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15 novembre 2023

Vogliamo vivere!


Roma, 16 novembre 2023

Ho passato quasi metà della mia personale esistenza a vivere la vita di un altro; e ciò che ne restava a ripudiare il tempo in cui nacqui, giorno dopo giorno. Da giovane, per campare, si doveva fingere in tutto: sui banchi di scuola, in società, al lavoro, in vacanza, al bar. Ci si riservò la mendacità, una briosa discesa agli inferi. Il grasso di quella breve epoca edonista consisteva, a ben ri-vedere, nella moneta presa in prestito dal più sordido usuraio; e si viveva in accordo con quei semitoni una danza di sguaiato e inavvertito orrore. Quanto tempo perso, quanta stupidità in ogni atto! Alla nostra secolare etica, che disconosceva, come ogni tradizione che ci tiene in vita, il giudizio su sé stessa, se ne sovrappose un’altra, apparentemente libertaria, ariosa, dalla vastità infinita. Fu un miraggio degno di Alcina. In realtà vedevamo con altri occhi e i nostri, gli unici che potevano salvarci, furono resi ciechi: “gli ochi nostri tenebrosi”. Poi cominciai a leggere meglio, a vedere meglio. Non si trattava di risvegliarsi a niente, semplicemente giudicai secondo ciò che siamo sempre stati. E presi a vivere la vita al contrario. Sottosopra. Perché il contrario del contrario è la retta via. Dappertutto giravo in senso antiorario, come i detenuti durante l’ora d’aria. Alla stanga, a faticare il triplo, a essere compatiti (non capisci!), a rimanere esclusi, inevitabilmente, dal corretto fluire della vita che ancora, sonoramente, disperatamente, con risate isteriche e forzate, gorgogliava giù per la fogna. Dove merita di stare.

Una volta non ci si domandava: voglio vivere nel mio tempo, oppure no, lo rifiuto. Ci si adattava secondo un conformismo più o meno accettabile, schiantati da sacrifici o privazioni, oberati dal male, ma l’intimo conforto di cui si godeva erano quei punti cardinali verso cui guardare. Qui è il problema. Un asse del mondo è necessario, o per conformarsi o per tentare di svellerlo alle fondamenta. Le epoche o sono incardinate alla tradizione oppure minacciate da sconquassi sociali e umani, ma la bussola deve necessariamente segnare un nord morale. Uno dei primi a rendersi conto dello sfacelo fu William Shakespeare: quella frase, apparentemente innocua, poiché riferita a una vendetta ("Time is out of joint", il tempo è fuori dei cardini, della giusta guida), alludeva al tramonto di un Ordine (di un kosmos) e all’incipiente in-augurazione dell’apostasia inglese. Egli intuiva che quel turbine di sangue celava non certo il male, presenza connaturata all’umano, bensì il nichilismo corrosivo e sterile dei nuovi tempi a venire.

Nel Riccardo III alcune nobili dame si rinfacciano assassinii:

03 dicembre 2022

Taci, il nemico ti ausculta


Roma, 2 dicembre 2022

Ben prima del pronunciamento della montagna sull’obbligo vaccinale, ho gustato la Silvana Sciarra in una minuscola dichiarazione di riscaldamento. Viso magro, ma non smagrito, candida messa in piega, talmente inappuntabile da apparire scolpita, un taglio cesareo per labbra, la Nostra recitava un cibreo burocratico in quell’anti-italiano (di cui si lagnò a suo tempo Italo Calvino, pace all’anima sua) cui la giustizia ricorre quando deve sentenziare senza far capire nulla di ciò che accadrà.
La commedia all'italiana ha ricavato varie scene comiche da tali sgranate di rosario; come quando l'imputato si rivolge all’avvocato chiedendo lumi: “Ma quanti anni mi hanno dato, dottò’?”, “Ma quali anni, Mericoni! Lei è assolto!”; oppure: “Allora l’abbiamo sfangata, dottò’!” “Ma che sfangata, sono cinque anni, Mericoni!”: perché il sentenziese è a doppio taglio significando tutto e il contrario di tutto all'orecchio volgare.
Solo che qui la Silvana ci ha sorpresi. A dir la verità non mi son reso conto, a causa della mia struttura inconfutabilmente plebea, se fossi ancora in me oppure sprofondato in un fugace deliquio cui spesso soggiaccio a fronte di autorità così autorevoli. Già raccontai di quando fui ghermito da un soporoso stato psichedelico durante un discorso di fine anno del Presidente della Repubblica. Probabile che sia stato così anche stavolta. Le fattezze della Sciarra, già di per sé aristocraticamente riconducibili al fenotipo mattarelliano, presero a circonfondersi d’un aura indefinita, da suffumigio rituale; quella robotica tefillah in una lingua insensata, priva di toni e cesure, un pocolino incespicata e appena sommossa da bollicine tecniche (“a quo”), m’indusse, perciò, da subito alla rivelazione. Sembrò, insomma, e parlo per me, che la nostra Presidente, ogni tanto, interrompendo fugacemente la litania, si microaccendesse d'un sorrisino dolcemente estrogeno, labbra serrate e commessure lievemente increspate: da amica d’infanzia; e che, al contempo, promuovesse tale empatia,
quasi inavvertibile, mercé alcune birichine alzatine di spalla, come a render ancor più complice l’uditorio. “Sebbene nulla comprenda e voglia comprendere ... da questa donna non potrà venire nulla di male …”, avrò pensato, già assuefatto alla pipa da crack che il potere mi concedeva: "Questa non è una mia superiore, è la Marina Morgan dei costituzionalisti, ci vuol bene, tanto … tanto bene … sono gli altri a sbagliare ... io in particolare ...".
Qualche ora dopo mi svegliai allucinato, con qualche linea di febbre nelle ossa.
Ero pronto a rigettarmi nei vicoli plumbei della città.

Se, nell’inferno più sudicio della postmodernità, esistesse un girone riservato a chi cercò di imitare vanamente l’intelligenza, questo verrebbe comunque negato ai giornalisti italiani, troppo in basso per qualsiasi idea di nequizia. Il modo in cui, tronfi, essi citano questa locuzione latina (“a quo”), cicalando di “via incidentale”, merita il nostro disprezzo più lutulento. D’altra parte, ma questo vale per tutti, il giornalismo germinò di pari passo all’Illuminismo ideologico e tecnico. “The Tatler” e “The Spectator” di Addison & Steele nacquero ai primi del Settecento, in Inghilterra, dove dell’ideologia non sapevano che farsene. Rimase la tecnica, l’efficacia, che, proprio per esser al massimo operativa, aveva da far regredire nella dimenticanza lo stile, la cautela, l’evocazione poetica. Germinava l’informazione, moriva la verità. In tre secoli questo rogo ha consumato tutto. Non restano nemmeno i tizzoni esausti. Solo una fine calcina postatomica, a coprire ogni cosa, ogni granello fungibile all’altro, all’infinito.

Sulla punta della lingua del parassita vi è sempre questo disprezzo antropologico per chi produce la ricchezza; che il parassita a sé annette, per diritto di casta, come se questa fosse prodotta da una cornucopia di folletti; nella casetta di marzapane.

27 giugno 2022

CRAC! (qualche banale considerazione sulla farsa elettorale)

Quanto studio, quanta malafede e dedizione, quale puntigliosa strategia ... e soprattutto quale disgusto verso sé stessi per arrivare a questo. Un autentico capolavoro in cui sadismo, inettitudine e ansia di vendersi convivono simbiotici.

Roma, 26 giugno 2022

L’amara verità: nessuno, in una colonia, qual è quella italiana, perde o vince le elezioni. Le elezioni, infatti, servono unicamente a decidere della temporanea spoliazione di una parte della colonia stessa.
Il Potere Vero, invece, inteso come sottopotere concesso dal colonizzatore, è sempre nelle mani del traditore di fiducia.
Tali le due premesse.
Se non le avete ben comprese le posso ritradurre in termini elementari: 1. le elezioni definiscono chi deruba temporaneamente una regione, una città, una parte dell’apparato industriale; 2. Il potere reale, concesso dal padrone globale, risiede, invece, sempre, a onta di apparenti rivolgimenti elettorali, nelle mani di fiduciari prestabiliti.
Da tali premesse il sillogismo principe: lo Stato Italiano, nella sua interezza indivisa, è concesso agli eredi di spezzoni moderati di alcuni partiti (PCI, brandelli di DC et alia) variamente denominati negli ultimi trent’anni. È tale Entità, che si serve dello scheletro e dei poteri residui dello Stato, a stabilire, di volta in volta, di comune accordo col colonizzatore, la reale direzione politica.

La stessa, da trent’anni a questa parte.
Credere che le elezioni cambino la rotta è, perciò, una sciocca illusione.
Chi è al di fuori di tale Entità ha la piena libertà di concorrere alle cosiddette (inutili) elezioni, persino di governare larghe fette del Paese, ma non di decidere; infatti Lega, 5S, Fratelli Italiani e ciarpame vario non hanno assolutamente voce in capitolo sugli indirizzi essenziali dell’espressione geografica ancora chiamata Italia: programmazione energetica, welfare, scuola, politica estera et cetera et cetera
Si può dire, in parole povere, che il nucleo di riferimento del colonizzatore, l’Entità (di cui è amministratore delegato il PD), manterrà sempre il potere datogli dal colonizzatore - in barba a qualsivoglia tipo di risultato elettorale. L’Italia, insomma, andrà dove è deciso che vada, anche quando
l’Entità otterrà percentuali di voti meschine (e sembrerà, agli occhi dei micchi, sull’orlo della crisi e della dissoluzione).

La controparte elettorale dell’Entità, dalla Lega a Forza Italia ai Fratelli dell’Italia, conosce benissimo tali dinamiche. Per questo si limita esclusivamente al piccolo cabotaggio, depredando alcune risorse locali a favore delle proprie fameliche clientele. La politica nazionale, infatti, non è affar loro, come stabilito da almeno trent’anni, a chiare lettere di fuoco; tanto che, appena il blocco di centrodestra rischia una maggioranza chiara e preponderante (tale per cui l’elettorato non comprenderebbe eventuali esitazioni al governo), sono gli stessi capi e sottopanza del medesimo blocco a escogitare finte schermaglie e scontri interni tesi all’autoboicotaggio. Il loro elettorato non lo saprà mai, ma nelle riunioni essi dicono: “Ci siamo spinti troppo in là … il padrone potrebbe adontarsi … occorre, quindi, dividersi e far riguadagnare ossigeno al banco … cioè alla centrale usuraria e polcorretta cui è stato assegnato il ruolo del manovratore occulto: l’Entità …”. Da tale punto di vista si hanno chiari certi episodi altrimenti inspiegabili come l’opposizione interna al Berlusconi debordante o le sparate del Trippone in mutande agostane: in effetti Lega e 5S si erano spinti troppo in là, sull’onda dell’elettorato … necessitavano alcune scuse per dilapidare il patrimonio di voti e consensi … ed ecco l’episodio del Minchione col Mojito … minchione già segnalato per tale alle nostre scettiche latitudini

Simbolo dell’Entità inamovibile è il presidentato della Repubblica che, negli ultimi sedici anni (16) è stato garantito da due (2) individui scialbi e spietati (due!) dell’Entità stessa: con la disponibilità piena e ossequiosa dell’arco costituzionale tutto. Quando segnalai questi due individui segretamente coavvinti nel potere profondo, qualcuno mi scambiò evidentemente per un qualunquista a cinque stelle … dato che, allora, tali soggetti segnavano una moda irresistibile …

17 gennaio 2021

Before we vanish (addio Nutella Biscuits, addio!)


Unreal City, 17 gennaio 2021

La rivoluzione nel 2021 è una luminaria di Natale. A volte s’accende furiosamente, fitta di allusioni, insulti, sberleffi, truciferazioni, promesse di sangue (entrerete in una valle di lacrime, porci!), altre s’abbuia, all’improvviso, con impressionante simultaneità, lasciando intravedere solo la debole incandescenza del filamento dapprima sfavillante. E ciò accade quando il Potere materializza, davanti a cotanti fulguratori, le partitelle della Serie A, o qualche popolar-montalbanata. Si affilano, insomma, le lame del digitale promettendo sfracelli per poi grandiosamente rinculare allorché piove la micragna dei croccantini. E questi rivoluzionari dovrebbero … far cosa? Un cazzo, gli risponderebbe il Cambronne d’una volta, comunista o fascista che fosse.

Il candidato rifletta sulla trilogia del giapponese Kiyoshi Kurosawa: Cure (1997), Pulse (2001), Before we vanish (2017).
Il primo parla di un killer seriale (incapace di dire chi è, dov’è, cosa fa) il cui istinto omicida si propaga come un virus; radice del male è un ipnotista ottocentesco di cui possiamo udire, registrate su un vecchio fonografo Edison, alcune parole apparentemente sconnesse, ma di forte valenza misterica. Una delle ultime sequenze, ambientata in un edificio fatiscente sferzato dal vento, ci rivela come il Nulla (ciò che prima, per faciloneria, ho chiamato “male”) passi da uomo a uomo, inarrestabile come una pestilenza spirituale, grazie a benedizioni sacrileghe.
Del secondo potete ammirare un’immagine in Vanishing Italians: il web diviene il mezzo di comunicazione tra il regno dei morti e dei vivi. I primi si riversano nel nostro mondo, i secondi, divenuti apatici e depressi, lasciano per sempre la realtà. Unica testimonianza del loro passaggio sulla Terra è una macchia indistinta sulle mura casalinghe, simile a quella, sin troppo famosa, rilasciata da un vaporizzato di Hiroshima.
In Before we vanish, tre alieni prendono possesso di corpi umani. Il loro intento è comprendere alcuni valori basici della natura umana in vista di un’invasione di massa. Essi riescono a estirpare questi concetti (libertà, famiglia e proprietà, a esempio) dalla psiche profonda delle loro vittime le quali, rimanendone totalmente prive, si abbandonano a un’esistenza di angosciosa povertà spirituale.

Il candidato abbia cura di sottolineare il crescendo ideologico della trilogia riannodandone il cuore concettuale all’opera di Arthur Clarke (Le guide del tramonto), di Edward Bulwer Lytton (The coming race) e di Sergio Mattarella (“È tempo di costruttori”).

Come operano i gatekeeper?
Eccone uno: “Renzi lavora a sfavore di Conte sol perché vuole ottenere il MES e, quindi, avvelenare i pozzi alla destra che si prepara a stravincere le elezioni”. Il tizio che afferma ciò andrebbe frustato e appeso a testa in giù su un falò Apache. Secondo lui si dovrebbe votare a destra a quindi passare cinque anni a cicalare: povero Salvini, povera Meloni, poveri tutti! Ce la stanno mettendo tutta, ma il Potere, la sinistra mondialista, Greta, i comunisti, Soros, la von der Leyen, impediscono di far partire il programma, di difenderci, di sovranisteggiare!

29 maggio 2018

Il fantasma della libertà


Roma, 28 maggio 2018

Sono viziosi e ribelli, ma alla fine ... il gregge tornerà a sottomettersi, questa volta per sempre. Allora daremo loro la quieta, umile felicità degli esseri deboli quali essi sono ... dimostreremo loro che sono deboli, che sono soltanto dei poveri fanciulli, ma che la felicità dei fanciulli è più dolce di ogni altra. Diventeranno timorosi e per la paura guarderanno a noi, si stringeranno a noi come pulcini alla chioccia ... Tremeranno di fronte alla nostra collera, la loro intelligenza si intimidirà e i loro occhi si faranno lacrimosi ... Ma altrettanto facilmente passeranno, a un nostro cenno, all'allegria e al riso, alla gioia radiosa e alle leggiadre canzoncini infantili. E tutti saranno felici, milioni e milioni di esseri ...

Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov (discorso del grande Inquisitore)


Sergio Mattarella è ciò che appare, né più né meno. Appartiene al patriziato altissimo, per meriti di cui rimarranno ignote le reali cause, come al patriziato apparteneva il fratello, Piersanti, martire della mafia, o, per lignaggio ereditario, suo nipote, quello che alberga, da sempre, negli interstizi oscuri e grassi della pubblica amministrazione assieme al figlio di Giorgio Napolitano.
Sergio Mattarella iniziò il proprio silenzioso e, perciò, irresistibile cursus honorum nel 1983; in trentacinque anni di gerente e garante delle massime istituzioni non l'ho mai sentito elogiare sinceramente un grande Italiano, oppure, di propria spontanea volontà, l'Italia; altrettanto, non l’ho mai visto commuoversi a fronte di un'opera italiana eminente o alla vista d’un mirabile luogo d'Italia, uno dei tanti disseminati lungo il Paese e che costituiscono il corpo mistico della Patria.
Le sue eulogie son state riservate, per lo più, ad altri membri suoi pari: ordinari felloni (ambasciatori, baroni, tacchini col petto appesantito da decorazioni per guerre mai combattute, ex politici, vittime più vittime di altre vittime, pretame) o patrizî di cui si decide a freddo l’elevazione a santino (in modo da stroncare qualsiasi dibattito: Falcone, Moro, Mattei).

09 agosto 2017

Il grasso da tagliare


Pubblicato su Pauperclass il 22 settembre 2016

Dopo la morte di Carlo Azeglio Ciampi, l’unico politico che abbia pronunciato una frase degna di una mia (modesta) approvazione è Matteo Salvini: “Al di là del cordoglio … è stato uno dei traditori dell’Italia e degli Italiani … al pari di Napolitano e Prodi come gli altri si porta sulla coscienza il disastro … sulle spalle di 50 milioni italiani … Politicamente parlando, è stato uno dei complici della svendita dell’Italia ai poteri forti, ai massoni, ai banchieri e ai vecchi finanzieri … quindi … lontanissimo da quello era l’interesse dei cittadini”.
Ineccepibile.
Tanto ineccepibile che la dichiarazione ha subito fatto insorgere i pasciuti difensori dello status quo, da Grasso (nomen omen) a Letta, da Fiano a Zanda sino a Maurizio Lupi e al seduttore Casini. Lo sdegno di disapprovazione sincrona ca-cantato da questi satolli eunuchi dell’harem italico (che fanno volentieri entrare cani e porci per fottere le ultime nostre bellezze) ha raggiunto vertici di compiacimento mistico.
Il M5S non ha partecipato. Se queste cose le pensa (come la maggior parte del loro elettorato), però non le dice. E perché? Per il solito motivo: la paura. Sì, il potere fa paura e allora è meglio non prenderlo per le corna. Ragionano gli stellati: i tempi non sono maturi, meglio aspettare, far decantare e usare altri toni. È così, non c’è niente da fare. È già tanto che abbiano trovato il coraggio di gettare nel ventilatore la merda del “no” alle Olimpiadi, anche se l’hanno dichiarato dopo mille cautele e tentennamenti. Sì, il potere fa paura, i linciaggi ti rovinano la vita e aspettare il cadavere del nemico sul fiume è la scusa buona per chi il coraggio politico non ce l’ha. Peccato che nella realtà il cadavere del nemico non arrivi mai; più probabile che il detto nemico sia dietro di te, con un randello in mano.
Ma torniamo a Salvini, unico spetezzo dissonante nel coro angelicato di elogi al Salmone Ottimo Massimo.

06 giugno 2017

Il fardello di Mario Monti, L'unico che dice la verità


Pubblicato il 15 settembre 2015

C'è una bella poesia di Rudyard Kipling che recita:

Raccogli il fardello dell’Uomo Bianco –
disperdi il fiore della tua progenie –
obbliga i tuoi figli all’esilio
per assolvere le necessità dei tuoi prigionieri;
per vegliare pesantemente bardati
su gente inquieta e selvaggia –
popoli da poco sottomessi, riottosi,
metà demoni e metà bambini

Un inno all'uomo bianco, alla propria responsabilità epocale: quella di guida civile e buon padre nei riguardi delle popolazioni selvagge, naturalmente inferiori, senza legge e Dio, e prive di qualsiasi valore, se non quello di un abominevole vitalismo.
Indiani, afghani, pakistani, aborigeni, indios: l'uomo bianco, naturalmente superiore, deve sottometterle, per il loro bene.

Pochi giorni fa, grazie al sito http://scenarieconomici.it, vengo a conoscenza di un dialogo avvenuto durante una trasmissione televisiva, una delle tante. Uno dei dialoganti era Marco Travaglio, l'altro Mario Monti; Monti ha proferito tali parole:

"Volevo chiedere a Travaglio, il fatto che abbia dato l’impressione anche lei di pensare che, in aggiunta a certi limiti dei governanti o di certi governanti, c’è però, lei dice, un paese poco serio un paese cialtrone, allora dobbiamo, io ho riflettuto molto su questo tema, credo come tutti noi, dobbiamo davvero convincerci che c’è qualcosa di intrinsecamente inferiore nell’Italia e quindi, o rassegnarci o vedere la soluzione in un ultra secolare processo di educazione delle future leve degli italiani, cioè può dirci una parola sul bilanciamento tra accusa ad un Paese ed accusa a singoli governanti“.

Monti è uno dei miei politici preferiti: non mente mai. O meglio: non riesce, forse per deficienza nelle capacità attoriali, a dissimulare il proprio pensiero, che è il pensiero dei suoi padroni.
Il pensiero, in tal caso, era questo:

"Gli Italiani sono esseri inferiori.
Poiché sono inferiori non dobbiamo permettere loro di decidere.
Gli Italiani, perciò, non possono vivere in una democrazia, ma in un regime solo apparentemente democratico.
In tal modo noi (io e i miei padroni) potremo aggirare la Costituzione e le regole democratiche e approvare - senza il loro stupido consenso - tutto ciò che riteniamo giusto.
Addossandoci il loro fardello, per il loro bene".

Formula:
Mario Monti: Rudyard Kipling = Italiani: aborigeni australiani

Mario Monti è un razzista purissimo.