoguerra. Pochi ricordano Amin Dada e Bokassa, i garzoni messi su dall’Europa per sfruttare quelle lande sradicate al loro tran tran neolitico. Li si chiamava dittatori; erano, invece, lo specchio deformante di un’Europa che si stava liberando da sé stessa. In quanto déracinées, e pertanto privi dei tradizionali ammortizzatori psicologici, i Bokassa solitamente erompevano in orge megalomani d’iperbolico sadismo kitsch; ove la leggenda, s’attenuava, forse, più casta della realtà: oppositori gettati in pozze lutulente ove diguazzavano coccodrilli antidiluviani, troni esornati da centinaia di migliaia di perle, ministri assassinati in pieno consiglio per escinderne ghiotte cervella, amanti depezzate, ceste di diamanti, unzioni messianiche, petti onusti da figliolanze di medaglie da pitocco.
Questi golem morirono quasi tutti nel proprio letto perché gli Europei, che ne hanno viste tante, li trattarono, alla fin fine, da figliuoli scavezzacollo. L’ansia da esecuzione sarà propria dei trogloditi yankee, da Gheddafi a Saddam al povero nefropatico rintanato nelle gole afgane.

Sono tempi d’infimo impero, tempi ultimi per questa nazione rabberciata, l’America, ormai a fine missione. A riguardare il postremo Bokassa della Pennsylvania, Joe Biden, sembra di assistere alla finis terrae della razionalità; discorsi sconnessi o da spacconi, gaffe istituzionali, ciangottamenti, vane gesticolazioni nel vuoto; soprattutto un’istintiva e feroce disistima per la delicata impalcatura democratica: a differenza dei predecessori che, almeno, fingevano uno scontro ed erano costretti a vellicare grossolanamente le pulsioni più elementari dell’elettorato di riferimento (tasse, comunismo, eccezionalismo americano).
Tale spettacolo da Barnum, che si ripercuote vertiginosamente giù per li rami istituzionali, dal transmarinaretto alla polimorfa compagine clitoridea che gli si struscia d’attorno, ci ammonisce variamente.
La prima cosa che salta all’occhio è che l’America ha esaurito il proprio ruolo, e non per sua scelta. La seconda, evidente, ma ancora ignota al miccus suffragans, è che la democrazia, nella sedicente culla democratica, non esiste più, nemmeno nella finzione scenica: percentuali, sondaggi, conteggi e riconteggi non hanno rilevanza; siamo alla pura pantomima. Il prescelto si insedia direttamente; la manfrina dei gagliardetti, delle convention, dei manichini televisivi, liberali o conservatori, repubblicani e democratici, elefante e asino, blu e rosso, viene mantenuta solo per non allarmare troppo il residuo corpo elettorale: mera questioncella di ordine pubblico. E chi è il prescelto? Un Bokassa qualunque, un prestanome; un subdominante cui si concede tutto, dalla repressione interna alle sanguinose minacce internazionali, poiché il voto, nella sua essenza contabile, più non serve: la manipolazione a posteriori fornirà l’innegabile sostanza (c’è poco da fare, ha vinto!), sancita, poi, dalle vacue e sbrigative formalità costituzionali. Anche governatori, sindaci metropolitani e amministratori locali, la flebile epifania della libera scelta democratica, paiono usciti da una sit-com farsesca; come quel senatore della Pennsylvania (ancora!), uno capace di accendere lampadine con la bocca, forse uscito dai provini de Le colline hanno gli occhi; l’irruzione delle minoranze, poi, gravide delle rivendicazioni più sciocche, ha donato quel tocco di delirante anarchia a tutto il caravanserraglio: perché, ricordiamolo, le apocalissi dei cretini richiamano irresistibili il tono grottesco.

No, il Potere non s’identifica più con l’America e il mondo che gli fu soggetto; essa non regge il suo ruolo, secolare, di pupazzo da ventriloquo. Si cambia, è davvero tempo di olocausto globale, l'ultimo possibile, privo di ritorno. La metastasi è troppo avanzata e corrode persino l’immaginario. Solo il ridicolo servilismo italiano rimane fermo ancora ai tempi di Kansas City e dell’americano a Roma Nando Mericoni. In cambio di tale filoatlantismo fuori moda, però, l’Italia non riceve prebende, ma, anzi, s’ammala. Basti vedere come alcune nostre città d’arte, ancora splendide sin a cinquant’anni fa, si siano tramutate in pattumiere antropologiche e urbanistiche rassomigliando, gradatamente, ai suburbi più lerci e psicopatici delle big city yankee, formicolanti di un demente sottoproletariato digitale: squatterschlein, pensionati più pulciosi dei loro sacchi di pulci, drogati, zingari stipati in caravan dalle gomme sgonfie, inabili, deformi, pazzi, obesi in canottiera, vecchi che strascinano sporte di plastica appesantite da junk food; i caseggiati popolari lordati dagli spray, le ringhiere divelte, si aprono su prati fulminati da piscia e merda di cane, gli angoli dei cortili spessi per i rifiuti di anni: carte da gelato, plateau da discount, cartoni di surgelati alla plastilina, ma da saltare gustosamente in padella, preservativi rinsecchiti.

27 marzo 2023

Il dovere di essere reazionari


Roma, 27 marzo 2023

I funerali … il dovere di andare ai funerali … e sia! Poi, sbiaditi i commenti, i saluti insinceri, le stupidaggini sullo scorrere del tempo, ci si divide con un sospiro di sollievo. Parenti, amici, sodali sono ben contenti d’essere ancora in vita … rispetto al salmone appena interrato, s’intende … in realtà, lo annuso, assolutamente disperati quali gli eviscerati omarini postmoderni sono. La loro ansia di sfuggirsi l’uno con l’altro non è che la testimonianza di una asocialità e psicopatia indotta dal Potere cui pochi riescono a contrastare. Finita l’esibizione di cravatte e tailleur, le insinuazioni sulla vita privata altrui mascherate da premurosa cortesia (voglio proprio vedere come se la passa ‘sto coglione!), lo sbattere delle portiere, estremo fuoco artificiale del me ne frego, annuncia la smobilitazione delle mascherine. Le auto ibride scivolano senza suono, come le automobiline da scontro negli anni Settanta; i volti, intuiti dietro le trasparenze dei parabrezza, già riacquistano la normalità scipita e disperante dei giorni, cucchiaini da caffè che consumano esistenze prive di significato. Per conto mio, me ne scappo a piedi (dov’è la tua macchina? ... non c’è, sono venuto col 19 ...t’accompagniamo a casa? ... no, no... Alla fermata? ... no). Sgombrato il capannello, deposte le corone, già indistinguibile ciarpame, il cimitero del Verano riprende la consueta anomia. Lunghi viali rettilinei, desolati, edifici deserti fitti di loculi abbandonati, le luci tremolanti o spente del tutto, la vegetazione incolta, i larghi prati malmessi o circondati da transenne presso tratti di architetture crollate. Mi immetto in un largo viale che reca all’uscita sulla via Tiburtina. Sulla destra è l’altopiano del reparto Israelitico, anch’esso privo di alcun visitatore.
A livello del terreno alcune tombe dei primi del Novecento. Marmi, memorie, cippi. Così dovevano apparire ai viaggiatori le antiche consolari romane, affiancate da epigrafi e ammonimenti. Le vie che si dipartivano da Roma, l’Eterna, così perfette nella manutenzione e nella posa dei basoli, e simbolo della potenza e dell’organizzazione imperiale, si costituivano come straordinari memento mori.

Una teoria di nomi, date, speranze, afflizioni. Immagini di volti, alcuni conservati perfettamente a distanza di secoli. A ridosso della collinetta che risale verso i campi meglio tenuti, una lapide: Nina Levi, 1878-1899.
Nina. Forse Antonina?
Non posso rimanere indifferente. Ecco, ella mi osserva, da due secoli addietro; è fra noi. L’acconciatura gozzaniana, il collettino d’antan … la pudica ritenutezza, e il liquido scuro degli occhi che annulla le distanze; con noi discorre, ancora, familiare come i ritratti romano-egizi del Fayyum. L’amore dei genitori per la figliola, il dolore per la perdita: “Riposa Nina, riposa, caro angelo nostro, nel grembo dell’Eterno, tu, gioia strappata ai nostri giorni sulla Terra, riposa, gentile e casta fanciulla”. Le lettere incise con maestria, debitamente simmetriche, con ragionevoli sbalzi di dimensione fra i caratteri, a esaltare virtù della giovane defunta e invocazioni celesti. E quell’inciso, CONCORDIA DISCORS, tratto dall’epistola oraziana a Iccio: onde ammonirlo a non abbandonare la filosofia per la scabbia del lucro e dimenticare “quae mare compescant causae, quid temperat annum/stellae sponte sua iussaene vagentur et errent,/quid premat oscurum lunae, quid proferat orbem,/quid velit et possit rerum concordia discors”: cosa e chi governi il mare, le forze regolatrici delle stagioni o degli astri, perché s’oscuri la luna, quale il fine o la natura dell’armonia discorde delle cose.
Una famiglia ebraica cita un Romano imperiale che allude a un greco di Sicilia che anticipa di due millenni i concetti del cristiano Eliot: “reconciled among the stars”: poiché unica è la lingua, e occorre amarla a fondo per non infangarla, per comprenderne la portata.

In questa immagine purissima è condensato tutto ciò che occorre sapere sulla resistenza, sulla nostra etica, semplice e inflessibile. Opporsi al transeunte, alla sciatteria, all'oblio canceroso, al livellamento, alla globalità che spiana le differenze e il patrimonio dei popoli; selezionare, selezionare; rendersi indipendenti dalla moda, dai tempi; rigettare la moda e i tempi, continuamente definire, scavare nel senso delle parole, infinitamente adeguarle a una realtà di ricchezza infinita.

Henry Gee è un genetista, un evoluzionista darwiniano. Questo non mi disturba. Se proprio dovessi trovare qualcosa di scostante in lui, lo rinverrei nell’adesione, adombrata più che dichiarata, all’antispecismo e nel tributo (inutile quanto goffo poiché non richiesto) a un vago ateismo. Sono peccatucci da poco, tuttavia, quasi delle tangenti che un autore scientifico deve pagare per non farsi squalificare alla partenza. La scienza attuale, infatti, è quanto di più intollerante sia mai apparso nella fugace storia del pensiero umano.

Ma torniamo a noi. Cosa dice Henry Gee nel libretto La specie imprevista. Fraintendimenti sull'evoluzione umana?

07 marzo 2023

L'accabadora

 

Roma, 7 marzo 2023

Il tifo, inteso come sopravvalutazione e giustificazione acritica della propria parte, è l’unico residuo dell’anima ancora in grado di smuovere i cuori, almeno in Italia. Eppure … Mi piace, da flâneur della dissoluzione, riguardare le reazioni dei tifosi dopo una partita molto sentita, accesa da rivalità secolari … spesso sorprendo questi tipi lombrosiani su youtube … quasi tutti, se non la totalità, registrano video da soli, dal buio di una cameretta, sciatta e anonima, la sciarpetta o il vessillo standardizzato alle spalle. Si lagnano, fanno finta di urlare la gioia o il disinganno, accendono gli special della derisione, ma sono scenette di raro squallore, quadretti di gente desolata che si rigira nella desolazione cercando di ravvivare una fiamma languente. Gli rimane un po’ d’acrimonia, o di bile, al massimo … la visceralità delle vittorie e delle sconfitte dei propri beniamini in mutande non li tange, dato che, spesso, nemmeno esiste più il campanilismo da contrada che contraddistingueva i primi tifosi … essi solo puntano le fiches residue di una disperata umanità su quei milionari apolidi, così, giusto per vilipendere, la sera, il presunto avversario, chiunque egli sia, soli, irrimediabilmente soli, la luce azzurrina dei computer a rischiarare quei volti tutti eguali.

Rispetto di più gli hooligans inglesi che, almeno, cercano di strappare i labari altrui con qualche scontro fisico. Chiediamoci perché è stata lanciata una guerra totale contro il tifo da stadio … cosa significasse, in realtà, il DASPO, il controllo, la digitalizzazione ossessiva anche in questo settore … ovviamente tutti diranno: per colpa dell’Heysel, quei poveri morti! A causa degli pseudo tifosi che mettono a ferro e fuoco gli autogrill, le piazze italiane, gli autobus! Ma questa è solo l’occasione che motiva l’intervento, anzi l’operazione. Il problema, vero, è che il Potere rinviene in tali comunità, estrema barbara propaggine di quelle di sangue, la potenziale fucina di un dissenso organizzato assai pericoloso; poiché basato sulla complicità, l’onore, l’appartenenza, l’identità. Non a caso il fascismo è stato sempre accostato strumentalmente al tifo … e non solo perché se ne temono le quadrate legioni, ma per la connessione spirituale fra i suoi membri. Che tale spiritualità sia di quart’ordine è, qui, irrilevante. Ciò che risulta decisivo per il Potere è lo scioglimento de vi degli stati intermedi che si frappongono fra il Moloch statale, ormai diluito nella Monarchia Universalis, e l’individuo. Solo tale duello deve sussistere: Ominicchio vs Moloch, un mezzogiorno di fuoco dall’esito più che scontato. Un individuo deprivato, piccolo, stupidamente immemore e ottusamente nemico proprio di quelle istituzioni (famiglia, partito, compagnia, monastero) che, sin dagli albori della civiltà, hanno sempre attutito le varie e imperfette forme di totalitarismo escogitate. Che questa sia la questione sul tappeto, e non l’ordine pubblico, si nota dall’indifferenza sbadigliante che il medesimo Stato riserva ai tagliagole metropolitani e alle guerriglie urbane di anarchici e compagnia cantante: mezzi idioti che giustificano l’unico fine.

Si dice: vedi tutto nero. Ma chi può essere ottimista? Distruggere è facile. Le configurazioni, dalle più delicate alle più resistenti, vanno in mille pezzi sotto la spinta di una furia dissolutrice che attacca anche le istituzioni dapprima ritenute intangibili; così, senza vergogna, senza opposizione. Gli stessi mi dicono: ricostruiamo!