Pubblicato il 1 settembre 2015
Oh, ci si intenda subito:
magari qualcuno troverà la letteratura italiana, nel suo complesso,
di buona fattura. Magari vi troverà opere completamente
fallimentari; o negative; ma anche picchi positivi; eccezioni
lodevoli; non di rado, ben ruspando, tale lettore (oso dirlo)
rinverrà addirittura capolavori. Chi sono io per giudicare un tale
giudizio? Nessuno.
Dipende a quali altezze
ci si è inerpicati nella vita. Da certe vette (se si ha avuta la
pazienza di scalare certe vette) la letteratura italiana fa,
inevitabilmente, schifo.
È un ribrezzo non solo
estetico (passi!), ma anche umano: come a toccare il ventre d’un
rospo demoniaco. Persino le librerie suscitano ormai orrore;
passeggiare nei dintorni d’una di esse (una a caso), subire lo
squallore delle sue vetrine riesce insopportabile … e poi quelle
brossuracce, impilate a spina di pesce, decine di pile, e l’odore
della carta appena stampata (carta d’accatto, che, appena letta,
s’arrufferà malinconica) … e poi le classifiche, con altre pile
accanto, classifiche che confermano la pubblicità a tamburo battente
in cui un meschinello presentava il suo libercolo, la consueta
brossura dozzinale in ultima analisi … lordata da concetti da
dozzina … tutto questo spettacolo necrofilo dà già il
voltastomaco … un disgusto fisico che solo un feroce Ramadan
estetico può guarire.