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02 aprile 2018

Il ripetente Bergoglio


Roma, 2 aprile 2018

La recente, sciocca, querelle Scalfari-Bergoglio, in cui i due fuori corso del pensiero debole tentano di affossare uno dei pilastri dell'Occidente mi ha fatto tornare in mente il romanzo Roma senza papa del compianto Guido Morselli.
Una delle opere capitali del Novecento. Inavvertita.
Ne scrissi (indegnamente: da allora sembrano passati millenni) in Pasolini, Morselli e la Roma senza papa.
Vi si descrive la fine del Cristianesimo. Morselli ne azzecca parecchie, soprattutto il tono disilluso e crepuscolare: la resa ameboide della tradizione a Qualcosa d'Altro che di volta in volta egli identifica con lo scetticismo, la psicoanalisi, lo storicismo, lo spiritualismo new age. E così via. In verità, da non credente, ho ravvisato nel suo resoconto dei bagliori infernali: di quell'inferno in terra che mi trovo a evocare sempre più frequentemente: l'inferno della mediocrità, stazionario, di massima entropia. La bandiera bianca dell'umanesimo.
Il romanzetto, breve e scorrevole, va letto tutto. Eccone un estratto in tema:

02 ottobre 2017

Pasolini, Morselli e la Roma senza Papa


Pubblicato il 1 giugno 2013

Pasolini comincia leggero: “Ho visto ieri sera (Venerdì Santo?) un mucchietto di gente davanti al Colosseo … ho creduto in un primo momento che si trattasse del gesto di qualche disoccupato arrampicato in cima al Colosseo. No. Era una funzione religiosa a cui doveva intervenire Paolo VI. C’erano quattro gatti … Credo che non ci fosse nessun romano. Un insuccesso più completo era impossibile immaginarlo(1). Tale spettacolo però lo raggelò nel profondo. Una nuova bestia dagli occhi verdi emergeva dalle acque ribollenti della postmodernità - una bestia suasiva, democratica, permissiva, tecnica: il Nuovo Potere, il materialismo consumista, il fascismo pubblicitario etc etc. Assieme alla Chiesa spariva improvvisamente dall’orizzonte storico quella tradizione agreste, familista, cautelosamente paleoindustriale, cattolica, che aveva costituito il midollo italiano per millenni e raccolto l’eredità immane della koiné greco-romana - un tronco gigantesco e immutabile da cui rampollavano le varietà straordinarie dei popoli italiani, dei linguaggi, delle arti, delle stratificazioni urbanistiche, degli incroci culturali e di sangue, delle forme, dei paesaggi, dei volti. Lo stesso fascismo storico (quello del ventennio mussoliniano), nonostante i tentativi disperati (linguistici, architettonici …), fu impotente di fronte a tale fioritura eterna. Di qui i fraintendimenti: Pasolini cattolico, Pasolini non antifascista coi fascisti. Vero: Pasolini rimpiangeva quella tradizione contadina, semplice e distillata nei tempi: in tal senso fu un vero cristiano, un dolciniano furente, debole coi semplici ed avverso al mondo clericale e piccolo borghese, crassamente pragmatico e prevaricante. Vero: egli liquidò brutalmente il fascismo storico come "banda di criminali" e "pietoso rudere", come breve accidente storico: per gli antifascisti, perciò, non fu abbastanza antifascista, poiché il suo antifascismo fu sempre diretto contro il nuovo totalitarismo dello sfrenamento edonista, dei falsi diritti civili, della falsa democrazia. Si doveva, forse, perdere ancora tempo con Almirante quando il nuovo Moloch avanzava come il Colosso del quadro di Goya?

06 giugno 2017

Aylan, la morte di un bimbo al servizio del potere


Pubblicato su Pauperclass il 5 settembre 2015

Sintetizzo da un articolo di Moreno Pasquinelli (www.antimperialista.it), certamente non un intellettuale gravido d’umori razzisti o fascisti:
Gli ultimi dati ci dicono che sono circa mezzo milione i migranti che nei primi sei mesi de 2015 hanno chiesto asilo politico all'Unione europea, contro i 600mila dei dodici mesi precedenti ... E' evidente che gli effettivi perseguitati politici sono un'infima minoranza, che la stragrande maggioranza dei migranti sono piuttosto ‘deportati economici’ … la deportazione economica dalla periferia povera al centro ‘opulento’ è  funzionale ai dominanti sotto molteplici aspetti. Cinque su tutti: 1. immettere al centro milioni di disperati pronti a vendere la loro forza-lavoro per quattro soldi rafforza, al centro, la tendenza all'abbassamento generale dei salari ed alla competizione selvaggia tra lavoratori a tutto vantaggio del capitale; 2. la fuga in massa contribuisce alla desertificazione dei paesi da cui si emigra ed è utile alle classi dominanti di quei paesi in quanto, sgonfiando le tensioni sociali endogene, consolida il loro dominio; 3. di converso l'immigrazione in massa contribuisce in maniera determinante a distruggere il tessuto connettivo o demos dei paesi ospitanti ... 4. in questo imperiale melting pot democrazia e diritti di cittadinanza sostanziali sono destinati a sparire a loro volta, per lasciare il posto a stati di polizia ed a relazioni neofeudali di servaggio e sudditanza, fatti salvi diritti cosmetico-formali ‘per le minoranze’ e innocui spazi-ghetto comunitaristici. Lo spazio giuridico-statuale imperiale, per sua natura, non può essere democratico … 5. deportare decine di milioni di immigrati è strategicamente funzionale al disegno delirante di sopprimere gli attuali stati-nazione e fare dell'Unione un impero”.
Impossibile non essere d’accordo.
La frase “dalla periferia povera al centro opulento” è decisiva; purché la si integri con la frase complementare, e anch’essa decisiva, “dal centro opulento alla periferia povera”. Sono fenomeni interconnessi, come nel principio dei vasi comunicanti: il livello del vaso con più liquido si abbassa e quello con meno liquido si alza. Gli immigrati arrivano in Italia dalla periferia povera: il loro livello sociale non può che salire; gli Italiani migrano verso la periferia povera: il loro livello sociale non può che scendere. Un sorta di gentrificazione al contrario, di portata epocale.