Roma, 10 luglio 2018
Dicono
che l’Italiano è scontento. A me non sembra. L’Italia brulica,
certo, di uomini livorosi, che sentono l’ingiustizia sulla loro
pelle, ogni giorno, e, perciò, odiano. Eppure, a parte qualche
filippica e qualche travaso di bile, spesso espettorato in situazioni
al limite dell’esasperazione (file negli uffici pubblici deserti di
personale, mezzi pubblici soffocanti e rigurgitanti di abusivi del
mezzo pubblico, traffico incandescente su raccordi e consolari), non
si notano empiti di rivolta autentica. Le parole, anche le più
virulente, cadono nel vuoto; e per vuoto si intende la qualità
dell’incorporeo: non c’è nulla, dico: nulla, che filtri questi
umori e li materializzi in un gesto assieme materiale e simbolico in
grado di mettere a disagio il potere.
Drumont, un vecchio matto, diceva: “Soltanto pochi anni fa c’erano dei realisti, dei bonapartisti, dei repubblicani, dei radicali; c’era un partito socialista che aveva a capo uomini di valore. Tutto ciò si è volatilizzato, polverizzato, atomizzato. Noi assistiamo a questo strano spettacolo: un paese in cui tutti i cittadini sono divisi e dove non si vedono più né partiti, né capi di partito. Abbiamo la discordia dell’impotenza e l’odio nel vuoto”.
Drumont, un vecchio matto, diceva: “Soltanto pochi anni fa c’erano dei realisti, dei bonapartisti, dei repubblicani, dei radicali; c’era un partito socialista che aveva a capo uomini di valore. Tutto ciò si è volatilizzato, polverizzato, atomizzato. Noi assistiamo a questo strano spettacolo: un paese in cui tutti i cittadini sono divisi e dove non si vedono più né partiti, né capi di partito. Abbiamo la discordia dell’impotenza e l’odio nel vuoto”.