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04 luglio 2021

Ode a Pierre Littbarski

Unreal City, 4 luglio 2021

Guardo alcuni spezzoni dei sedicenti Europei di calcio con un misto di noia e ineluttabilità. Un tempo questi appuntamenti, lungamente anelati per quattro anni, mobilitavano i precordi popolari dei milioni: ora son giochini a margine dell’immaginario, quasi inessenziali.

I mass media, dal canto loro, legati a filo doppio a tali esibizioni sempre più anonime, son costretti a pompare nelle stanchissime arterie dell’emozionalità italiana ogni sorta di eccitante: magniloquenze, iperboli, patriottismi ipocriti – facendoli recitare da guitti che tengono la scena da decenni e che, a ben vedere, nel vivere quotidiano sono i più cinici detrattori dell’Italia e i primi menefreghisti delle progressive sorti del Paese. Parassiti, amebe, tenie.

La comparsa della Madonna di Fatima, Paola Ferrari in De Benedetti, internamente luminescente, non so in virtù di quale metabolismo televisivo, come il bicchiere di latte recato da Cary Grant ne Il sospetto, annuncia il Verbo dell’orgoglio nazionale, falso come una moneta da tre euro, in un tripudio di banalità spicciole, per cui alcuni giocatori di medio cabotaggio vengono elevati a guerrieri delle Termopili.
In realtà, lo si avverte a pelle, è una manfrina in cui i primi a non credere sono proprio i trombettieri; i loro epinici risultano assai interessati ché alle sorti del calcio vengono legate prebende e grassi posti di lavoro. Dagli statali della RAI, pagati con la bolletta della luce, sin al più infimo blogger che lucra disperato su tale nazionalismo stitico.

Le ciance girano a vuoto, si sprecano eufemismi, accrescitivi, esagerazioni, fanfaronate. Sugli schermi italiani questa giostrina risulta quasi dimessa; sulle piattaforme internazionali vibra di altra spettacolarità, ma non fatevi ingannare: è solo vernice d’oro sulla stessa patacca.

01 ottobre 2017

La nazionale italiana è una cagata pazzesca


Pubblicato il 7 giugno 2016

Le adunate calcistiche dei bei vecchi tempi andati … le ricordo “come per suonno“, come in un sogno.
I ricordi ingigantiscono i contorni, sformano dolcemente le proporzioni; i volti, i dialoghi, gli impulsi. Solo in piena estate, nel primo pomeriggio, quando la canicola arroventa i tetti e i balconi, o, in campagna, fa schioccare vecchi tetti di lamiera, immobilizzando uomini e animali in uno stuporoso dormiveglia cullato dall’implacabile e misterico frinire delle cicale – solo allora, per pochi secondi, mi sembra di riafferrare quegli attimi d’infanzia; in modo immediato, vivido, definitivo. Persino gli odori sembrano ripresentarsi con una fragranza intatta e certa. Sono fate morgane della mente, miraggi del tempo perduto, impalpabili reperti che vivono a ridosso del vaporoso diaframma tra veglia e sogno.
Sì, ogni tanto, in quei precisi momenti, riaffiora la memoria di quei convegni estivi, vocianti, stordenti, irriducibili, inevitabili; per assistere alle partite della nazionale di calcio.