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24 maggio 2020

La scuola ai tempi del colera [Moravagine]


Moravagine 

L'era della didattica a distanza (sociale) 

L'ineffabile Lucia Azzolina, già insegnante precaria, sindacalista ANIEF (1), preside abilitata e sottosegretario, nonché sosia di Sabina Guzzanti, s'è trovata a ricoprire, dal 10 gennaio di quest'anno e per evidente mancanza di concorrenti, il posto ch'era stato del “ribelle” Lorenzo Fioramonti al ministero dell'istruzione.In tale veste, è stata costretta a prestare la sua faccia, con quell'espressione un po' così, alle disposizioni del governo Conte sulla scuola; fra queste, il dpcm del 4 marzo scorso, quello che ha istituito la “didattica a distanza”.
Da allora, tutte le scuole italiane si son dovute attrezzare per quelle che, volgarmente, vengono definite “videolezioni”.
Le videolezioni funzionano così: il docente si collega all'ora convenuta sulla piattaforma “adottata” dalla sua scuola (Google Suite for Education la più diffusa) ed a ruota lo seguono i discenti, ai quali pochi minuti prima è stato fornito un link di accesso “riservato”.
Il prof di turno fa dunque “lezione” ad una ventina di figurine rettangolari, fra problemi di connessione, stillicidio di giga e condivisioni involontarie di intimità casalinghe.
Il classismo della didattica a distanza si è immediatamente mostrato in tutto il suo fulgore: solo gli studenti con cameretta privata e pc personale potevano decentemente seguire le lezioni; gli altri dovevano contendere spazi, giga e dispositivi ad altri fratelli telestudenti ed al parentame segregato in cerca di passatempi virtuali.
Abbandonati al loro destino cinico e baro son stati poi i tanti alunni disabili e gli stranieri non alfabetizzati.
Da subito, quindi, vi è stato un altissimo assenteismo da parte degli studenti, supportato anche dalla diffusa attuazione di tattiche di sopravvivenza: fra le più praticate, quella di scollegare la telecamera facendosi in santa pace i fatti propri oppure quella, più raffinata, di sostituire alla propria immagine ripresa “in diretta” un filmato preregistrato in cui si simula attenzione.
Non han poi tardato a manifestarsi quelle dinamiche relazionali tipiche della scuola di oggi, fra le quali il grande babau dalle tasche piene d'ipocrisia: il “bullismo”, fenomeno non solo tollerato, ma di fatto incoraggiato e promosso al sempiterno grido di “Nessuno tocchi Caino!”.
Ai vari cagnolini sciolti del bullismo fai-da-te si sono presto affiancate orde di teppisti digitali organizzati: su Telegram hanno preso corpo diversi gruppi attivi nel sabotaggio sistematico delle videolezioni; inserendo il link degli incontri didattici su questi canali si permetteva l'accesso ad estranei che intralciavano la lezione con bestemmie, ingiurie, inserti pornografici (2). 

23 maggio 2020

Requiem per gli studenti [Giorgio Agamben]

 
Giorgio Agamben
 
Come avevamo previsto, le lezioni universitarie si terranno dall’anno prossimo on line. Quello che per un osservatore attento era evidente, e cioè che la cosiddetta pandemia sarebbe stata usata  come pretesto per la diffusione sempre più pervasiva delle tecnologie digitali, si è puntualmente realizzato.
Non c’interessa qui la conseguente trasformazione della didattica, in cui l’elemento della presenza fisica, in ogni tempo così importante nel rapporto fra studenti e docenti, scompare definitivamente, come scompaiono le discussioni collettive nei seminari, che erano la parte più viva dell’insegnamento. Fa parte della barbarie tecnologica che stiamo vivendo la cancellazione  dalla vita di ogni esperienza dei sensi e la perdita dello sguardo, durevolmente  imprigionato  in uno schermo spettrale.
Ben più decisivo in quanto sta avvenendo è  qualcosa di cui significativamente non si parla affatto, e, cioè, la fine dello studentato come forma di vita. Le università sono nate in Europa dalle associazioni di studenti – universitates –  e a queste devono il loro nome. Quella dello studente era, cioè, innanzitutto una forma di vita, in cui determinante era certamente lo studio e l’ascolto delle lezioni, ma non meno importante erano l’incontro e l’assiduo scambio con gli altri scholarii, che provenivano spesso dai luoghi più remoti e si riunivano secondo il luogo di origine in nationes. Questa forma di vita si è evoluta in vario modo nel corso dei secoli, ma costante, dai clerici vagantes del medio evo ai movimenti studenteschi del novecento, era la dimensione sociale del fenomeno. Chiunque ha insegnato in un’aula universitaria sa bene come per così dire sotto i suoi occhi si legavano amicizie e si costituivano, secondo gli interessi culturali e politici, piccoli gruppi di studio e di ricerca,  che continuavano a incontrarsi anche dopo la fine della lezione.
Tutto questo, che era durato per quasi dieci secoli, ora finisce per sempre. Gli studenti non vivranno più nella città dove ha sede l’università, ma ciascuno ascolterà le lezioni chiuso nella sua stanza, separato a volte da centinaia di chilometri da quelli che erano un tempo i suoi compagni. Le piccole città, sedi di università un tempo prestigiose, vedranno scomparire dalle loro strade quelle comunità di studenti che ne costituivano  spesso la parte più viva.