Roma, 22 giugno 2018
Sturm-truppen, Sturm-Sturm-truppen,
Sturm-truppen, Sturm-truppen, ja!
Sturm-truppen, Sturm-sturm-truppen,
Sturm-truppen, Sturm-truppen, ja!
Sturm-truppen, Sturm-sturm-truppen,
Sturm-truppen, Sturm-truppen, ja!
Pensando a mamma
ke aspetta poppoppò,
dentro in der
kleine kasetta,
tu corri supito in
fretta
a caricare il
tuo fucil!
Dalla canzone Marcia
delle Sturmtruppen di Strumpete und ‘Ndranghete (1980)
Il
Programma va avanti, indisturbato.
L’OMS
(Organizzazione Mondiale della Sanità), uno dei bracci armati del Potere
(versante PolCor), ha deciso che la transessualità è uno stile di vita, non
affine (almeno sinora), ma di eguale dignità a quello del buon padre di
famiglia.
“L’incongruenza di genere è stata rimossa
dalla categoria dei disordini mentali dell’International Classification of
Diseases per essere inserita in un nuovo capitolo delle ‘condizioni di salute
sessuale’ … è ormai chiaro che non si tratti di una malattia mentale e
classificarla come tale può causare una enorme stigmatizzazione per le persone
transgender”.
Le
organizzazione che si occupano di tale melma gioiscono: è “l’equivalente di aver tolto l’omosessualità dai disordini psichiatrici,
è una pietra miliare”, ha commentato Sally Goldner dell’australiana
TransGender Victoria. In tal modo si potrà combattere la transfobia.
Sally
Goldner, inevitabilmente ebrea, è attratta, naturaliter, da abissi antropologici,
dal mondo al contrario. E, infatti, la vediamo lì, sulle barriere; in Australia,
stavolta; Gerusalemme non vanta ancora una Sally Goldner, o una Marcelle
Appelbaum, o una Edith Cohen, che i rabbini hanno ancora qualche dubbio sulla
transfobia e sullo stigma: verrà, tuttavia, anche il loro turno (prima di
quanto si creda. A piccoli passi, come sempre. Inavvertiti zampettii: occorre
avere padiglioni allenati per udirli). Tutta la “psicologia” ebraica del mondo
al contrario, distillata per sopravvivere in condizioni estreme, è ora al
servizio del Potere (versante PolCor). Ne abbiamo già discusso.
Su
tale inversione verranno eiaculati fiumi d’inchiostro, più o meno digitale:
Shakespeare vi dedica sette parole definitive: “Fair is foul, and foul is fair”.
Frattanto
si apprende che nello 007 del 1981, Solo
per i tuoi occhi, una procace Bond girl era, in realtà, un ex ragazzo: la
stampa strimpella la notizia, ci si rivoltola: il brago è troppo invitante.
Vera? Falsa? Tutte e due: l’importante è miscelare, sformare, corrodere; in
attesa di uno 007 frou frou o di nuovo conio (negro?) o, magari, questo il
sogno, di una 008 fiera, muscolata, indipendente, un po’ lesbica e un po’ no:
liquida, diciamo. L’immaginario del maschio bianco dominante, insomma, deve
essere stekkiten, kaputt!
Mi
ricordo che la prima domanda (la prima! che finezza!) nel questionario
dell’Aeronautica Militare, durante il primo mese di soggiorno, trent’anni or
sono, fu un insinuante: “Ti piacciono i
fiori?”. Ambivano a individuare, i birichini, qualche invertito nelle
maschie fila degli avieri. Un VAM col garofano verde all’occhiello avrebbe
inferto un colpo durissimo alla dignità del Corpo. 30 anni fa! Non fu, circa in
quel periodo, che lessi, su un giornalucolo, della conversione di Bonvi ad
Alleanza Nazionale? Finita la guerra, allora! Ah, i bei tempi! Ah, i turni h24,
le scarrellate, le altane, il bullismo! Scheggia, fantasma, borghese, nonno …
block! … azione! … la schiuma da barba, gli armadietti, le corvée al cesso … e
le persecuzioni … degli invertiti … a un povero Cristo cercarono d’infilargli
un manico di scopa nel culo … cose così … nel 1990 si era già in fase di
smobilitazione ideologica, ma ci si divertiva come trogloditi. Bresciani e
trentini sembravano Lord della Camera inglese; poi c’erano i fiorentini, sempre
un pochino sulle loro … lo sbracato romano, ovviamente … il pugliese fuori corso
ventottenne con la fidanzatina che lo veniva a trovare … il ciccione bonaccione
di Carpi … un tristanzuolo lucano innamorato della cugina … un campano di
Giugliano che mi chiedeva consigli su come comportarsi con la figlia di un
capataz locale … un siciliano scuro e asciutto, ignorantissimo e fiero,
diciottenne, insensibile al rigore e agli urlacci dei superiori … a quattordici
anni (per lui) la fuitina … rapimento per amore … una dodicenne … i lombardi
della camerata restavano interdetti a quel racconto in dialetto stretto in cui
si poteva solo intuire la grandiosa e corrusca arretratezza di quella nobile
istituzione; la consideravano, tuttavia, con quieta benevolenza: i Neanderthal
facciano quello che vogliono, li rispettiamo, ma entro le loro riserve! La
dodicenne, al tempo progredita a sedicenne e già madre di una femminuccia, era piccola
e magrolina, la fronte, però, bella e spaziosa, gli occhi aperti e nerissimi
segnati da ombreggiature erotiche; sembrava rassegnata: la foto testimoniava in
tal senso; dallo sguardo compresi, però, che l'allure febbricitante conviveva
con quell’apparente placidità non infrequente fra le donne del Sud; valeva a
dire: marito mio, fa’ quello che vuoi con le femmine, ma su tutto il resto,
casa e soldi, comando io. Una divisione di compiti perfetta. E il marito,
questo cascame di feroci inseminazioni fra Mori e indigeni latini (i Siculi,
secondo antichissima tradizione, vennero giù dal Lazio), rispettava
perfettamente la consegna: al netto di un paio di scappate con le mignotte di
Taranto, le più brutte d’Italia, avrebbe rimesso all’ex ninfa ogni centesimo
guadagnato.
Il
milanese, Giorgio, era un bravo ragazzo, tifoso di Virdis e Van Basten e
ammiratore sfegatato del “grande
imprenditore” Silvio Berlusconi; il Cavaliere, allora, pre-partitico, che “ci dà la televisione e il calcio gratis”,
l’uomo che, fraudolentemente, ebbe a donarci un ultimo spezzone di Don Camillo
e Peppone, prolungando un po’ l’illusione, agonica, d’esser ancora Italiani. Come
gran parte dei milanesi Giorgio vantava origini terrone: una pletora di parenti
albergava, infatti, nei pressi … verso Martina Franca, se ricordo bene: mi
portò lì una domenica e mangiammo come dannati … brave persone … mi si fa quasi
il ciglio umido … come vice-capocamerata ero responsabile dei cubi, degli armadietti
e della pulizia del locale (dieci letti a castello); mediavo inoltre in alcuni piccoli
traffici: un occhio di riguardo per lui l’avevo sempre.
La
sera, dopo la mensa, ci si ritrovava nella sala telefoni, con le tasche gonfie
di gettoni, per comunicare la nostra esistenza in vita a parenti e petulanti
amori lasciati nelle zone di residenza. Poi si andava in libera uscita. Si
mangiava, si faceva i buffoncelli, si salutavano le bariste con un “Arrivedergliela!”. Mai visto uno
scontrino.
Fui,
quindi, trasferito alla base aerea di Ciampino.
La
vita militare scorreva calma. Chi si sa conquistare uno spazio e lo gestisce secondo
un bonario 'vivi e lascia vivere', può vegetare, per dirla con Oliver Hardy, come
un pisello nel suo baccello.
A
movimentare il tran tran provvedeva un personale militare di professione degno,
forse, di Sturmtruppen. La sera in cui l’America attaccò l’Iraq, un sergente,
uno dei più importanti, a quanto pareva, ci convocò: “La situazione è grave, pesante”, esordì. Sembrava che Saddam
volesse conquistare il nostro fortino, a tutti i costi. Un nemico subdolo,
talmente subdolo da aver sostituito i carri armati con modellini di legno a
grandezza naturale: gli americani martellavano, insomma, solo volgari sagome!
Ah, il perfido Solimano! “La situazione è
grave, pesante”: tali parole, piombigne e quasi funebri, le annunciò
vestito di una giacca color cammello istupidita da una cravatta di fantasie
multicolori. In realtà non era preoccupato affatto: voleva esclusivamente sottintendere:
“La situazione è grave. Per voi, ovviamente, che i
prossimi giorni farete i botti”. E, infatti, botti furono: posti di
controllo a ogni entrata, guarda raddoppiata, giri con la jeep e i semoventi
ogni mezz’ora. Gli iracheni, signori, potevano far breccia da un minuto
all’altro! A Ciampino!
Va
subito detto che questo tizio, il sergente, abile a leccar piedi, non lo vidi mai
in divisa; al pari del superiore, un maresciallo a tre strisce. Entrambi
napoletani, i due intrattenevano, infatti, relazioni ad alto livello con la
Sala d’Accoglienza (ribattezzata sala VIP) in cui transitavano Ministri e
ospiti politici internazionali. Erano quindi dispensati dalle noie del
servizio: alzatacce, rigori, burocrazia. L’abilità nell’oliare ogni ingranaggio
li rendeva indispensabili.
Fu
nella sala d’Accoglienza che potei amirare la Prima Repubblica in disfacimento.
Il capoccia della Sala era un maggiore, severo coi sottoposti (cui riservava,
con sadiche altalene psicologiche, zuccherini e umilianti minacce) e
untuosissimo coi superiori, dal generale di brigata comandante della base ai vari
politicanti che lì passavano, distratti e compiaciuti. La reverenza verso
Giulio Andreotti sfiorava il grottesco.
Non
era una brutta vita, la rimpiango quasi. Si mangiava, si rubava a man bassa.
Non ho mai visto rubare tanto in vita mia. Arrivava il furgone refrigeratore
stipato di carne meravigliosa; bellissimi tagli: vitella, soprattutto. E
prosciutti, decine di prosciutti. Ciclopiche mortadelle che trasudavano grasso
di prim’ordine. E forme di parmigiano, reggiano sicuramente, finissimo, tanto
che il profumo si poteva persino immaginare, dalle mense sino a noi. E,
tuttavia, in undici mesi di permanenza, mai assaggiai vitella, prosciutto,
mortadella o parmigiano, a parte ciò che si sottraeva dalle celle frigorifere con
la compiacenza dei caporali di turno. I piatti forti dell’alimentazione: pasta,
in tutte le forme, riso, mozzarelle confezionate, bocconcini di pollo o
vitellone, verdura ripassata, fagioli con cipolla.
Nei
momenti morti del servizio si girava mani in tasca per la base, o si giocava a
carte o si rivedeva, allo sfinimento, Febbre
da cavallo, la memorabile farsa d’ambiente ippico con Gigi Proietti
(Mandrake) ed Enrico Montesano (Er Pomata), di cui s’erano imparate a menadito
le storiche battute (“A Pomà, oggi c’hai
‘na faccia …”. “Eh, se ce l’avevo due stavo all’Università … sotto spirito!”; "Ma i soldi chi ce li ha? Questo è un problema che sta a monte". "Sì, ar Monte dei Pegni!");
oppure si inscenavano dialoghi, sulle donne e sulla politica, talmente retrivi che
oggi recherebbero alla galera. È pur vero che le nostre elucubrazioni, avvolte
dal fumo spesso della nicotina, nascevano da una stanchezza diffusa e non erano
da prendersi sul serio: più uno sfogo ai limiti del delirio che altro.
L’innesco veniva, di solito, da un coatto romano, una sorta di Tinea di basso
conio, uno che vantava un portachiavi con due daghe incrociate. Postulato: le
donne erano mignotte: da tale base argomentativa, ineludibile, egli passava a
considerare il gineceo della propria esistenza, condito da aneddoti apocrifi e
da consigli su come provocare orgasmi incontrollabili alle signore; la vasta
empirica della sua pur breve esistenza ebbe, in seguito, a precipitarla in una
distinzione psicologica e fisica di stretto rigore scientifico, da Linneo del
Femminino.
Ve
la propongo.
Psicologica:
1.
mignotte autentiche
2.
mignotte potenziali (mogli e fidanzate)
3.
mignotte naturali
4.
mignotte riflessive (lo sono in vista di vantaggi nella carriera)
5.
mignotte per forza (le brutte che, per accalappiare il gonzo, si diportano,
appunto, da mignotte).
Fisica
(la top ten è fededegna; l'ho ritrovata in un vecchio racconto):
1.
Sorche totali (ovvero belle belle, e un po’ zoccole, seppur mai volgari)
2.
Belle ragazze, belle belle (ovvero: belle per communis opinio, senza tentennamenti)
3.
Zoccol style (gnocche; laddove la bellezza, un po’ volgare, attizza il desiderio)
4.
Carucce proprio (ovvero: giovinette indiscutibilmente graziose. E polpose)
5.
Carucce (polpose, diciamo)
6.
Mature (con un loro perché; la matusa ancora soda, esperta)
7.
Maturotte (flaccide, da usare per scopi reconditi)
8.
Stanzini per scope
9.
Cessi scheggiati
10.
Ex donne (vecchie e bodrillone)
Questo
tizio lo rividi un decennio fa, almeno; su una Mercedes nera di prima classe:
commerciava generi alimentari, un’attività ereditata dal padre e dal nonno;
tutto andava bene. Moglie e figli sistemati; la mentula girava alla
grande. Lo abbracciai, con sincerità. Si premurò persino di invitarmi al mare,
l’estate successiva, a Santa Severa. Dai, vieni, ti svaghi. Cose gentili che si
dicono, così, per dire.
Le
discussioni politiche erano facili: si era tutti o fascisti o comunisti. Che
Guevara aveva il rispetto d’ognuno. Mussolini no; i comunisti, in minoranza e
più selettivi, ammiravano, invece, Bottai o Gentile, D'Annunzio o Pirandello (un'ammirazione di cui ai fascisti importava ben poco).
Ogni
tanto si ordivano scherzi feroci a qualche racchiona: in questo era specializzato
un simpatico scucchione di Velletri: le sue telefonate a una poveraccia di
Fidene, in cui alternava sapientemente promesse, languori, ammicchi e patenti menzogne, se
fossero state registrate al tempo, avrebbero oggi sbancato youtube.
Qualche
piccolo accesso di sadismo da parte dei superiori: controllare e ricontrollare
le bandiere. Quante erano, fra bandiere nazionali e ministeriali? Cento,
duecento? E allora: spiegare il telo, controllare, e riavvolgerlo, con
mestiere.
“Se non fanno niente si mettono a pensare, e
allora pensano cazzate”, questa l’epitome didattica della catena di
comando.
Al
contempo ci si esercitava spesso per il saluto alle autorità. Esempio: arrivo
del Presidente austriaco: alzabandiera (con bandiera austriaca e bandiera
italica) allo sgassare dell’aeromobile sulla pista; saluto, allorquando
l’autorità arrivava a pochi metri dall’ingresso; indi: giro di novanta gradi e
colpo a terra con l’anfibio destro, nuovo saluto, marziale e priapico stavolta,
al lesto passaggio del minchione oltrealpino, e, finalmente, riposo, gambe
divaricate, braccia a quadrato dietro la schiena e sguardo vitreo perso negli occhi del compagno di fronte: in attesa del dileguamento del suddetto minchione fuori
della base aerea.
Un
coglione di questi si fermò, una volta, a chiacchierare sotto la pioggia proprio
sotto l’area di saluto: uno sciame di avieri provvidero ombrelli riparatori ai
civili; intanto, statuaria, la coppia di VAM s’irrigidì per dieci minuti buoni,
con la mandestra indurita sulla fronte, la tesa del cappello gocciolante, la
bestemmia inghiottita dall’epiglottide del dovere. Giusto così: un aviere s’ha
da bagnare, tuonava il maggioren, cosa sono questi ombrelli da froci? Aveva
ragione lui: cosa sono queste cineserie, gli ombrelli? Il sottoscritto, a
esempio, da almeno trent’anni non li usa più e vive benissimo senza.
All’interno
della base vi era un centro NATO. Cosa facesse questo centro non lo so.
Probabilmente controllava: gli Italiani, ovviamente. Una volta chiesi a un
tenente lì in servizio cosa si ordisse in tale laborioso opificio al servizio
della Nazione; mi rispose, deciso: “Si
controllano dati vitali”. “Vitali in
che senso?”, insistetti. “Vitali per
l’Italia e gli Alleati. Qualsiasi dato è vitale, in realtà”. “Cioè?”. “Cioè … cioè … ogni cifra … dico: ogni cifra, all’apparenza insignificante
per i borghesi, può risultare militarmente importantissima … strategica. Non è
facile capire per chi non è abituato. Anche il numero delle scarpe è un dato
vitale”. Al mio sguardo interrogativo si premurò di rispondere con paziente
degnazione e un pizzico di alterigia: “Se,
per esempio, il Nemico conoscesse quante paia di scarpe importiamo in questa
base” e lì sospirò poiché concedeva brandelli di Verità, forse troppa!, a
un citrullo, “se conoscesse tale numero …
esso potrebbe … basta una semplice divisione … capire subito quanti uomini sono
presenti. La nostra forza deve essere nascosta. Quel numero è, perciò, vitale e
quindi top secret”. Come amava dire Carlo Emilio Gadda: “Io stupiva”. “Non ci avevo pensato”, finsi di sorprendermi. Stavo per dirgli: “Mi scusi signor tenente … perché al Nemico dovrebbe
venire in mente di arrivare a conoscere, a duro prezzo spionistico, l’entità
della fornitura di scarpe (supponiamo: 2000 paia di scarpe nere modello
mocassino, dalla misura 39 al 47) e poi dividerne il numero per 2 (=1000 uomini!),
quando tale Nemico può pagare un qualsiasi belinone all’interno della base per fotografare
l’organigramma in bella vista con tutti gli scaglioni presso l’Ufficio Comando?”.
Tale obiezione mi ballonzolava sulla lingua, ma la tenni nel cuore.
Fra
di noi c'era anche un fratello di sangue, un viterbese; o peggio: un indigeno
della provincia viterbese profonda: abitava, infatti, in un casolare perso nelle
campagne di Bagnoregio. Tozzo e squadrato come un cippo miliario, egli scisso fra
orgoglio, candore e obbedienza. Un giorno (non si era ancora divisi per
reparti) un maresciallo d'antico pelo e, perciò, sbrigativo e svogliato, intimò
alla soldataglia di formare cinque gruppi per ordine di altezza: cinque gruppen
per altezzen. Il Nostro si infilò, senza la minima esitazione, nel plotoncino
delle burbe sopra il metro e settantacinque. Egli, sì e no, raggiungeva il
metro e sessantasei. Il motivo per cui, nella vita, tale individuo s'era fisso
in capo d'essere dieci centimetri sopra la reale altezza rientra in quei casi
psicopatologici, frequenti a quelle latitudini, in cui si miscela
misteriosamente la felice ignoranza, la deriva genetico-sociale e l'amore di
mammà. Quando il cerbero graduato, cui i baffi corvini già mandavano scintille,
si ritrovò quel barattolo attorniato da gentaglia che lo staccava di un palmo
almeno, diede fuori di matto: "Ma
che cazzo è? Ma che cazzo èèèèèè? Ma dove vai? Ma dove vuoi andareeeee? In
fondo devi andare … in fondo … lì … lìììì … in fondoooo ..." (lo
stesso maresciallo voleva consegnare un intero plotone poiché, durante le esercitazioni
per il giuramento, ch’egli scandiva a suon di fischietto, un buontempone gridò:
“Rigore!”).
Ora
dovrò rendervi edotti su un carattere proprio all’indigeno viterbese; non questo
viterbese in particolare, ma quello eterno, sub specie aeternitatis. Se uno di
tali ometti subisce un rimbrotto o un rimprovero ch'egli, a sua esclusiva
discrezione, interpreta come un'offesa (e state sicuri che, nella quasi
totalità dei casi, sarà così), questi diverrà il nemico mortale di chi gli ha
esteso il suddetto rimprovero. Accigliatosi nell'intimo, comprimerà l'odio in
un globulo di astioso e venefico risentimento; toglierà il saluto, sobillerà il
vicino e il parentame, spargendo il sale della maldicenza sin alla calunnia più
gratuita: terra bruciata attorno a chi si è permesso un tale affronto. Un
comportamento sociale a mezzo fra il neolitico e la vendetta araba: che i
Saraceni, peraltro, scorrazzassero nella Tuscia è cosa risaputa. E però l'homo
viterbensis, questo troglodita immusonito, ha, istintivamente (e questo lascito
è tutto del Papa Re), un rispetto tremebondo dell'autorità: preti, giudici,
sindaci, dirigenti amministrativi costituiscono la cerchia insindacabile delle
sue deferenze. Quando vidi, perciò, dal mio uno e settantuno, il nostro uomo
traslocare le corte membra dal reparto spilungoni a quello nanerottoli, lo immaginai, come era davvero, schiacciato nella tenaglia antropologica di questi due potenti sentimenti: il
viso terreo, la bocca all'ingiù, il testone pesante e invincibile chino nella
vergogna: un uomo castrato delle sue eruzioni emotive, immobilizzato nell’impossibilità
della ripicca e dal rispetto mistico del grado.
Quanti
idioti e imbecilli incontrai nelle Sturmtruppen. E tutti Italiani! Eppure la
Patria andava avanti, idiozia dopo idiozia, imbecille dopo imbecille, anche sullo
smiagolare degli Ottanta. E se la passava pure bene. Perché, ricordiamolo
ancora, non sono gli idioti e gli imbecilli ad aver devastato l’Italia, ma chi
ha deciso che milanesi, siculi, romani e toscani non debbanno più fare il cubo
assieme. A chi obietterà che la metto giù troppo facile posso rispondere solo
questo: che l’Italia ancora esisteva, ed esisteva poiché non s’erano sciolti del
tutto vincoli di sangue antichi. Si stazionava in zona Céline: l’Italia
sopravviveva poiché rimaneva fedele, nonostante tutto, a una “condizione
… assolutamente essenziale, mistica, quella di essere rimasta fedele
attraverso vittorie e rovesci agli stessi gruppi, alla stessa etnia, allo
stesso sangue”.
Ma
cosa significa, in realtà, tale frase? Il sangue, cosa significa il sangue?
In
parte questo: sapete quanti secoli ci son voluti per distillare quel siciliano
di cui s’è detto? Almeno venti.
Avete
ben compreso?
No?
E allora, in secundis, voglio precipitarvi dalla letteratura più alta
all'infimo dell'esemplificazione.
C'era
una famiglia, in borgata, i cui elementi vantavano un quoziente d'intelligenza
che galleggiava attorno agli ottanta, novanta punti. Questo particolare emerse durante una schedatura alle elementari. Il capostipite, muto,
tozzo e inespressivo come un mattone calcinato, lavorava; lavorava sempre; se
non lavorava ristava su una sedia, al fresco di casa, affacciato alla finestra
del pianterreno, nel salottino della casa popolare in cui viveva da cinquant’anni:
in silenzio ottuso, senza muovere un muscolo; guardava fuori; cosa? Niente. Ogni
tanto bofonchiava un saluto ai passanti; spesso neanche parlava, limitandosi ad alzare di pochi centimetri la man destra. Una famiglia rispettata. La moglie
era sua pari: un'insignificante traccagnotta, dai tratti scialbi e molli, che
mai sentii dire alcunché di significativo, al di là di esclamazioni fàtiche o
di basso utilitarismo. I due ebbero quattordici figli. Per un attimo, nel
tempo, mi sorpresi a pensare che entrambi non avessero reale contezza degli
effetti del coito: i bimbetti si ammassavano, a intervalli regolari, bruttarelli e
sgraziati, con le facce un po’ così, prive di sentimenti; oppure improvvisamente squassate dall'estremismo delle emozioni: o pianti irrefrenabili o risate
sguaiate: le screziature della malinconia, dell’ironia o del dubbio mai
possedevano quei lineamenti, progettati per l'esplosione ferina. Il padre
concretava brutalmente il super-Io, lavoro e soldi; la madre una possessività
canina, bestiale, nei confronti di figli e roba. Ognuno di loro era di una
pulizia impeccabile, così come la casa: un ordine irreale regnava nei rapporti
fra genitori e figli, fra umano e cose. Mai fui ammesso in quelle cinque stanze
benché fossi amico d’uno dei nipoti, un tontolone sempliciotto, e però l'unico che vantava un paesaggio interiore complesso: era quindi il più indifeso; una sorta di traditore. Una gerarchia,
semplice e implacabile, strutturava la famiglia: il padre comanda; la madre
governa; chi tocca uno di noi tocca tutti, così fu così è così sarà, in un
ciclo mitico insopprimibile. Tale legione crebbe nei decenni, identica a sé
stessa e fedele all’istinto. Il gruppo si allargò a costituire una vasta regione
agnatizia: nuore, generi, suoceri, figli e nipoti accrebbero il numero: i
parenti acquisiti, inoltre, sembravano perdere i labili tratti originari
per essere risucchiati moralmente dall'etica che il ceppo primevo irraggiava
naturalmente attorno a sé. Comandamento: la famiglia è un corpo solo: chi la
discute è fuori. La canizie, indice del grado di potere, veniva rispettata con deferenza
sacra. Ciascuno ebbe nel tempo solo lavori modesti, da basso
artigiano (ma di buona perizia) o da uomo di fatica; saldatori, imbianchini,
muratori, piastrellisti, idraulici, falegnami, traslocatori, scaricatori,
mercatari, cameriere, bambinaie, cuoche, bidelle; solo i nipoti (un paio) provarono
l'ebbrezza del diploma, incuneandosi nei meandri, altrettanto modesti, ma
sicuri, della minuta amministrazione locale. Eppure non li ho mai visti in
difficoltà economiche; si aiutavano l’un altro, con i figli più piccoli, i
pasti, la scuola, durante le malattie; la manutenzione di case e roba (le sole
importanti) avveniva endogamicamente: un bulldozer sociale, autosufficiente,
inscalfibile.
Erano
ignoranti, brutali, tali Buddenbrook del suburbio? Certo. Solo più tardi capii, però,
ch’essi non erano scemi, sottosviluppati o deficienti: costituivano, invece,
una cultura, come ce ne furono tante in Italia, ognuna munita di segni, morali e
linguaggi. Identici a sé stessi nei secoli. E la famiglia, oggi, 2018, è ancora lei, indiscutibilmente, pur se
il capitalismo digitale ha cominciato a intaccare pesantemente il tronco robusto della
sopravvivenza: nei pronipoti si avverte inesorabile un cedimento,
un’insofferenza inspiegabile, pur nella devozione superficiale ancor mantenuta verso
ascendenti e collaterali: nonni, madri, padri, fratelli e sorelle. Il diavolo
del basso edonismo si sta insinuando, con la lenta opera delle erbe infestanti,
falsamente umili, a frantumare, a dividere, a instillare piaceri inutili e proibiti. La tirannia
della superficialità avanza; il desiderio, prima ignorato, accampa le sue pretese; le donne fanno meno figli, gli uomini si concedono
scappatelle. Qualcuno, infrangendo un tabù centenario, è disoccupato. Il
capostipite, venuto giù dall’Abruzzo più aspro, come i Casamonica del
Mandrione e gli Spada, è morto da tempo; sopravvive la moglie, ultranovantenne, sistemata
in qualche recesso ombroso della vecchia casa, immobile, a dormire e ingrassare
sulla poltrona, fra brodini e compresse contro la pressione alta: l’omphalos
della schiatta, le gambe enormi e gonfie, il seno mostruoso, il grembo deforme spossato
da quattordici gravidanze … ma viva … ancora viva … lare spirituale della stirpe: me
la immagino col capo recline, un filo di bava alla bocca, mentre soffia piano
dalla bocca, nel dormiveglia incessante, ridesta a tratti dalla devozione
familiare … c’è da prendere la medicina, le gocce, … le gocce, mamma Ida, le
gocce … chissà cosa pensa … ricorda il marito, i nipoti, i due neonati morti, la
figlia corrosa dal cancro, un genero caduto dall’impalcatura, a Guidonia, giù a
casa del diavolo? … piange? ha nostalgia? … assisa come una regina di carne … a
sfidare la morte … un’entità che, forse, lei nemmeno contempla come
possibilità, persa nel labile e monocromo sogno di un’esistenza basica e immutabile.
Le figlie, a coppia, sghembe per cinquant’anni di lavoro, rugose
e impeccabili nel vestitino da quattro soldi del mercato, sono lì a prendersi
cura di lei: esse non hanno esitazioni; la riflessione uccide il sentimento;
cosa c’è da soppesare? Niente pro e contro, qui. Non si parla certo di lavoro,
di soldi, di ore, di fatica: è la mamma. Lasciamo sola la mamma, la mamma
dorme, la mamma riposa. E anche loro si assopiscono piano, in questo giugno
2018, mentre sottili lame di luce esaltano il rado pulviscolo della stanza
rigando la fresca penombra; assieme alla mamma riposano, accanto all’origine
dei loro giorni … un secolo fa … tanti anni fa, tanti anni fa … quando nemmeno
c’era un autobus, neanche la luce pubblica c’era. “La nonna ha bisogno di qualcosa?” … no, per
adesso no, la nonna riposa, sta bene, presto le daremo la medicina, la medicina
per il cuore, per la pressione.
Questi
aneddoti, sciocchi, non entreranno in nessuna relazione di sociologia.
Sono
fatti sbiaditi. Riguardano alcuni Italiani.
Li ricordo, e li immagino, “come
per suonno”.
Intanto,
in pieno 2018, un’altra notiziola giunge, fra un gol di Cristiano Ronaldo e una
pubblicità birraiola di Gigi Buffon: gli stipendi non si potranno più pagare in
contanti. Il Programma va avanti anche lì, indisturbato, stavolta sul versante
Usura.
L’ondata
populista gli fa un baffo a questi qui: il vento è in poppa, e che vento
ragazzi! Aria esterna, aria esterna … dissolutrice come acido cloridrico.
La
sera compulso un pieghevole su una mostra tenuta al Palazzo delle Esposizioni.
La cura un tal Valentino Catricalà: cognome ominoso. Tale Catricalà (scholar
and curator part-time post-doc research fellow researcher and media art
programs coordinator) si occupa di tutto e niente, come spesso accade: galleggia a livelli medio-alti nel settore del soldo pubblico, diciamo: Maxxi,
fondazioni, laboratori, festival, convegni, contest, arte e multimediale, RAI
Cultura. Completamente inutile per l’Italia; assolutamente indispensabile per il Potere,
quindi: e Pantalone paghi. Ora il Nostro cura la mostra “Human +. Il futuro della nostra specie”:
“Il XXI secolo sarà
caratterizzato dalla convergenza di settori come la biotecnologia, la robotica
e l’intelligenza artificiale. Manipolazione di processi biologici, controllo di
apparati meccanici e digitali, creazione di un’intelligenza non biologica al di
sopra e al di là della comprensione umana: questi progressi sollevano
interrogativi di natura etica sull’appropriazione della vita e l’alterazione
dell’Io. Le forze convergenti di queste e altre correnti ci porteranno in
luoghi nuovi e sconosciuti”.
E poi:
"Chi avrà la proprietà dei materiali genetici nel futuro?"
"Vuoi provare a essere un altro?"
"La realtà virtuale diventerà la nuova realtà?"
Da
qui (Human +. Il futuro della nostra specie) potete scaricare la brochure dell’evento, che ho personalmente scansionato,
per voi e a futura memoria.
Il
solito coacervo di anglizzazioni esasperate, irto di acronimi incomprensibili;
il digitale si fa carne; i prossimi umani fra noi; beanotherlab, none collettive;
rethinking cinema.
Qui
si crea la nuova razza; anzi: la Razza Unica Futura, quella all’ultimo gradino
plutocratico della devozione; la razza stazionaria, edonista col soldo del
sussidio, istupidita, bioidiota. C’è un tale compiacimento in tale dissoluzione
dell’umano a favore del Nulla da sospettare il cretinismo. Eppure è così: io sono
qui e lui è lì, quindi la sconfitta, totale, è dalla mia parte.
Nella
brochure c’è anche questa foto.
Mi
ha recato un malessere, forse ingiustificabile, indefinibile e profondo, e tale da disgustarmi: mi si è
messa la luna di traverso e me ne sono andato a letto.
Aveva
ragione Dostoevskij anche su questo: la ferocia verso i bambini è il primo
sintomo della barbarie assoluta. Diabel.
Gli
scemi e gli imbecilli da Sturmtruppen, che mi frullano nella memoria, rispetto
a questi epigoni del vuoto, sembrano i commilitoni di una Caporetto da cui sembra impossibile il contrattacco: esseri umani, pieni di difetti proprio perché umani: idioti, imbecilli, profittatori, cialtroni: Italiani.
Mai
avrei immaginato un così gigantesco e rapido exeunt omnes; una tragedia
ignominiosa, composta da traditori e vigliacchi … e questo perché? Solo per
dominare; e osservare una ribalta sdrucita, deserta, terrificante.
Bellissimo post. Mi ha richiamato memorie piene di un misto di rimpianto e stupore per la lontananza antropologica, del servizio militare che ho fatto a Roma nel 1987: nemmeno un passato lontano, è più una passata incarnazione. Mi sono rotrovato in pieno nelle atmosfere "italiane". Eh sì, c'era ancora l'Italia, tutta, regione per regione, unita e divisa a un tempo, antica e feroce e gaia e buona e mistica, quasi.
RispondiEliminaQuello che c'è adesso non siamo noi, "non saremo noi" per dirla alla Dick.
Quello che abbiamo perso è incalcolabile. Quello che troveremo è imprevedibile.
Questo blog è una bella scoperta, grazie.
Grazie a te. Sembrano passati secoli, è vero, e la citazione di Philip Dick è quanto mai appropriata nei nostri confronti.
EliminaZona Celine! Eppure anche lui, esattamente un secolo fa,fu reduce. E vide il nulla che tu descrivi (magnificamente!) per le strade della New York degli anni '30 (!) o nella periferia di Parigi. Era già tutto avviato.
RispondiEliminaSì, la tecnologia, però, ha impresso un'accelerazione impensabile anche per Destouches.
EliminaRicordo i tre giorni della visita di leva. I miei amici raccomandati riuscirono a schivare il soldato. A noi senza santi in paradiso rimaneva o fare i pazzi o il servizio civile. Uno montò sul tavolo della psicologa. Finimmo tutti a fare il servizio civile senza neanche sapere cos'era. La domanda sui fiori me la ricordo. Anche la mensa del primo giorno (orripilante). Gli altri due giorni mangiammo panini allo spaccio. Mah...
RispondiEliminaSono un fan del tuo blog, ma è la prima volta che commento. Pezzo eccezionale, scritto con la consueta maestria e pieno di un humour amaro. Mi sono ritrovato nelle atmosfere descritte (ho fatto il militare nell'80-81) provando immensa nostalgia per un mondo che sembra lontano secoli e non solo qualche decennio. Alceste, perchè non scrivi un romanzo?
RispondiEliminaPer Anonimo e Roberto:
RispondiEliminaQualcuno rimpiange quel mondo, qualcun altro no ... il problema non è ritrovare quelle atmosfere, ma l'Italia scomparsa assieme agli Italiani.
Un romanzo? E chi lo pubblica ...
Grazie
RispondiEliminaHo viaggiato molto in Italia e ho
RispondiEliminaconosciuto un infinità di persone
e quando capitava di parlare del
ormai decaduto servizio militare
in tanti accennavano alle ruberie
che lei ha raccontato, stessa cosa sentita da alcuni amici e
parenti. Ma le posso dire di più,
se dovesse parlare con gente pregiudicata le direbbero la stessa cosa, pallet di carta igienica che spariscono dal oggi
al domani, nonché prodotti per
l'igiene e la pulizia delle celle destinati ai detenuti, e stessa cosa dicasi del cibo.
Parte dell' Italia che ci ha raccontato purtroppo esiste ancora ma nessuno ne sente la mancanza.
Mi scusi per la brutta formattazione del testo, succede
quando si crive da cellulare.
Piero da Torino
P.S.
La seguo da tanto, mi piacciono
in particolare i racconti di vita
vissuta come questo, o vissuta da
altri.
Buona notte.
Delle ruberie nessuno sente la mancanza, ovvio. Si prova nostalgia per un'Italia che, bene o male, esisteva e viveva.
EliminaLa storia fosse scritta dalle vittime
RispondiEliminaaltro sarebbe, un tempo di minuti,
di formiche incessanti che ripullulano
al nostro soffio e pure ad una ad una
vivide di tenacia, intente d'essere.
Gli inermi che si scostano al passaggio
delle divise chiedono allo sguardo
dei propri occhi la letizia ansiosa
d'essere vinti, il numero che oblia
la sua sabbia infinita nel crepuscolo.
Dei vincitori, ai ruinosi alberghi
del loro oblio, più nulla.
Rimane chi disparve nella sera
dell'opera compiuta, sua la mano
di tutti e il fare che è del fare il tenero.
È il nostro soffio che gli crede, il dubbio
di perderlo nel numero, tra noi.
Alfonso Gatto, le vittime
Prendi in te le forsizie nel profondo
e quando viene, anche il sambuco al sangue
rimescola, alla tua gioia e miseria,
al cupo fondo cui sei destinato. Lente giornate. Tutto superato.
E non chiedi se è fine o se principio,
cosí forse le ore porteranno
te ancora fino a giugno con le rose.
Gottfried Benn, ultima primavera
La buona notizia è che sono
deperibile,
mentre la lumaca striscia sotto
la foglia,
mentre la dama nel caffè
ride una falsa risata,
mentre la Francia brucia
un crepuscolo di porpora.
sono deperibile
e questo è il bello,
mentre il cavallo scalcia
un asse della stalla,
mentre ci affrettiamo verso
il paradiso,
io sono piuttosto deperibile.
metti le scarpe sotto
il letto
allineate.
mentre ulula il cane
l'ultima rana sbuffa
e salta.
Charles Bukowski, non restituire al mittente
Concordo appieno con il commento di Massimo, io ero del 3° '87 intruppato nel 3o° Battaglione Pisa, 3° Compagnia meccanizzata "Grifi!".
RispondiEliminaSe mi chiedete qualcosa del 1985, del 1996, del 2004, o del 2014..non mi ricordo nulla. Ma se mi chiedete dell'anno di NAJA, ricordo tutto! Con dettagli incredibilmente precisi, compreso l'odore (un misto di: naftalina, polvere, e rancido di gavelle con avanzi marcescenti) del magazzino dove andavo ad imboscarmi!
Avrei decine e decine di aneddoti da raccontare, alcuni tristi e terribili altri esilaranti.
In ogni caso lì ho conosciuto l'Italia, anzi gli italiani.
Io, signor nessuno, figlio di proletari romagnoli ero, nella 3° Grifi, un ricco e acculturato (con la rarità del diploma) in confronto ai lucani(fra cui un analfabeta vero, tornò in caserma con la licenza in mano...non sapeva leggere! né gli orari dei treni, né niente e si vergognava a dirlo, in realtà non parlava mai), e un mix di meridionali sottoproletari (il 90% della 3°compagnia). Ci ho messo un po' ma alla fine siamo anadati d'amore e d'accordo. Per avere il loro rispetto bisognava solo dimostrare di avere le PALLE e di dare rispetto per avere rispetto, i deboli e gli arroganti venivano massacrati*.
grazie Alceste per l'articolo.
cordialmente
Federico
*al sergente firmaiolo che..con la sigaretta in bocca.. ci puniva quando ci beccava a fumare in camerata, DEMOLIRONO la nuova e fiammante Lancia Delta.
L'omertà regnava sovrana, ma io penso siano stati i commilitoni del "gruppo" di San Severo (FG) erano quelli coi coltelli a scatto in tasca, insomma i più reattivi.
Si imparava la realtà meschina del vivere ...
EliminaAneddoti come piovesse, alcuni non si possono raccontare. Questi descritti da me sono già truci ...
Molto bello il pezzo! La bambina della brochure è uguale in tutto e per tutto alle foto dei detenuti di Guantanamo che si trovano in rete durante "l'ora d'aria", inginocchiati, incappucciati, annientati.
RispondiEliminaNon avevo pensato a tale parallelo agghiacciante.
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