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19 luglio 2023

Canicola

  

Roma, 20 luglio 2023

"Anche i migliori non sfuggivano talvolta alla tentazione di degradarsi volontariamente, di livellare le frontiere e le gerarchie, di tuffarsi in quella superficiale fanghiglia di comunanza, di intimità facile, di turpe promiscuità"

Bruno Schulz, Le botteghe color cannella 

Caldo torrido, caldo africano, ondata di calore, Caronte, Flegetonte, Stige, fuoco, vecchi bruciati dal fuoco, l’Italia che arde, incendi, clima torrido, clima africano, rosso fuoco, picco di calore, temperature a terra, temperature record, caldo record, anomalia record, Italia bollente, bollino rosso, gran caldo, caldo boom, Fontana di Trevi, apocalisse. Fa caldo ragazzi, eccome se fa caldo. Un caldo diverso, però, assai più caldo di quello delle estati passate. A parità di temperatura, ça va sans dire.

Sì, signor giudice … confesso ... lo faccio liberandomi finalmente l’anima da un peso insostenibile, e rimettendomi, al contempo, alla clemenza del Vostro giudizio  … confesso: i trentacinque gradi delle mie estati da ragazzino erano assai più fresche se confrontate coi trentacinque gradi di oggi. Purtroppo, nato e cresciuto quale plebeo, vissi nell’ignoranza … ma ora, in attesa della condanna, severa quanto equa, perdonate una minuscola caduta nel ricordo. Si era a metà degli anni Settanta. Spensierato, come solo i bambini di allora potevano essere, senza nemmeno il sospetto della crudeltà, innocente come un uccellino, solevo sdraiarmi all’ombra, presso il balconcino della nostra cucina: in un palazzo popolare dell’infinito suburbio romano. La mattina, libero dagli impegni scolastici, che pur mi erano cari, io leggevo. Giulio Verne, non ancora Jules, fantascienza, Dracula, Frankenstein, Tex, saggi su Magellano e Cristoforo Colombo (rinvenuti nella sbrindellata e casuale biblioteca di casa), leggende cristiane, Dumas, Paperinik. Andava di moda, a quel tempo, il gioco del clik-clak, due palle di legno legate a un filo che si facevano cozzare violentemente e velocissimamente con un giuoco formidabile dei polsi. I lunghi pomeriggi, senza televisione, amavano riempirsi di tali ritmici rintocchi; dalle decine di balconi che davano sull’ampio cortile interno, sorta di salotto comune, ragazzini e adulti discorrevano amabilmente fra loro; poi, svaporate le ore più calde, ci si ritrovava fra noi, a inscenare farandole e scherzi infantili: allora, per qualche ora, tutto prendeva a risonare di schiamazzi e richiami; l’aria immobile si faceva gradatamente compassionevole; al tramonto s’avvertivano lieti i profumi della cucina: un fritto, della carne al tegame; si cenava, a volte, rinserrati come conigli, proprio su quei balconi; dopo, mentre mia madre risciacquava i piatti, amavo starmene da solo, coi gomiti appoggiati alla ringhiera scrostata. Aspettavo il consueto miracolo personale: le luci della sera. Quelle timide accensioni, una dopo l’altra, contro all’azzurrino del crepuscolo che, dolcissimamente, cedeva il campo alla notte, mi rapivano irresistibilmente, ogni volta. Soggiogato, riuscivo a dimenticare persino la fetta di melone, che mi rimaneva in mano, a mezzo sbocconcellata; l’umile spettacolo: flebili lampadine giallastre, abat-jour, soffusioni al neon, lampadari a goccia - tutto definiva le sagome di chi avevo pur visto, in pieno giorno. Ma quegli uomini e quelle donne, e i loro figli - Stefano Elisabetta Enrico Danila - mutavano, ora, in presenze nuove, fantasmatiche, seppur amiche. Un mondo sospeso, diverso; in cuor mio (ma lo compresi solo più tardi) speravo che rimanesse per sempre, gravido del dono dell’eternità. In sottofondo s’avvertiva il ronfare della città; e il pulviscolo dell’elettrico, lontano, verso il centro formicolante, da lì sfumato come un miraggio. Poi le tenebre infittivano; inaspettata, risaliva da terra una brezza fresca, a scuotere i rami dei pinastri del cortile; allora chiudevo gli occhi, a meglio goderla: il mondo era perfetto.

14 giugno 2020

Cronache dalla fine dell’Occidente [Il Fu Rabal]


 
Il Fu Rabal

Nell’Estremo Occidente tutto si muove rapidamente, il passo è quello di una danza apparentemente caotica a un ritmo che è un misto di rap e canti eleusini (Daemonia Nymphe): siamo passati, in un balzo, dalla fase 1 alla fase 4 della demolizione controllata del Mondo che non sarà più.
Ma andiamo per ordine. Circa un mese fa io e la mia famigliola abbiamo partecipato a una manifestazione anti “lockdown” tenutasi nella capitale della Stato di Washington, Olympia, c’erano circa un migliaio di persone davanti al Campidoglio, la sede del parlamento statale, per lo più provenienti dalle zone rurali, un piccolo palco, uno stand che vendeva hot dog e una serie di oratori, molte famiglie con bambini, un buon numero di chiassosi motociclisti e uomini di tutte le età armati di fucile. La polizia guardava da lontano con un certo distacco, nessuno era mascherato e il distanziamento sociale ignorato, mentre sullo sfondo sventolavano bandiere e cartelli inneggianti a Trump e ad altri rappresentanti Repubblicani. Il fronte della resistenza si espresse in una serie di interventi che si possono riassumere in: vota per me, alle prossime elezioni (previste per l’autunno) manderemo a casa Inslee, il governatore Democratico, e la sua corte, difendiamo la costituzione, rivendichiamo la nostra libertà di espressione e il diritto a portare armi (primo e secondo emendamento della costituzione degli USA), riapriamo lo stato e tutte le attività commerciali. A me sembrava fosse la solita aria fritta, ma forse non lo era del tutto.

28 aprile 2020

Fughe nella prigione


Roma, 28 aprile 2020

Fughe nella prigione è un librino di Curzio Malaparte, pubblicato nel 1936, dopo la condanna al confino per attività antifasciste (Malaparte fu espulso dal PNF nel 1933, dopo una prima, entusiastica, adesione). Eccovi la prefazione all’edizione del 1954. Vi chiedo di assaporare qualche eco remota. Non giudichiamo, culliamoci un pochino. C’è più umanità e vita (ampiezza di vita) in queste righe che in un tomo di mille pagine di Baricco. E poi troviamo il riferimento a una dolente consonanza con Cesare Pavese. Pavese, da comunista, assaggiò, infatti, la cella di Regina Coeli e il confino, più duro di quello di Malaparte, dopo una delazione di Aldo Segre, alias Pitigrilli:
Essere stato in prigione o al confino, è per molti, in Italia, e non solo in Italia, un volgare pretesto a ogni sorta di speculazioni politiche. Per me è soltanto un'esperienza umana, che ha egualmente giovato all'uomo e allo scrittore. Ne avrei tratto senza dubbio anche qualche vantaggio di ordine pratico, se mi fossi imbrancato anch'io in questo o in quel partito politico, e avessi gridato sui tetti, come han fatto tanti altri, che io pure sono un martire della libertà. Non mi pento oggi, e non mi pentirò mai, di non aver commesso un simile errore di gusto.
Ho conosciuto un solo scrittore, in Italia, che della prigione e del confino non abbia fatto materia di speculazione politica: Cesare Pavese. E lo stimo, lo rispetto, lo amo anche per questo. Un mese prima della sua morte, ai primi di Luglio del 1950, lo incontrai a Roma, in Via Sistina. Ero con la povera Jana, che già meditava il suicidio. (Jana si ammazzò otto giorni dopo). Cesare Pavese mi disse: ‘Peccato che lei, oggi, non sia con noi’. Gli risposi che ero con loro quando si trattava di andare in prigione e al confino, non ora che si trattava soltanto di vincere i premi letterari. E proprio in quel momento mi ricordai, ma era troppo tardi, che egli aveva vinto, in quei giorni, un premio letterario, e, com'egli diceva, un 'premio mondano'. Sorrise timidamente, come per scusarsi, poi mi disse: ‘Io non sono di quelli, i quali pensano che valga soltanto la loro prigione, quella degli altri no. La mia vale quanto la sua’.
Ora Pavese è morto. Si è ammazzato. L'ossessione propria del carcere, è il suicidio: il solo modo di evadere. Basta leggere tutte, o alcune, o anche poche, delle sue pagine, per capire che Pavese non era riuscito a liberarsi dall'ossessione della prigione. Nel suo diario postumo, (Il mestiere di vivere), ha lasciato scritto: ‘Andare al confino è niente; tornare di là è atroce’. Non era mai riuscito, in fondo, a ‘tornare di là’. Dopo tanti, dolorosi tentativi di fuga attraverso l'intelligenza, la cultura, la poesia, è finalmente riuscito a fuggir di prigione attraverso la morte. (Ha detto di no a quel che pensavo quando anch'io tentavo di ‘tornare di là’: che soltanto i criminali, e i bruti, tentano la fuga segando le sbarre delle inferriate, o tagliandosi le vene dei polsi. Anche i disperati, avrei dovuto aggiungere). Attraverso la morte, questa vera libertà, la sola per cui valga morire. E penso oggi che la sua morte abbia valore per tutti, non per lui solo.
Vorrei dedicare alla sua memoria il racconto di questi miei tentativi di fuga, di queste mie fughe in prigione
”.
Queste poche righe ci involano a qualche aerea considerazione.
 


01 luglio 2019

Una puttana si aggira per l’Europa …


Silva Candida, 1 luglio 2019

La puttana della Bontà.
Tutte le forze della vecchia Europa si sono unite per compiacere la Nuova Prostituta, la Donna Scarlatta: papi e governanti democratici, eretici, laici e radicali atei, preti e suore, ebrei e musulmani, malvagi e altruisti, banchieri e pauperisti, Bono Vox e Lady Gaga. Da ciò scaturiscono due indubbie conclusioni:

1. la Bontà Universale è il legante del Nuovo Mondo
2. è tempo per gli avversari, i mostri, di rinunziare definitivamente e lasciar correre il nuovo anelito epocale

Occorre preterire i raptus interpretativi, la cronaca minuta, i cambi di campo, le vociferazioni, la geopolitica.
Al lavoro è la Grande Opera.
Non esiste il prima o il dopo, il reazionario o il rivoluzionario, la destra o la sinistra o qualsiasi decrepita concrezione; del pari, non esistono i corpi dei messicani o degli africani annegati; né chi si compiace di quelle morti; nemmeno chi le rivendica con il volto rigato dal rimmel da agape del terzo millennio.
La Grande Opera, solo quella esiste.
I tormenti, gli scontri, le truculenze, le comparsate televisive a nulla valgono; sono teatro, sciocchezzuole: al dunque, ovvero al Dunque, son tutti d’accordo.

Una nave appesantita da qualche culturista sfonda barriere e divieti; vengono organizzate collette e maledizioni; le giugulari si gonfiano catodicamente: eppure la nave va. Inarrestabile. Le flotte europee e italiane non posseggono uno straccio di unità e qualche marinaio in grado di arrestare una barchetta di cartone comandata da una ragazzina. È tutta una buffonata, un teatrino da Gianicolo. Affondiamola! No, spingiamola col vento della solidarietà! Una sfida alla sovranità nazionale! No, una sfida agli egoismi dell’opulenta Europa! Un’invasione! Macché, la giusta nemesi per un continente che ha massacrato i deboli! Intanto, mentre tutti sono occupati a considerare i randelli di gommapiuma, la Sea Watch continua indisturbata come in una versione parodica de Il campo dei santi. Il programma, la Grande Opera, va avanti.

05 febbraio 2019

Mamma, li Bianchi!


Roma, 5 febbraio 2019

L’ultimo gradino … quel gradino finale, decisivo, che porta alla soglia dell’irreparabile, spalanca l’abisso, divide per sempre dal dopo … viene avanti una figura inedita che si affaccia all’orizzonte del nostro Paese … silenziosa, qualcuno che nelle mille convulsioni dell’Italia ancora non conoscevamo, e che sembra spuntare di colpo dalle pagine di un romanzo di Harper Lee sull’America più profonda: è il fantasma dell’uomo bianco”.
Queste parole sono scandite dalla prosa, nobile e piagnucolosa, di Ezio Mauro, ex direttore de “La Stampa” e di “Repubblica”.
Il libro da cui sono estratte si titola: L’uomo bianco. Per la comprensione immediata del brogliaccio ecco il breve sunto: “Siamo noi che, lasciandoci via via rinchiudere nella corteccia delle paure nostre e altrui, ci trasformiamo come dei mutanti, fino a voler tornare a distinguerci in base alla pelle e al sangue. È l’ultimo spettro italiano: quello dell’uomo bianco”.

04 maggio 2018

TRUMP-JONG-MOON [Il Poliscriba]

 
Il Poliscriba
 
Il Trumpangolo no, non l’avevo considerato
Kim Ki-duk

Ebbene sì, sono un cinefilo e temo che, nel mio caso, sia un modo per rifuggire dalla realtà del mio orticello, quanto dalla steppa bruciata dal freddo sociale calato sul presente, come l’orda tartara, esaltata in toni bianchi e neri, del perfetto Andrej Rublëv girato dal mio caro amico Andrej Tarkovskij.
L’ho detto e non mi tiro indietro.
Chiamo amici i Penati della cultura, i Numi tutelari di una Tradizione estinta o in via di estinzione; coloro che riescono a scuotermi meglio di quanto non riesca la traduzione dell’eponimo Shakespeare (lancia che scuote … per gentile concessione di Carmelo Bene)
Intrappolato nelle spire magiche del sogno maldestro di uno sciamano yaqui, il mio essere o il mio doppio spirituale, non saprei, comunica in preda a un solipsismo onirico con i giganti che calcarono la terra, i mari, i deserti, le alte cime, i fiumi in piena, i papiri ondosi, la carta di riso o quella ch’era una rigogliosa tundra medievale, rimasta intatta ancora nei primi del ’900, ai piedi di un paradiso uralico sapientemente rimembrato dall’occhio malinconico di Kurosawa nel suo profetico Dersu Uzala.

22 marzo 2018

Un tenero esserino del futuro


San Martino al Cimino, 22 marzo 2018

Certo, il mondo quotidiano è avvilente.
La consapevolezza che anche gli uomini più avvertiti non possiedono la minima contezza della vera posta in gioco induce alla depressione.
In assenza di uomini d’azione (e sia!) avanza il dotto alternativo in grado di resecare crini di cavallo in sezioni di minuscolo e fantastico spessore.
Con tale nuova figura di rivoluzionario e combattente il dialogo è impossibile.
O meglio: una qualsiasi base di dialogo pare inesistente o fragile sino alla catastrofe.
Il dotto alternativo o sapiente rivoluzionario conosce ogni branca del sapere tecnico e tecnologico, in modo così profondo rispetto al volgo comune, da riuscire a sbagliare ogni previsione sulla sostanza delle cose o da azzeccarla a babbo morto erigendosi a profeta postumo.

01 luglio 2017

Donald, I have a dream ...


Pubblicato su Pauperclass il 10 novembre 2016

E così Trump ha vinto.
I presunti grandi rivolgimenti mi vedono sempre tiepido.
Brexit, Trump, referendum scozzesi, elezioni spagnole.
Il tifo (che si riassume nel motto: il nemico del mio nemico è un amico) non è mai stato nelle mie corde.
E ormai son divenuto troppo disincantato per prestar fede a queste brevi ubriacature.
L’unico mio interesse è osservare le nervature del potere che si muovono sottopelle.
Esse acconsentono a un movimento contrario al montante feudalesimo basato sul censo e il familismo?
Acconsentono, inoltre, a un ritorno alla normalità, dove il sì è sì, il no è no, e una perversione è una perversione e non un inno alla libertà?
Vedremo.
Vedremo se, con Trump, la Finanza internazionale e l’economia basata sul nulla cederanno lentamente il passo al lavoro, al problema dei salari, alla vera libertà imprenditoriale e all’umanità.
E vedremo se, con il buon Donald, il mondo occidentale comincerà a guardare se stesso e il prossimo con le lenti della normalità e i piedi per terra; e non all’incontrario.
Perché di questo sono sicuro: Hillary, i Clinton, la UE, gli USA, i potentati economici ci hanno imposto un mondo dove ogni parola e gesto, filtrati dal finto progresso del politicamente corretto, hanno assunto il significato diametralmente opposto.

Quel comunistaccio di Trump


Pubblicato su Pauperclass il 3 marzo 2017

Questo è un divertissement, prendetelo per tale.
Nella distopia di Philip Dick, Radio Free Albemuth, il protagonista è Nicholas Brady, un esponente della controcultura di Berkeley (e il suo migliore amico è uno scrittore di fantascienza chiamato Philip Dick).
Il romanzo fu scritto nel 1975 e pubblicato postumo, nel 1985. Qui da noi arrivò nel 1996, per merito delle edizioni Fanucci, che lo hanno regolarmente ristampato. Una (mediocre) versione cinematografica vide la luce nel 2010. Radio Free Albemuth vegeta a latere della grande produzione dickiana, ormai sdoganata: sostanzialmente non se lo impipa nessuno.
L’opera è, infatti, molto complessa: potrebbe definirsi una volgarizzazione fantascientifica del pensiero cristiano-gnostico dei primi secoli dell’era volgare.
In luogo di Dio è una navicella spaziale che parla telepaticamente ai propri adepti, invitandoli alla redenzione spirituale; al posto dei cristiani gnostici perseguitati ci sono hippie e libertari di sinistra; invece di legionari e pretoriani romani gli agenti della FAP (Friends of American People), un gruppo di delatori a mezzo fra la CIA e il KGB; e, invece dell’imperatore persecutore, un Tito Vespasiano Augusto a esempio, trova posto un volgare Presidente degli Stati Uniti, Ferris F. Fremont, una miscela di Nixon e McCarthy, populista, destrorso e reazionario.

L'Hollywood-Islam chiude i battenti?


Pubblicato il 14 novembre 2016

Traggo ispirazione da un articolo a firma di Maurizio Blondet dall’esplicito titolo: Obama, pulizie di fine stagione. Uccide i capi di Al-Nusra, molla Kiev …


E qui un breve estratto:

L’ha scritto il Washington Post il 10 novembre: “Alti funzionari del Dipartimento di Stato”  hanno informato il giornale che Obama non poteva più permettersi di “trattare col diavolo” per esercitare una pressione militare sul presidente Bachar al-Assad”.  Obama avrebbe ordinato di localizzare ed uccidere tutti i dirigenti di Al Qaeda attivi in Siria, anche con droni. E anche il WP non aveva bisogno di chissà quali fonti anonime: bastava che andasse  sul sito del Dipartimento Usa  del Tesoro per vedere che il detto Ministero  comunicava: “Abbiamo smesso di pagare i qaedisti”. Beninteso, il linguaggio non è così esplicito, ma lo è abbastanza: “L’ufficio per il Controllo degli Attivi Esteri” (il Tesoro  ha appunto un  ufficio con questo nome) ha  agito oggi per  interrompere  le operazioni militari,   di reclutamento e finanziamento  del Fronte Al Nusra. Specificamente il il detto ufficio ha indicato quattro leader di Al Nusra  – Abdallah Muhammad Bin-Sulayman al-Muhaysini, Jamal Husayn Zayniyah, Abdul Jashari, and Ashraf Ahmad Fari al-Allak –   in coordinamento col Dipartimeno di Stato, come individui responsabili di fornire  al Al Nusra  sostanziale sostegno finanziario e logistico, dal reclutamento di combattenti alla raccolta di fondi”.

Non sto mai a chiedermi se una notizia è vera o falsa.
La domanda che mi preme è sempre una: i dati riportati si inseriscono ragionevolmente nella struttura generale del problema?

28 giugno 2017

Il mondo al contrario


Pubblicato il 24 febbraio 2017 

Gli Ebrei sono il popolo più considerevole della storia mondiale perché essi, posti davanti alla questione se essere o non essere, hanno scelto … l’essere a ogni costo: questo costo fu la falsificazione di ogni natura, di ogni naturalezza, di ogni realtà, dell’intero mondo interiore non meno che dell’esteriore. Essi si trincerano contro tutte le condizioni alle quali, fino a quel momento, a un popolo era possibile vivere, era consentito vivere: crearono, estraendola da sé stessi, un’antitesi concettuale alle condizioni naturali, – in maniera irreversibile essi hanno, nell’ordine, rovesciato la religione, il culto, la morale, la storia, la psicologia nella contraddizione ai loro valori naturali“.

Sono alcune considerazioni di Friedrich Nietzsche tratte da L’Anticristo. Il filosofo va alle radici della décadence cristiana e le ritrova nello snaturamento di valori operato dalla teologia ebraica: “Il prete svaluta, dissacra la natura …“, si inventa cioè un mondo al contrario dove l’antico ordine (di cui l’istinto vitale, la bellezza e la morale erano i fondamenti) viene sovvertito e sostituito da un nuovo ordine assolutamente irreale, antinaturale, piccino, risentito, compassionevole sino all’idiozia.
Tale décadence, inoltre è solo una recita, avverte Nietzsche, “solo un mezzo: questa specie d’uomini ha un interesse vitale nel rendere malato il genere umano e nel capovolgere in un significato esiziale per la vita e denigratorio per il mondo i concetti di ‘buono’ e ‘cattivo’, di ‘vero’ e ‘falso’ …“.
Invertire le coordinate vitali dell’esistenza: questo l’assalto al cielo tentato dalla Globalizzazione.